Ossessione verde smeraldo
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Miranda Del Monte scese le scale che portavano alla metro con minor baldanza, ma più in fretta del solito. Era in ritardo. Assurdamente le parve che gli occupanti il vagone la guardassero con disapprovazione. Dirigeva un importante ufficio ed era pagata con soldi pubblici, avrebbe dovuto essere lei a dare il buon esempio. Solitamente lo faceva. Solitamente stava in piedi, reggendosi ad uno dei sostegni e tenendo stretta la borsa di pelle coi documenti, che ogni sera, immancabilmente, si portava a casa. Solitamente reputava corretto lasciare il posto a sedere alle persone anziane o malate. Solitamente iniziava ogni nuovo giorno con l'entusiasmo che la passione per il suo lavoro le trasmetteva. Solitamente... ma non quel mattino. Quel mattino avrebbe voluto sedersi, accavallare le gambe, guardare fuori dal finestrino, nel vuoto, fregandosene dei bisogni altrui. Vacillò, mentre il treno rallentava. Si era distratta e aveva rischiato di cadere. Con delicatezza, in un gesto, che sapeva di pietà e di coraggio insieme, si sfiorò la camicetta tesa dal seno sinistro. Era assolutamente impossibile, ma alla dottoressa Del Monte parve di percepire, sotto la seta morbida e costosa, un piccolo rigonfiamento, un nodulino insignificante, grande come un fagiolo. L'aveva scoperto qualche ora prima, complice l'acqua tiepida della doccia e il bagnoschiuma, che si era attardato sul profilo irregolare del seno. Miranda non era sicura che fosse così, anzi pensava di essersi sbagliata. “È una ghiandolina o, come si chiama, un linfonodo del cazzo che si è gonfiato. Magari è solo un foruncolo cresciuto verso l'interno e non verso l'esterno e io mi sto preoccupando per nulla.” Sospirò, guardandosi intorno si accorse che era l'ora di scendere. Traballando instabile, a rischio di cadere, si affrettò verso le porte mentre già entravano nella stazione. Per la prima volta nella vita desiderò essere un'altra persona, una persona libera di dedicare energia e cure a se stessa. “Se non dovessi partecipare a quella maledetta riunione internazionale, andrei immediatamente dal medico e mi toglierei questo terribile dubbio. L'ansia mi impedisce di pensare con chiarezza.” Salì le scale circondata da sconosciuti, pendolari come lei, e si fermò per riprendere fiato davanti ad un chiostro. Solitamente avrebbe evitato di farlo, soprattutto essendo in ritardo, ma quel giorno tutto andava diversamente dal solito. Ordinò un caffè e, mentre aspettava che il cameriere la servisse, cercò il borsellino. Frugò, inizialmente senza neppure guardare nella borsetta che portava a tracolla, ma poi cominciò ad innervosirsi. Le sue dita incontravano solo la pelle morbida e le cuciture della borsa vuota, allora arrossendo per l'imbarazzo disse al barista: “Lasci stare il caffè... mi hanno derubato... non ho soldi.” Non si fermò ad ascoltare la risposta dell'uomo. Era qualcosa tipo - e mo' lo bevo io? - detto con astio; lo sfogo di chi lavora per pochi spiccioli di guadagno e soffre se ne perde qualcuno, ma Miranda lo registrò con indifferenza. Uscì all'aria aperta, spinta dalla fiumana di corpi che la metro vomitava in continuazione. Respirò profondamente, tentando di controllare il tremito delle mani e più ancora quello interno, intimo, che però aveva origini diverse e non c'entrava nulla col furto subito. Nel borsellino teneva pochi euro, ma le sarebbero serviti per pagare quel maledetto caffè del quale ora sentiva un immenso bisogno. La caffeina l'avrebbe scossa, avrebbe accelerato il flusso del suo sangue e ridato lucidità ed energia al suo pensiero. Maledetta riunione! Rassegnata, ma con le labbra strette per contenere la rabbia impotente, si avviò in direzione del moderno palazzo che da quattro anni era il suo ufficio. Il lavoro era la catena dorata che la legava alla vita e le aveva impedito di lasciarsi andare alla deriva dopo il fallimento del suo matrimonio, che per lei era stato un trauma terribile. Il cellulare, che le era rimasto in mano dopo l'esplorazione frenetica e infruttuosa della borsetta, lanciò il garrulo richiamo che aveva come suoneria. “Dottoressa, sono Franchi. Mi scusi se la disturbo, ma la stiamo aspettando...” Gabriella era l'ispettrice che le avevano affiancato da qualche mese e per la quale aveva provato un'istintiva simpatia, pur modulata dalla rigidità del suo carattere. Miranda Rossi Del Monte aveva subito il tradimento e l'abbandono da parte di suo marito e aveva deciso, in modo razionale e lucido, di chiudersi in un'algida e inespugnabile fortezza, evitando di stabilire coi colleghi rapporti che non fossero esclusivamente di lavoro. “Purtroppo Franchi, ho avuto un inconveniente. Una banalità, ma mi ha fatto ritardare” rispose con voce piana, controllata, dalla quale non traspariva alcuna emozione. L'ispettrice accolse le sue parole come una richiesta di scusarla e disse accomodante: “Non si preoccupi, immaginavo che avesse avuto un imprevisto. Ho offerto un caffè e, se tarda, distribuisco il materiale.” Miranda approvò l'efficienza della collega: del resto non si aspettava nulla di meno. Solitamente la considerava un dovere, ma in quella mattinata primaverile, l'insolito pareva avere la meglio e così disse, con tono gentile e familiare: “Grazie, Gabriella, arriverò fra una decina di minuti.” Aveva bisogno di tempo per sé ed era decisa a prenderselo. Chiuse la comunicazione, consultò l'orologio, cercò nella rubrica