Iniziò tutto con un sogno. Esmeralda credeva di aver smesso da tempo di sognare, al risveglio non ricordava mai niente. In qualche rara occasione le era capitato di ricordare scene sbiadite di incubi ricorrenti: si aggirava da sola in paesaggi tetri e angusti, alla ricerca di non si sa cosa, oppure era diretta verso un luogo che non raggiungeva mai a causa degli ostacoli che trovava sulla via del ritorno e che puntualmente le mettevano i bastoni tra le ruote impedendole di riuscire nell'impresa. Passava notti tormentate oppure notti che sapevano di nulla. Quella mattina si svegliò più agitata del solito. David, il fedele compagno di vita, dormiva della grossa accanto a lei con espressione tranquilla e beata. Non si era riposata affatto, era stanca, affaticata e le prudeva paurosamente la schiena. Dal momento che il calendario segnava ottobre inoltrato non poteva essere stata punta da una zanzara. Forse un ragno? Bleah – cercò di non pensare a quell'orrida ipotesi, meglio la zanzara. Si alzò svogliatamente, andò in bagno e, dopo essersi risciacquata il viso con abbondante acqua fresca, si guardò allo specchio girandosi per scorgere la parte posteriore del corpo. Al centro della schiena, leggermente a sinistra, era spuntata una macchia rossa di una forma insolita, che le prudeva moltissimo fino quasi a bruciarle. Osservando bene l'alone rosso sembrava formare due lettere. Guardò meglio focalizzando la sua attenzione sui segni marcati e... sì, erano proprio due lettere scritte in stampatello, una M e una U! Domandò a se stessa: - Cosa vorranno significare?
M e U? MU? UM?
Si grattò il capo pensierosa. - Questa sigla non mi ricorda nulla. Mi sarò grattata nervosamente perché le punture dell'ignobile insetto pizzicavano da paura, ecco la spiegazione dei segni. Sai che c'è? Che sono matta, non ha senso cercare un significato in qualsiasi situazione. Maledetta fervida immaginazione - . Ritornò in camera, si vestì e salutò David che si era appena svegliato. - Ci vediamo nel pomeriggio, vado di fretta perché ho tre appuntamenti con clienti che giungono da fuori Milano. Non aspettarmi per pranzo, okay? - Gli diede un bacio sulla fronte, prese la borsa e sbatté la porta richiudendola con fragore dietro di sé. Saltò sull'autobus in sosta nella fermata sotto casa e si accomodò su un sedile libero vicino al finestrino. Le sette e trenta di mattina: a quell'ora l'autobus era sempre semi vuoto. Si sistemò allargando le gambe e appoggiò la nuca al vetro. Il viaggio sarebbe durato circa trenta minuti e così si rilassò e chiuse gli occhi. Iniziò a pensare all'ultimo bizzarro sogno, le veniva in mente una sola scena: si trovava in una strada buia, ad un certo punto alla fine della via scorgeva una luce potente che irradiava gradevoli raggi luminosi, lei si sentiva in pace, il suo corpo prendeva a levitare e... ma sì, c'era anche una voce! Una voce che la chiamava per nome, ma cosa diceva? Si sforzò di ricordare qualcosina in più. Ora il ricordo si fece più nitido. S'immedesimò maggiormente nella situazione mettendosi in ascolto. Le parole arrivarono fluide.
- Ciao Esmeralda, sono Adam, ti ricordi di me? Benvenuta a casa - .
