Arrivammo al 45 di Cable Street. La porta dell'obitorio, ma sarebbe meglio dire dell'ospedale dei morti, era un robusto pannello di rovere, ma la serratura era davvero troppo elementare per la mia buona manualità. Il Dottor Wood circondò la lanterna con il suo tabarro, in modo da lasciar passare solo la luce indirizzata nel punto dove io lavoravo di grimaldello. – Può essere che ci arrestino – mi disse, mentre scrutava, nel buio, in direzione di Royal Mint. Mi voltai di scatto, temendo il peggio. – Viene qualcuno? – sussurrai. – No. È tutto tranquillo. – E allora? – Volevo dire... Se dovessero arrestarci, mi piacerebbe sapere, almeno, per cosa sto rischiando. Tornai a concentrarmi su quel sistema di chiusura. – Francamente, credo sia meglio che voi ne rimaniate al di fuori. – Ah, sì. Bel modo di ragionare. – Dico davvero, Dottore. Preferisco tenervi fuori da una situazione piuttosto... ingarbugliata. – Peggiore di questa? – Temo molto peggiore. Mi rispose con qualche brontolio, ma il suo disappunto fu coperto dallo scatto fin troppo sonoro della serratura. – Ecco fatto – dissi, tenendo aperta la porta, quel tanto che era sufficiente per farlo passare. – Vado avanti io? – obbiettò. – Siete voi ad avere la lanterna, no? – Se è per questo, sono pronto a cedertela volentieri. – ... E poi, voi avete più dimestichezza con la materia. – Cuor di leone, vedo! – Io con i vivi sono coraggiosissimo – protestai. – Con i defunti... Mah! Scrollò ancora il capo e scivolò all'interno.
L'ospedale dei morti di Cable Street è quasi solo una stanza arredata con tavolacci disposti su due file, così che ci si può passare in mezzo restando distanti dai cadaveri non più di un braccio da ogni parte. C'ero stato una mezza dozzina di volte, a riconoscere degli amici che avevano fatto i conti con qualcuno veloce di coltello, con la fame o con le malattie. Ma andarci con il buio, o quasi, era un'altra cosa e se di giorno si aveva, almeno, la sensazione di avere sotto controllo ogni particolare dell'ambiente, in quella penombra inquietante, rotta appena dal bagliore incostante del kerosene, pareva che da ogni canto più buio, un entità malefica potesse saltar fuori a ghermirti. Poi, c'era da fare i conti con il tanfo di morte. Passava dal naso e arrivava diretto al cervello, tanto che era inutile tentare di controllarlo razionalmente. Saranno stati la concentrazione dei corpi in quell'unica stanza e il ristagnare dell'aria in un ambiente sigillato da ore. Me lo sentivo addosso come un sudario appiccicoso, infinitamente più intenso di quanto lo avevo sentito poche altre volte. Wood alzò la lanterna tra i nostri sguardi: – Può essere colpa di questo stoppino maldestro, – considerò, roteando gli occhi sul mio volto – ma mi sembri piuttosto pallido, ragazzo. – Non è escluso che io cominci a vomitare – dovetti ammettere. – Poco male. Se ti trattiene l'idea di sporcare per terra, non farti problemi. – Perché...? Alzò alternativamente i piedi, e nel silenzio dell'obitorio, s'intese ogni volta uno scalpiccio attaccaticcio, prodotto da qualcosa di colloso che doveva impiastrare il pavimento. – Non vi azzardate ad abbassare quella lampada sotto il livello della cintola! – gli intimai. – Eh! Questa assurda e inutile mania di lasciare trascorrere quarantotto ore! Che poi, inevitabilmente, diventano spesso anche di più, e allora, tenuto conto delle condizioni di certi cadaveri, del caldo e... – Va bene, ho capito... Vi autorizzo a privarmi del piacere di certi particolari. – Allora, cosa stiamo cercando? Si voltò verso le due file di tavolacci. La luce della lampada, scorrendo rapida sulle sagome delle salme, proiettò sulle pareti una schiera di ombre dondolanti, mobili, l'illusione di un agitarsi improvviso dei defunti. – Per la miseria, Wood, volete farmi venire un infarto? – Cosa ti aspettavi di trovare, in un obitorio? – Lasciamo perdere. Stiamo cercando un Gallese di quarant'anni, più o meno. – C'è qualche Gallese, qui dentro? – scandì Wood, a voce molto alta, infrangendo il mormorio che avevamo mantenuto fino ad allora. – Santo Dio, Dottore! – Dammi qualche particolare, allora. Qui dentro, ci sono forse sedici cadaveri. – Che posso dire? È morto annegato, forse. – Ripescato subito, o tirato a riva dopo qualche tempo? – Non posso saperlo. Anzi, sono venuto qui per scoprirlo. – Mah! Proviamo un po' a dare un'occhiata. Non mi dilungo, qui, a raccontare i particolari di quella indagine penosa. Non lo richiede la trama della mia narrazione e non è decoroso per quei poveri corpi. È sufficiente dire che mi toccò guardare