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Autore: Enea Bonato
Diario fantastico
Fantasy
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Diario fantastico
Alla ricerca della verità.

La verità. L' ho sempre cercata nei miei viaggi, sempre, e ogni volta appena trovata, sfiorata, accennata in alcuni gesti, o pensieri miei, o di altri, tanti altri che incontravo. Qualcosa mi ha sempre spinto a cercare ancora, sempre di più, mai sazio di sapere di più di me stesso, degli altri, di quello che ci è capitato nella nostra avventura di uomini
e donne su questa terra, e di quante, troppe volte abbiamo ripetuto gli stessi errori, costringendo il nostro inconscio collettivo a farsi carico di una mole così grande di dolore da ispirare sempre nuovi profeti a ricordarci i nostri pensieri segreti.
Questo diario di viaggio cerca di raccontare i segreti del messaggio, cioè i sistemi attraverso cui il Grande Mezzo, la parola, ci insegna e ci ha insegnato quello che sappiamo, tutto quello che sappiamo.

Sono le sette di mattina, e Nicola ancora non arriva.
Certo la barca è già pronta, la vedo, legata al ponte di Sant'Andrea come d'accordo, ma il motore, dov'è il motore, penserà mica che mi voglio fare un giro nel Delta del Po solo con i remi?
Ah, eccolo, finalmente!
"Ciao","Ciao, cominciavo a preoccuparmi, e il motore?"
"E' qui, stai tranquillo, l'ho messo ieri sera nell'androne del teatro, aspetta che suono al custode."
"Non serve, sta arrivando. Buongiorno Berton, tutto a posto?"
"Tutto a posto un cavolo, ma Le sembra il caso di andare da solo a fare un giro nel Delta, in barca, ci è mai andato? "
No, non ci sono mai andato.
"E' quello che gli ho detto anch'io", mormora piano Nicola cercando di prendergli il motore dalle mani.
Berton quasi glielo butta addosso,"Sì, e poi gli presti la barca, anche, gli presti!"
Berton è alto e grosso, la faccia e le mani di uno che lavora sin da quand'era piccolo. Mette paura vederlo scuotere la testa, e le braccia, come sta facendo ora verso Nicola, che l'ascolta mite, senza più riuscire a darmi una mano a caricare la barca.
Con tutte queste chiacchiere, per dissuadermi, ma io sono un testone proprio, prendo il motore e me lo attacco da solo, carico le taniche di benzina, i remi, lo zaino, e quasi parto senza salutarli, da come mi sento ansioso.
Li vedo sul ponte, io in barca in mezzo al canale, e loro, Nicola e Berton, vicini, sul ponte, uno sorridente, disteso, mi saluta alzando il braccio destro, l'altro incavolato, preoccupato nello sguardo, quasi a richiamarmi indietro.
Saluto con la mano.
"Fai buon viaggio Enea, mi raccomando", mi dice Nicola, mentre Berton, il custode del teatro, brontola qualcosa che non capisco.
Procedo a remi, per sgranchirmi, per svegliarmi un poco.
Sono le sette e mezza adesso, il sole comincia a sciogliere la nebbiolina del mattino, oggi è il sette di agosto, mio compleanno, e mi sento proprio bene.
Riesco ad avverare uno dei sogni più grandi che mi sono tenuto dentro fin da bambino, fare un giro in barca, da solo, nel Delta lungo il Po di Venezia fino al mare, girare sulla costa e poi tornare ad Adria lungo un altro ramo del Po stesso. Sono due mesi che mi preparo, tra cartine, attrezzi di salvataggio, arnesi da pesca, tutto il necessario insomma per starmene in giro il più a lungo possibile.
Carta e penna inseparabili da me naturalmente.
La faccenda più dura è stata convincermi ad andare da Nicola a chiedergli di prestarmi la sua barca. Mi ha detto subito di sì, e gliene sono molto grato.
E' una barca in vetroresina di quasi otto metri, con un ampio cassone a poppa e un piccolo motore che spinge la barca la giusta velocità per godersi il paesaggio con tutte le sue forme e colori.
L' ho provata qualche giorno in Po davanti alla casa dei miei nonni paterni, (mia nonna non c'è più, mio nonno sta in ospizio ad Adria), e mi sento abbastanza sicuro.
Del resto, incontrassi che so, un temporale, non devo fare altro che precipitarmi a riva, montare la mia bella tenda, e aspettare che spiova.
Altri, grossi, pericoli non ne vedo, a parte le zanzare, che io sopporto benissimo.
Ho anche imparato a modo i segnali per la navigazione che stanno sugli argini del fiume, e qualche trucchetto per conoscere mulinelli e secche me li ha insegnati Barbin, un cugino di mio padre, tornato da poco ad abitare al paese di origine, Mazzorno Sinistro, da Torino.
Si parte finalmente.

