Padel nostro un amore a fil di rete
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Folgorazione.
L'idea mi venne l'estate del 2015. Ero in Spagna, a Son Bou, un paesino nella zona sud di Minorca, in compagnia di un amico, single e spaesato più di me. Da tempo senza lavoro, c'eravamo concessi una vacanza per staccare dalla ricerca perenne di un colloquio, infruttuosa e frustrante. Alla millesima candidatura senza risposta, d'impulso ci decidemmo a scappare per qualche giorno, e la scelta di Minorca fu casuale: un last minute da un sito di offerte. Una telefonata, un bonifico, e due giorni dopo eravamo in viaggio. Non sapevo cosa mi aspettassi da quel viaggio, ma mi guardavo intorno, scrutavo la gente in spiaggia, i ragazzi nei locali. Non vedevo persone, solo attività commerciali, idee da copiare, sfide da raccogliere. Il pomeriggio dell'ultimo giorno, una domenica, eravamo annoiati nella hall, quando ci si avvicinò una coppia di italiani. Come sempre, all'estero ci riconosciamo subito. Non so, forse per via dell'odore, come animali. O più probabilmente per le nostre facce “con gli occhi allegri da italiano in gita”, come cantava Conte. - Ciao ragazzi, scusate, vi posso chiedere una cosa?- . Lui era bello, vecchio più che giovane, sui quarant'anni, ma con uno sguardo ancora adolescente. Non sono mai stato bravo a capire l'età delle persone, ma lui era proprio così: rughe profonde alle guance, come solchi scavati dal sole e dal troppo sport, occhi vivaci fuori contesto, e fisico asciutto da ragazzo. - Vi va di fare una partita a padel?- . Ammetto che all'epoca non sapevo neppure cosa fosse. Ma la noia e la voglia di conoscere nuove persone, ebbero la meglio sulle mie perplessità. Il mio amico Samuele sembrava più curioso di me. Da sempre appassionato di sport e di vita sociale, in quel periodo era davvero giù, e quella offerta parve riaccenderlo. Fu così che mi avvicinai al padel, in un campo mal ridotto, coi vetri di fondo scheggiati, la rete troppo alta, delle palline che invocavano pietà e una padella mezza aperta. Marco, così si chiamava quel tizio, ci spiegò brevemente di cosa si trattasse. Le regole erano simili al tennis, anche il punteggio, ma qui si giocava solo in doppio, con un vetro alle spalle che teneva la palla in gioco, e al quale appoggiarsi nei momenti difficili. Col tempo scoprii che lanciare la pallina nel campo avversario, sfruttando il rimbalzo del vetro, era fra i colpi più difficili e anche più divertenti. Altra differenza era la griglia laterale: una pallina che rimbalzava su di essa diventava pazza, ed era poi quasi ingiocabile. Non so chi avesse inventato quello sport, ma era davvero molto aggregante. Un po' di infarinatura di tennis o squash non guastavano, certo, ma anche per un novizio non era così difficile praticarlo. La compagna del giovane-vecchio, era una bionda tutta pepe. Anche lei sui quaranta, mostrava un corpo che di rado aveva saltato lezioni di zumba. La sua prestazione fu una sfilata di moda, una pallina raccolta con eleganza, un salto aggraziato, una ricerca di sguardi. Devo dire che anche stavolta, non vedevo persone ma opportunità, tranne quando la milfona scattava su una palla corta, facendo rimbalzare in me e Samuele pensieri piccanti. Mi appassionai subito, giocammo due ore, e sul volo di ritorno ero già in fissa su come aprire un campo in Italia, e quanto poterci guadagnare. Samuele invece archiviò la partita come un diversivo, e la tipa come la classica milf a caccia di prede. Per lui, in realtà, erano tutte delle predatrici. Era così preso dalla propria avvenenza e dalla sicurezza di sé, che se l'avesse usata nei rari colloqui che gli capitavano, adesso un lavoro lo avrebbe avuto di certo. Ma questa era un'altra storia. Parlargli di quella mia idea mi sembrò affrettato. Volevo svilupparla, proporgliela nel migliore dei modi. Un socio mi avrebbe fatto comodo, e poi in due sarebbe anche stato più divertente. Ma lui era un tipo pigro, lo conoscevo bene, e se non l'avessi entusiasmato nel presentargliela, di sicuro non mi avrebbe seguito. A me invece era rimasto in mente lo sguardo acceso di Marco, il suo divertirsi ma anche il suo impegno per vincere la partita. Davvero si diventa competitivi, ma nel modo giusto. E anche se era ovviamente il più forte in campo, non se ne vantava e si impegnava sempre, e questo mi piaceva molto. - Come lo hai scoperto 'sto padel?