Luciano aveva addosso la divisa azzurra del lavoro e un'espressione strana sul volto, vagamente inquisitoria. – L'ho spaventata? – mi ha detto, sorridendo. – Ma scherza? Ho rischiato un collasso, ma per il resto... – Mi dispiace. – È che con tutta questa strana nebbia... – Ha visto che spettacolo? Ero convinto che avrebbero vietato l'accesso al pubblico. Invece, considerata la festività... – Capita che qualcuno si perda, qui dentro? – Succede, sì. Non è raro. E restare chiusi in un cimitero di queste dimensioni non è una cosa piacevole. Tre anni fa, una signora si è lasciata prendere dal panico. L'abbiamo trovata che erano quasi le ventitré, rannicchiata tra due tombe nel chiostro Dei Sarcofagi. Tremava come una foglia e non ho mai capito come non le sia venuto, davvero, un accidente. Eppure, c'era solo un po' di foschia, quel giorno. – Eh sì. Dicono che a Bologna, una nebbia così non... – Sette anni fa. – Cosa? – Sette anni fa, a gennaio, c'è stata una giornata ancora peggiore. – Ma è sicuro? – Mi regolo con l'ossario dei partigiani. Ha presente la struttura fatta a vaso, nel campo degli Ospitali? L'enorme rocchetto di calcestruzzo? – Non mi pare... – È di Bottoni, inaugurata nel ‘59. È alta quindici metri e venti, e alla sommità ha una epigrafe e delle statue in bronzo. E siccome è in calcestruzzo a vista, si notano ancora i segni dei casseri, lungo l'altezza. – E quindi? – Oggi, ad andarci bene sotto, si legge l'iscrizione, anche se con qualche fatica: “Liberi Salgono nel cielo della gloria”. Sei anni fa, invece, si vedeva a stento il terzo corso dei casseri. – Allora, mi arrendo. Del resto, l'esperto qui è lei. – E lei, invece? – ha insistito. – Con l'aria da cacciatore di emozioni forti che si ritrova, con il suo piglio da documentarista dell'occulto, mi vuole ancora convincere di essere un rappresentante di elettrodomestici? – Forniture per la ristorazione, per la precisione. – Oh sì, certo... Gli alberghi. Ma per favore! Non si aspetti che le creda ancora. – Eppure, le assicuro che... – Va bene, va bene. Del resto, sono affari suoi. E allora, cosa cerca oggi, alla Certosa? – Ho un appuntamento. – Qui al cimitero? In Piazza Maggiore, era troppo banale, eh? – Aspetto qualcuno che può chiarirmi le idee sulle rane e sugli ingranaggi. – Ah, già: le sue amatissime rane! E così, alla fine ha trovato un vero esperto... – Per la precisione, è una bella ragazza. – Ah, caspita! In tal caso, comincio a capire. – No, non tragga conclusioni. Può essere che oggi riesca a scoprire davvero qualcosa. – Glielo auguro. Glielo auguro, perché... – ha detto, guardandosi attorno – ... Perché farebbe meglio a frequentare altri posti, soprattutto in questa stagione. Soprattutto con questa nebbia. – Il fatto è che ogni volta che credo di venirne fuori, spunta qualche nuovo elemento. – Qualche nuovo simbolo? – Qualche notizia. Un particolare che non conoscevo ancora. Come il nuovo anello di una catena. Adesso, per esempio, ho per le mani un Medico d'altri tempi. – Un altro? Non le è bastata la signora Biallauri? – Questo è più antico. Uno scienziato di due secoli fa. Anche lui bolognese, forse. – E chi sarebbe? – Otello Siliani. Lo ha mai sentito? L'ho visto piegarsi leggermente in avanti, per l'effetto di una risata trattenuta. Poi, ha allungato le mani, come a chiedermi di non procedere