Anno Domini 1181 - Crociata contro i catari (albigesi) - Filippo II Augusto assume il titolo di “re di Francia” invece di “re dei Francesi” - Nasce San Francesco - Muore San Galgano
La saliva scivolava dall'angolo della bocca, lentamente, ma formava un rivoletto continuo tra i peli ispidi. Dal mento le gocce si lanciavano nel vuoto e diventavano piccole macchie scure sull'ocra della terra indurita dal gelo. In ginocchio, piegato in avanti, con i piedi così aderenti al suolo da esserne quasi un tutt'uno, fissava i circoletti perdere i contorni. Fugace un pensiero gli attraversò la mente, così era stata la sua vita: un insignificante segno destinato a svanire. Gli occhi gli si riempirono di lacrime, avrebbe voluto guardare un'ultima volta la piccola croce. Provò a sollevare la testa, ma non ci riuscì. Il corpo magro, rinsecchito, ormai privo di forze, ondeggiava al vento gelido che spazzava a tratti la collina. I radi alberi spogli vi si abbandonavano senza resistere, piegandosi docili e flessuosi. Solo la quercia si ergeva indomita e spavalda, orgogliosa della sua vecchiaia. Aveva abbandonato frutti e foglie al loro destino e ora sfidava la tramontana, concedendo alla sua furia solo il piacere di qualche rametto spezzato. Avrebbe dato altri frutti. Non così lui, stava morendo. Solo. Il suo spirito si stava staccando dal fragile involucro che per anni lo aveva ospitato e lentamente i fili si spezzavano. Tac... tac... radi, come i battiti del suo cuore stanco. Avrebbe voluto il dolore. Pensò di chiudere i pugni e conficcarsi le unghie sul palmo della mano, o mordersi le labbra fino a sentire il dolce sapore del sangue. La sofferenza! Soffrire. Offrirsi! Il dolore era stato il suo ultimo compagno. L'amico inseparabile di giorni e notti insonni. Era stato il suo tesoro, la sua ricchezza. Ne aveva le mani colme. “Soffro, – aveva gridato tante volte alle stelle – come ha sofferto Cristo sulla croce. Soffro per te. Ecco, guardami.” La sofferenza era il suo riscatto e la sua gioia. Era il denaro sonante con il quale sperava di pagarsi la salvezza dell'anima. Adesso che il suo corpo non gli ubbidiva più e sembrava non appartenergli sentì l'angoscia, come cupo mantello, avvolgerlo. Era stato un ribelle, un diverso fin dalla nascita. Aveva seguito la luce, ma la luce lo aveva abbagliato ed era diventata buio. Aveva fallito, non aveva terminato il suo compito e moriva, solo. Provò un'angoscia terribile. Piano, quasi senza emettere suono, implorò pietà. Improvvisamente, accanto a lui, davanti ai suoi occhi offuscati, si erse l'alta e luminosa figura dell'angelo. Più che vederlo ne riconobbe la presenza. Il vento aveva cessato la sua danza e l'aria si era riempita di un tenue profumo come di viole. Un brivido gli percorse la schiena e sembrò restituirgli le forze. Alzò la testa e giunse le mani in silenziosa preghiera: Perdono! Ma i contorni luminescenti si dilatarono e fu l'angelo a parlare: “Guarda – gli disse – e comprendi il disegno di Dio e la Sua misericordia.” Galgano sentì l'angoscia sciogliersi e sparire dentro di lui. Come nel sogno di tanti anni prima l'angelo lo prese per mano, gli mostrò il tempo passato. Immagini note, l'allegro garrire di rondini in cerchi giocosi, l'ardito volo del falco, le meraviglie del mondo, lo scorrere tumultuoso dei giorni. Quello che era tornò ad essere davanti ai suoi occhi socchiusi e stupiti. Rivide la sua vita, ma la luce della grazia gliene dischiuse il senso profondo. Il suo spirito vibrò all'unisono con altri spiriti, divenne una nota fra le tante e si perse nell'armonia del cosmo. Guardò e comprese da quale Amore era stato amato.
Anno Domini 1148 - Seconda crociata - Il Concilio di Reims condanna Gilbert de la Porreè - Bernardo Silvestre scrive ‘La Cosmografia' - Muore Amedeo III di Savoia e gli succede il figlio Umberto III - Fondazione di Lubecca - nel territorio feudale del vescovo di Volterra, in un borgo sulle amene colline toscane: Chiusdino...