il numero del ginecologo e chiamò. Le rispose la voce impersonale della segretaria: “Mi spiace, ma oggi non abbiamo disponibilità...” “Come? È molto importante e urgente!” deglutì con rabbia prima di continuare: “Ho scoperto di avere un nodulo al seno sinistro. Devo vedere il dottore assolutamente!” La segretaria era evidentemente abituata a filtrare le richieste di visita, ma comprese quanto forte era l'ansia della cliente e si corresse. “Un attimo che controllo meglio... attenda!”, un breve silenzio e poi continuò: “Può venire alle 16:30. L'aspettiamo.” Miranda ringraziò, solo parzialmente soddisfatta della risposta. Consultò l'orologio e strinse le labbra perplessa. Una parte di lei anelava al momento in cui avrebbe fatto la visita e contemporaneamente un'altra parte lo rifuggiva. Temeva che portasse con sé il magma rovente e ineluttabile del dolore. Incupita e assorta nelle sue riflessioni, si avviò verso lo stabile, entrò e rispose con un cenno della testa al saluto dell'agente che controllava gli ingressi dalla guardiola. Era troppo concentrata su se stessa per perder tempo con chi le stava intorno. “Forse dovrei fare la denuncia del furto...” pensò fuggevolmente, “non tanto per i soldi, quanto per senso di giustizia.” La rabbia, improvvisa, esagerata, le era montata dentro come latte nel bollitore, schiumoso e pronto a esondare. Il destino era ingiusto con lei, che ne era vittima innocente! La sua era una vita da schifo! Aveva lavorato come una pazza per costruirsela ed era finita in niente. Prima il tradimento, lo svanire delle sue certezze, la fine dell'amore e la separazione. Le era rimasta solo la routine monotona e demotivante del lavoro che, assurdamente, molti le invidiavano, poi il nodulo canceroso ad aprirle una prospettiva di sofferenza e addirittura di morte. Maledisse i ladruncoli che infestano la metro con la stessa invadenza di uno sciame di insetti e che l'avevano privata del piccolo ma, in quel momento, assolutamente necessario, piacere di bersi un caffè! Dovevano essere puniti in modo esemplare! Peccato che fermarli era praticamente impossibile! Erano come le cellule tumorali, libere di girare nel suo corpo e di rubarle la vita. Rabbrividì spaventata dal decorso doloroso che aveva preso il suo pensiero e si sforzò di concentrarsi sulla riunione che l'aspettava. Di solito saliva a piedi le due rampe di scale fino alla sala di rappresentanza, ma quel giorno non se la sentiva. Era senza energia, ogni briciolo di forza era sparito, inghiottito dal minuscolo e malefico nodulo. Entrò nell'ascensore muovendosi il meno possibile e più lentamente che poteva. Le era venuta l'idea assurda che, se correva, le cellule del tumore (ora era assolutamente certa che fosse un carcinoma maligno) crescessero rapidamente e con una velocità maggiore. Passò la punta delle dita sulla stoffa e toccò con cautela il seno, cercando il rigonfiamento. Strinse le labbra mentre considerava che era comparso e cresciuto nell'arco temporale di poche ore. “È spuntato oggi ed è già come un fagiolo. A questa velocità domani sarà come una noce con tutto il guscio. Me lo devono togliere subito.” Ritrasse la mano mentre visualizzava, con la mente, l'escrescenza che aumentava a dismisura e inghiottiva il resto del suo corpo. Respirò profondamente, tentando di tornare fredda e razionale, consapevole che le sue erano solo fantasie dettate dalla paura. La viscida, vischiosa paura di morire l'aveva resa irrazionale! Era probabile che il nodulo avesse impiegato mesi, senza che vi badasse, prima di diventare com'era. Scosse la testa e irrigidì le spalle guardando dritto davanti a sé. Si disse che era una poliziotta e avrebbe affrontato la situazione con coraggio. L'ascensore si fermò al piano desiderato, sibilando lievemente, e Miranda uscì. Aveva riacquistato l'aspetto sicuro e professionale che le era consueto e chi la incontrava non avrebbe potuto certo immaginare cosa le passava nella mente. Gli importanti ospiti, che partecipavano al - vertice - , erano già seduti attorno al tavolo di cristallo verde cupo. Aveva letto le loro schede e le pareva di conoscerli, infatti li individuò subito con facilità. La piccola, apparentemente fragile funzionaria cinese, il poliziotto colombiano, il distinto ed elegante inglese e il corpulento russo. Quest'ultimo stava dicendo, in un italiano stentato, con parole pronunciate in tono duro, che contrastava con il suo atteggiamento giovale: “Italia grande bellezza! Mio nonno italiano, suo sangue in mio corpo.” Si era battuto la mano a piatto sul petto e il gesto, che voleva essere esplicativo, dimostrava il suo orgoglio. Miranda entrò sorridendo per la manifestazione un po' puerile del collega e tutti rispettosamente si alzarono. Erano addestrati militarmente, abituati all'odore della morte, ma conservavano una certa desueta cavalleria nei confronti del sesso femminile. Gabriella la presentò immediatamente e lei sollecitò che continuassero, chiedendo in inglese, incredula per quell'affermazione che non si aspettava: “Mi fa piacere... era emigrato?” Igor Blaioski scosse la grossa testa con energia. “Noooo. Mio nonno era un alpino.” L'ispettrice Franchi assentì: “Ho sentito parlare di alcuni nostri alpini che sono stati nascosti e salvati da famiglie di contadini e che alla fine della guerra non sono mai rientrati in Italia. Di qualcuno si diceva fosse morto nei gulag, di altri che si erano sposati e si erano rifatti una vita. In realtà non ci avevo mai