Ad un tratto smise di respirare ed ebbe la sensazione che il suo cuore avesse cessato di battere. Gli occhi le si riempirono di lacrime, ma non sapeva ancora il perché. Una reazione simile solo per un sogno? - C-c-chi sei? - Pronunciò timidamente. Non ebbe risposta. Riprovò una seconda volta. - Chi sei? - Nessuna risposta. Rimase esterrefatta in preda allo stupore. In quel preciso istante sentì frenare e la voce dell'autista che chiamava la sua fermata. Era arrivata allo studio. Scese dall'autobus ancora frastornata e guardò l'orologio che segnava le sette e cinquanta. Il primo cliente sarebbe arrivato alle otto e trenta. Poteva permettersi di fare colazione con calma, nella fretta di uscire di casa aveva dimenticato di mangiare qualcosa e ora aveva una fame da lupi. Decise di prendersi qualche decina di minuti per andare al bar. Entrò nella caffetteria nell'edificio accanto al suo studio. Si mise in fila al banco, c'erano tre persone prima di lei, la barista stava servendo la prima. Ad un tratto sentì una fitta agli occhi ed ebbe come un flash, una visione istantanea di qualcosa di fugace, colorato e luminoso. I bulbi oculari pulsavano, le facevano malissimo. Poi successe di nuovo: un secondo flash, ora più nitido e quasi accecante, un'immagine rimasta nella mente per un solo istante ma che si era impressa in modo indelebile sulla cornea. In una frazione di secondi aveva scorto una terra di una bellezza ineguagliabile! Un paesaggio che pareva uno smeraldo vivo, una cittadina arroccata sulle montagne, tante colline verdi sullo sfondo, il tutto circondato da acqua di un azzurro splendente. Aveva intravisto anche copiose cascate che scendevano sui lati dei monti ricadendo sulla valle. Sentì la voce della barista. - Signorina, mi sente? Vuole un caffè? - disse spazientita. Chissà da quanto tempo stava parlando... Si girò indietro, le persone in fila dietro di lei la fissavano con un misto di preoccupazione e irritazione. Si stropicciò gli occhi e provò a rispondere, con grande sollievo ci riuscì. - Mi scusi, ero sovrappensiero. Si, vorrei un caffè espresso... No anzi, un doppio espresso - . Prese un croissant dal banco frigo e con il suo caffè in mano si diresse verso il primo tavolino libero, in un angolo del locale. Le piaceva sedere da sola, ai margini della stanza, lontano dalle altre persone. Ogni mattina al bar ripeteva la stessa storia, scandagliava velocemente la sala per trovare il tavolo più sperduto per poter assaporare la colazione in pace. Si adagiò sulla sedia appoggiando la tazza fumante sul tavolino. Che cosa le stava succedendo? Cosa aveva visto realmente? Che luogo era? Non ricordava di aver mai visto nulla di simile finora. Quel posto, ovunque si trovasse, era splendido: trasmetteva pace e serenità, poi i colori brillanti che aveva intravisto... a lei non piacevano neanche i colori, dipingeva tutto in bianco e nero! C'era qualcosa di strano che non tornava. Nonostante non la riconoscesse, qualcosa dentro di lei suggeriva quanto quella terra fosse in realtà familiare. Era sicura di averla già vista chissà dove... forse da bambina nella sua immaginazione? Mancava poco all'arrivo del primo cliente, perciò si affrettò a salire le scale. Lo studio si trovava al terzo piano di uno storico palazzo ristrutturato. Cercò le chiavi nella borsetta, le prese in mano, le infilò nella serratura e aprì la porta. Un ampio salone in stile antico rimodernato in maniera caotica; al centro di esso si trovavano numerose tele riposte ciascuna sui rispettivi cavalletti. Esibivano facce di ogni tipo, giovani, vecchie, magre e ossute, larghe e paffute, rotonde, esili e chi ne ha più ne metta. Ritratti che Smy aveva fatto ai clienti nei giorni passati lasciati lì in attesa dell'ultimo ritocco dell'artista. Esmeralda era solita lavorare così: invitava i clienti nello studio e li faceva accomodare sul divano o nelle comode poltrone in stile rétro acquistate in un mercatino per dare