Un piccolo favore. Il punto era proprio quello, un favore nato da un capriccio molto costoso. Un lusso che aveva deciso di concedersi, d'altronde in quale altro modo dare un senso alla propria vita?
Aveva impiegato quasi un'ora per raggiungere piazza Risorgimento dalla Camilluccia, usare i mezzi a Roma diventava ogni giorno di più un atto di coraggio. Adesso, seduto sul muretto nell'angolo meno affollato della piazza, stava studiando sul cellulare le foto che aveva scattato poco prima nel convento. Un quadro raffigurante S.Giovanna d'Arco di qualità talmente scarsa da rendere difficile capire se la santa fosse avvolta dalle fiamme o circondata da un paesaggio incompiuto. Alzò distrattamente lo sguardo verso i palazzi apostolici che troneggiavano sulla piazza splendenti nel sole di fine agosto, avevano sempre avuto una grande forza d'attrazione su di lui, non per via del patrimonio storico artistico che rappresentavano, ma per ciò che custodivano. Erano un gigantesco scrigno da scassinare, già perché, nonostante la giovane età, era un maestro nell'antica arte del furto. In genere non lavorava su commissione, era uno spirito libero, però in quel caso particolare non aveva potuto rifiutare, tanto più che si trattava di un lavoretto di poco conto, un piccolo favore per l'appunto. Quella stessa mattina infatti insieme al suo socio Fabio Persicotti, un affascinante e solare architetto cinquantenne, era stato a concludere le ultime formalità per l'acquisto dell'ex convento di S.Nicola a Scandriglia. Un costoso capriccio che dava la misura di quanto avesse guadagnato negli ultimi anni. In quell'occasione, mentre l'amico architetto si aggirava nel complesso monastico in rovina scattando centinaia di foto per gettare giù una prima bozza per il recupero, Padre Ugo, il superiore dei Francescani ai quali il convento era appartenuto, lo aveva preso in disparte e gli aveva chiesto il favore di aiutare delle suore che si trovavano in difficoltà. La richiesta era stata fatta in un momento strategico e non aveva potuto rifiutare, voleva troppo quel vecchio rudere. Così aveva accettato, avrebbe fatto sparire la tela per conto delle stesse suore in modo che non fossero costrette a cederla ad un potente arcivescovo, al quale non potevano opporre un rifiuto. Sarebbe stato un gioco da ragazzi, in cambio le suore lo avrebbero ricordato nelle loro preghiere, lusinghiero... per quanto inutile. Diede un'occhiata al suo orologio IWC Pilots Le Petit Prince, per un po' avrebbe potuto concedersi meno lussi, avendo speso quasi tutto per comprare il vecchio convento abbandonato. Il covo che aveva sempre sognato. - Ciao Capo, che roba è? - . Senza rispondere mostrò alla ragazza lo schermo del cellulare, lei lo prese con le unghie smaltate di nero e lo osservò attentamente. Era di bassa statura un po' tondina con i capelli blu raccolti in una complessa quanto strana acconciatura e, nonostante il caldo, portava calze scure e anfibi neri. - Dobbiamo prendere sto cesso? - . - Sì - . La ragazza sbuffò e mise il muso per farlo sentire in colpa. - Questo non vale nemmeno la cornice. Però a Scandriglia ce siete andati senza di me - . - Sai che preferisco trattare alcuni affari da solo - . - E come è andata? - . - Bene, è nostro - . - E vai! Quando vuoi che lo facciamo capo? - . - Stanotte, prima ce lo togliamo e meglio è. Nella nota ci sono le informazioni - . - Bene prendo un paio di ragazzi e ci andiamo - . - Non prendere tossici, sai che non mi piacciono - . La ragazza sbuffò di nuovo. - Un'ultima cosa Lory... stai in guardia, c'è qualcosa che non mi torna - . - Cosa? - . - Non lo so, è una sensazione nient'altro - . - Ok, se beccamo, ciao - . La guardò andare via verso la strada dove un amico, più trasandato di lei, attendeva col motore del motorino acceso. Chi avrebbe mai detto che erano studenti di musica, anche piuttosto bravi. Amedeo magro e allampanato vestito da straccione era un virtuoso del violino. Lei sarebbe stata altrettanto brava se non si fosse lasciata distrarre da mille altre cose. In quanto a lui, era diverso, lo chiamavano La Volpe, in un certo senso era figlio d'arte, discendeva da un'antica famiglia di scacchisti e falsari, c'era chi diceva che vantavano Cagliostro tra i propri clienti, ma quelle, forse, non erano altro che leggende. Alzò lo sguardo verso la statua del carabiniere a cavallo, non erano mai