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Autore: Domenico Peloso
Le nostre pagine
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Le nostre pagine
Ci vorrebbe un'amico.
Correva l'anno... siamo a cavallo tra fine anni ‘80 e inizi anni ‘90 nella periferia di un piccolo paese, Villa Cortese, in provincia di Milano,nelle cosiddette case popolari, dove tutti i bambini sono in strada sperando di diventare i nuovi Maradona o Van Basten. I ragazzi più grandi passano il tempo a cercare di rimorchiare le ragazze del muretto, sperando di non incappare in un paio di ceffoni di qualche padre geloso, mentre le ragazze spettegolano tutto il giorno nell'attesa che un principe azzurro le porti via, magari in un castello fatato, chi lo sa, ma l'importante è che sia biondo, alto, inglese, sguardo intenso, insomma tutte sognavano di sposare Simon Le Bon!!
In tutto questo trambusto ci sono io!
Ero quel tipo di ragazzino introverso che non amava molto socializzare, che adorava le giornate di pioggia, la musica, un tipo solitario, talmente tanto che non aveva amici. Ero un vero e proprio sognatore, volavo sempre con la fantasia. Ogni momento era buono per le mie “pippe mentali” e ormai avevo perso il conto delle volte che venivo beccato a fissare il cielo. Ebbene sì, eccomi qua, scaraventato in questa realtà come un pesce fuor d'acqua o come un asso di bastoni quando la briscola è coppe, un ragazzino magrissimo, dai grandi occhi verdi, i capelli nero carbone schiacciati a lato con la riga in mezzo, e “un piccolo cornino” come ciuffo posteriore, avevo lentiggini da vendere, insomma ero il sosia di Alfa Alfa delle piccole canaglie!
Mi sentivo brutto, scontroso, a tratti acido, simpatico come un intervento di Vittorio Sgarbi in TV.
Mi rifugiavo sempre nella musica, guardavo tutto il giorno il canale Videomusic, mi divertivo a immaginare di essere il protagonista dei video che guardavo: un giorno ero un ricco rapper con una mega piscina, mega impianto stereo nella supercar, mega villa, party come se non ci fosse un domani e soprattutto ero circondato da delle super gnocche; un altro giorno ero un chitarrista rock dai lunghi capelli che facevo “ciondolare” ogni volta che sfiammavo la mia chitarra! Inutile dire che da buon rocker avevo una vita spericolata e distruggevo tutte le stanze degli alberghi dove alloggiavo durante i miei tour (!), o, perché no, un cantante che soffriva le pene d'amore perché la sua ipotetica ragazza lo aveva lasciato per un ricco, con mega villa e mega piscina (ogni riferimento a qualsiasi rapper immaginario è puramente casuale) che vagava per le strade struggente di dolore, stile neo-melodico Napoletano!
Ormai aveva preso parte del mio corpo il walkman, ascoltavo le cassette fino a consumare il nastro, che puntualmente mandavo indietro con la biro, per poi darci dentro con la radio, ero affascinato dai deejay, dalle loro selezioni musicali, dalla voglia di far ballare i propri ascoltatori. Inutile dire che sognavo di essere un mega deejay che riempiva le discoteche del mondo facendo saltare tutti con la sua musica pazzesca! Fantasia?? Da vendere!! Ma la vera pippa tra le mie pippe mentali era quella di far parte una boyband!! I Rem, gli U2, i Queen. Nulla!! A differenza di tutti i maschietti che li odiavano io li vedevo come esempio, sì, perché mi sembravano potenti per via del loro impatto con le fans che puntualmente a ogni concerto addirittura svenivano per loro: gli lanciavano reggiseni come se piovesse e avrebbero fatto carte false anche solo per un bacio. I componenti delle band avevano addominali da vendere, il gel ai capelli, insomma anche se difficilmente li ho visti azzeccare una nota volevo essere uno di
Mi sentivo elettrizzato, un energia nuova attraversava la mia mente, ero al settimo cielo!! Ma tornai subito sulla terra perché - piccolo particolare - per creare una boyband ci volevano degli amici!