oltre. Pareva davvero divertito: – No. Non dica altro, la prego... Soprattutto, non mi venga ancora a raccontare la storia del rappresentante, perché adesso non me la bevo davvero più. Abbia un po' di rispetto per la sua e per la mia intelligenza. – Ma perché, mi scusi? – Ascolti attentamente cosa le dico: c'è gente che vive a Bologna da sempre e nemmeno sa dove sia la Certosa. Lei, invece, viene qui come un visitatore qualunque, ma punta dritto sulle cose più intriganti. Quindi, credo che lei la sappia più lunga di come voglia darla ad intendere. – Ma no, senta: io non... Davvero. – Non ha importanza. Sono cose sue. Venga. – Vengo, dove? Ha abbassato la voce è ha ammiccato: – Venga! Non ha appena detto che le interessa il Siliani? Si è allontanato, senza dire altro e senza aspettarmi. L'ho seguito nella bambagia della nebbia, lungo un itinerario che non riuscivo a interpretare, e badavo solo a non perderlo di vista, perché se fossi rimasto indietro, sarebbero bastati pochi passi e mi sarei nuovamente smarrito nel nulla. Abbiamo tracciato una ragnatela di angoli, come il percorso mandato a memoria di un labirinto invisibile. Siamo incappati in pochi visitatori, piccoli gruppi infreddoliti sotto le volte delle gallerie, dove la nebbia era più restia ad entrare. Forse, ma non ne ero certo, siamo arrivati all'interno del terzo chiostro. Il custode si è fermato, improvvisamente, davanti ad una sepoltura molto semplice. Quattro colonnine metalliche sorreggevano una catena d'acciaio, con gli anelli che sembravano forgiati a mano e costituivano una recinzione alta non più di mezzo metro. Al centro, era collocata una lastra di marmo, perfettamente orizzontale, e sopra quella, era sistemato un busto chiaro, a grandezza naturale, sorretto da un capitello più scuro, alto poco meno di un metro. Otello Desmo Siliani aveva un piglio severo, da Cattedratico ottocentesco. Barba generosa, quasi incolta, e baffi folti ed appuntiti all'estremità, leggermente curvati verso l'alto. Lo sguardo era intenso e penetrante, ma indirizzato un po' di lato, così che a stargli davanti si aveva l'impressione che ti guardasse sulla spalla, o appena oltre. – Come può constatare, niente di eccessivo – ha detto Luigi. – Solo elegante sobrietà. La qualità del marmo, però, non si discute. Guardi la trama di questa lastra. L'ho osservata da vicino. Pareva lo specchio d'acqua di un lago alpino, o un cielo appena disseminato di cirri. Ma l'azzurro intenso del fondo era cosparso di venature casuali, alcune filiformi, altre più consistenti, tutte di un colore che definire giallo era davvero una indegna semplificazione, perché le tracce, che sembravano generate da un pennello intriso di vernice e strisciato sulla pietra, erano, senza possibilità di dubbio, del colore dell'oro più brillante. – La bellezza di questo marmo toglie il fiato – ho detto. – Sono d'accordo con lei. Dovrebbe vederlo col sole, poi. È una varietà senese di grande pregio. E ha un nome molto evocativo. – ... Ossia? – Nuvolato etrusco. – Ancora gli Etruschi, dunque. – Eh gli Etruschi, caro lei! Sono sempre lì, in agguato! Per quanto, a lei potrebbe sembrare una semplice combinazione. In ogni caso, all'apparenza, è solo una tomba elegante, senza esagerazioni, come ce ne sono tante. Però... – Però? – Adesso, le racconto. Intanto, si legga la lapide.