personalità alla stanza. Quando i clienti erano a loro agio allora lei iniziava a dipingere. Dapprima utilizzava una matita morbida a punta grossa per delineare la sagoma iniziale, era piuttosto veloce ad abbozzare il mezzobusto del cliente. Poi prendeva gli acquerelli rigorosamente di colore bianco e nero, li miscelava insieme per ottenere varie gradazioni di grigio e iniziava a spennellare. Prima con un pennello dalla spatola grossa, poi man mano procedeva con quelli a punta più fine, per finire dopo vari passaggi delineando gli ultimi dettagli e le rimanenti sfumature con un pennello a punta finissima. Un ritratto completo al novanta per cento era sufficiente affinché il cliente ritornasse a casa compiaciuto. La pittrice tratteneva il dipinto per qualche giorno nello studio e lo riguardava attentamente, apportandogli ulteriori migliorie a posteriori. Solo dopo una settimana avveniva la consegna definitiva: Smy, di persona, si presentava al domicilio del cliente e glielo recapitava a mano, asciutto ed imballato in una bella confezione. Era molto brava nel suo lavoro, ci teneva che tutto fosse perfetto al momento della consegna e che il cliente fosse pienamente soddisfatto. Appoggiò la borsa sul divano a fianco dell'entrata e si stiracchiò le braccia. Guardò di sfuggita i quadri, con la coda dell'occhio notò uno strano particolare in uno di essi. La tela raffigurava una bambina sui dieci anni di età, graziosa, con capelli lisci a mezza misura e grandi occhi espressivi. Ricordava bene il soggetto ritratto, era venuta in studio proprio il giorno prima accompagnata dalla mamma, una borghese signora di mezz'età dal portamento elegante che portava ai piedi dei sandali leopardati alquanto eccentrici. Smy aveva fatto accomodare la ragazzina sulla poltrona e mentre si accingeva ad iniziare il disegno aveva pensato dentro di sé: - Che bella bimba, ha degli occhi ammalianti e un viso grazioso. Da grande farà sicuramente la modella - . Si avvicinò al quadro e scorse una macchia che stonava in mezzo ai mezzitoni di grigio: l'occhio sinistro brillava di un colore azzurro cielo! Com'era possibile? Smy non utilizzava colori, anzi, non aveva mai acquistato tempere colorate! Come poteva esserci una macchia celeste esattamente sull'occhio, che fosse entrato qualcuno? Si voltò di scatto per scrutare la stanza poi si soffermò di nuovo sul dipinto: il colore era scomparso. Il viso della bambina, bello e tenero, era tornato al consueto grigiore. Iniziava a preoccuparsi e a infastidirsi allo stesso tempo, ciò che la faceva uscire di senno era proprio il non capire le cose. - Sono fuori di testa, matta da legare... sapevo che sarebbe successo prima o poi... - Aveva sognato tutto? Oppure aveva assistito ad un simpatico scherzo dovuto al riflesso della luce?
Quella mattina iniziarono le coincidenze. Poco dopo suonò il campanello. Il primo cliente della giornata bussava alla porta. Cercò di ricomporsi e di non pensare più a questa faccenda. Il suo lavoro era importante, non avrebbe lasciato che la follia rovinasse tutto. Fece accomodare il signore sulla sessantina come niente fosse e tutto parve tornare nella norma. Le ore scorsero veloci, Smy dipinse nuovi ritratti e soddisfò le richieste dei clienti. Alle due del pomeriggio aveva salutato l'ultima persona richiudendo davanti a sé la porta dello studio. Si stese sul divano emettendo un sospiro prolungato. Aveva tentato di non pensare più all'accaduto della mattinata ma il suo tentativo era risultato vano. Ci pensava eccome. Guardò di sfuggita il quadro della bambina per paura di notare un altro fenomeno inspiegabile. Nessuna sorpresa. Tutti i dipinti nella stanza erano in bianco e nero come dovevano essere. Basta, voleva chiudere quella storia per sempre, la sua vita era già abbastanza complicata così. Non aveva voglia di tornare a casa, le vicende della mattina l'avevano profondamente turbata, glielo si leggeva in faccia. Le persone che avrebbe