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Autore: Alessandro Spalletta
Il Cavaliere del Grifone
Romanzo Storico
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Il Cavaliere del Grifone
Una storia mai raccontata. Il romanzo storico del medioevo italiano.

Siena, A.D. 1298 sabato 28 giugno.
La città era in festa, lo si poteva capire anche da quella distanza. La gente si accalcava nei pressi delle mura, davanti al grande portone di legno massiccio spalancato per l'occasione. Il vociare chiassoso e allegro aumentava di tono avvicinandosi.
- Siamo arrivati finalmente, vecchio mio! - , disse Bino degli Abati del Malia. Si sporse dalla sella per assestare una pacca sulla spalla del suo accompagnatore. Era euforico.
- Ve l'ho già detto, vostro padre non sarà contento - , rispose l'altro. In effetti era vero, glielo aveva già detto. Almeno un centinaio di volte durante quel paio di giorni di marcia. Era il servitore di Bino, un uomo sui cinquant'anni, con i capelli ingrigiti ma con le spalle larghe ancora ben dritte.
Bino si rabbuiò all'ennesimo rimprovero, ma durò soltanto un momento. Sul suo viso tornò subito a farla da padrone il sorriso, felice come quello di un bambino che si appresta a ricevere un regalo tanto atteso.
- Lo so, lo so - , rispose, - ma vedrai che se ne farà una ragione. In fin dei conti cosa sto facendo di male? -
- Beh - , fece l'altro, - io sono solo un servitore e non mi intendo degli affari di vostro padre. Sto al mio posto, io - , aggiunse senza abbandonare il tono di rimprovero, - comunque ho visto abbastanza per sapere che vostro padre non vuole immischiarsi troppo con i senesi. Tanto meno se sono banchieri. Ancor peggio se sono doganieri - , concluse, calcando sull'ultima parola.
Bino sapeva bene che il servitore aveva ragione, ma non era riuscito a resistere alla tentazione.
La famiglia Bonsignori, una tra le più importanti e influenti di Siena, aveva organizzato un magnifico torneo d'arme nella piazza più importante della città. Erano stati invitati a partecipare i migliori guerrieri, i cavalieri e i nobili più importanti. Tra questi, inaspettatamente, anche gli Abati del Malia, visconti di Batignano, una piccola rocca nella contea degli Aldobrandeschi.
I festeggiamenti a Siena erano già iniziati quella mattina e sarebbero proseguiti ininterrotti con spettacoli e divertimenti di ogni tipo fino all'indomani, quando si sarebbe svolto il torneo vero e proprio.
I partecipanti alla gara si sarebbero sfidati in una giostra a cavallo secondo la moda francese e, soprattutto, in una mischia tra combattenti appiedati. In pratica una specie di battaglia, tutti contro tutti. Quello era il vero piatto forte. I senesi amavano la mischia, sia che fossero loro stessi a combattere, come nel gioco dell'Elmora, sia quando a battersi era qualcun altro. I Nove, i governatori di Siena, erano stati costretti a vietare le battaglie per gioco tra i cittadini perché regolarmente vi morivano almeno una ventina di persone. Quindi, questa volta, i senesi si sarebbero limitati a guardare e a gioire per ogni stoccata e ogni fendente. A sfidarsi sarebbero stati solo cavalieri e uomini d'arme. La gloria sarebbe stata tutta per loro.
Bino aveva poco più di vent'anni, la maggior parte dei quali passati addestrandosi a combattere. Gianni, così si chiamava il servitore che lo aveva accompagnato, gli aveva insegnato a tirare con l'arco e Bino era infatti un ottimo arciere. Il suo forte però era la spada. Negli anni, si era addestrato con i vari maestri spadaccini che il padre aveva fatto venire da mezza Europa.
Molto raramente Bino aveva lasciato le colline dove era nato, che si affacciavano sulla valle del fiume Ombrone, e comunque mai per lunghi periodi. Il viaggio più importante che fino ad allora aveva intrapreso era stato un pellegrinaggio a Roma. Una bellissima esperienza, per carità, ma solamente quattro giorni di marcia per andare e addirittura solo tre per tornare indietro. Con tutta la curiosità della giovinezza, Bino sognava luoghi esotici e fantastici. Voleva vedere Santiago de Compostela e Gerusalemme, magari combattere per renderla nuovamente cristiana, e chissà, magari anche Avalon stessa, con Re Artù, Lancillotto e tutti gli altri delle leggende che gli avevano raccontato sin da quando era bambino.