riusciti a prenderlo, aveva sempre nascosto con grande cura le proprie tracce, ciò nonostante sapeva che ci sarebbe stata una prima volta. Prese il telefono e chiamò Ruggero, ingegnere elettronico, un altro dei suoi complici, quando avrebbe avuto il quadro tra le mani gli sarebbero servite tecnologie d'avanguardia per capire cosa ci fosse di così interessante in quella crosta da scomodare un arcivescovo e gettare nel panico le suorine. Come tutte le volpi, anche lui era un animaletto curioso. - Ciao, questa volta facciamo concorrenza al Vaticano, soffiamo la preda sotto il naso all'arcivescovo Severtigni... - Sulla strada di casa si fermò per un aperitivo con gli amici che si protrasse fino a tardi. Negli ultimi tempi aveva preso l'abitudine di non fare più di persona i lavoretti più semplici, preferiva mandare qualcun altro, non per presunzione, soltanto non li trovava più eccitanti come una volta. L'unica precauzione che prendeva in tali circostanze era di non portarsi ragazze a casa per essere libero di comunicare con la sua banda. Era sulla soglia di casa in via dei Barbieri, dietro al Teatro di Torre Argentina, quando lo raggiunse il messaggio . “Lezione rimandata”. Sorrise soddisfatto, il colpo era riuscito. Inserì la chiave nella vecchia porta scrostata ed entrò digitando la risposta mentre saliva le strette scalette che portavano all'attico. “Ok allora facciamo domani a casa mia”. Tra hotel di lusso, gallerie d'arte e lounge bar, la palazzina in cui viveva era l'unica malridotta, ma gli piaceva proprio per questo, aveva una dimensione più intima. L'aspetto fatiscente però si limitava alla facciata poiché l'interno era di design, dominavano il bianco e le tinte chiare dei colori naturali che rendevano ancora più ampio il grande open space in fondo al quale, sopra al letto, spiccava una gigantografia di Lupin III con la cinquecento gialla, Jigen e Goemon. Il suo nome era Marco, Antonio, Maria Labiati ma preferiva farsi chiamare Antonio in modo da avere le stesse iniziali di Arsenio Lupin, il suo idolo. Gli piaceva molto che l'immagine del suo idolo fosse parzialmente nascosta dalla grande libreria bianca ricolma di testi antichi e fumetti odierni, l'antica sapienza e la moderna creatività. Soddisfatto si lasciò cadere sulla poltrona anatomica a riordinare i pensieri, come faceva tutte le sere davanti allo spettacolo dei tetti di Roma per metà nascosti dal buio della notte e metà illuminati dalle luci artificiali ambrate. Era stata una giornata proficua, aveva finalmente il covo che aveva sempre sognato. Da molto fantasticava su come l'avrebbe trasformato, sarebbe diventato la tana perfetta, isolato nei boschi, con più vie e sentieri d'accesso e in aggiunta con preziose gallerie segrete di fuga. L'amico architetto ne avrebbe fatto un elegante fortino imprendibile ed ecocompatibile, dotato di tutti i confort. La notte era calata su Roma rendendola ancora più bella, nell'attico fluivano le note di un dolce Adagio di Albinoni, ancora qualche minuto e sarebbe andato a dormire, voleva godersi la solitudine. Ultimamente gli piaceva sempre più stare solo. Negl'anni aveva esercitato con notevole successo, quella che lui definiva la sublime arte del corteggiamento, finché non aveva realizzato che la sua flemma e spontanea gentilezza unite a quel sottile alone oscuro che lo differenziava dal classico bravo ragazzo, agivano sul gentil sesso come una calamita. Col tempo si era fatto la nomea di ottimo amante, per cui adesso era lui a dovere dire sempre più spesso di no. Veronica la sua ultima fiamma, avvocato rampante col fisico da modella e capelli da Venere di Botticelli, gli aveva già mandato un paio di messaggi astiosi per non essersi fatto sentire, non aveva risposto, tanto prima o poi sarebbe venuta di persona a protestare e... sarebbe rimasta per la notte. Gli piacevano così: belle e sofisticate, d'altronde aveva in tutto uno stile di vita raffinato, convinto che l'eleganza sia ciò che da senso alla vita. Squillò il telefono, era Lory agitatissima. - Hanno... hanno... siamo al parcheggio... di Furio Camillo - e chiuse. - Merda! - si tolse rapidamente la giacca di lino pregiato, con un balzo aprì l'armadio, afferrò un giubbino di pelle nera, mentre lo indossava estrasse da sotto la poltrona una pistola l'infilò nella cintura e, preso il casco e le chiavi, uscì saltando i gradini a due a due. Fece