Dopo mezz'ora lascio i remi per il più comodo motore, e raggiungo senza troppa fatica la conca di Volta Grimana, il passaggio che collega con paratie blu il Canal Bianco, un canale che attraversa tutta Adria, omonimo di quello di Venezia, al Po detto di Venezia, appunto.
Una nebbia molto fitta e accecante mi avvolge appena dalla conca entro in Po.
Non riesco neanche più a vedere la punta dello scafo, gli occhi mi bruciano per lo sforzo improvviso, mi sembra di stare seduto in una nuvola, con la sensazione di venire privato in pochi secondi dei precisi limiti e riferimenti che quotidianamente mi limitano, solo il contatto con la barca, con la maniglia del motore, con il rumore e i riflessi dell'acqua appena intorno lo scafo mi ricordano ancora perché sono qui.
Forse aveva ragione Berton, non ho esperienza di queste cose, meglio tornare indietro.
Cerco di cambiare direzione.
Senza che io riesca a comprenderne i motivi, una forte spinta improvvisa cattura la barca, trascinandola sempre più velocemente.
Vado velocissimo. Mi aggrappo con terrore alla barra del motore, aspettando da un momento all'altro di andare a sbattere contro qualcosa.
Poi mi rilasso, sento che tutto andrà bene, che non devo avere paura, che il mio istinto mi guiderà bene, e mi viene fame.
Sono partito senza fare colazione stamattina, e adesso mangerei volentieri qualcuno dei fichi che ho portato.
Li prendo dal mio zaino, li pelo con cura, mischiando in bocca il loro gusto a qualche pezzo di pane. Ottimi.
Sta diminuendo la corrente ora, e anche la nebbia è meno ostinata.
Dritto di fronte a me, avvolta da una forte chiazza di luce che sembra colorata, mi viene incontro un'isola, come una grande nave disegnata in mezzo al fiume dalle correnti, la prua fatta di terra e sabbia, gli alberi fitti, alti, le foglie e i rami avvolti dal vento.
Vedo un fuoco acceso sulla spiaggia, delle ombre che si muovono intorno.
Sono quasi a riva, la nebbia scompare velocemente. La barca d'improvviso si blocca, si impenna, si solleva davanti.
Casco all'indietro, rotolando contro l'asse del motore.
A fatica mi rialzo, osservando, stupito, intorno alla barca.
L'acqua! è sparita, scomparsa, evaporata?!
Il letto del fiume è vuoto, secco, anzi secchissimo, sembra secoli che non ci scorre più un filo d'acqua.
Senza pensare a nulla, per inerzia, per lo spavento, scendo dalla barca, e m'incammino verso quel fuoco.
Ci sono alcune canoe appoggiate a riva, ne osservo una in particolare, scolpita e pitturata con colori vivaci, appoggiata capovolta sulle altre. Vedo una tenda, alta, fatta a cono rovesciato, e intorno dei bambini, delle donne, alcuni giovani uomini, tutti scuri di pelle, come abbronzati, vestiti con abiti di pelle, con delle piume in testa...sembrano proprio indiani, quelli d'America, che tante volte ho visto in televisione.
Uno di questi, uno così grosso che si fatica a vedere dietro, mi viene incontro sorridendo.
Pare non sorpreso di vedermi, in assoluto contrasto con il mio stato d'animo e con le impressioni di paura mista a sorpresa che stanno modificando i tratti del mio viso da quando sono sbarcato.
Alzando braccio e mano destri, fissandomi negli occhi con dolcezza, mi saluta con queste parole,
" Salve indigeno. Veniamo in pace a prendere possesso di questa nuova terra, in nome del nostro Grande Spirito e del Capo della Nostra Tribù. Oggi è una data importante per la Nostra Civiltà. Abbiamo scoperto l'Europa! ".
" Ma scusa, ben-benvenuti, intanto", gli rispondo io stentatamente, alzando una mano, balbettando, come faccio sempre quando mi agito,
"ma-ma, non sapevate già della nostra esistenza, pe-per caso? "
"Certo che sì " mi risponde l'indiano grosso sorridendo.
" Del resto anche Colombo, e quelli che erano con lui, e quelli venuti dopo, sapevano della nostra esistenza, vero? Tu cosa ne dici? Cioè, quando ci hanno visti, si saranno ben accorti che esistevamo, no? "
" Ma loro, lui, lui pensava di andare in India! ",
Come scusa, è debole, e lui subito me la ritorce contro.
" E voi appunto così per lungo tempo ci avete chiamato, Indiani.
Invece che Uomini, più semplicemente, ma uomini, a voi, non siamo certo sembrati. Benissimo. Anzi. Malissimo."
Sembra aspettarsi che io dica qualcosa, poi continua,
" A voi andrà meglio. Io so perfettamente dove sto andando, e vi chiamerò Europei, sei contento? ".
Sorride di nuovo. Non so se devo cominciare a preoccuparmi.
Di essere portato schiavo alla corte di qualche

Enea Bonato

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