incontrato, in primis il suo compagno, se ne sarebbero accorti in un batter d'occhio che qualcosa non andava. Avrebbe dovuto fornire spiegazioni, ma cosa poteva dire? Neanche lei sapeva cosa le stesse accadendo. Meglio restare un po' da sola a riflettere evitando le persone, almeno per il momento. Chiuse gli occhi. Gli ritornò in mente quel nome: Adam. Chi era Adam? Non conosceva nessuno che si chiamasse così, almeno nel mondo reale. Ah già... pensandoci bene quel nome gli ricordava qualcosa, riecheggiava nella mente tra i vaghi ricordi d'infanzia. Da piccola, quando si rifugiava nei mondi di fantasia, conosceva molti amici immaginari e uno di questi aveva quel nome, Adam. Ma le memorie erano sbiadite, non ricordava il suo aspetto né in quale dei tanti posti in cui faceva tappa lo avesse incontrato... ma era convinta di conoscerlo bene. O forse non era lui, poteva essere un omonimo, in fondo quel nome era abbastanza comune. Le venne in mente un cartone animato che guardava da bambina in cui la protagonista si chiamava come lei, Esmeralda. Una bellissima principessa dai lunghi capelli ondulati che abitava in un regno fatato in un'altra dimensione, triste perché non poteva stare accanto al suo amato a causa del suo ruolo fondamentale: lei era la colonna portante del regno, la sua tristezza stava distruggendo quel mondo e non si capiva come poter fermare il processo distruttivo. Poi c'era il lieto fine, la principessa si riuniva all'innamorato, ritrovava la gioia e il regno era salvo. Ricordava di essersi innamorata follemente di uno dei personaggi del cartone, un grazioso e saggio sacerdote dalla pelle chiara. Un ragazzino esile dalla tunica bianca che dimostrava non più di dodici o tredici anni, ma che in realtà era pluricentenario. I suoi capelli platino e i grandi occhi blu... Smy sospirò. A distanza di tempo le faceva ancora quell'effetto nonostante ora fosse una donna adulta di quasi trent'anni. - Ma quanto sei infantile... - disse tra sé, - potrò essermi infatuata di un personaggio immaginario alla mia età? Pensavo di essere cresciuta ma ho paura che non sia così, vivo ancora tra le nuvole proprio come mi diceva papà - . Fu in quel momento che sentì una fitta tra gli occhi e la voce dal suono familiare.
- Esmeralda mi senti? Sono io, Adam. Sono venuto a prenderti per riportarti a casa, nella terra da dove provieni - . Come per magia vide una mano chiara e affusolata protendersi verso di lei, d'un tratto fu risucchiata in un vortice luminoso di energia sfavillante. Aprì gli occhi e si ritrovò in piedi in quello splendido paesaggio verde che aveva creduto di vedere al mattino. Accanto a lei c'era un'esile figura maschile che indossava abiti antichi simili a quelli della tradizione medievale, un'ampia camicia chiara - forse di lino - pantaloni marroni simili a pantacalze. Lo scrutò interamente dal basso verso l'alto. Un bellissimo ragazzo dai lineamenti fini, viso lungo e un sorriso intrigante. Alto e magro, pelle chiara, capelli lisci di un biondo slavato che tendeva al bianco, lunghi circa a metà coscia. Egli le afferrò delicatamente una mano mentre sorrideva con espressione angelica. - Ciao, sono Adam. Adesso ti ricordi di me? - Sentì un fremito lungo la schiena e il cuore sobbalzò nel petto. All'improvviso fu travolta da un'onda impetuosa di ricordi. Certo, l'aveva riconosciuto, come dimenticarsi di lui? Il suo migliore amico! Da bambini giocavano spesso insieme, frequentavano la stessa scuola e condividevano il medesimo gruppo di amici. Ma c'era di più riguardo la loro relazione. Lui era più di un amico d'infanzia, molto di più. Ad un certo punto della storia, da adolescenti, si erano baciati. Adam era il suo ragazzo in quel mondo, facevano coppia stabile. Il cuore di Smy pompava a un ritmo serrato, rischiava di farsi venire un infarto se continuava così. Ma il vuoto in fondo al cuore che l'aveva accompagnata per tutta la vita era magicamente sparito. Gli occhi le si