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Autore: Salvo Bilardello
Il violino della salvezza
Giallo Thriller
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Il violino della salvezza
Trieste, 18 settembre 1938.
L'estate tardava a lasciare il posto all'autunno. Quel giorno di metà settembre il sole e un cielo azzurro regalavano alla città una delle più belle giornate di fine estate: tiepida e luminosa.
L'entusiasmo era scoppiato come un fuoco d'artificio. Nelle prime ore di quella luminosa mattina settembrina, i triestini raggianti correvano lungo le Rive e sul viale Miramare diretti in Piazza dell'Unità d'Italia, l'antica piazza Grande, incuranti e inconsapevoli degli infami accordi che il Duce aveva stipulato con Hitler sulla pelle degli ebrei.
Il cielo era limpido e la bora taceva. Trieste, come una sposa ansiosa d'insensata speranza, s'era addobbata di miriadi bandierine verde bianco rosse. Dal colle di San Giusto, giù per via del Monte, la gente cominciava a scendere sempre più numerosa oltrepassando la sinagoga e il vecchio cimitero degli ebrei. Da via Rossetti, da via Giulia, da via di Romagna, dai quartieri intorno alla Risiera, dall'altura di Servola, da ogni parte s'andava formando una folla che avanzava tra sventolio di bandiere e vociare festante.
Quella mattina mio padre imboccò Corso Italia, camminando lentamente e fumando con voluttà la sua amata pipa. Come sempre, prima di recarsi negli uffici della sua assicurazione in Piazza dell'Unità, passò dal porto vecchio per controllare che tutto andasse bene alla CecotLines.
Nonostante l'aria che si respirava in città, un'atmosfera densa d'ansia frenetica e di trepidazione colma di tripudio, mio padre era d'umore grigio. Trieste pullulava di gente festosa e rumoreggiante già alle sette del mattino. Corso Italia era addobbata con grossi drappi neri inneggianti al Duce e per le strade giovani studenti, rigorosamente inquadrati in divisa come prescritto dal partito, giravano a passo militare con i loro pantaloni corti neri, stivaloni, camicia nera, cinturone e spallaccio, berretto a fiocco. Tutto rigidamente disciplinato e programmato in una maniacale visione pagana di vago sapore nazista. Le bandiere a festa sventolavano sulle finestre, lumi accesi sui cornicioni delle case e sui davanzali, fuochi propiziatori sui colli e ghirlande luminescenti su palazzi e monumenti. Un quadro creato ad arte per evidenziare il clima d'attesa per il grande evento: Mussolini aveva scelto Trieste e la sua Piazza dell'Unità per un grande annuncio.
A differenza di tutti gli altri, mio padre provò la sinistra sensazione che tutto questo avrebbe portato solo disgrazie e lutti. Si fermò all'edicola di piazza Tommaseo per comprare il Piccolo. “Trieste è con Te. La sua anima è temprata alla Storia. Crede nel Tuo pensiero che diventa azione, nella Tua parola...”. Così titolava quella mattina il giornale in prima pagina, accanto a una enorme immagine di Mussolini in divisa bianca da marina, mentre scendeva dal cacciatorpediniere “Camicia nera”, attorniato da gerarchi, autorità e gente osannante.
Appallottolò il quotidiano e lo buttò nel cestino. La tristezza di prima era diventata rabbia. Non si fermò al solito bar per il suo “nero” preferito. Non era dell'umore giusto. E poi, i locali erano già affollati da gente esagitata. Continuò la sua strada verso il porto.
Già da tempo sulla città si stringevano le maglie di una sorveglianza sempre più minuziosa e accanita da parte degli organismi dello Stato autoritario: dal censimento segreto degli ebrei condotto dagli Uffici dell'anagrafe secondo un'interpretazione molto estensiva delle disposizioni di legge in relazione all'appartenenza alla “razza ebraica”; alla schedatura, avviata con gli inizi delle ostilità dalla locale Camera di Commercio, dei beni da sottoporre a sequestro dei numerosissimi cittadini stranieri, ora “sudditi di stati nemici”, residenti a Trieste. Insieme agli ebrei, segnalati dalla cittadinanza, venne elaborato un lungo elenco di polacchi, di greci, jugoslavi e di italiani con amicizie “impure”, partendo dai nomi più noti e dalle aziende più floride fino alle botteghe dei rigattieri e ai banchi delle venditrici di candele sui sagrati delle chiese.
Come s'è potuto arrivare a tanto?, si chiese, guardando la folla in delirio diretta in Piazza.