di corsa le poche centinaia di metri che lo separavano dal garage, prese la Ducati Multistrada 950 e a costo di farsi fare tutte le multe di questo mondo corse verso Furio Camillo. Impiegò meno di dieci minuti per arrivare. La zona era desolata come sempre e poco illuminata o meglio: buia. Spense i fari e prese a girare per il grande parcheggio cercando guardingo i complici. Diede un paio di colpi d'acceleratore per richiamare l'attenzione dei suoi, ma non vide nulla se non alcune ombre muoversi in prossimità dell'ingresso al campo rom. Altri due colpi d'acceleratore e finalmente da dietro un furgoncino vide comparire una figura bassa e tondina accompagnata da una più lunga. Li raggiunse. - Che succede? - . Lory era molto scossa e l'amico Amedeo sembrava un fantasma. - Pescetto è morto - . - E chi è Pescetto? - . - Quello che ci ha aiutati - spiegò Amedeo. Lory fece un profondo respiro dicendo con voce tremante. - Quando tu ci hai detto di portarti il quadro domani, ci siamo resi conto che non avremmo avuto tempo, lui ha un esame e io ho le prove. Allora siamo tornati allo sfasciacarrozze dove avevamo lasciato il quadro e abbiamo trovato Pescetto morto ... Il quadro però era ancora al suo posto, lo abbiamo preso, è qui nel furgone - . - Morto ammazzato? - . - Non ne siamo sicuri - . - Avete un casco? - . - Sì - . - Dallo a lei. Andiamo a vedere - . Dopo il breve guizzo di luci dell'Appia Nuova, alberi scuri scivolarono veloci intorno a loro, pochi minuti dopo erano davanti ad uno sfasciacarrozze. Lory smontò ed andò ad aprire il cancello di lamiera quanto bastava per farlo passare. La Volpe fermò la moto vicino all'entrata sull'asfalto per non lasciare impronte di copertone. Davanti a loro si apriva un piccolo spiazzo circondato da un muro di carcasse di macchine accatastate le une sulle altre. Sulla destra spiccava un furgone bianco che sembrava evanescente alla fioca luce della luna e dei pochi lampioni posti lungo la strada e coperti dagli alberi. Vicino alla recinzione un prefabbricato fungeva da ufficio. - Fammi indovinare, era un tossico - disse La Volpe guardandosi intorno. Lory rispose con un gemito mentre si avvicinava a un cumulo di rottami ai piedi dei quali giaceva come un vecchio sacco Pescetto. - Abbiamo fatto il furto intorno alle nove usando il furgone del suo capo - indicò col capo un vecchio furgone bianco poco distante - Ti giuro non gli ho detto niente, non sa nemmeno il mio nome. So dove bazzica e quando mi serve lo vado a cercare. Lui non sapeva niente - le lacrime le scendevano lungo le guance. - E lo hai pagato, giusto? - . - Certo - . - Idiota, è andato subito a farsi e probabilmente anche a vantarsi dell'impresa. Così lo hanno beccato - . Si chinò e osservò il corpo del ragazzo alla luce di una piccola torcia elettrica, il volto era tumefatto, coperto di sangue e le pupille dilatate. Era stato brutalmente pestato. - Credi che lo abbiano ucciso perché non parlava? - Lory quasi non riusciva a parlare. - Probabilmente il poraccio era così fatto che non ha neanche capito cosa volessero da lui - disse guardandosi intorno - Gli è morto tra le mani, povero ragazzo... - . - Sto per sentirmi male... - . - Guai a te se adesso vomiti e spargi ovunque il tuo dna! Non è che voi due, fessi come siete, avete già vomitato qua in giro? - . La ragazza si limitò a negare col capo. - Bene, dove trovo della benzina? - . - Gli indicò alcune taniche accanto al prefabbricato. - Tu sai che giro c'è intorno agli sfasciacarrozze che gli freghi il furgone per fare il colpo? - . Lory non rispose, stava ferma con le braccia strette intorno allo stomaco. La Volpe aprì gli sportelli del furgone e vi versò la benzina, poi passò a gettarla su tutto il furgone. - Che fai? - . - Nascondo eventuali segni della vostra presenza, con quella marea di capelli che vi trovate in testa entrambi avrete lasciato ovunque le vostre tracce - . - Avevamo passamontagna e guanti, siamo professionisti. Non capisco che senso ha... è brutale - . - No, brutale è che tu e Amedeo non siete in grado di dimostrare di non essere stati voi ad ammazzare Pescetto - . - Sei matto? Cazzate, queste sono cazzate! - . La Volpe si trattenne dal mollarle un ceffone e si limitò a darle una spinta verso l'uscita mentre lanciava un accendino acceso sul furgone. Rimontarono in moto e si allontanarono in fretta, ben lieti di tornare