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Autore: Giusy Matinée
L'elevazione dal vuoto
Romanzo Psicologico
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L'elevazione dal vuoto
Oliviero figlio amato.
A tutti quei figli che amati, non lo sono stati.
"Non hai avuto modo di scegliere i genitori che ti sei trovato, ma hai modo di poter scegliere quale genitore diventare..." Marian Wright Edelman, avvocato attivista per i diritti dei minori.

La vita è un lungo cammino, che comincia nell'istante in cui vediamo per la prima volta la luce; questo viaggio è scritto a mano, in corsivo, su di un libro dalle pagine completamente intonse, che riempiamo a mano a mano con le nostre esperienze, i giorni vissuti, le conoscenze, le emozioni, i grandi dolori, le scelte, la musica, la poesia, la vita che scorre.
A scrivere l'incipit di questo libro bianco sono sempre i genitori; talvolta capita che questo incipit possa condizionare la stesura dell'intero manoscritto, dall'inizio alla fine, nel bene e nel male, sia che i genitori vogliano farsene carico oppure no: questa storia racconta proprio di questo...

I ricordi di Catena cominciavano pressappoco quel giorno di agosto in cui suo fratello nacque e morì; fecero appena in tempo a mettergli un nome, prima che spirasse, lo chiamarono Rosario come il nonno paterno.
Per poco quella seconda gravidanza non si portò via anche sua madre che ebbe una brutta gestosi, e che si salvò solo per una fortuita buona stella.
Negli anni '70 non era raro che questa patologia, infatti, uccidesse puerpera e nascituro, ma stavolta non accadde. Seppellirono il figlio maschio che avevano desiderato assai più di Catena, e ripresero la vita, o meglio i giorni ripresero a trascorrere con la stessa, consueta lentezza.
Era la settimana di Ferragosto del 1978 e la piccola aveva appena due anni. Dopo quel lutto terribile restò figlia unica per sempre; questo ovviamente le procurò un'esistenza diversa da quella che avrebbe potuto essere con un fratello al suo fianco.
I genitori di Catena non lo ebbero a dire mai, forse non lo ammisero neanche a loro stessi, ma avrebbero volentieri barattato la vita della loro figlia, con quella del maschio che avevano da sempre immaginato e che fecero in tempo giusto a vedere, prima che il destino, glielo portasse via per sempre.

Catena era nata dopo molti anni di matrimonio. I suoi genitori avevano aspettato parecchio prima di provare ad avere un figlio: la loro priorità era il lavoro e l'accumulare quanti più soldi possibile.
Negli anni in cui erano stati da soli avevano suggellato la loro unione, tanto da sentirsi sufficienti l'uno per l'altra; poi cominciarono a pensare alla vecchiaia, quindi capirono che un figlio avrebbe potuto prendersi cura di loro col passare del tempo, e così cominciarono a provare ad averne uno.
La madre di Catena ebbe molte difficoltà a restare incinta, ciò avvenne quando ormai non ci pensavano più, e fu una grande sorpresa.
Quando la loro prima figlia nacque, la madre e il padre avevano rispettivamente trentacinque e quarantadue anni, ed erano già drammaticamente arretrati e stantii per il mondo e la società che in quegli anni si evolvevano in un modo talmente celere, da creare un vero e proprio sconcerto qualora non si fosse sufficientemente pronti a mutare sé stessi al ritmo del progresso e del suo avanzare.
Catena nacque in dicembre, nel bel mezzo delle feste di fine anno, in un giorno corto, grigio e piovigginoso; nacque in un ospedale che quel dì contemplava il mare d'inverno, ed era uno scricciolo gracile e delicato di appena due chili e mezzo.
Suo padre ebbe un'espressione del tutto imperturbabile quando la vide per la prima volta; del resto, desiderava il maschio che avrebbe potuto portare ai posteri il cognome altisonante e antico della famiglia.
Nei suoi primi anni di vita Catena era una bimba piuttosto piccola di statura e aveva un fisico minuto, i capelli scuri, gli occhi nocciola, grandi e profondi dal taglio vagamente orientale, di una gentile forma affusolata; l'ovale del viso tendeva a una configurazione rotonda, aveva un naso grazioso e piccolino, la bocca era sottile ma le labbra avevano una colorazione di un rosso rubino, intenso e smagliante.