- chiesi incuriosito, mentre bevevamo una coca a fine partita.- - Devo dire che è stato per caso. Succede sempre così, no? Ero a Roma per lavoro, e il mio capo mi ha portato in un centro sportivo di cui era socio. Un posto figo, dove entrai come ospite. Io la tessera lì non potrei mai permettermela. Solo che non c'erano campi liberi per giocare a tennis, e noi eravamo andati per quello.- - Anch'io gioco a tennis- lo interruppi. Un po' meglio che a padel.- - Ah, beh, allora altissimo livello- scherzò Marco.- - Comunque, Paolo, si vede che giochi, e questo è quasi un handicap perché qui si deve colpire la pallina in maniera diversa.: scordati il 'top-spin', sugli 'smash' vai incontro all'avversario, devi giocare per forza in coppia. Insomma, è un macello. Ma è bello per questo.- Nel parlarmene era davvero gasato. Sembrava dovesse vendermi una enciclopedia sul padel. Invece era un appassionato, come poi ne avrei incontrati altri. E in comune avevano tutti una sincera voglia di diffondere lo sport il più possibile, quasi avvertendo un'ingiustizia sociale. Era troppo divertente per non provarlo, e creava troppa assuefazione per non continuare. In pratica, mi ero appena imbattuto in uno degli esaltati del padel, ex tennisti che ripiegano su un campo più piccolo, dividono finalmente le colpe con un compagno di squadra, e si divertono molto di più quando una pallina li scavalca, dopo un improbabile attacco. Non vedevo l'ora di iniziare a cercare su internet i termini tecnici e i nomi dei colpi più spettacolari, per poi provarli sul campo con risultati sicuramente patetici. - Insomma, per fartela breve- riprese Marco-, stavamo andando via, presi malissimo, quando il ragazzo in reception ci propose di provare il padel. C'erano altri due soci che non avevano trovato un campo, e così accontentò tutti, perché ci divertimmo un casino. C'era un istruttore che ci spiegò gratis un po' di fondamentali. Penso che lo facessero per avviare la cosa. Se di sabato pomeriggio non avevano prenotazioni, voleva dire che le cose non stavano andando bene.- Fu un racconto che confermò la mia idea, e mi diede anche più certezze. Se loro quattro, e anche io e il mio amico, c'eravamo divertiti a giocare, non poteva essere un caso. E la ragazza di Marco c'aveva detto che a lei lo sport non piaceva, ma il padel sì. Quindi eravamo a cavallo. Non era una grande ricerca di mercato, ma per cominciare non era male per nulla. Samuele intanto dormiva, l'aereo lo soffriva sempre, e se prendeva sonno, almeno non mi comunicava ansia. Ero impaziente di arrivare, per potermi connettere e cominciare a cercare tutto sul padel. In mente mi proponevo di non fermarmi ai primi ostacoli, come al mio solito, ma di studiare davvero bene il progetto, lavorarci seriamente. E trovare il modo di crearmi un lavoro, visto che cercarlo era fatica sprecata. Con Marco avevo scambiato il numero, e mi aveva dato tutta la sua disponibilità per dubbi o domande. Inoltre viveva a Monza come me, per cui avremmo potuto organizzare facilmente qualche partita. Lui era brianzolo doc, mentre io ci vivevo da una quindicina d'anni, emigrato da Napoli in cerca, come tanti, di un lavoro e di dignità. Ma nemmeno al Nord era andata benissimo, ed eccomi allora alla ricerca di un'idea. Marco mi aveva detto del problema dei campi in Lombardia. Per trovarne occorreva fare molta strada, prenotare con largo anticipo, e comunque erano spesso tenuti male. Ne conosceva un paio a Milano, ma erano in zone non ben servite dai mezzi pubblici, e fare tanta strada ogni volta, a lungo andare diventava pesante. Per questo, pensai che potesse essere un'idea vincente, ma lì per lì non gli dissi nulla. Non volevo che magari qualche obiezione sensata mi smontasse.
Primi intoppi
Tornato a Monza, passai alcuni giorni a cercare in rete aziende che costruissero campi, e non ne trovai. Non esistevano molte strutture in regione, ma qualcuna sì, e quindi andai a vederle.
Antonio Petrucci
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