verso il traffico e le luci dell'Appia Nuova, giunti al parcheggio trovarono Amedeo ad attenderli chiuso nel furgoncino sempre più cadaverico. - Aspetta - farfugliò Lory appena si fermarono, smontò a fatica dalla moto, fece un paio di passi e si chinò a rimettere. - Adesso che facciamo? - chiese Amedeo guardandolo angosciato. - Non sanno chi siamo, per cui ci facciamo un bel giro per essere sicuri di non essere seguiti e poi lo portiamo ai Tre Archi. E di quanto è successo stasera, voi non parlate con nessuno, sono stato chiaro? - . I due ragazzi si limitarono ad annuire e saliti in macchina lo seguirono. Fecero un lungo giro per essere certi di non essere stati pedinati e quasi un'ora dopo giunsero in Via dei Tre Archi, un angolo del centro di Roma decisamente buio, dove La Volpe aveva un magazzino. La Volpe aprì la porticina che dava accesso alle cantine sottostanti, attendendo che Amedeo prendesse il quadro dal furgone. - Mettilo sul tavolo, ci penseremo quando fa giorno - . Amedeo annuì e scomparve nelle cantine per riapparire poco dopo senza il quadro, si appoggiò al muro aspettando che la Volpe chiudesse i catenacci del portoncino. - Portala con te, non puoi lasciarla sola stanotte - si staccò dal muro e rimontò al furgoncino dopo avere abbracciato brevemente Lory. La Volpe finì di chiudere, si caricò Lory sulla moto e percorse il breve tragitto che lo separava da casa. Amedeo aveva avuto ragione, la ragazza era visibilmente scossa, tanto che giunti sotto casa si rifiutò di salire dicendo che doveva fare un giro. Vedendola in stato confusionale, senza tanti complimenti la spinse dentro il portone e poi su per le scale, mentre lei farfugliava qualcosa che non era riuscito a comprendere. In tutta onestà non aveva nemmeno ascoltato, era con i pensieri altrove, da qualche parte a Roma c'era qualcuno che aveva ucciso per quella crosta. Il colpo più stupido e insignificante che avesse fatto negli ultimi anni si era rivelato il più pericoloso. Per la prima volta aveva a che fare con un omicidio ed era uno dei suoi ad essere stato ucciso, che non fosse stato direttamente lui ad assumerlo cambiava poco: era uno dei suoi. - Ho bisogno di qualcosa... così non posso stare - strillò Lory appena entrati in casa. La Volpe chiuse la porta, non aveva nessuna intenzione di lasciarla andare in giro da sola in quelle condizioni, non a quell'ora di notte. - Sto male, mi devo calmare! Ho bisogno di qualcosa! Cazzo lo vuoi capire? - . - Togliti gli scarponi - . Lo stato di confusione era tale che Lory obbedì senza nemmeno sapere perché lo stesse facendo, intanto continuava ad inveire. - Certo il signorino nun c'ha di ‘sti problemi. Semo noi poracci de merda a farci, ‘ntanto Pescetto more, avessi detto qualcosa... cancelliamo le prove! Lui è morto! ... che cazzo d'omo sei? - . Non le rispose, la prese per un braccio e la trascinò nell'elegante bagno, aprì la doccia e la spinse dentro tenendola ferma sotto l'acqua fredda finché non smise di agitarsi, scivolò in ginocchio e cominciò a tremare di freddo tra le lacrime e allora le spiegò: - Io non mi drogo perché non voglio perdere la mia mente per una cazzata alla moda. Non mi gioco cervello e psiche per arricchire un cazzo di trafficante che vuole godersi la vita alla facciaccia mia e non lo devi fare neanche tu. Lo capisci? - . Lory aveva iniziato a piangere. - Adesso va meglio? - . Annuì. La Volpe si alzò dicendo: - Fatti una doccia, vedo se trovo qualcosa che ti puoi mettere - . Quando tornò in soggiorno avvolta nell'accappatoio, Lory trovò il divano letto già aperto. - Vuoi una grappa? - . La prese senza parlare e si rannicchiò nell'angolo del divano letto, aveva smesso di tremare e sembrava più calma. - Cerca di dormire, tra poco sarà giorno - . - Una buona scopata aiuta anche a rilassarsi - . La Volpe si limitò a sorridere. - C'hai provato. Notte - . Andò a sdraiarsi a letto senza svestirsi con la pistola accanto al cuscino. Non avrebbe dormito, ripercorse mentalmente la sequenza di eventi che aveva portato a quella tragedia, partendo da come quella strana storia era cominciata. Si rivide in un lungo corridoio bianco, lucidato a specchio che odorava di candeggina e incenso, illuminato da una fastidiosa luce al neon, fermo davanti ad una tela di scarsa qualità, forse del Settecento, che in quell'ambiente stonava, così come era fuori luogo lui stesso. Giovane, ben