La bimba aveva un'espressione sfuggente nel viso, difficilmente guardava qualcuno negli occhi in quanto sua madre le aveva più volte ripetuto di non farlo, perché secondo lei e qualche oscurantista credenza popolare, attraverso gli occhi, si poteva trasmettere il “malocchio”.
Le sue labbra inoltre, molto raramente si curvavano a dipingere un sorriso: uno strano contrasto per un bel viso di bambina!
Aveva i capelli lunghi, nel senso che li aveva lunghi nel suo temperamento, in realtà invece sua madre glieli faceva tagliare sempre poiché non amava pettinarglieli la mattina. Catena crebbe dunque con l'esigenza di assecondare la sua anima dai lunghi capelli, ma questo avvenne solo più in là negli anni, quando potè decidere autonomamente almeno del suo aspetto esteriore. Quello interiore costituì una storia a parte.
Era una bambina piuttosto atipica Catena: le piaceva l'autunno, soprattutto il colore caldo e ambrato che assume la natura durante questa stagione, il primo freddo che le faceva rabbrividire le spalle. Amava molto la pioggia, ne amava il fruscio confortevole che si avverte quando batte sui tetti e sui vetri delle finestre, riteneva che fosse immensamente poetica e suggestiva la pioggia... Avrebbe amato molto anche la neve, peccato che abitasse sul mare, dove questo fenomeno è davvero una rarità, quindi si accontentava di osservare la pioggia con i suoi spruzzi leggeri, odorarne il profumo confortevole che saliva su dal terreno madido, fino a giungere alle sue narici, mentre l'acqua scendeva abbondante e lieta. Le sembrava un dono lucente e sconfinato, la pioggia.
Catena era nata in una cittadina toscana, ma era cresciuta in un minuscolo paese della costa tirrenica, un luogo dove le famiglie si conoscono tutte, dove cielo, mare, colline, viti, ulivi e cipressi si intrecciano in un grazioso, voluttuoso abbraccio. Dove l'estate brulica di voci, di risa, di tuffi, di pelli ambrate, di sabbia incandescente, di allegria, di vita. Dove le brezze marine in inverno sono veri e propri personaggi che danzano allegri fra le strade di paese, confondendosi fra gli esigui abitanti. Dove gli inverni sono miti, e il mare diventa una specie di amico, che favorisce i buoni pensieri e stimola la creatività. Dove il maestrale burbero e sprezzante, sferza fin sulle colline a raccontare storie di mare dal sapore salato.
Un posto lieto e incantevole quindi, pur tuttavia, minuziosamente incompleto e imperfetto...
Catena era nata “sul continente”, mentre i suoi genitori erano migranti provenienti da un villaggio della Sicilia più remota, dove le chiese erano più numerose degli abitanti, dove arretratezza e analfabetismo erano caratteristiche peculiari, a causa probabilmente dell'assoluto isolamento geografico che affliggeva da secoli certe zone dell'entroterra, non solo della Sicilia.
Dopo la seconda guerra le cose cominciarono a cambiare lentamente fra gli abitanti, i suoi genitori al contrario, non riuscirono ad adeguarsi al tempo che avanzava, anzi erano l'espressione più gretta della società nella quale erano nati.
Luciano, suo padre, era il terzo di quattro figli, di una famiglia anticamente benestante con qualche titolo nobiliare che si era smarrito nel corso dei secoli. Il padre era morto in tempo di guerra, e la madre, nonna Catena appunto, li aveva cresciuti tutti fra molte difficoltà nella Sicilia rurale, nell'immediato dopoguerra.
Antonia, sua madre invece, era la prima di sei figli di una famiglia poverissima. Accudire i fratelli e lavorare per contribuire al bilancio familiare fin dalla tenera età, era un dovere dal quale non poteva esimersi.
Entrambi non avevano forse mai conosciuto la tenerezza dell'infanzia, l'amore non sappiamo dirlo, per il fatto che a quel tempo i bambini morivano come mosche negli anni più teneri della loro vita, quindi non affezionarsi troppo a loro, era una sorta di dovere, era un modo per autoproteggersi, e al contempo per sfidare la crudezza della vita.
