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Autore: Patrizia Bettinelli
Storie di donne sopravvissute
Narrativa
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Storie di donne sopravvissute
14 febbraio: San Valentino.

Oggi è il 14 febbraio, il giorno degli innamorati. Penso che questa festa si sia trasformata in una corsa al consumismo, tuttavia trovo veramente fantastico voler ricordare a chi si ama che esiste l'amore e deve essere vissuto tutto l'anno, ogni giorno, ogni istante, pur tra le difficoltà quotidiane, tra i dolori e le preoccupazioni di una vita non sempre facile.
Il poeta Prevert ha scritto una bellissima poesia dedicata agli innamorati. A scuola la proponevo, ai miei alunni, ogni anno ne abbiamo parlato e discusso a lungo, dopo averla spiegata e rispiegata, la dovevano studiare a memoria, si lamentavano perché era troppo lunga, non avevano colto l'essenza della poesia, a loro interessava non affaticarsi troppo, ancora piccoli per conoscere l'amore e comprendere il vero significato di una parola infinita.
In questa giornata che ricorda l'amore nella coppia, penso alle giovani donne uccise e ferite dagli uomini e mi appaiono come un alberello piegato dalla furia violenta del vento, penso a loro e alla voglia di vivere che hanno i ragazzi di vent'anni, alle speranze, ai sogni, alle feste di San Valentino da festeggiare. I ragazzi non pensano al futuro in ordine di tempo, hanno tutta la vita davanti a sé da vivere. Pensano ai progetti che potranno realizzare nel futuro, ma vivono alla giornata. Anche per le vittime di violenza era così, prima che la furia omicida le piegasse. Il loro sacrificio ci ricorda che la violenza è male, distrugge, blocca la vita di tutti, vittima e carnefice, amici, parenti, esseri umani in generale.

Ci ricorda che siamo umani meravigliosi con infinite possibilità di realizzare i nostri doni nell'amore, senza avere necessità di vivere nella rabbia, nell'odio, nel rancore e nella violenza.
Queste donne, forse sono venute e presto se ne sono andate, per realizzare questo progetto, importante, fondamentale, mostrare agli uomini cosa producono i pensieri e le emozioni negative e a cosa portano: sofferenza, dolore, rabbia, odio, violenza.
Ci ricordano ogni momento di riflettere sui nostri pensieri e le nostre azioni prima di agire. Ci ricordano di amare, perché amare è il sentimento più appagante che ci sia, Ci ricordano che l'amore deve governare il nostro mondo.
L'amore della famiglia, degli amici, ci dice ogni istante che la violenza può piegare un albero, ma l'amore lo tiene in vita, perché può dare un valore a ogni giorno e nessuna vita è inutile.
Molti umani ricordano nel loro agire l'angelo bellissimo che ha voluto sfidare Dio e che è venuto ad abitare la terra portando il male in questo giardino dell'Eden. Sì, era un angelo anche lui e ora è portatore di morte, di terrore, si è moltiplicato, rendendo gli umani, disumani.
L'amore è più forte, più potente, fa muovere le sue schiere. Tanti angeli terrestri non ci lasciano soli e nella paura. Penso agli operatori sanitari, ai volontari, ai giudici, alle persone che si sono mobilitate, per difendere la causa e la vita di tante donne. Quelle donne, sentendo la voce degli angeli terrestri, si sentiranno meno indifese, molte avranno la forza di uscire dall'incubo prima che sia troppo tardi, troveranno la forza di chiedere aiuto e di non giustificare più i loro carnefici. Ci sono tanti angeli terrestri che faranno barriera intorno a loro per scacciare il malvagio umano, divenuto disumano, contaminato dall'angelo del male.

Ci sono tanti angeli terrestri che faranno barriera intorno a loro per scacciare il malvagio umano, divenuto disumano, contaminato dall'angelo del male.
Loro sono la nostra luce che brilla sempre più fulgida, guida il nostro cammino, i nostri pensieri, le parole, le azioni, perché siano solo nel bene, solo nell'amore.
Perché l'amore, farà rialzare il capo alle donne piegate dalla violenza, e a tutti quelli che non hanno più speranza, non hanno più la forza di guardare la luce del sole, ma camminano a testa bassa e con le spalle ricurve verso il terreno vedendo solo buio davanti a sé.