creduto.” Del resto stentava a trovare verosimile che nell'omone rubizzo, dai lineamenti grossolani che parevano scolpiti nel legno, scorresse veramente sangue italiano, ma era così forte l'enfasi con la quale il russo affermava la sua origine, che gli sorrise comprensiva e compiacente. Lui aggrottò la fronte, impermalosito dall'atteggiamento dubitativo dell'ispettrice e continuò a spiegare: “Mio nonno diceva - se mi torno a casa, me copano - ”, poi riprese in inglese: “Ho la sua piastrina, ma aveva cancellato il nome e non ho mai saputo come si chiamava.” Si aprì la camicia e mostrò, a riprova, la piccola e consunta piastra di metallo tenendola stretta fra il pollice e l'indice. Faceva una certa impressione vederlo, così grande e grosso, apparentemente duro e insensibile, eppure con un'espressione malinconica sul viso e tutti annuirono. Anche Gabriella ammise: “Già, pare che alcuni soldati fossero contrari al fascismo e non sono tornati, temendo di essere fucilati. In qualche dialetto del nord si dice appunto ‘copare'.” Igor, contento e appagato, stava per ribattere e forse continuare nelle sue rievocazioni familiari, quando la dottoressa Del Monte intervenne domandando se avevano già iniziato i lavori. Gabriella Franchi scosse la testa e le porse una tazzina fumante dicendole: “Stavamo prendendo un caffè. I colleghi concordano che in nessuna parte del mondo, salvo da noi, è possibile gustare questa bevanda preparata bene.” “Grazie, mi sembra un buon modo per familiarizzare e avere l'energia per affrontare i numerosi impegni”, rispose Miranda sorseggiando lentamente il caffè bollente per non scottarsi. Ne aveva bisogno: era stata il suo prepotente desiderio dell'ultima mezz'ora e fu grata a Gabriella di averci pensato. La guardò con simpatia e l'ispettrice ricambiò lo sguardo con un gesto d'intesa. Gli altri partecipanti alla riunione avevano assistito alla conversazione senza intervenire. Igor Blaioski però, esaurita la reminiscenza familiare e stabilite con fermezza le sue radici, si sedette, sbatté con forza un fascicolo sul ripiano del tavolo ed esordì crudamente: “Sono arrivato da Mosca per qualcosa di più di una tazza di caffè! Vi siete lasciati scappare il nostro uomo!” Aveva parlato sgarbatamente, in tono accusatorio e a voce più alta di quello che era necessario. I colleghi tacquero, aspettando che fosse la dottoressa Del Monte a rispondere, ma la donna rimase in silenzio e fu l'ispettrice Franchi ad intervenire immediatamente. Accese il monitor e diresse la loro attenzione verso le immagini che stavano comparendo. “Se mi permettete vi mostro le riprese dell'aeroporto” disse. “L'uomo che cercate, Vassili Karpof, è ben visibile in più fotogrammi. Guardate: qui si vede quando passa il controllo e qui quando sale sull'aereo diretto a Londra. Purtroppo la segnalazione della polizia russa ci è arrivata in ritardo e dubito comunque che avremmo potuto arrestarlo senza un motivo plausibile.” Il tono della sua voce era deciso, ma tranquillo, come chi sa di affermare una semplice, assoluta verità e non teme di essere smentito. Mattew Niver, che aveva aggrottato le sopracciglia, scosse con vigore una mano. “Dottoressa, come ho già detto, il signor Karpof non è mai sceso da quell'aereo; a meno che non si sia lanciato fuori, precipitando nella Manica e oggi non costituisca cibo succulento per i pesci.” Il russo fremeva e si alzò in piedi per dare maggior forza a quanto avrebbe detto o forse per scaricare in parte la sua rabbia. Era un uomo sui cinquanta, completamente calvo, con le spalle larghe da lottatore, ma con il ventre prominente che gli impediva di abbottonare la giacca di buon taglio. “Vassili Karpof è un pesce piccolo, ma trovarlo ci avrebbe condotto al vero regista... come dite voi? Seguite il cane e vi porterà dal padrone. Farselo scappare è una perdita immensa e vorrei sapere a chi dare la colpa.” Si era espresso in un inglese sgrammaticato, a tratti difficile da comprendere, anche perché le parole gli uscivano rapide, una dopo l'altra, attaccate. Miranda si sedette e tentò di riportare la calma nel gruppo e di smorzare il conflitto rispondendo: “Quello che dice Igor è certamente vero. Le immagini che abbiamo recuperato mostrano il nostro amico che passa i controlli e sale sull'aereo... è possibile che a Londra lo aspettassero e ora sia nascosto in qualche posto, al sicuro.” Niver aveva l'aspetto di un pacato gentiluomo di campagna, assolutamente fuori luogo in un consesso di esperti poliziotti, molti dei quali erano stati a lungo operativi sul campo e ne portavano le tracce nel corpo atletico, forte e muscoloso e nei modi rudi. “Ribadisco che non può essere sfuggito ai nostri controlli. Nessuna telecamera lo ha inquadrato... mai. Vassili non è arrivato a Londra! Ci devono essere buchi nella vostra rete di sicurezza e il pesciolino se ne è fuggito prima di salire sull'aereo!” rispose con una smorfia maligna stampata sul bel volto, guadagnandosi così lo sguardo disapprovante della dottoressa Del Monte, che riprese la parola. “Riesamineremo con maggior attenzione le immagini e verificheremo se ciò è stato possibile, caro collega, ma se l'esperienza è madre di prudenza, vi consiglio di fare altrettanto. In fondo non è lontano il tempo in cui Mario Montesi, il noto pluriomicida, è arrivato all'aeroporto londinese e si è imbarcato per il Canada senza che nessun solerte poliziotto inglese lo fermasse. Ammettere i propri errori è sinonimo di saggezza e cercare di