vestito con giacca di lino blu che valeva più del quadro alla parete. Fin dall'inizio aveva avuto una sgradevole sensazione. Ricordava bene di aver sostato davanti al quadro senza sapere che dire alle due suore in abito bianco che lo guardavano attendendo con ansia un responso. - Allora? - gli avevano chiesto. - Sorprendente - non sapeva come definire altrimenti la crosta che aveva davanti. - È un quadro molto antico, pare che ci abbia messo mano più d'uno - suor Paola, la superiora dall'aspetto matronale e lo sguardo amorevolmente sveglio, in qualche modo sembrava comprendere i suoi dubbi. Aveva annuito. La tela raffigurava una S.Giovanna d'Arco mal riuscita che era stata più volte rimaneggiata, al punto da rendere poco leggibile la stessa figura della santa raffigurata in arme accanto ad una grande croce. - Qual è il problema? - . - L'arcivescovo Severtigni sta facendo pressione per averla - gli avevano spiegato con grande sincerità. - Averla o comprarla? - si era informato prendendo il cellulare per spegnere la suoneria. Non capiva perché non volessero cedere quella crosta. - Non fa differenza dato che non vogliamo dargliela - era sbottata la piccola e irrequieta suor Serafina. La superiora gli spiegò. - Vede, noi non è che siamo proprio sceme, ci rendiamo conto che questa tela non è il massimo della bellezza, con tutto il rispetto per S.Giovanna d'Arco, proprio per questo le pressioni dell'arcivescovo ci hanno, come dire, insospettite - . - Con tutto il rispetto non ci è mai piaciuto - aveva aggiunto suor Serafina con una smorfia. - Pensiamo che possa valere molto di più di quanto potrebbe sembrare - aveva ammesso la superiora, confessando che era il denaro a motivare il rifiuto. - Vi serve una perizia? - . - Una perizia non calmerebbe l'arcivescovo, preferiremmo che lei ci aiutasse a metterlo al sicuro, diciamo, ecco... - . Suor Paola cercava di usare tutta la delicatezza possibile nell'esprimersi. - Però una perizia potrebbe essere utile a fronteggiare le richieste dell'alto prelato... - . Suor Serafina aveva preso ad agitarsi, non poteva scavalcare la superiora rispondendo, ma si vedeva che faticava non poco a tacere. - Preferiremmo evitare controversie inutili e senza il quadro... si risolverebbe ogni cosa - . - Non penso abbiate difficoltà a nasconderlo, in cosa posso esservi d'aiuto io? - . - Lo devi rubare figliolo! - suor Serafina non aveva più resistito, con grande disappunto della superiora che le aveva dato una gomitata. Era seguito un attimo di imbarazzato silenzio durante il quale il cellulare aveva ripreso a vibrare. - Sappiamo che lei è un gran bravo ragazzo... così pulitino... e ci chiedevamo se in via del tutto eccezionale potesse risolvere il nostro piccolo problema - suor Serafina, aveva cercato di rimediare al passo falso, senza però riuscire ad astenersi dal chiedere con morbosa curiosità - È la fidanzatina? - . - No, mia madre. Sì, posso - . Poteva, perché nonostante la giovane età e ricercatezza nel vestire, lui era un ladro, uno dei migliori, almeno questo era ciò che gli piaceva credere. - Ma che bravo! Ha visto Madre che bel ragazzo, che sguardo intelligente. Si vede che è proprio bravo - ma la superiora non aveva gradito l'intromissione. - E dacce n' taglio! - rivolta a lui con un sorriso materno aveva ripreso - Siamo felici che sia venuto, adesso può anche rispondere a sua madre - . - Lo faccio dopo, non è niente d'urgente. Che sistema d'allarme avete? - . - La povertà - aveva risposto la superiora. - E ... a parte quella? - . - Una serratura che funziona male, però ci siamo dette che... forse aspettiamo un paio di giorni a cambiarla - . Incredibile, risparmiavano persino sulla sicurezza. - Video sorveglianza? - . - Ce l'hanno i vicini perché gli hanno rubato le macchine, ma se può essere d'aiuto... - suor Serafina sembrava volersi fare perdonare. - Preferisco che non facciate niente, se permettete... - aveva indicato l'uscita. La situazione era abbastanza imbarazzante, voleva andare via, si era diretto alla porta con le suore che gli correvano dietro come due cagnolini senza sapere che altro dire. Sulla porta, suor Paola aveva affrontato a mezza voce l'aspetto più scottante. - Per quanto riguarda il suo disturbo... - . - Non si preoccupi, è un favore che devo a padre Ugo. È a posto così. Buonasera Madre - . Già, un favore che era costato molto caro.