Khalil Gibran
“ Segui l'amore.”






L'amore non dà nulla fuorché se stesso
e non coglie nulla se non da se stesso.
L'amore non possiede,
né vorrebbe essere posseduto
poiché l'amore basta all'amore.



La storia di Anita






A tutte le donne picchiate da compagni, mariti, amanti, padri e fratelli, racconto la storia di mia zia Anita, la sorella di mia nonna paterna Antonia. Lei è l'esempio di una donna forte e sola che ha saputo risolvere il suo problema di violenza coniugale con corag- gio senza chiedere aiuto a nessuno, ma facendo appello alla sua forza interiore e al suo coraggio.
Anita era la terza di sette figli, tra maschi e femmine, suo padre, rimasto vedovo molto giovane con tre figli piccoli si era presto ri- sposato e dal nuovo matrimonio erano nati altri quattro bambini. Il mio bisnonno aveva un laboratorio di tappezzeria, costruiva divani e poltrone, era il suo lavoro principale. Era anche proprie- tario di un bar tabacchi trattoria al centro del paese, Soresina, in provincia di Cremona. Di quest'attività si era occupata sempre la moglie e quando erano cresciute, anche le figlie femmine. Solo i maschi avevano studiato, tutti, tranne uno che aveva ereditato la professione del padre. Allora, stiamo parlando dei primi anni del 900, in provincia le cose andavano così, a farne le spese mia non- na Antonia, bambina intelligente e curiosa che amava conoscere e sapere, non aveva continuato gli studi, ma leggeva di nascosto il giornale che il parroco le portava tutti i giorni. Le figlie in età da marito si erano tutte sposate, erano rimaste in casa Antonia e Anita.
Gli anni passavano, ma nessuno le chiedeva in moglie, un giorno entrò nel bar un uomo distinto ed elegante. Le due donne rimasero colpite dal suo fascino ed entrambe cominciarono a so- gnare per lui. Si chiamava Luigi e sarebbe diventato mio nonno.

Tra le due sorelle scelse Antonia, si sposarono e la famiglia si trasferì in un paese vicino dove avviarono un'attività commerciale di ristorazione. Anita rimase sola e quando si rese conto che ormai tutti la consideravano la zitella di famiglia, si decise ad accettare la corte di un uomo che non le piaceva molto, ma aveva un buon lavoro a Milano, era ferroviere ed era proprietario di un appartamento. Si sposarono, Anita si trasferì a Milano e dopo qualche anno d'insoddisfazioni e tristezza, capì che quell'uomo era una brava persona, come si usava dire allora “ un gran lavoratore”, ma non si sarebbero mai amati. I figli tanto desiderati non arrivarono e lei si sentì sola e infelice.
Il marito, uomo tranquillo tutta la settimana, il sabato sera si trasformava in un violento. Ogni sabato dopo la cena scendeva al circolo dei ferrovieri a giocare a carte e in compagnia degli amici si ubriacava. Al ritorno a casa, scaricava la sua sbornia contro la moglie, regolarmente, ogni sabato, senza motivo. Lei terrorizzata cercava ogni possibilità per evitare d'essere aggredita, ma nessuno stratagemma era servito. Allora una sera, decisa a tutto pur di difendersi dalla violenza settimanale, aspettò che il marito rientrasse. Anita era piccola di statura e mingherlina di costituzione, Pino era quello che si dice un omone, alto e robusto. La zia prese una sedia e una padella di rame, salì sulla sedia con la padella nelle mani, attese che il marito rientrasse. Quando sentì la chiave girare nella ser- ratura si preparò, con le braccia alzate, come l'uomo fu alla sua portata, colpì con tutta la sua forza, il marito al capo. Pino colto di sorpresa, per la gran botta stramazzò al suolo lamentandosi per il dolore. Anita scesa dalla sedia, mise a posto la padella e lascian- do l'uomo sbigottito e dolorante andò in camera chiudendosi a chiave. Attese spaventata la reazione, ma non accadde nulla, si addormentò serena per la prima volta dopo tanti anni. La matti- na successiva, si alzò, aprì la porta della camera, andò in cucina a preparare la colazione come faceva tutti i giorni.