correggerli di intelligenza. Ovviamente lo dico prima di tutto per noi.” La dottoressa aveva assunto un tono condiscendente, ma nello stesso tempo inflessibile e stava passando chiaramente il messaggio che dovevano rimboccarsi le maniche con determinazione e un pizzico di umiltà. Igor le lanciò uno sguardo d'approvazione e intervenne: “Sono due anni che i nostri agenti cercano di arrestare Janus Polieski, il magnate. Ha affari in tutto il mondo e le sue attività sono come i tanti tentacoli dell'Idra, e altrettanto pericolosi. Ha sguinzagliato il suo factotum, perché cercasse altri sbocchi per i suoi investimenti. Se lo avessimo preso avremmo potuto incastrare il grande capo. Noi sappiamo come fare e quali mezzi usare.” C'era cattiveria nella sua espressione e Gabriella Franchi, che lo osservava con attenzione, ebbe l'impressione che pensasse con piacere alla tortura che avrebbe potuto infliggere. L'ispettrice intervenne con la consueta competenza: “Il nostro paese è pieno di possibilità per un uomo ricco come il signor Polieski. Purtroppo è abbastanza facile riciclare il denaro, ripulendolo e rimettendolo in circolazione come provenisse da fonti lecite. Abbiamo condotto un'indagine congiunta con la Guardia di Finanza e individuato alcuni acquisti ‘sospetti' da parte di società russe. È possibile che l'attuale proprietario di una tenuta toscana, attiva nella produzione del Chianti Classico sia il vostro Janus, ovviamente ben mascherato da prestanome compiacenti. Tutto però è assolutamente indimostrabile senza l'aiuto reciproco.” Aveva voluto precisarlo per non rischiare di costruire un inutile castello di carte da gioco, destinato a crollare al primo alito di vento. Solares, il giovane poliziotto colombiano, aveva ascoltato senza intervenire fino a quel momento. Padroneggiava la lingua inglese un po' meno rispetto agli altri e temeva di non aver compreso completamente quanto veniva detto. Aveva accettato l'incarico con l'idea di farsi un viaggio in Europa a spese del governo. Un viaggetto di tutto riposo, una sorta di vacanza estemporanea, un diversivo rispetto alle imprese alle quali si era abituato fin dal tempo della scuola di polizia e che l'avevano sfiancato. Aveva operato su affari di droga e guerre fra bande, dove i morti ammazzati non si contavano, venendo a contatto con abissi di miseria infinita e ricchezze impensabili. Il suo lavoro era stato un'altalena dalla quale aveva avuto, più volte, desiderio di scendere. Gli pareva che i suoi colleghi europei simulassero un coraggio che in realtà non avevano. Per quanto sanguinari e malvagi, nessun componente della mafia russa o siciliana, poteva competere col livello di crudeltà dei suoi connazionali. Il cartello colombiano sovrastava tutti e non aveva rivali, se non forse fra le nuove leve dei calabresi. Di quelli si diceva che erano determinati e duri, pronti ad uccidere persino i propri familiari o a morire, se veniva ordinato loro dal boss. Bisognava aver vissuto in una catapecchia di cartone e lamiera, arroventata dal sole o infradiciata dalla pioggia. Bisognava aver camminato a piedi nudi nel fango infestato di parassiti che entrano sotto la pelle e vi si moltiplicano e nonostante questo rinunciare ai facili guadagni che la corruzione comportava, rischiando la vita per continuare ad essere onesti, ora dopo ora, giorno dopo giorno, per potersi chiamare veri poliziotti. Solares sapeva, con assoluta certezza, che nessuno dei presenti alla riunione aveva idea di cosa significasse essere nato e cresciuto nel paese dei cartelli e portare dentro di sé le cicatrici profonde che provoca l'aver dovuto rinnegare le proprie radici, lottando contro la paura, la solitudine, l'angoscia e la minaccia costante della morte. Che ne sapevano di cosa significava nuotare costantemente contro corrente? Essere costretti talvolta ad ingoiare liquame putrido, tappandosi il naso per resistere al fetore del Male, o a veder morire i propri colleghi ammazzati senza poter far nulla, anzi ringraziando vigliaccamente Dio di non essere al loro posto! Aveva accettato di partecipare all'incontro con poco entusiasmo, convinto che non potesse incidere sui livelli di criminalità del suo paese, e se ne stava sempre più convincendo. Immerso nelle sue considerazioni, il colombiano si era distratto e aveva guardato fuori dalla grande finestra il cielo terso nel quale si stagliava, lontano, la sagoma di una maestosa cupola. Improvvisamente ricordò che aveva promesso a sua madre di andare a pregare sulla tomba di un papa, che i suoi genitori veneravano come un santo. Come cavolo si chiamava? Passò in rassegna i nomi italiani che conosceva, ma non riuscì ad individuare quello giusto. Scosse le spalle e il suo gesto fu male interpretato dai colleghi. La dottoressa Del Monte lo interrogò: “Signor Solares, i capi dei cartelli sono maestri nel riciclaggio delle immense fortune di denaro sporco, che guadagnano coi traffici di sostanze stupefacenti e voi colombiani avete una grande esperienza nell'individuarli e smascherarli ma ...” Mia Wang, l'ispettrice cinese che era rimasta un po' a lato del gruppo, seminascosta dal corpulento russo, intervenne prima che la collega finisse la frase. Aveva una voce piana, calma, come di chi è abituato a controllare le proprie emozioni. Il suo viso era una sorta di maschera inespressiva, per cui difficilmente le si poteva attribuire un'età definita. Gabriella considerò che, per essere arrivata ai vertici dell'agenzia investigativa