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Autore: Al Gallo
P.T. Perdita di tempo
Noir Poliziesco
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P.T. Perdita di tempo
Vista da lontano, la barca capovolta sembrava proprio una testuggine; i remi, pinne; lo scafo, il carapace.
Una gomena legava la prua alla staccionata che divideva i pontili dalla spiaggia libera. A prima vista, quella corda sembrava una precauzione inutile; ma, per quanto docile, la marea nella darsena poteva agitarsi all'improvviso e rastrellare ogni cosa, come il croupier un ricco piatto. A fine Ottobre, poteva succedere da un momento all'altro.
Erano le sette del mattino quando i due uomini giunsero alla darsena. Tolte le scarpe e appallottolati i calzini, si avventurarono sulla sabbia molliccia e sporca.
Avanzando piano, scansarono i troppi mozziconi, le ceneri lasciate dei falò, le bottiglie di plastica usate per travasare carburante, nonché le cacche dei cani, pietrificate dal Sole.
All'inizio della bella stagione, il lido era gremito di appassionati di pesca e lupi di mare, più o meno navigati. Ma l'estate era un ricordo lontano, e in giro non si vedeva nessuno.
Accovacciato sul predellino della roulotte che fungeva anche da ufficio della darsena, un marinaio scioglieva pigramente una cima. Stirò il collo sottile quando notò i due. Salutò amichevole quello che conosceva, quello più anziano, il proprietario della barca; al bizzarro accompagnatore, dedicò un'occhiatina veloce.
- Come butta, Capo Bennato? È un secolo che non la vedo: s'è fatto i soldi, eh? - disse ciarliero il marinaio.
- Magari! Dov'è la... bambina? -
- Al solito posto. L'ho tolta dalla rimessa per lei - rispose il marinaio, con un bel sorriso.
Bennato, da tutti chiamato rispettosamente Capo, strinse la mano dell'uomo e la colmò di una mancia. Il marinaio ringraziò con un cenno, e tornò a sgranare la corda simile a un penitente che scioglie un rosario.
Bennato si mosse verso lo spiazzo, sgambettando allegro; il compagno rimase indietro, soffiandosi congestionato: faceva caldo quel mattino. Si sfilò la camicia, annodando i risvolti in vita, e mostrando un ombelico sgraziato.
Il tizio era a dir poco stravagante: cranio rapato, sopracciglia ridotte a trattini; espressione torva da chitarrista in cerca della melodia sublime nascosta tra le corde. Che ci facesse con un austero funzionario di PS come Bennato, era un mistero.
Inforcò gli occhiali da sole sul naso. Poi sbuffò, con la rassegnazione di chi ha accettato un invito, ma se n'è già pentito. Iniziò a salire, ricalcando con puntiglio le orme dell'altro.
A metà, Bennato si voltò per incitarlo; sollevò il thermos e la busta delle esche, piegando il collo e lasciando intendere che pesavano.
Superato l'ultimo sbalzo, raggiunsero la barca, lasciandosi dietro la stessa coda di impronte.
- È peggio di come me la ricordassi! - sbottò il pelato.
Si tolse gli occhiali e scoccò un'occhiataccia alla barca. A dargli manforte, contribuiva la luce albina, che accentuava le incrostazioni e i rattoppi.
- Ma quanti anni ha ‘sta matusalemme? Coleremo a picco - profetizzò nefasto.
Bennato sorrideva quasi giunto fosse al capezzale di un moribondo, e l'avesse ritrovato miracolosamente ristabilito.
A lui, la barca piaceva proprio così: vissuta. Scrutò la bambina, e un vortice di ricordi lo catapultò indietro nel tempo.
Toccò lo scafo.
“Malmesso ma coriaceo” pensò. “Come me! Già... come me” sospirò affranto.
- Giriamola - disse, sciogliendo la cima.
Il pelato si mosse schiattato in corpo.
Capovolsero la barca senza difficoltà: era una piuma. Lo scheletro interno, però, riscattava il natante grazie all'ottima conservazione.
Bennato posò la borsa e le esche sotto la trave centrale. L'altro adagiò delicatamente la canna da pesca, ma tenne caparbiamente lo zainetto in spalla.
Sospinsero il legno a mare, agevolati dalla pendenza.
La barchetta vacillò sulle onde, restando a galla spavalda e smentendo i pronostici.
Il pelato applaudì ironico.
Bennato si issò a bordo. Fissò il viso pesto dell'altro. - Sei sicuro di... -
- Sì! - sclerò il pelato. - Sono qui, no? -
Cercò di issarsi a bordo anche lui, ma fallì, ritrovandosi in acqua fino alle ginocchia.