Insomma, voleva l'avventura e negli ultimi due anni aveva deciso di andare a prendersela. Aveva iniziato a partecipare ai tornei che si svolgevano nei dintorni e aveva combattuto a cavallo più volte, sia in gruppo che in singolar tenzone. Ancora non aveva mai vinto nulla, ma si era comunque battuto bene e ne era soddisfatto. Certo, non aveva ancora trovato draghi da uccidere e nemmeno, ahimè, damigelle da salvare, ma era pur sempre un modo per evadere da quella campagna che l'aveva visto crescere. Bino amava le sue colline e le loro selve fitte e profumate ma, al momento, gli stavano un po' strette.
Insieme a Gianni, raggiunse finalmente la folla che cercava di entrare in città. Le guardie alle porte notarono lo stemma nobiliare ricamato sulla casacca di Bino e iniziarono a spingere a destra e a manca per far passare lui e un altro cavaliere che stava sopraggiungendo in quel momento insieme a una mezza dozzina di servitori.
Bino rivolse un cenno di saluto piuttosto caloroso al nobile, come se fosse un vecchio conoscente. Questo gli rispose freddamente, per pura cortesia, dopo aver guardato lo stemma degli Abati del Malia senza riconoscerlo. Bino era talmente eccitato che non ci fece nemmeno caso.
- I cavalieri partecipanti al torneo proseguano da questa parte! -
Un banditore urlava, facendo del suo meglio per sovrastare il rumore della folla, - tutti voi altri, trovatevi un posto per passare la notte! E toglietevi dai piedi! Fate passare. Messeri, da questa parte, venite! Per questa strada troverete la locanda migliore della città! -
- Probabilmente sarà il bordello di sua madre - , bofonchiò Gianni, a disagio nella calca. Il vecchio servitore era un cacciatore e amava le foreste, non le città. Bino rise di cuore alla battuta e gli assestò un'altra pacca sulla spalla.
I due si addentrarono per le strade di Siena. La città pareva vestita a festa. Drappi di stoffa dai colori accesi decoravano le finestre, ghirlande di fiori erano ovunque e riempivano l'aria con il loro profumo. Le bandiere dei Terzi e delle varie contrade sventolavano pigramente, mosse dal vento che riusciva a incunearsi tra i vicoli brulicanti di vita. Bino si guardava intorno, talmente incuriosito da quell'atmosfera di festa che a malapena riusciva a farsi strada tra la fiumana di gente che inondava le strade.
Impiegarono molto tempo per percorrere poca strada, ma finalmente raggiunsero il luogo che era stato dedicato al torneo. Piazza del Campo.
Se la trovarono di fronte improvvisamente, sbucando da una delle viuzze che vi si affacciavano. Era magnifica a vedersi. Un enorme spiazzo, in leggera pendenza e a forma di conchiglia. Era divisa in nove spicchi in onore dei Nove governatori di Siena. Sulla piazza troneggiava il Palazzo Pubblico, ancora non terminato, con le impalcature che si arrampicavano sui suoi fianchi squadrati e massicci come una mostruosa edera. In lontananza, si scorgeva la torre slanciata del campanile della maestosa cattedrale da poco costruita.
Tutto intorno alla piazza, erano state montate una gran quantità di tende e padiglioni dai colori sgargianti, sormontati da un'infinità varietà di bandiere e stemmi. Al centro, invece, un'ampia porzione di terreno era stata accuratamente livellata e recintata. Là si sarebbe combattuto il torneo, prima la giostra a cavallo e poi la mischia. Degli spalti di legno erano stati montati di fronte al Palazzo Pubblico ed erano abbelliti con sontuosi drappi di stoffa scarlatta, finemente decorata con ricami dorati, e morbidi cuscini. Là, i nobili e i più abbienti avrebbero goduto dello spettacolo.
Una moltitudine variopinta di persone si aggirava per tutta la piazza: cavalieri e combattenti, servitori e scudieri, stallieri affaccendati nel tentativo di tener puliti gli animali, mercanti da quattro soldi che vendevano cibo, vino e birra; saltimbanchi, acrobati, giocolieri. Un caos festoso che induceva al buon umore e incuteva timore al tempo stesso. I cavalieri erano per lo più vestiti secondo le ultime mode, fatta eccezione per qualcuno più austero in abiti scuri. I più ricchi facevano deliberatamente sfoggio di stoffe ricercate e senza dubbio molto costose.