In età adulta Antonia era diventata una donna molto robusta ciò che si notava maggiormente della sua figura, era il seno prospiciente e spropositato; con il passare dei lustri, si era lasciata imbiancare i capelli senza far nulla per addolcire gli anni che stavano avanzando; vestiva in modo sciatto e trascurato, come se la trascuratezza della propria persona, fosse un modo per espiare chissà quale peccato nei confronti del suo Dio, al quale era così devota.
I compagni di scuola di Catena spesso le chiedevano se quella donna che veniva a prenderla all'uscita, non fosse sua nonna, proprio a causa di questa sua così ostentata trasandatezza, e Catena spesso ne provava un forte imbarazzo, poiché le altre mamme erano per lo più carine, curate e dinamiche, l'esatto contrario della sua insomma.
Aveva inoltre occhi piccoli e cerulei Antonia, che nascondeva dietro un paio di grossi occhiali a farfalla, forse l'unico vezzo che si concedeva, il naso appuntito, e due labbra sottili fisiologicamente ricurve verso il basso, in una smorfia perenne di altezzosità e rigidità, caratteristiche che arrivavano dritte in superficie, dalla sua anima ormai già irreversibilmente incancrenita da un'infanzia spezzata e infelice.
Si lamentava con una frequenza continua Antonia quasi sempre di dolori fisici, quando aveva un banale raffreddore si metteva a letto sotto le coperte a giornate intere e pretendeva che Catena sbrigasse gran parte delle faccende domestiche; la figlia dunque, l'aveva da sempre conosciuta come una persona malata, ma questa sua sfaccettatura era con evidenza, legata a un bisogno di attirare su di sé le attenzioni che le erano mancate da bambina.
Non si tratteneva neanche con Catena, che cercava quindi di darle meno fastidio possibile, per timore di farla stare ancora peggio, e questo accadeva da quando almeno la bimba ne aveva ricordanza: e dire che l'aveva conosciuta all'età di trentacinque anni, quando cioè la giovinezza dovrebbe essere nel suo massimo fulgore!
Ovviamente quando si trattava di impartire qualche lezione alla figlia, la sua gracilità spariva magicamente e Antonia diventava una donna aspra, rigida ed estremamente cinica e altera, capace di esternare una insensibilità e un atteggiamento talmente caustico da denotare una fermezza e un'imperturbabilità del tutto sorprendenti, in netto contrasto con i suoi abituali atteggiamenti di fasulla debolezza e gracilità. Pertanto Catena conosceva due facce della stessa madre, una personalità quindi del tutto indecifrabile che spesso la disorientava moltissimo, specialmente quando si trattava di interagire con lei.
Per ottemperare a quel diritto all'infanzia che le era stato ingiustamente strappato, Antonia aveva preso persino la bizzarra abitudine di comprarsi camicie da notte e magliette con i personaggi di fiabe e cartoni animati; prediligeva i capi che raffiguravano le principesse Disney che sfoggiava con una certa disinvoltura anche di fronte agli estranei. Ma ciò le conferiva un'aura che spesso la faceva piombare nel ridicolo per non dire nel grottesco, dato anche il contrasto marcato con quella sua trasandatezza mai celata e mai addolcita, che la faceva sembrare una decina d'anni più anziana della sua reale età. Eppure si vantava spessissimo di essere stata una fanciulla bellissima intorno ai vent'anni, di essere stata molto magra e con dei capelli biondi magnifici, questa sua mania di ricordare quanto fosse avvenente era forse il suo unico modo per rendersi affascinante agli occhi degli estranei, visto che non aveva doti particolari che la facessero spiccare, specialmente a livello intellettivo infatti, era una donna carente in tutto, non sapeva intrattenere alcuna discussione che non trattasse di cucina, di ricamo o di crochet, il resto per lei non esisteva.
