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Autore: Anna Vascella
Un graffio nell'anima
Giallo Storico
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Un graffio nell'anima
Venezia, 1718.

Due colpi battuti alla porta della casa del guardiano del faro Pietro Foscari, fecero sobbalzare dal letto i due amanti.
"So che siete qui. E' inutile far finta di niente" urlò Crisalide, battendo ancora più forte, avvolta nel suo mantello di lana color scarlatto, che la copriva bene.
"Ssst. Stiamo zitti. Andrà via prima o poi" disse Teodoro sdraiato nel letto di Isadora, guardandola.
L'incessante bussare alla porta di Crisalide fece alzare Isadora che si coprì con una vestaglia di seta color rosa cipria. Lasciò la camera e si accinse a scendere la scala, che conduceva verso la porta d'ingresso. Spalancò il portone con grande serenità, ma con tanta rabbia nel corpo.
"Cosa avete da urlare a quest'ora del mattino, così presto?" domandò lei, fingendo di essere ancora addormentata, strofinandosi i grandi occhi neri.
Crisalide la fissò e nel silenzio che seguì, le chiese di far uscire Teodoro, suo marito. Isadora non capiva, almeno, cercava di non capire.
"Qui non c'è nessuno, tanto meno vostro marito Teodoro" puntualizzò la donna.
"Nel tuo c'è mio marito" continuò a dire Crisalide con determinazione. "Se quel traditore non esce tra qualche minuto, sarò costretta a parlare a mio padre di questa situazione imbarazzante... e voi due andrete sul patibolo" aggiunse ad alta voce in modo che anche lui la sentisse.
"Non crediate che le vostre minacce possano farmi paura. Anche se siete la figlia del doge di Venezia, di certo non temo nessuno" le rinfacciò, con un volto seccato.
La donna rise beffandosi di lei e delle sue parole. Crisalide si limitò a scagliarsi contro la rivale in amore, alzando la mano per strapparle quel sorriso beffardo a suon di schiaffi.
"La mia pazienza ha un limite" dichiarò Isadora.
"Anche la mia sta per terminare" ribatté lei.
La voce di Isadora farfugliava qualcosa che Crisalide ben poco riuscì a capire.
"Siete una traditrice, che le fiamme potranno cuocervi addosso" le augurò Crisalide.
Isadora ingoiò la saliva.
"Mi aiuterà mio zio. E' un notaio, amico stimatissimo del vostro padre doge" riuscì a dire terrorizzata avvolta nella sua vestaglia.
"Anche se volesse, tuo zio non potrebbe aiutarti" fece notare Crisalide.
Isadora chiuse il portone con scatto.
Gli stivaletti di Crisalide, fermi sulla terra umida, si sporcarono di fango. Salì sulla carrozza e guardò dal finestrino il pontile della casa, dove c'era la barca di suo marito Teodoro.
L'uomo guardava da dietro la finestra la carrozza di sua moglie Crisalide, che lasciava la casa.
La vettura percorreva calle e rii illuminati dalla luna come se fosse un'innamorata, che accarezza il viso del proprio uomo specchiandosi sui canali. Il rumore delle ruote si sentiva nel silenzio del nuovo giorno. Il cocchiere fermò la carrozza davanti al Palazzo Ducale e una guardia aprì il portone e percorse lentamente il viale, fermandosi davanti all'ingresso principale. Un lacchè camminò verso la carrozza, aprì lo sportello e abbassò il predellino, lei poggiò il piede con attenzione e scese i gradini. I cavalli iniziarono a nitrire e uno stalliere li staccò dalla carrozza e si prese cura di loro, conducendoli alla stalla per rifocillarli.
Crisalide volse lo sguardo più in là, verso il canale che costeggiava il palazzo, e scorse che tutte le gondole della sua famiglia erano lì approdate alla banchina e oscillavano legate al pontile. Udì i remi di una gondola che si avvicinava alla banchina: era Teodoro che tornava a casa. Si fermò a osservarlo, mentre lui legava la gondola vicino alle altre. Spezzò quel silenzio imbarazzante trovando il coraggio di chiedergli da dove provenisse a quell'ora del mattino. Lui rimase silenzioso. I loro sguardi erano freddi, provocatori.
All'interno del palazzo, lei gli camminava accanto. Poi salirono la lunga scala di marmo color avorio.
"La stessa cosa potrei chiederla io a voi, mia signora" azzardò lui.
Giunsero davanti alla porta della loro camera, lei entrò e lui la chiuse sbattendo. Lanciò sul letto un sacchetto di cuoio pieno di monete che appena si posarono tintinnarono.
"Questo è il mio guadagno di oggi. Io sono un medico e sono andato a visitare alcune persone malate di peste, tra cui anche Isadora Foscari" si rivolse alla moglie.