Nonostante il caldo, Bino aveva viaggiato indossando la cotta di maglia, come era sua abitudine. Sopra alla maglia metallica indossava una semplice tunica gialla che aveva visto giorni migliori, sulla quale era ricamato lo stemma di famiglia, uno scudo blu scaglionato di bianco e sormontato da un giglio.
Raggiunsero un funzionario della Repubblica seduto a un banchetto e smontarono da cavallo. L'ometto identificò Bino grazie allo stemma che portava e a una serie di pergamene con le miniature di tutti i blasoni dei partecipanti. Non riuscì a nascondere uno sguardo sorpreso quando vide l'abbigliamento di Bino e nella sua mente lo classificò subito come un campagnolo del tutto estraneo alla vita civile. Scosse la testa e chiamò uno dei ragazzi che gli stavano intorno.
- Accompagna messer Abati del Malia al suo padiglione - , disse tirando a sé il ragazzo per un braccio, senza troppe cerimonie.
- Buona fortuna messere - , aggiunse sbrigativamente rivolto a Bino per congedarlo.
Conducendo i cavalli per la cavezza, Bino e il suo servitore si affrettarono dietro al ragazzo, che era partito a spron battuto, insinuandosi agilmente tra i cavalieri e tutta l'altra gente che affollava la piazza.
- Venite, messere, non rimanete indietro! - gridò allegramente il valletto senza fermarsi. - Vi aspettate di vincere domani? A cosa parteciperete? - chiese, con una buona dose di faccia tosta. Bino scoppiò a ridere.
- Alla mischia, ragazzo. Ma vincere... Suvvia, non prendiamoci in giro, sarebbe chiedere troppo! -
Il ragazzo si bloccò di colpo per guardare meglio il cavaliere che stava accompagnando. Non lo conosceva e sembrava un campagnolo, con la cotta di maglia addosso e quel vestito scolorito. A prima vista però gli era sembrato un giovane robusto e gagliardo, perché mai non sperava di vincere? Tutti volevano vincere ed erano sicuri di riuscirci!
Bino notò lo sguardo pensieroso del valletto e lo invitò a riprendere a camminare con un buffetto in testa e un'altra risata.
- Gianni, glielo spieghi tu perché non è così facile vincere? Altrimenti questo marmocchio non ci dormirà tutta la notte. -
Gianni spiegò pazientemente.
- Il mio padrone sa bene che è difficile vincere in una mischia, specialmente se non hai amici dalla tua parte. Lui qui non conosce praticamente nessuno e di certo non ha amici in questa città - , concluse, rivolto più a Bino che al ragazzo.
- Non avrei saputo dirlo meglio - , confermò Bino.
L'accompagnatore doveva aver capito, sembrava un ragazzo sveglio, tuttavia era ancora perplesso.
- Ma se non siete venuto per vincere, cosa siete venuto a fare? -
- Per divertirmi, che domande! Non ho mai partecipato a un torneo come questo e voglio provarci. Poi chissà, magari troverò anche qualche bella ragazza... - , concluse con un occhiolino e un altro scappellotto.
Continuarono a farsi largo tra la gente. Il valletto non aveva alcuna intenzione di smettere di chiacchierare.
- Vedete quel cavaliere là? Sarà lui a vincere la mischia, messere - , disse, per stuzzicare Bino.
Bino seguì l'indice dell'accompagnatore e vide un uomo alto e snello. Era vestito con un farsetto scuro, dal taglio audace che esaltava le spalle ampie. I capelli erano ricci e di un nero vivo. Il viso rasato di fresco. Di tanto in tanto, mentre parlava, sorrideva cordiale mostrando lo scintillio bianco dei denti.
Bino lo osservò meglio. I vestiti alla moda e l'atteggiamento raffinato non erano abbastanza per dar torto al valletto. Quell'uomo con il fisico statuario e sinuoso trasmetteva una grande sicurezza di sé. Sebbene a prima vista potesse sembrare semplicemente un damerino, dai suoi movimenti traspariva un'eleganza quasi felina. Sicuramente era un ottimo spadaccino.
Bino notò lo stemma ricamato sul farsetto, un blasone dorato con una fascia nera contromerlata che lo tagliava a metà. A giudicare da quanto scintillava sotto i raggi del sole, probabilmente era realizzato con veri fili d'oro.

Alessandro Spalletta

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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