Discorso a parte merita il suo rapporto con la religione, aveva una devozione assoluta e acritica verso il suo Dio, tanto che recitava il rosario ogni giorno, e spessissimo accendeva delle candele profumate o dei lumini da cimitero, in giro per la casa che posizionava davanti alle figurine dei vari Santi ai quali rivolgeva richieste e grazie varie; a messa la domenica non andava quasi mai, ma solo per il fatto che doveva preparare i suoi deliziosi pranzetti per l'adorato marito, per il quale nutriva una venerazione ancora più acritica di quella per il suo Dio. Aveva la convinzione che se le capitava di comportarsi male con gli altri, si poteva sempre chiedere perdono recitando un “Atto di dolore”, e pregare affinché il malcapitato dimenticasse il torto subito, e questa convinzione le dava una certa libertà di muoversi anche oltre il moralmente lecito, tanto che difficilmente si mordeva le labbra quando aveva da dire qualcosa anche di spiacevole o di velatamente offensivo; spesso capitava che con la sua franchezza, spinta da una sottile sensazione di piacere, ferisse in modo piuttosto rozzo qualcuno, ma non se ne curava affatto, una volta che aveva chiesto perdono al suo Dio, lei era in pace con il mondo intero e soprattutto con sé stessa.

Luciano era un uomo fisicamente piuttosto filiforme, ma con un ventre pronunciato, e malgrado fosse tutto sommato nell'insieme esile, aveva una postura molto imponente, così come gli suggeriva la sua personalità; aveva le labbra carnose e gli occhi scuri grandi e affusolati uguali a quelli di sua figlia che con evidenza egli le aveva geneticamente trasmesso. Aveva una personalità a tratti incomprensibile: molto aspra e vendicativa con gli estranei, e inspiegabilmente anche con Catena, pur tuttavia docile, affabile e allegra con i suoi fratelli e i suoi nipoti, con i quali era sempre disponibile, generoso, bonario, cortese e persino simpatico. Ogni volta in cui li vedeva infatti, si prodigava a mettere a loro disposizione tutto ciò che possedeva, che fossero le sue case, la sua auto, o il suo tempo.
Con sua moglie Antonia la sua affabilità raggiungeva vette altissime, il sodalizio fra i due era radioso, e, anche se talvolta usava con lei un tono di voce aspro perché quello era il suo modo di parlare, l'affetto che provava per sua moglie era un fatto talmente palese da sembrare quasi indotto, e un tantino sconcertante data l'asprezza del personaggio. La verità era che Antonia lo sapesse prendere per il suo verso, lo coccolava ogni giorno soprattutto a tavola cucinandogli ciò che lui amava di più, e accontentando ogni sua richiesta, perché quando Luciano aveva soddisfatto i suoi bisogni primordiali, diventava inverosimilmente docile e accondiscendente, almeno con lei.
Aveva una sorta di onnipotenza personale, in quanto nella sua testa tutto era dovuto a lui e niente agli altri; con lui nulla si poteva discutere perché aveva ragione a prescindere in quanto capofamiglia, padrone e assolutista.
Ma la caratteristica che più lo contraddistingueva e che tutti conoscevano di lui, era senza dubbio la sua notoria avarizia, e non solo per quel che riguardava il denaro...avarizia che spariva del tutto quando ad aver bisogno di qualcosa era lui stesso: aveva infatti nell'armadio una collezione nutrita di tailleur maschili pregiatissimi e costosissimi, con altrettante cravatte di seta dai colori sgargianti, e fazzoletti da tenere nel taschino per non dimenticare i particolari; possedeva inoltre una passione per gli orologi, aveva orologi da polso di marche molto prestigiose, alcuni dei quali da collezione, che amava sfoggiare e mostrare agli altri quando la domenica si vestiva di tutto punto per soddisfare soprattutto un suo bisogno di sentirsi ancora un uomo piacente. Per il resto invece se sua moglie e sua figlia, erano vestite con trascuratezza a lui non importava anzi, era un ulteriore modo per risparmiare denaro. La cosa curiosa è che lui era sempre ben curato e il divario quando aveva accanto sua moglie specialmente, evidenziava una differenza fra le due figure marcata e fortemente disorientante, ma lui pareva non farci caso, o meglio la noncuranza della sua compagna metteva in luce ancora di più il suo aspetto ricercato e piacevole.