Lungo le Rive venne quasi travolto dalla fiumana di gente euforica che correva. Varcò la soglia degli uffici della CecotLines e rimase sorpreso dall'inusuale silenzio.
- Buongiorno Fausto, come mai questa calma? - chiese al ragioniere che gli veniva incontro.
- Buongiorno dottore, ma come, non lo sa? -
- Cosa dovrei sapere? -
- C'è il nostro Duce in Piazza dell'Unità - .
- Il nostro Duce? Un politicante fanfarone, ecco cos'è - .
- Non dica così, dottore. Mussolini si è alleato con l'uomo più forte del mondo e questo ci porterà più lavoro e prestigio nel mondo - .
- Siete diventati tutti matti. Questo vi ha portato e Dio solo sa cos'altro. Comunque... dimmi, è salpata la nostra nave da Venezia? -
- No, dottore. Salperà domattina - .
- Come mai? -
- Ordini dal portavoce del Duce: interdizione alla navigazione per il passaggio del nostro cacciatorpediniere “Camicia nera” - .
- È così che ci porterà più lavoro?... Quando è previsto l'arrivo della Marco Polo? -
- Anche quella per domani. È stata fermata nel porto di Brindisi per lo stesso motivo - .
- Basta! Non voglio sentire altro. Per qualunque cosa mi troverai all'assicurazione - .
Uscì sbattendo la porta e si diresse in Piazza, costeggiando le Rive. La rabbia che aveva in corpo aveva fatto vacillare il suo signorile aplomb. Più di una volta era stato sul punto di fermare quella gente e rimandarla al lavoro, anche con qualche calcio nel sedere. La fiumana di gente che correva all'infausto evento si era ingigantita. Gente festante d'ogni ceto sociale e culturale avanzava a frotte travolgendo, se fosse stato il caso, qualunque cosa o persona che non si fosse scostata al loro passaggio. In Piazza Unità era stato allestito un enorme palco sotto il balconcino del municipio, in cui campeggiava la scritta DUX, e dal quale avrebbe arringato la folla oceanica e osannante l'emanazione delle famigerate leggi razziali antiebraiche. A stento riuscì a guadagnare il portone della Assicurazione. Tutti i dipendenti erano affacciati dal balcone per ascoltare Mussolini. Trattenne la rabbia e senza dire una parola si rinchiuse nel suo ufficio. Ma, nonostante le finestre chiuse, suo malgrado, non poté che ascoltare.
“Triestine, triestini, l'ebraismo mondiale è stato, durante sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile del fascismo. Tuttavia gli ebrei di cittadinanza italiana, i quali abbiano indiscutibili meriti militari o civili nei confronti dell'Italia e del regime, troveranno comprensione e giustizia; quanto agli altri si seguirà nei loro confronti una politica di separazione. Alla fine il mondo dovrà forse stupirsi più della nostra generosità che del nostro rigore. A meno che i semiti d'oltre frontiera e quelli dell'interno, e soprattutto i loro improvvisati e inattesi amici che da troppe cattedre li difendono, non ci costringano a mutare radicalmente cammino”.
Esplosioni d'ovazione rimbombavano dalla Piazza, i cui echi giungevano, sicuramente, fino a Barcola. Era già l'Italia dell'Asse Roma - Berlino, in un'atmosfera resa inquieta dai venti di guerra, delle ricercate affinità tra fascismo e nazionalsocialismo.
“... Coloro i quali fanno credere che noi abbiamo obbedito a imitazioni, o peggio, a suggestioni, sono poveri deficienti ai quali non sappiamo se dirigere il nostro disprezzo o la nostra pietà. Il problema razziale non è scoppiato all'improvviso come pensano coloro i quali sono abituati ai bruschi risvegli, perché sono abituati ai lunghi sonni poltroni. È in relazione con la conquista dell'Impero; poiché la storia c'insegna che gli imperi si conquistano con le armi ma si tengono con il prestigio. E per il prestigio occorre una chiara, severa coscienza razziale, che stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità. Il problema ebraico non è dunque che un aspetto di questo fenomeno”.
Tutto era stato preceduto e accompagnato da opere di propaganda e da sottili forme di seduzione che gli ambienti del consolato germanico a Trieste svolsero a partire dai primi mesi del 1938, soprattutto nei confronti delle fasce medio alte della borghesia locale: spettacoli musicali e iniziative culturali, tè danzanti e intrattenimenti mondani creavano un'atmosfera d'intesa, luoghi d'incontro raffinati ed esclusivi in cui molte nostalgie del passato annebbiarono la percezione di una realtà molto diversa.

Salvo Bilardello

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