Una visita inattesa Finita la grappa Lory era caduta in un sonno profondo e quando si svegliò era già pieno giorno. La Volpe era appollaiato su uno sgabello poco distante e stava facendo colazione, doveva averle gettato qualcosa addosso per svegliarla, forse un cuscino. - Qui ci sono caffè e cornetti caldi. Dove lo trovi uno che la mattina dopo ti prepara la colazione senza nemmeno avere fatto sesso? - . - Ieri sera c'ho provato di nuovo? - . Le rispose con un sorriso. - Ci riuscirò mai? - . Ne avevano già parlato e la risposta era stata: no, non ci sarebbe riuscita. Lei intanto continuava ad insistere, non che fosse innamorata di lui, che certo aveva il suo fascino, ma, viste le tante amanti che aveva, il rifiuto le sembrava discriminatorio. - Mangia che la restauratrice è già arrivata - . - Non vengo, preferisco andare a casa a cambiarmi - . - Bene - disse alzandosi - Però tieni gli occhi aperti - . Percorse a passo veloce il tragitto che lo separava dal suo magazzino. Le strade erano come al solito invase da turisti che guardavano stupiti ogni particolare che lui conosceva a memoria, ciò nonostante Roma riusciva a stupirlo ancora, bella e impudica. Lo sguardo gli cadde sui sampietrini scombinati dal tempo e dal passaggio di troppi piedi, in quelle fessure che separavano gli uni dagli altri dove si accumulava ogni genere d'immondizia. Si chiese quanto sangue era colato in quei rivoli nel corso dei secoli tingendo la città più bella del mondo di rosso. D'altronde era nata dalla violenza, forse per questo i Romani amavano tingere le pareti delle loro case di rosso: era il loro stesso sangue? La loro nemesi? Arrivato al magazzino trovò Sara, la restauratrice, già sul posto intenta ad esaminare il quadro con una lente d'ingrandimento, accanto a lei Ruggero, pragmatico come sempre, stava chiacchierando del tempo. - Ciao - salutò, vedendolo scendere le scalette - Com'è che vi siete ridotti a trattare croste del genere? - . La restauratrice aveva la brutta abitudine di trattare gli altri dall'alto in basso, compreso lui che la pagava. Non si aspettava certo sottomissione dai suoi collaboratori, non era nel suo carattere, ma quel filo di saccente acidità di prima mattina lo infastidiva. - Pare che la crosta abbia un discreto valore non so ancora quale, per questo ti ho chiamata - . - Le do una bella pulita? Vedo cosa c'è sotto? - . - No, per il momento fammi un'indagine ricognitiva, voglio sapere tutto prima di decidere se asportare strati di pittura o meno - . - Va bene - sembrava poco convinta per cui le chiese. - Così a prima vista cosa ne pensi? - . - Beh, è molto scurito dalla fuliggine, deve essere stato esposto in una chiesa per lungo tempo. Ancora non lo posso dire con certezza ma mi sembra che sia un paesaggio in qualche modo incompiuto sul quale in un secondo tempo qualcuno ha dipinto questa S.Giovanna d'Arco - . - Il primo autore è meglio del secondo? - . - Sì, ma non più di tanto - . - Bene, allora io vado, ci sentiamo dopo - . Salutò Ruggero con una pacca sulla spalla ed uscì, aveva la giornata piena d'impegni.