Aveva anche lavorato all'estero per parecchi anni prima di conoscere Antonia, ma nonostante avesse avuto l'opportunità di osservare e vivere culture diverse che si intrecciano e si amalgamano, questo non l'aveva neanche un po' migliorato, non l'aveva modernizzato, né tantomeno aveva ammorbidito le sue intemperanze.
Cominciò ad accusare una leggera malattia allo stomaco quando Catena aveva quattro anni, che si trasformò poi in una forte ulcera che a quel tempo dovette essere operata, ma che si risolse comunque nel giro di qualche mese.
In quel periodo Catena aveva appena cominciato la scuola materna, e sua madre se ne stava tutti i giorni in ospedale ad accudire il marito, tanto che spesso non arrivava neanche in tempo per prenderla all'uscita, così la bambina restava a scuola per ore insieme alle collaboratrici scolastiche, prima che sua madre arrivasse.
Il periodo della malattia di Luciano aveva segnato principalmente Antonia, che per tutta la vita ricordò quel momento come il peggiore della sua esistenza, addirittura più doloroso della morte del suo secondogenito, e questo è un dato molto emblematico per comprendere quanto, per quella madre, l'amore per i figli avesse un ruolo di assoluto secondo piano, rispetto a quello che provava per il marito: aspetto talmente anomalo da riuscire a sovvertire persino le regole ataviche della natura stessa, ma ci racconta moltissimo delle dinamiche affettive decisamente innaturali di quella famiglia.
Si ostinava a parlare in dialetto siciliano il padre di Catena, anche quando si rivolgeva agli altri, benché fossero già tanti anni che vivesse in Toscana, e questo procurava profondo imbarazzo alla bambina. Ovviamente più lei provava pudore per questa faccenda, più lui amava esternare la sua spiccata “sicilianità”, non che ci fosse qualcosa di sbagliato in questo, se non per il fatto che manifestasse continuamente anche atteggiamenti di arroganza e di egocentrismo, come se il resto del mondo dovesse piegarsi a capire lui, il suo modo incomprensibile di esprimersi e i suoi atteggiamenti da gradasso.
Così anche se adesso il contesto in cui viveva era anni luce lontano dalla sua terra d'origine, diverso e smisuratamente più moderno, Luciano sembrava voler sfidare sua figlia, che, essendo nata e cresciuta in Toscana, percepiva le sue origini siciliane remote e molto distanti. Questa faccenda provocava in lui una forte avversione nei riguardi della piccola, così evidente, da denotare una volontà spiccata di piegare Catena a suo piacimento, a costo di soffocare e sopprimere ogni accezione e ogni particolarità della bambina.
Inoltre non si dissetava mai con l'acqua Luciano, neppure la mattina dopo una lauta colazione, quando mangiava un uovo alla coque con un paio di fette di pane bianco che era solito tagliare a strisce, affinché entrassero nel buco che effettuava battendo un cucchiaino sul guscio, in corrispondenza del vertice superiore dell'uovo, e che amava inzuppare nel rosso caldo ma ancora liquido. Anche a colazione dunque, per levarsi l'arsura, beveva sempre il vino che produceva nel suo orto; una bevanda disgustosa che aveva un sapore terribile, neanche paragonabile a quello del vino, ma che comunque possedeva un tasso alcolico non certo trascurabile, e infatti il signor Luciano dava il meglio di sé quando, con il passare delle ore, il tasso alcolemico nel suo sangue aumentava progressivamente, ed egli cominciava a sragionare e a reagire in modo spropositato ai vari impulsi, spesso totalmente innocui, che la vita e le persone gli inviavano; nel migliore dei casi invece, si addormentava in poltrona così profondamente da sembrare che fosse caduto in catalessi.
Non si poteva dire che fosse alcolizzato, ma chi avrebbe dovuto fargli notare che forse beveva un po' troppo, non lo fece mai. Con evidenza fu proprio a causa di questo brutto vizio che si ammalò di stomaco, ma non cambiò le sue abitudini di una virgola neanche dopo la malattia.
Aveva le mani grandi quel babbo, tozze, incallite, e ingiallite dalla pelle olivastra e dalle cicatrici del lavoro, gli mancava una falange del dito mignolo nella mano destra, che aveva perso lavorando. Quelle mani grandi facevano a Catena tanta paura, specialmente da quando si erano posate su di lei percuotendola... era solo una bambina in età prescolare la prima volta, e aveva soltanto fatto un piccolo capriccio di bimba.