cinese, dovesse avere qualità nettamente superiori a tutti loro. Il paese della grande muraglia non dava molto spazio alle donne che, più frequentemente, venivano considerate segretarie, gregarie o, peggio ancora, trastulli per il piacere degli uomini. “La rete è molto estesa, ma i comandanti dei narcos sono in lotta fra loro” disse Mia. “Noi stiamo cercando di contrastare i sostenitori di IWei Hseuh. Come sapete opera in quella porzione del Myanmar che conosciamo come il ‘Triangolo d'oro' per la produzione degli stupefacenti. IWei ha un esercito di trentamila persone ed è uno dei più potenti trafficanti del sud est asiatico.” Sospirò, come faticasse a trovare le parole adatte ad esprimere il suo pensiero. Igor si voltò verso di lei e le sibilò a denti stretti, in tono accusatorio: “Voi cinesi siete stati inattivi nel contrasto ai trafficanti per troppo tempo e avete, non potete negarlo, i laboratori più attrezzati al mondo per la sintesi delle nuove droghe!” L'ispettrice, incurante dell'interruzione, proseguì: “Le vie di distribuzione attraversano come una ragnatela fittissima tutti i paesi e onestamente devo ammettere che molti uomini corrotti, sia fra i politici che fra i funzionari della polizia, in cambio di denaro, lasciano transitare i carichi.” Socchiuse gli occhi, ripescando nella memoria eventi a cui riferirsi e disse: “Noi cinesi non siamo immuni dalla bramosia della ricchezza ed è vero che i nostri chimici sintetizzano continuamente nuove sostanze, ma le prime vittime purtroppo sono i nostri giovani.” Chinò la testa leggermente, come se ella stessa non fosse esente da colpe, e chiedesse perdono per queste, poi fissò ognuno dei presenti con sguardo fermo e proseguì scandendo le parole: “La dottoressa Franchi ci ha fornito un prospetto delle principali strade seguite per trasportare la droga dai paesi produttori ai luoghi di smercio...” Indifferente al fastidio che stava provocando nei presenti, Igor intervenne ancora, mostrando la sua palese insofferenza nei confronti della piccola ed efficiente collega cinese: “La Via della Seta è praticamente incustodita. Più sguarnita di sorveglianza di un parco giochi per bambini e le quantità che arrivano sui mercati europei sono enormi. Presto, esaurito il mercato interno, butterete in Europa valanghe di prodotti a basso prezzo e con alta tossicità che produrranno conseguenze terribili! Con le nostre sole forze non possiamo pensare di bloccare i trafficanti. Troppo comodo il vostro disinteresse!” Evocava chiaramente, nella mente di tutti, l'immagine di un colabrodo, che spandeva sulla Cina il suo contenuto, facendo arricchire chi vi si trovava sotto. Mia stava per rispondere, ma stavolta fu Miranda Del Monte, che coordinava il gruppo, a fare con la mano un gesto, che voleva essere, se non di pacificazione, almeno di mediazione. Sorridendo si rivolse a Gabriella Franchi e la rimproverò: “Dottoressa, temo che abbia messo troppa caffeina nelle tazzine...”, poi seria ed impositiva guardò i colleghi e continuò: “Farci la guerra fra noi e rinfacciarci le reciproche inadempienze serve a rendere più forti i nostri avversari. L'allerta in questo momento non è sulle droghe di sintesi, ma su prodotti più classici. Come sapete tutti, e vedete scritto a chiare lettere sui documenti che abbiamo fornito per promemoria, i principali produttori di coca si servono di tre strade principali. Purtroppo l'esperienza ci insegna che nessuna barriera, da sola, è sufficiente a fermare i trafficanti. L'Iran ha costruito un muro lungo oltre mille chilometri, sul confine con Pakistan e Afghanistan. Oltre al muro di cemento con fortini, dispositivi di difesa anticarro, canali e filo spinato, ci sono oltre ventimila soldati a vigilare. In quel paese gli spacciatori e i consumatori vengono puniti con la pena di morte, eppure la droga vi arriva a valanghe ed è consumata. Il timore della punizione e i muri non bastano! Questo ci deve far riflettere, spingere a coordinarci ed a trovare strategie nuove per avere la possibilità di tagliare almeno i tentacoli di questo mostro, se non la testa.” Solares, che appariva finalmente coinvolto dalla discussione, intervenne: “Purtroppo, dottoressa, non sarà sufficiente eliminare uno dei capi per sgominare la rete.” Gabriella Franchi accondiscese: “Certo, per ognuno che arrestiamo ce ne sono cento pronti a prendere il suo posto, ma questo non ci esime dall'impegno...” Miranda Del Monte stizzita, posò sul tavolo il fascicolo che conteneva i dati: “Non possiamo star qui a fare demagogia e discorsi, alla fin fine inutili, come se ci trovassimo in un bar per l'aperitivo, siamo pagati per fare altro...” “Il tempo è prezioso!” avrebbe voluto aggiungere, convinta che quello a sua disposizione fosse limitato e per giunta pochissimo. “Un tumore che ti cresce dentro ti mette fretta, ma ti rende anche un po' più coraggiosa” disse a se stessa, poi continuò a voce alta: “Rintracciare il nostro uomo, magari arrestarlo, sarebbe di grande importanza. Farebbe capire al magnate Janus Polieski che non è invincibile. Anche il male più grande può essere sconfitto!” affermò con decisione, pensando non solo alla rete di trafficanti, ma anche a se stessa e mandando un messaggio di ottimistica speranza al suo corpo. Mia piegò leggermente la testa in avanti in segno di approvazione e strinse le labbra, ma non disse nulla e fu Solares ad ammettere a voce alta, che l'ispettrice aveva ragione. “Dottoressa, tutti siamo consapevoli della