Crisalide toglieva dal guardaroba un vestito pulito da dargli, anche se non si meritava il suo aiuto.
"Sono salito solo cambiarmi d'abito. Ho altre visite da fare" cercò una scusa, mentre si lavava il volto.
"Certo. Sicuramente avete passato buona parte della sera a far visite agli ammalati, mentre l'altra parte della notte l'avete trascorsa insieme nel suo letto. A me non è sembrata affatto malata, quando mi ha aperto la porta, anzi...la vostra cara amante, mi ha fatto ben capire altro.E' inutile che cercate di farmi passare da stupida, perché qui vi sbagliate. Se non potrò riavervi, lotterò con le mie forze per farvi finire sul patibolo" iniziò col dire lei, furiosa.
I guaiti dei cani nel cortile coprirono le loro parole.
Il terrore della punizione gli bloccò quel sorriso malizioso che aveva sulle labbra e gli occhi divennero sbarrati. Indossò un abito pulito, dopo aver gettato quello sporco sul pavimento.
"Ora devo andare. Ne riparleremo al mio rientro" disse lui, lasciando la camera.
Lo scalpiccio dei suoi stivali di cuoio giù per le scale si udiva nel palazzo.
Raggiunse la sala da pranzo per una veloce colazione.
Crisalide si accinse a raggiungere lo studio del padre, per cercare di parlargli. Il doge Raniero Loredan era in piedi davanti alla finestra a osservare oltre il canale.
"Disturbo?" domandò lei restando ferma alle sue spalle.
"No, figliola. Stavo osservando alcuni servi, che stanno caricando su una gondola dei corpi di altri servi morti stanotte di peste. Verranno condotti al cimitero per essere bruciati. daranno fuoco anche alla gondola di servizio." la informò lui, spostando lo sguardo verso la figlia.
Crisalide gli si avvicinò, mettendogli una mano intorno alle spalle. In triste silenzio la gondola si allontanò lentamente scivolando sul canale.
"Ho assolutamente bisogno del vostro aiuto, padre" iniziò lei, spostandosi dalla finestra.
"Ti ascolto, figliola!" rispose lui, dando l'ultima occhiata alla gondola che spariva in lontananza.
"Mio marito mi tradisce con la nipote del vostro amico il notaio Nino Foscari. Come sapete l'adulterio va punito, quindi desidero che si faccia rispettare la legge" aggiunse lei molto decisa.
"E sarebbe Isadora Foscari, la figlia di Pietro, il guardiano del faro?" domandò il padre.
Crisalide annuì.
"Non hai pensato a tua figlia Camelia ancora piccola, che crescerà senza avere un padre vicino?" chiese lui, avvicinandosi allo scrittoio.
"Si, l'ho pensato a lungo!" affermò lei. "E sono arrivata a una soluzione che è meglio non avere un padre, che averlo sapendolo traditore della famiglia, che preferisce stare con un'altra donna che non con la propria madre".
Il debole sole entrava nello studio e allungava le loro ombre sul pavimento. Il doge si passò una mano sotto il mento, per poi dire:
"Ci penserò bene, figliola".
"Fate rispettare la legge o sarò costretta a ucciderli".
"ora vai. Ti prometto che non ti deluderò" disse infine, seduto allo scrittorio.
Un servo bussò alla porta e lui rispose di entrare. Lo avvertì che a palazzo non c'era più alcun servo morto di peste..
Crisalide con un inchino si congedò dal padre e uscì.Dalla sala da pranzo arrivava la voce di Teodoro che parla con Camelia. Lei entrò e con un sorriso salutò la piccola.
"Se hai finito la colazione, vai con Margherita" ordinò lei.
"Non posso restare?" chiese la piccola.
"No. Io e tuo padre dobbiamo parlare" aggiunse lei dandole una carezza.
Camelia si alzò in silenzio e insieme a Margherita lasciarono la sala.
"Non abbiamo più nulla da dirci" rispose Teodoro, che si versò nella tazzina del caffè bollente e ne versò dell'altro in una tazzina di porcellana porgendola alla moglie. La loro conversazione non poteva avere seguito. La fissò con sguardo truce e uscì. Lei rimase con i pugni sul tavolo con lo sguardo fisso nel vuoto.
Si ritirò in una piccola stanzetta, prese la tavolozza ovale dei colori, il cui profumo fresco era forte nell'aria. Si concentrò a dipingere una tela. Iniziò da un viso di donna, man mano che proseguiva a dipingere quel volto le sembrò che fosse il viso della morte, con uno sfondo di fiamme rosse infernali. Era la prima volta che la sua fantasia le dettava la morte.

Anna Vascella

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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