Bennato finse di non aver visto.
In barca, il pelato si strizzò i pantaloni. Barcollò sulla punta dei piedi, le braccia tese come un equilibrista, e poi si accoccolò.
Dallo zaino estrasse la crema solare e cominciò a impomatarsi la faccia come un clown. Si consolò, pensando: “Che giornata!”.
La temperatura gradevole, l'aria frizzante di salsedine e il mare oleoso la rendevano degna di Giugno.
E pensare che si era imbarcato in quell'uscita perché aveva perso la scommessa! Immaginare di divertirsi, sbatacchiati dalle onde e arrostiti dal Sole, sembrava impensabile. “Farò solo gettone di presenza!” meditò.
Bennato lo spiava. “L'importante – pensò - è che sei qui, con me!”.
Impugnò i remi.
Lui si divertiva – eccome! - costeggiando gli ultimi gommoni sonnacchiosi con gli scattanti motori tirati a bordo, protetti dalla copertina come purosangue arabi. Poi, manovrando un remo alla volta, dimostrava un'insospettata maestria. Ma, quando aveva spazio, tornava a darci dentro, vigoroso e sincronizzato, come se in vita sua non avesse fatto altro che remare e remare, scansando ostacoli più grandi di lui.
Immergeva i remi nelle acque stagnanti; sulle onde, macchie di cherosene; sotto, una busta di plastica si atteggiava a medusa.
All'uscita dalla rada, il mare aperto li aggredì. La barchetta assecondò la mareggiata, ancora più inconsistente al cospetto di un lussuoso yacht.
- Questo è di... l'avvocato dei cattivi... coso, come si chiama? - chiese invano Bennato.
L'altro tacque, fissando le onde con il viso impiastricciato di crema e come conseguenza, le occhiaie ancora più nere, da panda.
La sera prima, i festeggiamenti si erano protratti fino alle quattro del mattino, tra brindisi e barzellette sui carabinieri, i cugini rivali. Con un'ora scarsa di sonno, il pelato si sentiva come Hiroshima dopo l'atomica. Di solito, reggeva bene l'alcool ma...
Finita la festa, i quattro partecipanti non si reggevano in piedi.
Bennato aveva vomitato; lo spagnolo dell'Interpol si era messo a cantare Granada, accompagnato dal miagolio di un gatto in calore. Il giudice Pace blaterava: “Le baguettes... che schifo!”.
Una volante si era materializzata dal nulla, all'uscita del locale; qualcuno aveva chiamato il 113. Da ridere: i disturbatori erano tre poliziotti, e un magistrato!
Quelli della volante si erano limitati a distribuire raccomandazioni, a sollecitare prudenza al volante; ma poi i quattro avevano iniziato a cantare.
Gli agenti li avevano caricati nella pantera, decisi a scortarli e a raccontare, se necessario, una frottola in centrale.
Dietro stavano tutti stretti; il pelato aveva viaggiato in seno a Bennato.
Da quanto non si era divertito così, rifletté. Doveva ammetterlo: corrompere il barman era stato geniale. Adesso le foto dell'ebbro Bennato avrebbero fatto il giro della Questura tramite WhatsApp. Per non parlare della video-confessione del compito Pace, che non aveva risparmiato strali neanche al CSM.
“Ora che... perdita di tempo. Una vera p.t.” pensò.
- Ti avevo promesso di raccontarti la storia - esordì Bennato, i remi a mezz'aria. - E pensare che tutto è iniziato sul lettino del dentista del carcere... -
Il pelato grugnì indifferente.
- ...uno che si fa cavare i denti di bocca per non essere identificato, – riprese Bennato - è un pazzo o un dritto? -
“Ormai è storia - pensò il pelato. - E la storia, oltre ai prof e agli allievi, non se la fila più nessuno”. Indossò le lenti da sole, poi le cuffiette, e cercò il lato buono di quella noiosa barcheggiata. In breve, scivolò in un sonno di piombo.
Quando Bennato gettò l'ancora in mare, uno spruzzo d'acqua lo centrò, facendolo rinvenire di soprassalto, le gambe intrappolate sotto un'asse, l'auricolare attorcigliato al collo, gli occhiali di traverso sul naso a patata.
Stavolta Bennato rise di gusto. Anche il pelato rise, mentre si strofinava gli occhi come un marmocchio atterrito dal verso inatteso di un pupazzo.
“Identico a quando era piccolo” pensò Bennato, nostalgico...

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