necessità di un grandissimo e reciproco impegno, oltre che di coesione collaborativa, senza la quale non possiamo che collezionare fallimenti. Gli interessi economici sono talmente grandi che rinunciarvi, per molti cittadini inizialmente onesti, è quasi impossibile. Detto questo, credo sia necessario che porti ufficialmente i complimenti e i ringraziamenti del mio paese alle vostre forze dell'ordine, che ci hanno permesso di arrestare uno dei nostri più agguerriti, anche se giovane, trafficanti. Aveva iniziato la sua escalation fin da bambino ed a soli 26 anni era già un elemento di spicco della malavita, con al suo attivo una decina di omicidi e oltre un centinaio di affiliati alla ‘banda' che aveva creato. Il suo arresto a Milano, dove viveva con la sua compagna, e la sua estradizione segnano un punto a nostro favore...” Era palesemente soddisfatto e aggiunse: “Siamo nel posto giusto per fare un salto in avanti nella lotta alla criminalità organizzata, ma, come dice sempre mia madre, per sconfiggerla del tutto servirebbe l'intervento di Dio in prima persona!” Nessuno si aspettava quest'uscita, che non sapevano se ironica o seria, e si guardarono perplessi senza ribattere nulla per qualche secondo. Fu l'ispettore inglese a riprendere in modo pragmatico la discussione. “Il ricercato non è arrivato a Londra! Però devo ammettere che le immagini deporrebbero per un suo imbarco sull'aereo a Roma. Solleciterò un nuovo controllo sul video e sul personale di bordo. Ovviamente potrebbe aver avuto l'aiuto di qualche complice corrotto, che lo ha nascosto e fatto scendere successivamente, così da potersi defilare.” Igor strinse i pugni con tanta forza, che i muscoli delle braccia tesero la stoffa della camicia fin quasi a romperla, poi proruppe in una sorta di sfogo: “È quello che sostengo da un'ora, ma scuotere la flemma inglese è più difficile che acchiappare un latitante!” Era arrabbiato e avrebbe volentieri aggiunto che tutti gli anglosassoni lo irritavano con il loro comportamento. L'assenza dei rappresentanti canadesi e americani a quella riunione internazionale era per lui una grande dimostrazione di indifferenza al problema e di scarsa volontà collaborativa, ma intercettò lo sguardo severo dell'ispettrice cinese che chiedeva la parola e non replicò. Mia Wang aprì una cartellina azzurra e ne estrasse alcuni fogli, poi li distribuì ai colleghi e li sollecitò ad esaminarli. “Quello che ci ha detto Solares è probabilmente più sensato di quanto vogliamo ammettere”, disse con tono pacato e scevro di emozioni. “Questa gente ha giri d'affari per miliardi di dollari, che vengono reinvestiti in attività per lo più lecite, per cui individuarle non è semplice e talvolta neppure possibile. La malavita calabrese, con la quale il cartello di Medellin fa affari da anni ormai, ha introiti pari ad un terzo del PIL del vostro paese... traggo questa informazione da fonti accreditate. Per sgominarla vien davvero da pensare che serva il vostro Gesù Cristo e l'intervento di quelli che voi chiamate Santi. Purtroppo io non condivido tali convinzioni e credo che non esista un principio unificatore e salvatore del mondo, come alcuni miei connazionali pensano, al quale delegare i nostri compiti e le nostre responsabilità. Sono qui a nome del mio Paese per garantirvi che metteremo, anzi 'mettiamo' a disposizione tutte le nostre risorse di intelligence per scoprire non solo dove si trova Karpof, ma anche le teste di ponte cinesi che hanno riempito le nostre piazze con droghe che stanno uccidendo i nostri giovani e con essi il nostro futuro... La Cina è una grande madre, ma lenta nel proteggere i suoi figli e talvolta può solo piangere i migliori dopo che sono morti.” Gabriella si accorse che la voce della collega si era abbassata di tono e che vibrava per un lieve tremore. Ricordò un fatto di cronaca di qualche tempo prima. Il figlio di un importante uomo politico era morto di overdose a Pechino. Forse era a questo che si riferiva l'ispettrice o forse la sua era solo una considerazione generica, ma il dato importante era la volontà concreta di fermare il traffico di droghe. Nella stanza il silenzio dimostrava la consapevolezza che dappertutto succedeva la stessa cosa. La perdita di giovani vite, che finivano nel baratro della tossicodipendenza, era incalcolabile. L'ispettrice continuò: “Ho tracciato la Via della Seta, percorsa dai trafficanti, evidenziando in rosso le città dove abbiamo scoperto le loro basi, ma per poter ottenere un risultato di qualche rilievo occorre la collaborazione dei banchieri, degli imprenditori, dei politici... Dobbiamo mettere al primo posto la vita e non la morte!” Mia terminò con un lieve sospiro, ma la voce non era cambiata e manteneva un tono pacato e fermo. Mattew incalzò con forza: “Trovarci qui a Roma è molto significativo. Soprattutto dopo gli ultimi arresti. La vostra bella Italia è terra di conquista e non solo perché è un florido mercato per gli spacciatori, ma anche perché le ville antiche, i quadri, i reperti archeologici sono un ottimo mezzo per riciclare il denaro.” Miranda sorrise con approvazione. L'ispettore inglese cominciava a piacerle, vestiva con eleganza un po' desueta ed esibiva la sicurezza delle persone abituate ad affrontare i problemi con la certezza di avere i mezzi per risolverli. Non le pareva una posa la sua, ma uno stile innato che lo distingueva dai colleghi. Guardò con interesse la mappa che la dottoressa Wang aveva poggiato sul piano di