OTELLO DESMO SILIANI
DOCTOR DEDITUS PRAETOR PERACER
CUSPIS CALLIDA
IMOLA 1803 Ω BOLOGNA 1876 Α
LA GRATITUDINE DEI SUOI CONCITTADINI LA COMUNITA' SCIENTIFICA BOLOGNESE LA DEVOZIONE DEI SUOI DISCEPOLI POSERO –MCMLXXVI– – Non ci capisco molto – ho detto. – Non ho mai accettato la mia ignoranza e adesso sono arrivato ad odiarla. – Spero non le venga in mente che io possa aiutarla. Per me, il latino è arabo. – “Doctor” ci vuol poco a capirlo. Il “peracer” potrebbe essere un incrocio tra un pero e un acero? – Lei ha voglia di scherzare. E poi, non mi faccia domande, le ho detto. Però, quelli sono certamente appellativi amorevoli. Quando muori, anche i peggiori nemici si accorgono delle tue qualità. Figuriamoci gli amici! – Nato a Imola... – ho commentato. – No, attenzione! Morto a Imola – ha precisato Luigi. –E rinato a Bologna. – Come “rinato”? – Non vede che accanto a Bologna c'è una lettera alfa? – Ah, sì. E invece? – Dovrebbero essere invertite. Inizio e fine, nascita e morte. Prima alfa e poi omega. – È vero, non lo avevo notato. È un po' strano. Lei, ovviamente, non crede a un caso, a una svista... – Ma andiamo! Una cosa così non la sbaglierebbe nemmeno un bambino, e invece commettono un errore tanto grossolano proprio quando vogliono realizzare un monumento commemorativo? – Ha ragione. La tomba è stata realizzata cento anni giusti dopo la morte di Siliani. – Infatti. Sembra proprio la celebrazione di un centenario. È probabile che le spoglie siano state traslate da un altro sepolcreto. – E da dove? – Non ne ho la minima idea, naturalmente. Da Imola, magari? Ho trascritto le incisioni della lapide su un foglietto. Tutte, anche le parole non latine. – Ha visto che belle rane sulla colonna? – ha chiesto il custode, mentre ancora scrivevo. – Le rane? Adesso, è lei che ha voglia di scherzare. – Vada, vada a controllare. Sono andato con le gambe fin contro la catena della recinzione, a esaminare il cippo che reggeva la statua.
C'erano davvero, le rane. Piccole, delicate, più esili raganelle che robusti batraci. Se ne stavano aggrappate a un intrico di elementi vegetali, come se tentassero di inerpicarsi per raggiungere l'effige del Medico, e con le minuscole zampe parevano tese nello sforzo dell'arrampicata. Ne ho contate cinque, ma considerando anche la superficie che da quella postazione non riuscivo a vedere, era probabile che ce ne fossero anche il doppio. – Convinto? – ha commentato Luigi. – Così, ha trovato anche le rane e i melograni. Non è contento? – E i melograni dove sono? – ho chiesto. – Lei non vedrebbe acqua in mare, per la miseria! Quelli sui quali sono avvinghiate le rane sono melograni. – Ma è sicuro? Io vedo solo dei tralci pieni di foglie. Lei dice queste specie di... Di fiaschette? – Ne ho visti altri, così. Un po' stilizzati, ma sono proprio melograni. – Meraviglioso! – ho esclamato. Ecco un compendio di tutto ciò che non sono riuscito a capire nella storia. – Non era la sua massima aspirazione? Se poi ha voglia di lavorare un po' di fantasia, ci trova anche gli ingranaggi, lì sopra. – In che punto? – Attorno al collo di Siliani. Non le sembrano delle rotelline dentate? – Un attimo che controllo. Lei faccia finta di non vedere... Ho scavalcato la catena della recinzione e sono salito sulla lastra di nuvolato etrusco, a osservare, più da vicino, il ritratto del Medico. Poteva sembrare un semplice ornamento dell'abito, un fregio di fantasia per arricchire la preziosità di una camicia a sbuffo, incorniciata dal bavero più liscio di una marsina. Ma esaminando con attenzione, si notava la maglia regolare di una catenella che fuoriusciva dai risvolti del colletto e scendeva in basso, dove recava, come perle infilate in un collier, cinque elementi piatti e circolari, vagamente somiglianti a grandi monete. Ho passato un dito sul bordo delle rondelle di marmo. C'era davvero, sul loro perimetro, un accenno di dentellatura. Ma poteva essere anche solo suggestione, l'illusione di riuscire a trovare un elemento che le facesse apparire come piccoli ingranaggi meccanici. – Ebbene, che ne dice? – mi ha chiesto Luigi. – Non so. È difficile dirlo. Potrebbero essere solo medaglie. – Come, medaglie? Ma non vede che sono forate al centro? E poi, si portano così le medaglie? – Ma nemmeno gli ingranaggi si portano al collo. Lei cosa ne pensa? – Per me, sono rondelle infilate in una collana. Se poi hanno anche una dentellatura esterna, tragga lei le conclusioni. È sbucata, dalla nebbia, una coppia di donne. Sembrava si puntellassero l'una con l'altra per darsi coraggio. Devono averci visto solo all'ultimo momento, perché hanno avuto un leggero sussulto, deviando leggermente e passando un po' discoste dalla tomba, più di quanto sarebbe stato necessario. – Oggi, è un giorno ideale per prendersi uno spavento – ha detto Luciano, sorridendo.
Federico Maderno
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