La fantesca le aveva pettinato a lungo i capelli prima di intrecciarli e di legarli sulla sommità della testa con piccoli nastri bianchi. Per quanto lisciati con olio d'oliva qualche ricciolo ribelle sfuggiva sempre dal soggolo e le dava una cert'aria sbarazzina un po' infantile che stonava con il grosso ventre di donna gravida. Soffriva, era palese. Respirava affannosamente e aveva gocce di sudore come piccole perle sulla fronte. La fantesca andava avanti e indietro senza rumore, ansiosa, aspettava l'arrivo della comare. Ogni tanto gettava sguardi preoccupati alle gambe della sua padrona. Erano gonfie, con rade chiazze bluastre e le piccole cicatrici lasciate dalle sanguisughe. Più volte nei giorni precedenti, avevano applicato le bestiole perché succhiassero gli umori neri, malefici, dal corpo della giovane e le dessero un po' di sollievo, ma non era servito. Erano serviti a poco anche gli impiastri di aloe preziosa che le avevano messo sui lombi e le tisane di melissa e finocchio. Sembrava non voler nascere, quel figlio tanto atteso e desiderato. Per averlo avevano fatto voto a San Michele di regalargli un mantello ricamato con oro e argento. La giovane signora era abilissima nell'arte dell'ago e aveva contribuito essa stessa al lavoro delle monache. La grazia era giunta ad un anno esatto da quando il santo aveva ricevuto il dono e la statua di legno dipinto ne era stata rivestita. Forse avrebbero dovuto promettergli anche un fodero nuovo per la spada perché portasse a termine l'opera iniziata. Così pensava la fantesca, dubbiosa sulla sorte della sua padrona, mentre le spalmava un unguento sul petto. Lei si lamentava a bassa voce, timidamente, quasi scusandosi di non riuscire a sopportare il dolore in silenzio come si conveniva alla moglie del nobile Guidotti. Come Dio volle arrivarono la comare e le altre donne. Portavano i panni puliti, il coltello per il taglio del cordone, il secchio con l'acqua e la cassetta dove avrebbero messo i rifiuti del parto (o il piccino se fosse morto), avrebbero seppellito tutto accanto al muro del cimitero: terra alla terra, come era giusto, ma non in terra consacrata, senza l'acqua del battesimo era nel peccato. Non era una nascita facile. La comare che aveva alzato la gonna ed esplorava con le mani esperte oltre i lembi di carne rossa, per cercare la testa del bambino, si era drizzata pallida e aveva gridato: “Vergine benedetta! È in piedi! Vuole nascere in piedi questo cucciolo.” Era una sentenza di morte quasi sicura e le donne si guardarono attonite. La cassetta non sarebbe servita, la madre avrebbe fatto da bara per il figlio in attesa della resurrezione. Il sole stava finendo la sua corsa intorno alla terra e ora mostrava il bel faccione sanguigno nell'ultimo allegro saluto, fra poco avrebbe lasciato il posto a monna luna. La fantesca chiuse la finestra, attraverso le sottili lastre di alabastro dal colore rosato, la luce lunare sarebbe stata più calda e le tenebre meno terribili. Chiudeva le ante della bifora e avrebbe voluto chiudere fuori la disgrazia o fermare il tempo, tanto era la pena che provava. Il respiro affannato della sua padrona la riscosse. Ricacciò in fretta le lacrime e si avvicinò al letto. La comare era assorta, incupita dalla consapevolezza della propria impotenza. Una delle donne piangeva silenziosamente in un angolo, l'altra, che piegava le fasce ormai inutili, disse a bassa voce: “Occorre avvisare il signore... e anche il buon padre confessore a San Michele. Che muoia da cristiana, povera padrona.” Certo, per quanto ingrati fossero quei compiti, andavano svolti e la fantesca stava, anche se a malincuore, per andarsene. Aveva acceso la candela di sego e l'odore, più che la luce flebile si spandeva nella camera. Poi si fermò perché la comare si avvicinò alla giovane, come a cercare, negli occhi di lei, la soluzione: “Signora, il bambino ha la testa in alto, dritta come quella di un gallo al mattino. Dobbiamo arrovesciarlo, altrimenti non potrà vedere il nuovo giorno... Gli facciamo fare una capriola. È difficile, ma forse c'è spazio e ci riesce.” “Sì” rispose lei senza capire, ma pronta a qualsiasi cosa. “Bene, – riprese la comare – proviamo e che San Michele ci aiuti.” Si rimboccò le maniche, poi sollevò l'ampia gonna. Passò le mani ruvide sul ventre e finalmente trovò la protuberanza che cercava. Cominciò a spingere con colpetti leggeri sotto gli occhi spaventati e stupiti delle altre. “Forza, una bella capriola, coraggio. Sei piccolo e ce la puoi fare. China la testa gallettino, nel mondo si entra in umiltà, a capo chino!” I colpi sempre più forti avevano riacceso il dolore, ma la signora non osava gridare e mugolava serrando denti e pugni. Rivoli di sudore le bagnavano la schiena e lunghi tremiti la scuotevano, aveva la febbre, eppure resisteva. Poi il bambino si mosse, aveva piegato le gambine e si vedeva la forma rotondeggiante delle ginocchia. Erano passate due ore. La luna era alta nel cielo e la candela era stata sostituita. “Ancora uno sforzo...” lo incitava la comare. China sul ventre parlava al bambino e alla madre con parole a tratti gentili, a tratti più dure. La fantesca massaggiava le gambe indolenzite ripetendo incessantemente: “San Michele aiutaci.” All'alba, annunciata dal canto del gallo, il bambino si rovesciò strappando alla madre urla di dolore. Anche se sfinita e allo stremo, la poveretta spinse a sufficienza e la testa uscì. Il mattino era splendido: Galgano Guidotti era nato.
Elide Ceragioli
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