vetro. La Via della Seta era solo una, fra quelle seguite dai trafficanti, ma aver individuato alcuni depositi e fabbriche di metanfetamine e di altre più devastanti droghe sintetiche poteva considerarsi un buon inizio. Si voltò verso il russo e domandò: “Igor, lei è convinto che, se lo troviamo, Karpof ci porterà dal suo capo?” L'uomo aveva continuato ad aprire e chiudere i pugni nervosamente, pur esaminando con interesse la mappa. Soppesò le parole prima di rispondere: “Non ne sono certo, ma le probabilità sono buone. Karpof è molto di più che un collaboratore: è l'uomo di fiducia, ma anche un caro amico del magnate. Hanno stabilito un patto di sangue e se gli succede qualcosa, o viene arrestato, il grande capo farà di tutto per liberarlo. Se lo incastriamo costringiamo Janus ad uscire allo scoperto.” Gabriella Franchi aveva preso alcuni appunti e quando parlò lo fece per riepilogare la situazione, così che fosse chiara a tutti i colleghi. “L'unione dei nostri servizi e la condivisione delle indagini ai massimi livelli sono indispensabili... anche perché ho consultato il Manuale e chiedere l'intervento di Dio o dei Santi, come suggeriva il collega, non rientra fra le nostre possibili scelte operative.” Sorrise, sperando che la battuta ironica fosse compresa dagli altri, e lanciò uno sguardo a Miranda Del Monte. Da quando era arrivata si era accorta che aveva qualcosa di diverso, sembrava meno determinata e motivata del consueto. Era come se avesse perso parte del suo mordente, mancasse della grinta che la caratterizzava e che le aveva fatto guadagnare il posto di coordinatrice del gruppo internazionale al quale stavano partecipando. La collega ricambiò lo sguardo, ma non disse nulla e toccò ancora a Gabriella guidare i lavori. “Ora ci sposteremo nella sala operativa al piano di sopra, dove avremo a disposizione i mezzi tecnici che ci permetteranno di entrare nel vivo delle indagini coi supporti adeguati.” Detto questo si alzò e aspettò che Miranda la precedesse, come sarebbe stato formalmente corretto, invece la dottoressa si attardò a parlare a bassa voce con Mia Wang e Gabriella, perplessa per quanto avveniva, uscì dalla stanza e salì i pochi gradini che portavano al piano superiore. La sala era molto ampia ed ariosa e, nonostante le postazioni di lavoro e i numerosi computer in piena attività, che davano l'impressione di una grande efficienza, i suoni erano ovattati. Parve a tutti che fossero entrati in una sorta di tempio, dove si alzavano incessantemente preci alla dea della Giustizia e dell'Ordine. Miranda, che era evidentemente molto orgogliosa di mostrare ai colleghi la sezione operativa, che dirigeva con grande oculatezza e competenza e che rappresentava il fiore all'occhiello dell'intelligence italiana, prese il comando della situazione. Si rivolse per primo a Mattew e gli propose di chiedere ai colleghi di Londra un approfondimento di indagini, ma il suo tono era impositivo, come di chi non ammetterebbe qualcosa di diverso all'esecuzione dell'ordine: “Dottore, sono certa che i suoi superiori converranno sulla necessità di fare ulteriori controlli. Come le ho detto, le maglie, se sono troppo larghe, possono lasciar sfuggire i pesci piccoli.” L'inglese assentì e si avvicinò ad una delle postazioni chiedendo di essere messo in connessione con la sua sede. Igor lo guardò con un certo compiacimento, soddisfatto per quanto si accingeva a fare. A Gabriella fece l'impressione di un grosso gatto, intento a leccarsi i baffi dopo aver ottenuto un buon boccone. La signora Wang osservava con palese interesse, ma senza fare commenti, le attività dei poliziotti. Per quanto diversissimi come cultura e legislazione, la somiglianza con una qualsiasi delle sale operative cinesi era molto alta. Anche nel suo paese c'era la stessa tecnologia e la competente professionalità a garantire che le indagini avessero risultati positivi. Su un grande schermo erano segnati i flussi della droga, e il percorso dai luoghi di produzione a quelli di smercio. Le sostanze di sintesi, estremamente pericolose, finivano quasi tutte nei mercati del sud est asiatico e solo un piccolo quantitativo arrivava in Europa, ma era una sorta d'assaggio, che avrebbe portato all'inevitabile aumento dei consumatori a livello mondiale. L'Italia era uno snodo importante. Vi arrivavano grosse partite, delle quali solo una parte era assorbita dal mercato interno, mentre il resto veniva deviato verso Francia o Spagna. Solares si sedette accanto ad una delle vetrate dalle quali la vista di Roma, la città che consideravano eterna, era così bella da mozzare il fiato. Stormi di uccelli facevano elaborate evoluzioni sullo sfondo azzurro e terso, seguendo misteriosi codici. Si posavano sui pini e poi riprendevano il volo seguendo il segnale segreto del loro capo o un misterioso istinto. Erano migliaia, ma i loro cuoricini battevano in sincronia, così si muovevano come fossero un unico corpo e nessuno sbagliava traiettoria. Questa era alla fine la cosa che contava: fare parte di un disegno, essere magari solo un piccolo tratto di matita, ma sapere con certezza che, senza quel segno, il disegno perdeva di completezza e di valore. Solares sospirò domandandosi se la preghiera generica ai papi poteva soddisfare il desiderio di sua madre e l'impegno che aveva preso con lei. “La Colombia è un paese incancrenito dal Male, ci vorrebbe davvero un intervento miracoloso per salvare i nostri giovani dal terribile futuro a cui la