- Ricorda ragazzo mio, ognuno paga le conseguenze delle proprie scelte - furono le parole che mi disse quel giorno mio padre guardandomi dritto negli occhi. - Non ascoltare gli altri. Pensa con la tua testa. Fai sempre in modo che quelle scelte siano tue, solo così sarai libero - aggiunse infine dandomi una pacca sulla spalla. Quello fu l'ultimo istante in cui vidi mio padre vivo. Pochi minuti dopo venne condotto sul patibolo dove venne impiccato di fronte a me e a mia madre, che pianse per tutto il tempo. Mio padre venne condannato all'impiccagione dopo che gli agenti del governo lo trovarono in possesso di libri considerati illegali. Quei libri che mi leggeva quando ero un bambino, poco prima di addormentarmi, erano la memoria di un tempo passato e purtroppo anche dimenticato. Ma per il governo quei libri dovevano rimanere nell'oblio e li considerava troppo pericolosi. Così, condannò mio padre a morte. Non compresi pienamente quelle parole che pronunciò mio padre quel giorno, ma lo ascoltai con attenzione senza dire niente per tutto il tempo. Ma in fondo cosa dovevo fare? Ero solo un ragazzino di dodici anni che stava salutando per l'ultima volta suo padre e che lo avrebbe visto morire poco dopo. Come potevo capirle? E pensare che a distanza di diversi anni, mi sono ritrovato nella sua stessa situazione. A pensarci, mi verrebbe quasi da ridere. Anzi, qualcuno potrebbe anche dire che buon sangue non mente. Infatti, quel qualcuno pronunciò quelle esatte parole poco dopo aver pronunciato la sentenza, la mia condanna a morte. Quel dannato giudice espresse quelle precise parole guardandomi dritto negli occhi dopo aver battuto il suo martelletto con forza. Il giudice Walker, lo stesso che condannò mio padre a morte e, dopo circa venti anni, condannò il figlio. Condannato a morte per terrorismo. Esatto. Per il governo sono un terrorista. Esatto, io sono un terrorista. Davvero ironico. Io che ho sempre condotto una vita normale, quasi da cittadino modello. Mi sono diplomato alla scuola pubblica con ottimi voti. In seguito, sono andato a lavorare alla fabbrica di prodotti alimentari. Possedevo anche un monolocale in periferia concessomi dal governo stesso. Ho sempre pagato le tasse e non mi avevano mai dato punti negativi sul mio profilo. Nonostante tutto per loro sono un terrorista, un nemico pubblico della società. Vorrei farti capire il percorso che mi ha guidato fino a questa situazione, ma per farlo, dovrei prima raccontarti qualcosa del mio mondo, anzi, del nostro mondo. Dovrei raccontarti della mia vita, della morte di mio padre, della perdita di mia madre. E dovrei raccontarti degli eventi che mi hanno condotto qui oggi, in questa fottuta cella di isolamento. Oggi. Non saprei neanche dirti che giorno sia oggi. L'unica cosa che so di certo è che siamo nel duemila cento cinquantasette, ma non so dirti in quale mese. Non so se fuori sia giorno o notte. Se sta piovendo o se sta splendendo il sole, oppure se stanno brillando le stelle in cielo. L'unica cosa che so di certo è che sono chiuso in questa cella di isolamento, senza una finestra e senza alcun contatto col mondo esterno. E sono qui da molto tempo, forse da troppo. Scusami, mi sono espresso male. Tre volte al giorno ho un misero contatto umano, limitato ad una mano che vedo spingere il vassoio che contiene il mio pasto, attraverso la fessura situata in fondo alla porta. Ma questo capita nei giorni buoni. In quelli cattivi è uno scarponcino nero che spinge quel vassoio. Dipende dall'umore del mio carceriere, quello che si ricorda che devo arrivare vivo e in salute al giorno dell'esecuzione. L'unica consolazione alla mia reclusione è che l'agente del governo, quello che mi ha interrogato per svariati giorni, mi ha consegnato questo quaderno dove posso scrivere la mia storia. Mi ha concesso la possibilità di raccontare la mia esperienza, tutto ciò che mi passa per la testa durante il mio soggiorno forzato. Onestamente, non saprei neanche se se avrò la possibilità di finirlo, ma poco importa, non dovrò mica leggerlo io. - Ti