riempirono di lacrime e gli balzò al collo stringendolo a sé con grande impeto. Adam non disse nulla, si limitò a sorridere dandole il tempo di ritrovare l'equilibrio. Esmeralda ansimava, le mancava il fiato, travolta com'era da un vortice di emozioni contrastanti: avrebbe voluto piangere ancora, liberarsi dal peso che le opprimeva il petto, ma a contatto con il corpo del ragazzo così morbido e caldo le lacrime non scendevano più, si sentiva alleggerita, protetta. Sarebbe stato bello poter rimanere in quella posizione per il resto della vita, la sua mente era completamente vuota e vagava dispersa nell'infinito. Il tempo sembrava essersi fermato come in un fermo immagine in tv. Dopo alcuni eterni minuti egli si mosse delicatamente, scostandola pian piano dal suo corpo, e la guardò dolcemente negli occhi. Smy si sentì incapace di sostenere quello sguardo celestiale che le dava le vertigini. Il suo volto era perfetto. I grandi occhi azzurro cielo, intensi da far paura, la ammaliavano a tal punto che riusciva a decifrare in essi l'intera epopea dell'universo. Lui le sfiorò il viso con una mano calda poi le diede un tenero bacio sulla fronte. Continuava a fissarla in silenzio con le labbra leggermente all'insù, in un'espressione premurosa e amorevole. - Ricordi, non è vero? - le disse in un tiepido sussurro. Esmeralda cercò di parlare, ma niente. Aveva le labbra incollate, dalla sua bocca non usciva nulla, nemmeno un patetico rantolo. Riprovò dopo una decina di secondi e per fortuna il tentativo andò a buon fine. - Sì... - tagliò corto Smy. Aveva ancora la zucca vuota. Tentò di farsi venire in mente delle domande che avessero un senso. - Dove ci troviamo, Adam? - Il ragazzo le indicò con una mano il paesaggio che si apriva di fronte ai suoi occhi. C'era una cittadina lì davanti, arroccata sulle verdi montagne, con case di granito chiaro e templi in stile greco. - Siamo a Lemuria amore mio, la terra di Mu. Quella che vedi di fronte a noi è la città di Eonia. La tua casa - . - Lemuria? Eonia? Non conosco il nome di questi posti, anche se non mi sono del tutto estranei. Noto una certa familiarità che non riesco a spiegare. Di te però mi ricordo... Quando eravamo bambini giocavamo insieme, ci rincorrevamo spesso su questi grandi prati. Siamo in un luogo frutto della mia fantasia? Durante l'infanzia avevo molti amici immaginari e sono certa che tu fossi uno di loro - . Il pallido giovane rise sotto i baffi. - Richiama alla mente le memorie passate, Esmeralda. Sì, da piccoli giocavamo insieme, ma non ero uno dei tuoi amici immaginari. Il luogo in cui ti trovi ora non è uno dei mondi di fantasia in cui amavi rifugiarti durante l'infanzia. Fai uno sforzo per ricordare. Eonia esiste per davvero, è un luogo reale - . - C-Come? Cosa dici? - Smy era esterrefatta e alla disperata ricerca di spiegazioni plausibili. Adam proseguì nel racconto. - Questa è la tua casa. Abbiamo vissuto qui molto tempo fa, secondo il tempo lineare. Da allora sono passati più di ventimila anni. Eravamo ottimi amici e ci siamo innamorati l'uno dell'altra. Siamo cresciuti insieme, ci siamo sposati e abbiamo avuto una figlia di nome Anja. Ma poi il destino ci ha separati, abbiamo fatto ciò che dovevamo fare - . Smy non riusciva a capire, le girava paurosamente la testa. Di cose incredibili ne aveva vissute, ma questa poi le batteva tutte! - Perché? Per quale motivo se ci amavamo tanto ci siamo dovuti separare? - chiese sbigottita. - Perché Gaia, l'amata Madre Terra, aveva bisogno del nostro aiuto. Noi sacerdoti sapevamo che sarebbero arrivati tempi difficili per il pianeta e per l'intera umanità, c'era bisogno di anime pure e forti che si sacrificassero per poter essere d'aiuto nel momento del ritorno alla luce. Il nostro amore era solido ed eravamo assolutamente convinti che ce l'avresti fatta, ti saresti ricordata di noi al tempo giusto. Così è accaduto. Vedi Esmeralda... - Il ragazzo prese un attimo di pausa e