Quella mattina Suor Paola aveva finito di sbrigare le faccende in vicariato prima del previsto e, non avendo ancora voglia di affrontare l'incognita dei mezzi pubblici romani per tornare in convento, aveva deciso di concedersi il piccolo lusso di una breve pausa ed era andata a sedersi nella navata centrale della Basilica di S.Giovanni in Laterano in silenziosa preghiera, assorta nella contemplazione della pace che regnava nella casa di Dio. Un giovane sacerdote la trasse dalle sue preghiere sedendosi accanto a lei. - Reverenda Madre - . Dopo un primo sguardo dubbioso, rimase sorpresa. - Volpe buongiorno, è tutto a posto? - . La Volpe storse la bocca. - Non del tutto, mi servirebbero altre informazioni - . - Certo, quali? - . - Qualsiasi cosa sappia su quel quadro, anche particolari che le potrebbero sembrare insignificanti. Come ne siete entrate in possesso, ad esempio? - . - Ci fu regalato poco dopo la fondazione dell'ordine. Non avevamo niente e così alcune sorelle ci regalarono parte degli arredi sacri di una delle loro chiese - . - E loro da dove lo avevano avuto? - . - A loro volta come donazione. Credo che originariamente fosse in possesso di un marchese. Quando ero una giovane novizia trascrissi gli atti per il nostro archivio - . - Non ricorda il nome del marchese? - . - Sì, sono andata a rileggere gli atti qualche settimana fa, prima di darle l'incarico. Era il marchese Gualtiero Silvano Maria della Roccella - . - Sa qualcos'altro sul primo proprietario? - . - Non doveva essere uno stinco di santo perché finì in prigione, però erano altri tempi, chi lo può dire, solo nostro Signore può giudicare - . La Volpe la guardò con sospetto, sembrava non crederle, sentendosi in difetto la superiora proseguì. - Forse ebbe anche qualche problema col Sant'Uffizio, mi ricordo che la madre superiora diceva che ci avevano regalato un quadro maledetto - . - E voi che faceste? - . - Non potevamo mica buttare via S.Giovanna d'Arco. Lo abbiamo fatto benedire e per precauzione lo abbiamo messo nel corridoio e non in chiesa. Era pur sempre un quadro antico e poi lei ha uno sguardo così dolce... - . - E le pressioni dell'arcivescovo quando sono cominciate di preciso? - . - Circa due mesi fa, è venuto a trovarci un paio di volte, cosa abbastanza inusuale, noi non siamo così importanti. Ci promise di aiutarci con i nostri problemi del noviziato poi uno dei suoi... aiutanti, non è proprio il suo segretario, ci ha fatto capire che monsignore era interessato al quadro. Noi abbiamo finto di non capire pensando che finisse lì, con nostro grande stupore invece sono arrivate le minacce. Da qui ci è venuto il pensiero che quel quadro doveva valere più di quanto avessimo pensato - . - E come si chiamava questo “non segretario” - . - È un americano, padre Oliver Granger, uno che sembra sapere tutto lui, ma alla fine non sa niente e, che rimanga tra noi, sembra avere studiato anche male - . - Pensavo che nelle segreterie degli arcivescovi lavorassero solo i migliori - . La madre superiora dovette ridere. - Una volta mio caro, una volta... - . - Un tipo losco mi pare di capire - . - Che Gesù mio mi perdoni, ma abbiamo avuto quest'impressione. Per farle comprendere meglio il nostro problema: noi abbiamo missioni in Africa e nelle favelas brasiliane, e purtroppo non siamo tra coloro che prendono montagne di soldi da tutti, siamo praticamente sole. Non lo dico per vantarmi, ma in alcune favelas ci siamo solo noi a cercare di aiutare quelle povere creature di Dio che nessuno vuole. Siamo state anche minacciate dalle autorità locali per le quali se quei bambini muoiono è meglio. Riesce ad immaginarselo? Potevamo noi, con tutte quelle bocche da sfamare, lasciare un'opera preziosa ad un arcivescovo che ha già tutto? - . - Capisco - . La madre superiora sembrò avere intuito qualcosa. - Avete avuto dei problemi? Va tutto bene? - . Le prese le vecchie mani e gliele strinse per evitare una reazione scomposta. - Un ragazzo è stato ucciso - . - Maria Vergine Santissima! - . - Madre le prometto che scoprirò cosa si nasconde dietro al quadro e la farò pagare a chi ha ucciso il mio uomo - . - Che Dio ci perdoni. Come si chiamava? - chiese con un filo di voce. - Pescetto - . - Il pesce, il simbolo di nostro Signore figlio di Dio ... - gli occhi erano pieni di lacrime. - Mi ascolti Madre, non ne parli con nessuno, non lo pensi nemmeno ad alta voce. Per voi il quadro è stato rubato e non sapete altro. Me lo prometta. Niente colpi di testa, pensi alle missioni - . La superiora annuì, sembrava sul punto di piangere. - Si è sacrificato per noi - . Non era proprio così, però in fondo Pescetto meritava qualcuno che lo amasse e