Pino era sdraiato sul divano, quando la vide, non disse nulla, si toccò il capo con la mano sbuffando, si sedette a tavola in attesa della colazione. Fra i due nessuna parola, nulla che potesse chia- rire l'accaduto della sera precedente. La loro vita matrimoniale continuò ancora per molti anni, ma Pino non picchiò mai più Anita.
Quando Pino morì, Anita era malata di polmonite, mio padre si occupò di tutte le pratiche del funerale e decise di portare la zia a casa nostra finché non fosse guarita. La mattina del funerale, io avevo circa quattordici anni, eravamo con lei nella casa che l'ave- va vista sposa infelice per tanti anni, io le stavo vicina tenendole la mano, eravamo sedute in soggiorno, nella stanza accanto, il corpo del marito era nella cassa che stava per essere chiusa. Un impiega- to dell'impresa funebre venne accanto a lei e chiese se prima di chiudere la cassa volesse salutare il marito per l'ultima volta.
Lei si mosse appena dicendo che non le interessava vederlo per l'ultima volta, l'aveva già visto abbastanza. Si chiuse la cassa e così zia Anita terminò la sua vita di moglie infelice.
Naturalmente io rimasi molto colpita sentendo quella risposta fredda e quasi cinica. Vivevo ogni giorno l'amore manifesto dei miei genitori e per me era incomprensibile un tale comportamen- to.
Nei giorni successivi, la zia cominciava a stare meglio, le chiesi più volte di raccontarmi la sua vita e lei molto infastidita mi rac- contò solo questo episodio, quello della padella e della fine del suo incubo. A quel punto capii che il suo matrimonio era stato molto diverso da quello dei miei genitori.
La sua vita nella nostra famiglia dove l'amore regnava sovrano, fu felice da quel giorno in poi. Non aveva avuto figli e quindi neppure nipoti, ma alla fine della sua vita il bene che aveva fatto a mio padre, orfano di mamma accogliendolo nella sua casa, fa- cendo le veci della sorella che era mancata troppo presto, le è stato restituito. Ora aveva un figlio e dei nipoti, proprio come aveva
sempre desiderato.
Guarita dalla sua malattia polmonare, tornò a casa, aveva settant'anni, poté fare tutto ciò che sempre aveva desiderato: viaggiare, avere bellissime vacanze, vivere la vita senza dover aspettare il permesso di un marito duro e intransigente. Conobbe delle amiche con le quali viaggiava, si divertiva e ave- va la nostra famiglia alla quale tornava sapendo di poter ricevere protezione e aiuto. Quando si ammalava o si sentiva sola, veniva a casa, noi eravamo felici di accoglierla come se fosse la nonna che non avevamo conosciuto. La coccolavamo e ascoltavamo i racconti della sua giovinezza, ci parlava della nostra nonna che era morta prematuramente ed era, a detta della zia una donna straordinaria.
Tre anni dopo la morte del marito, la sua mente cominciò a rallentare, perse la lucidità e la possibilità di vivere sola nella sua casa. La nostra casa la accolse ancora una volta. Era tornata una bambina e cominciò proprio come i bambini a vivere in un mondo tutto suo. Stavamo con lei a turno, tutto il giorno, non la lasciavamo mai.
Quando se ne andò, lasciando il corpo alla terra per tornare al Padre fu un giorno molto triste per tutti noi, avevamo perso la nonna.
Nel tempo divenendo adulta e con l'esperienza della vita con- quistata capii il perché del suo comportamento quella notte che aveva fermato la violenza del marito con una padella. Imparai che non si deve mai accettare la violenza e non si deve giustificare in nessun modo, soprattutto in nome dell'amore. Chi colpisce una donna non deve mai essere giustificato, ha certamente un problema ed è suo dovere cercare di capire e farsi curare. Ovvia- mente, questo, vale anche per le donne violente, ma questi casi sono più rari.

Patrizia Bettinelli

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