deglutì. - ... tu sei morta qui a Eonia sotto la grande onda che ha affondato la nostra isola - disse in tono serio, con una leggera tristezza celata. - Cosaaaaaa? Io sarei morta in questo luogo dove vivevo più di ventimila anni fa? - chiese sbigottita. - Sì - . - Scusami devo sedermi... non mi sento molto bene... - mormorò Smy, con un filo di voce. - Certo, capisco. È più che logico amore mio - , rispose con fare comprensivo. Fecero qualche passo in direzione del laghetto, lui l'aiutò a sorreggersi in piedi e con cura l'adagiò per terra sull'erba fresca. L'aria era frizzante e profumata, cosparsa di una deliziosa fragranza floreale che proveniva dalla ricca vegetazione. - Adam, per favore, aiutami a capire meglio. Uno: questo posto è reale. Due: noi eravamo sposati e avevamo una famiglia insieme. Tre: io sono morta e poi scomparsa da questo posto. Tu invece sei qui in carne ed ossa di fronte a me, quindi immagino che sia rimasto in vita al momento dell'inondazione. Continuo a chiedermi perché, se mi amavi così tanto, non hai cercato di salvarmi? - disse trafelata e con il fiato corto, trattenendo un velo di tristezza. Adam era impassibile e la guardava con la solita espressione lievemente sorridente: il suo viso non lasciava trasparire alcuna emozione, non si scomponeva mai. Cercò di spiegarle com'erano andati i fatti. - Non potevo salvarti, è stata una tua scelta. Entrambi sapevamo che era giusto così e che un giorno saremmo tornati insieme grazie al nostro eterno amore. So che non mi hai mai dimenticato, Esmeralda - . Su questo aveva assolutamente ragione. Smy aveva frequentato diversi ragazzi ma nessuno era mai abbastanza per farle desiderare di averlo a fianco per il resto della vita. Annaspava alla continua ricerca di qualcuno che non riusciva a trovare nel suo mondo. Adesso ce l'aveva di fronte, era Adam colui che cercava da sempre. - Parlami di nostra figlia. Non mi sono mai vista nei panni di madre. Hai detto che si chiama? - - Anja - , rispose lui. - È molto bella, ti assomiglia. È un essere speciale, un Deva dell'acqua, il suo ruolo è quello di proteggere gli oceani del pianeta. La guardò divertito mentre lei gli lanciava strane occhiate incomprensibili. - Non ti sei mai sentita madre perché nostra figlia non è cresciuta insieme a noi. Un tempo ci chiesero se eravamo disposti a mettere al mondo un essere speciale dato che eravamo una coppia stabile. Uno spirito della natura può nascere solo dal frutto di un amore incondizionato. Ma non potevamo tenerla con noi, lei apparteneva al mare ancor prima di nascere - . - Chi è stato a volere questo? - chiese infastidita. - La Federazione Galattica di Luce - . - Mi gira la testa... - disse Smy toccandosi il capo. - Lo so - rispose Adam. - Per oggi è tutto, ti riporto a casa nel tuo mondo, quello che chiami ‘reale' - . - No, aspetta! - Lui la fermò all'istante afferrandole il braccio con delicatezza. - Non ti preoccupare, mi rivedrai presto. Abbiamo tutto il tempo che vuoi a nostra disposizione, devi far riaffiorare le memorie per gradi, non c'è alcuna fretta. Per oggi basta, hai già sentito troppo - le spiegò in tono pacato. - Riposa ed elabora a mente fredda le informazioni altrimenti ti sentirai male. Ricorda che d'ora in avanti sarai sempre connessa a me durante la giornata. Noi condividiamo un unico cuore e puoi tornare a Lemuria quando vuoi, devi soltanto chiamarmi - . Smy fece un altro tentativo cercando di stringerlo a sé. - Adam ti prego, non te ne andare! Ti ho appena ritrovato... io credo... io t-ti-TI AMO! - Sentì solo un debole mormorio prima che l'immagine del ragazzo e del verde paesaggio scomparissero rapidamente dalla vista. Si ritrovò ad occhi spalancati a fissare il grigio soffitto dello studio. Fece leva sulle braccia e si mise a sedere continuando a stringere forte il petto. Il cuore le batteva all'impazzata e non accennava a smettere.
Isabel Tinti
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