dappresso non meno di otto di quelle salme, standomene alle spalle di Wood, quasi a cercare un riparo, una protezione viva che si frapponesse tra me e la morte. Finalmente, ad un nuovo controllo, scorsi delle sembianze che potevano essere quelle dell'uomo ripescato nel London Dock. – È lui? – chiese Wood, portando la lanterna ancora più vicino al volto disfatto del cadavere. – Sì... No... Sì, può essere. – Beh, credo che dovrai deciderti, ragazzo. – Sì, penso che sia lui. – Allora prendi tu la lanterna e tienila bene in alto. Scostò il telo che copriva parzialmente la salma, ma mentre lo ammucchiava all'altezza delle caviglie, s'intese, nitido, il trillo ripetuto di un campanello, che mi fece raggelare il sangue. – Beh? Che c'è adesso da tremare? Avevo preso a sussultare così violentemente che la luce, con la quale dovevo facilitare l'operato del Dottore, dava, invece, solo fastidio. – Non avete sentito? – domandai, cercando di fermare la lanterna anche con l'altra mano. – Cosa? – Il campanello. – E allora? – Qualcuno si è mosso. – Hai la fantasia un po' sovreccitata – disse Wood, indicandomi il piccolo strumento di metallo legato alla gamba del cadavere. Doveva averlo scontrato più volte, durante quella prima operazione. – A questo potevano anche evitare di piazzargli il sonaglietto. Questo, se si sveglia e si rende conto di com'è conciato, si suicida immediatamente. – Ah, ecco! – Non fare il bambino, e tieni ferma quella luce! Lo vidi frugare nella sua borsa, che teneva schiacciata conto il tavolaccio per evitare di appoggiarla a terra. Ne tirò fuori qualcosa di simile ad una lente, una bustina con parecchi bisturi allineati e un paio di altri marchingegni che non mi fu possibile riconoscere. La sua ispezione durò qualche minuto. Io mi convinsi che era già una grande responsabilità fare la parte del lampione e cercai di ignorare quello che avveniva oltre le spalle del Dottore, soprattutto quando le manipolazioni generavano rumori che lasciavano pochi spazi alla fantasia. – Ci vorrebbe più luce... – disse, improvvisamente, Wood. – Io, più di così non... – No, intendo proprio che bisognerebbe essere nelle condizioni di operare con maggior agio. In ogni caso... Si voltò, per esporre meglio le sue considerazioni e nel farlo, la luce della lanterna concentrò tutta la potenza sul suo viso, che mi rimaneva a due palmi. – Dicevo che sarebbe stato opportuno avere... Perché fai quella faccia? – Avete, sulla fronte... Avete... delle... – ma preferivo non indagare quali fossero le cause di numerosi schizzi grumosi che gli imperlavano la faccia, fin sopra i capelli. – Ah, questi? Beh! Non siamo mica in un salone di bellezza, no? – Credo che mi deciderò a vomitare – conclusi. Si passò una pezzuola sul viso. Poi, cominciò a riporre i suoi strumenti nella borsa. – Naturalmente, come ti ho già detto, sarebbe necessario molto più tempo e una situazione logistica più favorevole. Però... – Cosa...? – Quest'uomo non è morto per annegamento. – Sicuro? – Quanto basta per dirlo. Ovviamente, sarebbe necessaria un'autopsia ben più seria. Quando hai detto che lo hanno ripescato? – Due giorni fa. Più o meno. – Questo è morto da più di una settimana, ed è stato in acqua almeno quattro giorni, ma probabilmente di più. Aspetta, guarda qui. Mi tolse dalle mani la lanterna e la accostò alla testa del cadavere, così decisamente da temere che quel corpo decomposto potesse reagire e tentare di mordergli le dita. Poi, aiutandosi con un angolo di quella pezzuola, sollevò il labbro superiore scoprendo il ghigno della dentatura. – Ecco, guarda qui, sugli incisivi. – Cosa...? – domandai, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo da una piaga bluastra che gonfiava la guancia destra e sembrava voler esplodere. – Avvicina la testa, non aver paura. – Mi fido, davvero. – Vedi questa colorazione rosata dello smalto? – Sì. Mi pare, sì – mentii, restando a buona distanza da quella carne putrida. – È tipica di una permanenza prolungata nell'acqua. E poi, il cadavere galleggiava, quando lo hanno trovato, no? – Esattamente. – Ecco una buona conferma. È probabile che sia andato a fondo abbastanza presto, vista la costituzione asciutta del soggetto. In questa stagione, impiegano quattro o cinque giorni per tornare a galla. – Quattro giorni? – Anche di più. Dipende da quanto ci mette la putrefazione per iniziare a sviluppare i gas che li riportano in superficie. Siamo un po' come palloni, sai? Palloni gonfiati già in vita e poi anche dopo.
Federico Maderno
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