Gli unici che avevo erano il mio gatto (Fifí) un gatto talmente diffidente che spesso mi guardava come per dire: che cazzo vuoi! E la mia tartaruga (ninja) Raffaello, regalata da mamma al mio compleanno, anche se volevo Michelangelo, ma non diteglielo!
Insomma ero magro, introverso, brutto, acido, senza amici, avevo tutte le carte in regola per essere, oggi si direbbe, Nerd (ma ai tempi certi inglesismi non esistevano), in poche parole ero uno sfigato! In più - ciliegina sulla torta - per i bulletti del palazzo (gli sfigati snobbati dalle ragazze del muretto) ero preda facile, vuoi per la mia stazza, non proprio da palestrato, vuoi per il mio carattere così chiuso, ma soprattutto per il mio cognome: Peloso!!! Vi lascio immaginare quante ne ho sentite!
- Peloso oggi non esce perché non si è rasato! -
- un pelo per terra, ahhh, sará sicuramente di Peloso! -
- già adolescente e giá Peloso! -
...Ora se volete continuate voi...Per loro prendermi in giro era una ghiotta occasione come trovare una monetina di fronte al proprio videogame alla fine del penultimo schema!...Offeso? No! Ero troppo occupato a pensare alla mia boyband!! Immaginavo come poteva essere, quanti, chi, il più bello, il più palestrato, il più folle. E se cercassi Simon Le Bon? - Magari – pensavo - per seguire il mio progetto di certo lascia i Duran Duran... - fin quando passeggiando qua e là, travolto dai miei dubbi incontrai lui, detto il “Cicciobomba”, talmente grasso che se girava su se stesso perdeva mezza giornata! Denti Cariati, zozzo, più grezzo di Tomas Milian ne “Er Monnezza”, indossava un bomber grigio con la spilla all'altezza del braccio dei Metallica, pantaloni della tuta blu e mocassini marroni (peccava un po' di stile ma si poteva migliorare). Un altro indumento che faceva parte di lui? Le barrette di cioccolato! Era di gran lunga più sfigato di me, era perfetto come primo amico, lo adescai peggio di un truffatore in autogrill al gioco delle tre carte (zio Giuseppe ci cascava sempre), parlammo subito di quanto erano sfigati i ragazzi del palazzo e di quanto fossero patetici il loro tentativi di rimorchio, di quanto fossero belle le giornate di pioggia e di quanto fossero buone le barrette di cioccolata! Diventammo subito amici!!! Incredibile, avevo trovato il primo componente della mia boyband, sicuramente peccava di addominali e stile! Simon Le Bon non credo che lo avrebbe accettato, ma insomma spesso la realtà è ben diversa dalla fantasia!
Cicciobomba aveva con sé tanti soldi, non gli mancavano mai, li spendeva tutti in barrette di cioccolata (difficile a crederci vero?) patatine, panini, Coca Cola e ogni sorta di schifezze. Era l'idolo di tutti i commercianti tra cui il macellaio del paese (sarà un caso?), tutti lo salutavano, scherzando con lui, anche una battuta al volo mentre giravamo per le vie del paese a bordo della mia super Graziella. Quello che pedalava ovviamente ero io (avevo ormai i quadricipiti di un calciatore!) Cicciobomba era per me, il cavallo di Troia della mia vita sociale!
Giorno dopo giorno entrai anch'io nelle grazie dei commercianti del paese, specie del macellaio che - udite udite - ci offrì un lavoro! Volantinaggio... Aveva puntato su di noi, il nostro entusiasmo, la nostra voglia di crescere e di fare! Ci portò nel retrobottega. Io mi sentivo potente, realizzato non vedevo l'ora di tornare al palazzo per sentirmi grande!