nostra ingordigia li ha destinati. Farò la mia piccola parte, sarò il tratto di matita!” promise fra sé, tornando a porre attenzione a quanto stava avvenendo nella sala. Mia Wang era in piedi accanto ad uno schermo e stava spiegando i risultati delle ultime intercettazioni. “Abbiamo sequestrato un convoglio di cinque camion... Un carico enorme, che avrebbe inflazionato il mercato portando il prezzo di vendita della cocaina a livelli bassissimi. Crediamo che la soffiata ci sia giunta da bande rivali. Quando si sono accorti che non riuscivano ad impossessarsi della merce e dovevano cederla agli antagonisti, ce l'hanno servita su un piatto d'argento. Mors tua vita mea, come dite voi latini!” Aveva parlato con un certo sussiego, mostrando una cultura non comune e appariva stanca, come se dovesse portare un peso superiore alle sue forze. Riprese e la voce suonò stridula: “Il mio governo garantisce di intensificare i controlli e le pene per chi fosse trovato in possesso di qualsiasi tipo di droga, ma...” fece una pausa e abbassò gli occhi, quasi che il ricordo di una vicenda dolorosa le avesse attraversato la mente, poi terminò: “soprattutto potenzieremo la prevenzione. I nostri giovani devono essere tenuti lontani dal Male e resi più saldi nel resistergli.” Igor la guardò con una certa perplessità, consapevole che anche lui doveva impegnarsi a fare altrettanto. La Russia aveva leggi diverse dalla Cina nei confronti dei consumatori e degli spacciatori, ma doveva mostrare che facevano sul serio e che mettevano in gioco tutte le loro energie e competenze. Stava per intervenire, ma fu preceduto da Mattew che disse: “Ho sollecitato ad indagare con maggior attenzione all'aeroporto di Londra e devo ammettere che avevate ragione. Sembra che un passeggero non sia sceso insieme agli altri, ma abbia avuto un'uscita 'privilegiata' e sia riuscito perciò a far perdere le sue tracce. È possibile che qualcuno degli steward fosse, diciamo in modo eufemistico, ricattabile o abbia ceduto alla promessa di un compenso e si sia prestato ad aiutare il ricercato. Stiamo facendo del nostro meglio per individuare la dinamica della fuga e chi è implicato. Scoprirlo forse non ci aiuterà nell'immediato a trovare il suo nascondiglio, ma ci spinge ad estendere le ricerche in Inghilterra e comunque fuori dall'Italia.” Il russo avrebbe voluto dire che lo sapeva da tempo ed era ora che gli inglesi si svegliassero, ma tacque, controllando l'impetuosità che avrebbe mostrato apertamente il suo astio per gli anglosassoni. Provava sentimenti d'odio e di malevolenza che avevano radici nell'annosa competizione fra gli USA e l'URSS, che si era espressa nel tempo in molti modi, alcuni cruenti, altri meno come la guerra fredda, passando, agli esordi delle imprese spaziali, attraverso quella sorta di gara, che aveva portato le due potenze a migliorarsi dal punto di vista tecnico, ma che aveva contribuito ad accentuarne la rivalità. Fu Solares a prendere la parola: “Prometterei volentieri altrettanto, ma so che mentirei. Purtroppo le enormi sacche di povertà che affliggono il mio Paese, sono riserve inesauribili di giovani facilmente arruolabili dai cartelli e che diventano carne da macello a buon mercato. Comunque, come dice mia madre, i miracoli succedono e chissà che questa sia la volta buona. In fondo questa è la città santa!” sorrise apertamente mostrando un ottimismo che forse non aveva, ma del quale in qualche modo si voleva convincere. Miranda Del Monte spiegò che era stato istituito il Gruppo Trevi, allo scopo di creare una rete di funzionari di collegamento, scelti tra le autorità doganali e quelle di polizia nazionali, che erano stati distaccati in paesi produttori o di transito. Poi continuò: “Attraverso Trevi abbiamo anche programmato unità di informazione sui narcotici. Negli ultimi tempi la tipologia delle sostanze è cambiata, si è evoluta moltissimo e spesso è difficile non solo individuarne la composizione, ma anche contrastare i gravi effetti collaterali.” Gli ispettori l'ascoltavano con attenzione e per il resto della mattinata si impegnarono in una discussione a tratti molto accesa. Gabriella Franchi supportò egregiamente la dottoressa Del Monte, soprattutto perché si era accorta che la collega era piuttosto tesa. In certi momenti pareva addirittura si estraniasse dal lavoro mentre un velo di tristezza le si stendeva sul bel volto. Quando furono tutti concentrati a leggere sullo schermo gli aggiornamenti che Trevi, in tempo reale stava inviando, ebbe conferma che qualcosa non andava. Infatti le si avvicinò e le disse sottovoce: “Franchi, organizzi qualcosa per il pomeriggio. Io ho un impegno improcrastinabile. Mi affido a lei.” Gabriella si stupì, ma rispose: “Tranquilla. Avevamo già previsto una breve visita turistica per i nostri ospiti e li accompagnerò io.” Miranda Del Monte la guardò con simpatia e gratitudine prima di riprendere il lavoro. Alle 13:00, con puntualità anglosassone, lasciarono la sala operativa per recarsi a pranzo nel bar vicino alla sede. Nel pomeriggio, come programmato, avrebbero visitato liberamente o in gruppo la città prima di ritrovarsi in un ristorante tipico. La dottoressa Del Monte promise, congedandosi dopo aver consumato in fretta un tramezzino, che li avrebbe raggiunti per la cena, poi si allontanò, guardando fissa davanti a sé con determinazione, decisa ad affrontare coraggiosamente le sue paure.
Elide Ceragioli
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