assalisse il cielo in suo favore. - Un'ultima domanda Madre, quando avete denunciato il furto? - . - Il furto è stato scoperto alle nove, tra una cosa e l'altra si sono fatte le dieci finché due sorelle sono andate a fare la denuncia, sa la caserma è vicina. Ho mandato suor Fernanda e suor Immacolata, sono le due più giovani e sveglie che abbiamo. Volevo mandare qualcuno che fosse all'oscuro di tutto - . - Ha fatto benissimo. Pregate per noi Madre. Mi farò sentire appena ci saranno novità. In caso di bisogno mi contatti tramite Padre Ugo - le strinse ancora una volta le mani per farle coraggio ed andò via lasciandola in preghiera e in lacrime. Uscì dall'entrata laterale di S.Giovanni, controllò i messaggi del telefonino e si avviò verso il battistero, per quanto piccolo era uno dei monumenti romani che amava di più, perché entrando sembrava di tornare indietro al tempo in cui erano state erette le ultime vestigia dell'Impero Romano, era intatto come quando era stato eretto. Si guardò intorno ammirato e poi uscì dalla parte opposta che dava sullo spiazzo dell'Università Lateranense. Chi parlava di decadenza dell'impero evidentemente non conosceva quei monumenti. Le recenti ristrutturazioni dell'Università Lateranense, per quanto esteticamente gradevoli, non gli piacevano, erano troppo moderne per i suoi gusti, preferiva la polvere dei secoli. Si guardò intorno, ebbe un attimo di difficoltà nell'orientarsi nei corridoi, infine imboccò con decisione la direzione di un'aula. La lezione era in corso, scrutò gli studenti intenti a prendere appunti, con soddisfazione notò che alcune cose non cambiano mai, in prima fila sedevano i secchioni che ambivano ad essere bravi o quanto meno a farsi notare, seguiva una massa indistinta ed in fondo, o meglio in alto, si trovavano lavativi e criminali o per dirla tutta: i geni. In penultima fila individuò un frate con i capelli biondi tagliati cortissimi che, nonostante il saio francescano, più che un religioso aveva l'aria di un rapper, era intento a prendere appunti e sembrò non vederlo. Lo raggiunse osservando divertito. - Buongiorno Bernardo, è una strana sensazione vederti scrivere a mano - . - Se ci fossero ancora gli scriptoria, sarei diventato un amanuense - . - Non credo proprio, già non ti basta il mondo materiale e scappi in quello virtuale, uno scrittorio ti sarebbe andato decisamente stretto - . L'altro lo squadrò arcigno. - Ti dovevi mettere proprio una talare? - . - Mi slancia - divenne serio ed a bassa voce spiegò - Ho bisogno di WildCracken - . - Non pronunciare quel nome - . - Uno dei miei è stato ucciso - . Gli occhi del frate divennero enormi. - Vergine Santissima! - . - Torturato a morte per una cosa che non sapeva nemmeno - . - Ti sei spinto troppo oltre - disse in un sussurro. - No assolutamente, era una cosa semplice - abbassò di nuovo la voce - Non era nemmeno un furto, però penso di avere messo senza volere il piede in un nido di vipere - . - Ed io, come posso esserti utile? - . La Volpe gli prese il quadernone degli appunti e scrisse sopra due nomi: mons. Severtigni, don Granger. Frate Bernardo storse il nasino. - Brutta gente - . - Sai chi sono? - . Annuì, ma con i pensieri era lontano. - Non sei l'unico a voler sapere cosa fanno - . - Puoi farmi sapere qualcosa di più? - . Annuì di nuovo specificando: - Domani - . - Grazie - lo salutò con una pacca sulle spalle. Assunse di nuovo l'aria compita da bravo sacerdote e, badando di non inciampare sulla talare, lasciò l'università. Prima di tornare dai suoi complici doveva passare a Trastevere dalla madre, era l'unico modo per farla smettere di telefonare e mandare messaggini.
***
Nell'aula universitaria invece frate Bernardo aveva smesso di prendere appunti, batteva lentamente la penna sulla carta, stava contando il tempo che La Volpe avrebbe impiegato per andarsene. Aveva più volte cronometrato quanto si impiega dalle aule al cancello, cinque minuti, compresa una breve chiacchierata con un conoscente, poiché in quanto frati bisogna essere gentili e socievoli. Trascorso il tempo afferrò i suoi appunti, li gettò nella borsa di tela e corse fuori. Non si fermò a salutare nessuno, non prese nemmeno i mezzi, aspettarli quando si ha fretta e si è nervosi è qualcosa di simile alla tortura della goccia. Esattamente ventitré minuti dopo stava salendo due gradini alla volta le scale imbiancate di un vicino convento. Entrò con passo affrettato in una stretta cappella bianca dove, davanti all'altare illuminato da una piccola finestra barocca, era inginocchiato in preghiera un monaco in abito bianco. - Hanno ucciso! - .
Nicoletta Latteri
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