Ci diede un malloppone di volantini, erano infiniti, lì mi resi conto che non era proprio una scampagnata, cazzo, ma dovevamo davvero lavorare! Dovevamo andare casa per casa, senza saltarne una, avevamo il compito di lasciarli in ogni buca delle lettere, Cicciobomba mi guardò con aria furba che mi rasserenò e pensai che avesse qualche diabolico piano in mente...Infatti era così, decidemmo di organizzare una piccola riunione interna prima di iniziare le consegne e Cicciobomba mi svelò ciò che aveva in mente:
- Dome, se li consegniamo tutti come minimo stiamo in ballo una settimana. Ascolta me, andiamo nei boschi e bruciamo tutto! -
Io, un po' imbarazzato, mi sentivo tra l'incudine e il martello, non volevo deludere Cicciobomba, ma nemmeno tradire la fiducia del macellaio, poi mi salì un brivido, mi sentivo come se fossimo in una puntata di Lupin terzo. Un senso di delinquenza s'impossessò di me e accettai! Così siamo corsi nel bosco e abbiamo dato fuoco ai volantini. Mentre bruciavano, io e Cicciobomba ci guardavamo con una grossa intesa, sogghignando diabolicamente.
Tornai a casa, mi sentivo vivo, quella giornata piena di emozioni mi aveva fatto dimenticare il walkman, Fifí (che come sempre mi guardava male) e Raffaello (forse aveva capito che volevo Michelangelo!). Andai a dormire elettrizzato. Chissà quali altre avventure attendevano me e Cicciobomba! Forse, più che una boyband, dovevo unire una banda di delinquenti? Sorridevo sotto le coperte, dicendo tra me e me: - dai Dome, dormi che domani c'è scuola! -
Dopo qualche giorno, come da accordi, tornammo dal macellaio che ci aspettava fuori dal negozio
- eccoli qui i miei addetti al volantinaggio, allora tutto bene? -
Cicciobomba: - ma certo! Tutto a posto, lavoro svolto alla grande, quando ci paghi?? -
- Oh, subito!! -
Ci portò nel retrobottega dove ci attendevano le nostri madri (piuttosto incazzate), sì, perché in giro non c'era nessun volantino e in paese si parlava di un piccolo incendio nei boschi. Tra le ceneri erano stati ritrovati pezzi di volantini. Che fossero quelli del macellaio?? (pensai subito all'ispettore Zenigata). Il macellaio, con aria contrariata, ci fece uscire, a nulla servivano le scuse delle nostre madri che ci spingevano tirandoci le orecchie. Vedevo mia mamma imbarazzata, arrabbiata e stupita dal mio comportamento, pensai al mega cazziatone che mi attendeva a casa... e appena lo veniva a sapere papà! Poi guardai Cicciobomba, non ci eravamo tolti quel sogghigno nonostante lo schiaffone che gli diede sua madre. La mia? Lei era più indiscreta, mi lanciava direttamente le ciabatte!
Insomma era autunno (stagione di pioggia), il cielo era sempre grigio come piaceva a me. Cicciobomba, pessimo esempio di amico, i giri in bici, le giornate a parlare male dei bulli, io e lui, ci sentivamo il mondo in mano! Mai come in quel periodo, mi sentivo sempre più vivo! Ma dovevamo temporaneamente dividerci: le nostre madri ci misero in castigo!
Iniziarono così i domiciliari. Vi presento i miei compagni di cella:
- Mamma Rosetta, origini Calabresi, di Vallefiorita, in provincia di Catanzaro. Mamma era molto apprensiva si preoccupava sempre di farmi mangiare (tipico di una madre calabrese). Ecco le parole che più mi diceva durante il giorno:
- Mangia!! Non vedi che sí magru?! Mangia e mangia!!!
Non amava molto il mio essere introverso, spesso mi faceva discorsi sull'amicizia, mi diceva di cercare degli amici, una compagnia, uscire più spesso, a volte mi obbligava a uscire un po' di più come faceva con il mangiare! Adoravo mamma, mi affascinava la sua positività, mi piaceva come parlava con le persone, i suoi sorrisi, la vedevo forte e con lei mi sentivo forte anch'io...ma era arrabbiata con me e potevo anche mangiare quanto voleva, rimaneva delusa. Attenersi al castigo era l'unica via per riconquistare la sua fiducia .