L'unica sensazione positiva che suo padre le trasmetteva era il profumo della colonia Brut di Fabergé, con le sue note aspre e intense, che egli usava la domenica mattina dopo essersi fatto la barba, e che Antonia, con una certa monotonia, gli regalava a ogni Natale e ad ogni compleanno.
Occorre precisare che i genitori avevano frequentato le scuole per pochissimi anni, Antonia perché doveva badare ai suoi fratelli, mentre i suoi erano in campagna a lavorare, e quindi non poteva assentarsi da casa per partecipare alle lezioni. Luciano, al contrario, aveva mollato la scuola perché era un vagabondo: amava sollazzarsi per le strade di paese con gli amici di bravate, a fare scherzi ai passanti, a fumare e rubacchiare frutta dall'albero del vicino, o uova in qualche pollaio, non perché ne avesse un reale bisogno, ma solo per il gusto di deridere il prossimo; naturalmente egli era il leader indiscusso e riconosciuto fra il suo gruppetto di amici di quartiere.
Ovviamente, in queste particolari condizioni culturali c'era netta l'usanza, del tutto relegata alla società angusta di quegli anni, di non far frequentare ai figli la scuola: lo studio e la formazione intellettiva erano bisogni di assoluto secondo piano, rispetto al lavoro e all'aiuto, anche economico, che i figli dovevano dare alle proprie famiglie, e questo ovviamente, aveva un riverbero importantissimo nella maturazione di quei bambini che sovente crescevano con la stessa grettezza dei loro padri.
Luciano e Antonia si erano conosciuti negli anni '60, lui l'aveva vista per caso una domenica di primavera in una delle numerose chiese di paese, sebbene Luciano non fosse credente, frequentare la messa nei giorni di festa, costituiva l'unico modo per incontrare le ragazze di paese che per lo più, durante la settimana, restavano chiuse in casa a cucire e ricamare.
Luciano aveva già trent'anni, e l'orologio biologico aveva cominciato a sussurrargli che era arrivato il momento di mettere su famiglia, e quella ragazza così morigerata, silenziosa e piuttosto anonima, le sembrò la persona giusta, per non incorrere in spiacevoli situazioni future. Così, senza aver mai neanche scambiato una parola con lei, in un mite pomeriggio di aprile, si mise il vestito buono e si recò a casa di Antonia. Si presentò con un anello di brillanti nel taschino della giacca, che aveva comperato in una delle migliori gioiellerie di Palermo, ed esordì mostrando l'anello al futuro suocero, con queste precise parole:
- Buonasera mi chiamo Luciano e vorrei fidanzarmi con vostra figlia Antonia. Ho lavorato all'estero per tre anni, ho messo da parte un bel gruzzoletto, e al più presto vorrei maritarmi a vostra figlia - .
Il padre di Antonia, alla vista di quella pietra, non avendo mai veduto un anello così prezioso, sgranò gli occhi, ma essendo un uomo di mezze parole, si limitò a chiamare sua figlia:
- Antonì, ci sono visite per te, questo giovanotto è venuto a chiederti in sposa - .
Antonia un po' sorpresa si recò nella cucina, a primo impatto quel ragazzo le sembrò fuori dalla sua portata, un po' per il modo raffinato con cui era vestito, un po' perché in paese le famiglie si conoscevano tutte, ed ella sapeva bene che la famiglia di appartenenza di lui era una famiglia piuttosto importante anche se decaduta, mentre la sua era una delle più povere e disgraziate del paese. Quindi sul momento le sembrò impossibile, quando realizzò che colui che sarebbe diventato il suo futuro consorte, stava facendo sul serio, si sentì talmente lusingata da ritenersi di colpo bellissima e avvenente; inoltre Antonia aveva un'età in cui le sue coetanee erano già per lo più tutte sposate, pertanto non esitò un attimo e alzando la spalla in un gesto di noncuranza come se l'affermazione che stava per pronunciare neanche la riguardasse, esclamò:

Giusy Matinée

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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