servirà per non impazzire e per tenerti impegnato mentre aspetti l'esecuzione - mi disse quell'agente mentre me lo metteva in mano, alcuni istanti prima di chiudere la porta della mia cella. Sono tutte cavolate. Quel tizio mi ha mentito, come è una menzogna il mondo in cui viviamo. Questo quaderno non serve per evitare che impazzisca, né tantomeno per tenermi impegnato mentre soggiorno nel braccio della morte. Quando sarò morto, un impiegato del governo dovrà leggere questo quaderno e analizzare le mie memorie, la mia storia. Tutto questo farà in modo che il governo possa prevenire la ribellione di altri cittadini con profili o storie simili alla mia. Nonostante non nutra alcuna simpatia per il governo, ho deciso di scrivere lo stesso la mia storia, nella speranza che possa servire a lasciare qualcosa di me. Non mi descrivo come un ribelle. Almeno non credo che possa essere classificato come tale. Diciamo che sono una persona che cerca di capire il mondo che lo circonda e di vivere come meglio crede. Sono solo un uomo che ha seguito il consiglio lasciato dal padre in punto di morte, cioè quello di pensare con la propria testa. Purtroppo nel nuovo mondo, nel modello di società in cui viviamo tutti quanti, anche il pensiero proprio è considerato un crimine. Pensare è reato. Un crimine punibile dalla legge, soprattutto se esprimi pubblicamente un pensiero che si discosta troppo da quello che ci impone il governo stesso. Sin dall'infanzia ci viene insegnato che dobbiamo seguire ed abbracciare il pensiero unico globale. Lo stesso pensiero che impone il governo attraverso slogan da quattro soldi e una morale che si regge in piedi solamente perché è proibito contrastarla. Se tenti di pensare in completa autonomia e commetti l'errore di esprimere il tuo pensiero, diventi un terrorista senza troppe giustificazioni. Eppure, nonostante tutto, ricordo di un uomo, vissuto secoli fa, di cui mi parlava spesso mio padre. Questo uomo diceva pubblicamente e con un'espressione semplice, ma forte - Penso dunque sono. - Tanto per essere chiari, non mi hanno condannato per il reato di pensiero. Furto di documenti. Mi hanno condannato per il furto di documenti riservati presso la mia azienda. Ovviamente, non ho mai rubato quei documenti e non vennero neanche trovati in mio possesso durante l'arresto. Eppure, avevano trovato le prove per incastrarmi dai video di sorveglianza della mia azienda. Come ciliegina sulla torta, dissero che facevo parte di un gruppo di terroristi che ovviamente non conoscevo, cosa che mi fece guadagnare il diritto ad una morte precoce. In realtà, nella mia realtà, in quella che ti racconterò su queste pagine, sono stato condannato per aver scoperto qualcosa che non andava scoperto. Un segreto celato all'umanità per millenni che doveva rimanere tale. Proprio quel segreto mi ha condotto qui oggi, in questo preciso istante. Per ora non dirò nulla riguardo a ciò che ho scoperto. Ma lo scoprirai se proseguirai nella lettura di questo dannato quaderno. Per ora, preferisco narrarti tutti gli eventi che mi hanno condotto fin qui, chiuso tra quattro mura e con il capo chino su questo quaderno. Vorrei farti conoscere la mia vita, la mia storia. Vorrei farti capire che non sono un terrorista come dicono loro, ma una vittima di un sistema malato. Tutto ti verrà rivelato, sii paziente e prosegui nella lettura te ne prego e non giudicarmi prima di aver finito. Non te lo perdonerei. - Reese! Quarantotto ore! - Il mio amato carceriere ha appena bussato alla mia porta e mi ha gridato quelle parole. Mi rimangono quarantotto ore di vita. Ci tengo a dirti che non sono spaventato. Non ho paura di morire. In fondo, sto solo pagando le conseguenze delle mie scelte. Giuste o sbagliate che siano state, sono state mie, dettate dalla mia stessa volontà. Ormai sono qui. Volente o nolente devo accettare la realtà e farmene una ragione. Solo così potrò raccontarti la mia storia. - Lascia le luci accese! - grido a quella guardia.
Michele Scalini
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