- Papá Antonio, originario della Basilicata. Il paese in cui era nato si chiamava Senise, in provincia di Potenza. Mio padre era cresciuto tra le campagne lucane con i suoi fratelli,che essendo più grandi di lui spesso erano più dei papà, tra cui zio Giuseppe. Papá mi raccontava che quando lui combinava qualcosa, zio Giuseppe lo guardava malissimo, ma con uno sguardo così intenso e rabbioso che gli si gelava il sangue!
Come non capirlo, del resto, a sua volta, era lo stesso sguardo che faceva a me quando io combinavo qualcosa! Non vi dico l'occhiataccia quando venne a sapere del Macellaio, non mi parló per più di un mese! Papà lavorava in fabbrica tutto il giorno e quando poteva lavorava con i muratori, si preoccupava sempre di non farci mancare nulla, lo vedevo poco e quando cenavamo insieme la sera era stanco. Guardavo sempre le sue mani, piccole, ma grosse, piene di tagli, segnate dal lavoro, da quelle capivo le fatiche che affrontava tutti i giorni. Per passare un po' di tempo con lui mi trasformavo in un ultras del Milan perché non si perdeva nessuna partita della squadra, e così mi mettevo da parte a lui, sperando che il nostro idolo Pietro Paolo Virdis la buttasse dentro e per me era una scusa per abbracciarlo! Ma avevo deluso anche lui, insomma dovevo recuperare !!
Chi se la rideva erano loro, le mie sorelle Isabella e Antonella, erano tra le ragazze del muretto, litigavano sempre per i vestiti, per il telefono, e su chi dovesse ascoltare lo stereo! Spesso mamma e papà dovevano dividerle. In più io, quando erano tranquille, facevo sempre un sacco di dispetti e più erano esasperate e più non mi fermavo! Insomma era sempre una guerra!
Eravamo una famiglia umile, venuta dal Sud, il nostro ambiente era piccolo: io, le mie sorelle, papà, mamma, tutti insieme in quell'appartamentino nelle popolari, eravamo una squadra e ci amavamo tutti!
Dei miei domiciliari ricordo che non mi pesava tanto stare a casa, ma la sveglia del mattino! Era lui: il cantante “Mango” che mia madre venerava come un Dio, specialmente la hit “Amore per te” che inizia con un forte assolo di chitarra e puntualmente mamma sparava a tutto volume per proclamare il momento pulizie. Io provavo a girarmi e rigirarmi nel letto, tentando una timida resistenza, ma alla fine arrivavano le mie sorelle che come colpo di grazia alzavano di botto la tapparella dicendomi
- Scendi giù dal letto! Dai che dobbiamo pulire! -
Mi alzavo contrariato e - tempo di fare colazione - le sorelle mi appioppavano il mocio. Insomma, va bene tutto, ma Mango no!!Che fosse la mia vera punizione? Fatto sta che, giorno dopo giorno, la mancanza di Cicciobomba iniziava a farsi sentire!!
Arrivò il giorno della mia scarcerazione, come un detenuto che non vede l'ora di riabbracciare i suoi cari non vedevo l'ora di farlo con Cicciobomba! Lui abitava nella palazzina di fronte alla mia. Al citofono rispose che non voleva uscire. Pensai se fosse colpa mia, se avessi fatto qualcosa di male, insomma il nostro debito con la giustizia lo avevamo pagato!
Finché arrivò il giorno che lui venne da me, al citofono chiese a mia madre se potessi uscire, lei dopo una brutta occhiata mi disse
- c'è u Cumpare tuo, mi raccomando! -
Felice come una teen a un concerto della sua boyband preferita, corsi da Cicciobomba, chissà che futuro ci attendeva, se fossimo rimasti dei comuni ragazzini o dei futuri delinquenti, se avessimo la stoffa per essere una boyband o la banda di Lupin terzo. Mille emozioni provavo mentre correvo gli scalini ...alla fine...
Aveva una brutta cera. Non aveva voglia di parlare, alle mie domande era molto schivo (non aveva nemmeno voglia di mangiare la cioccolata) finché, messo alle strette, confessò.
Doveva trasferirsi in un'altra città, in un'altra regione per via di suo padre che aveva cambiato lavoro.
Calò subito un velo di tristezza per non parlare dell'imbarazzo del non sapere cosa dire in certe situazioni, quelle parole - tanto ci sentiamo - , - poi verrò a trovarti - , avevano il sapore di un addio. Ero triste, tutta quella forza che si era creata intorno a noi pian piano andava a sgretolarsi, abbracciammo fortemente, mi regalò la sua spilla dei Metallica e una barretta di cioccolato e mi disse: - stammi bene fratello! Sarai sempre il mio delinquente preferito! -
Mi sentii lusingato, da lì a qualche giorno Cicciobomba partí per il Veneto, non ci siamo più rivisti, ma ad oggi so che ha problemi di alcolismo, spaccio e non ha proprio la fedina penale pulita!
Io? Tornai a casa sconfitto, non avevo ancora amici, in più mamma aveva comprato la nuova musicassetta di Mango! Mi consolai con Fifí e Raffaello, ma suonava molto come farsi una trombata con la propria ex dopo essere stato scaricato. Il sogno della boyband era ancora in alto mare, andai a dormire, pensando: - Adesso che faccio? Come posso trovare nuovi amici? - Ero malinconico... - dai Dome, dormi, domani c'è scuola! -
Passavo parte dei miei pomeriggi a vagare a bordo della mia Graziella (decisamente molto più leggera) fin quando mi trovai di fronte l'oratorio, mi fermai, forse attratto dalle grida gioiose dei bambini: chi giocava a calcio, chi a basket, chi correva senza fermarsi mai, senza sapere nemmeno se stesse giocando a basket o calcio. Iniziai a sorridere, il loro entusiasmo era contagioso, decisi di entrare, ma a un passo dal cancelletto mi fermai, il mio istinto da lupo solitario e la mia timidezza mi bloccarono. Pensai a Cicciobomba e provai un senso di malinconia, fin quando dalla casa dietro l'oratorio si sentì un forte rumore, quello delle rotelle di uno skateboard. Era un rumore potente, sembrava quasi divorare l'asfalto, inutile dire che presi la Graziella e feci il giro dell'oratorio.
Era lo Skateboard di un ragazzino introverso che, nonostante la vicinanza, odiava l'oratorio. Piuttosto di andarci passava le giornate a consumare quelle rotelle; nel contesto della parapsicologia e della spiritualità si sostiene che ad animare tutti gli esseri viventi ci sia una sorta di bozzolo, alone invisibile alla normale percezione che rifletterebbe l'anima di ogni individuo, questa “radiazione luminosa” ha il nome di Aura. Un'aura potrebbe essere compatibile o meno alle altre, insomma avete presente quando si dice “a me quella persona a pelle mi sta sulle balle”? ecco! Per me e lui fu l'esatto contrario! Appena alzó lo sguardo e mi vide di fronte a lui mi fece subito un grosso sorriso e mi disse - che bicicletta di merda che hai! - , scoppiammo a ridere, non riuscivo a fermarmi e iniziammo a giocare con il suo skateboard! Era fighissimo, nero con le rotelle rosse, era uno di quei modelli professionali che vedevi in tv, sembrava di sfrecciare tra le palme della California! Continuavamo a ridere senza motivo, bastava guardarci e l'unica cosa che importava era essere più veloci del suono delle nostre risate! Finché a un certo punto rimanemmo attratti da questa ripida discesa, era quella della palestra a pochi isolati da casa sua, nel nostro volto subito uno sguardo di sfida. Sembravamo due surfisti di fronte all'onda del secolo! Ogni riferimento a Patrick Swayze e Keanu Reeves nel film Point Breack è puramente casuale).

Domenico Peloso

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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