La Scelta Di Essere Felice
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L'ultima goccia di latte scivola lentamente dalle vibrisse di Martino, i suoi occhi verdi brillano soddisfatti e risaltano sul pelo nero.
Una foglia color bronzo entra dalla finestra semi aperta, trasportata dalla dolce brezza autunnale, volteggia per la stanza mentre mi preparo.
Indosso una maglia a maniche lunghe, una felpa di cotone nera, i soliti jeans e una fascia elastica sui capelli lisci scalati, un po' corti. Avverto un brivido lungo la schiena, le temperature si sono abbassate e il freddo umido oggi mi pare una novità fastidiosa.
Ho appena versato un po' di latte nel caffè che attende sul tavolo di essere assaporato, uno scatto fulmineo e Martino fa un balzo che manda la tazzina in mille pezzi. Raccolgo rassegnata i cocci sparsi sul pavimento e smacchio ogni singola piastrella. Lo prendo come un segno del destino.
- Micio, come farei senza di te? Andrei in overdose di caffè. Certo che rendi la mia vita molto più movimentata! Che ne dici di andare a fare colazione al bar? Prometti di fare il bravo però. -
Il bar a quest'ora tarda di domenica sembra un formicaio, non si riesce a entrare e anche fuori si fa fatica a passare tra un tavolino e l'altro. Attendo accanto all'entrata con Martino in braccio, stando attenta a non disturbare, alla mia destra un uomo sulla settantina chiude il quotidiano, lo posa all'angolo del tavolino, si alza lentamente e si dirige verso la cassa.
- Mi scusi signore, è libero il tavolino? - Chiedo speranzosa.
- Sì, signorina, è tutto suo, ci si tuffi subito, prima che arrivi qualcun altro. -
Mi siedo ancor prima che l'uomo abbia terminato la frase, dopo dieci minuti il cameriere libera il tavolo e prende l'ordinazione.
Tre minuti dopo, nell'istante in cui il cameriere sta uscendo con il vassoio, Martino “casualmente” gli passa davanti e il poveraccio inciampa facendo volare caffè macchiato e cornetto sulla camicia di un malcapitato che stava varcando l'ingresso e sui miei jeans aderenti.
Dopo le scuse del caso, il cameriere tenta di pulire e asciugare gli abiti di entrambi nell'imbarazzo più totale.
L'uomo “macchiato” lascia correre l'accaduto, inizio a pensare che Martino sia un angioletto che ne sa una più del diavolo e ordino un altro caffè con schiuma di latte.
All'interno del bar si inizia a respirare, ma fuori non c'è un solo tavolo libero, l'uomo appoggia una spalla all'entrata, si accende una sigaretta e aspetta che se ne liberi uno, dopo dieci minuti di attesa si avvicina con un sorriso accattivante.
- Mi permette? Vedo che fuori è tutto occupato, posso condividere il suo tavolo? Inoltre condividiamo la stessa preferenza per il caffè macchiato. - Mormora calmo, tirandosi su le maniche della camicia.
- È da qualche giorno che mi perseguitano tazzine e bicchieri rovesciati, se ha il coraggio si sieda pure. -
L'uomo si siede, fissa lo sguardo nel mio sorridendo, poggia il pacchetto di sigarette sul tavolino, poi ci ripensa e me lo porge.
- Fuma? - Chiede con gentilezza.
- Sì, grazie. - Rispondo, sforzandomi di apparire altrettanto gentile.
Prendo una sigaretta, in realtà sono mesi e mesi che penso di smettere, ma non ho tentato neanche una volta, perciò una in più o una in meno...
Mentre fumo osservo il mio compagno di tavolino con attenzione: è un bell'uomo davvero, affascinate, educato. Sto pensando di provare a intavolare un discorso, quando all'improvviso lo riconosco.
- Ma lei è il pirata della strada che mi ha tamponata l'altro giorno! -
Lui aggrotta la fronte, strizza gli occhi. Tenta di fare il vago, gioca per un po' la parte dello smemorato, secondo me ricorda benissimo l'accaduto. Poi ridendo mi dice: - Sì, sì sono io, Noah Foster, le faccio ancora le mie scuse. Ma posso darle del tu? -
- Ma figurati, certo, ormai siamo in confidenza, no? Ah, a proposito io mi chiamo Fiammetta Vanni, piacere. - Rispondo con un filo di sarcasmo.
Guardo Martino con un guizzo negli occhi. - Martino, mordilo, mordilo! - Lo istigo mentalmente, mentre stringo la mano calda e forte di Noah.
Il gatto ricambia il mio sguardo, pare voler dire: "Non ci penso neanche, con tutta la fatica che ho fatto!"
- Tamponamento a parte, non ti ho mai visto qui. - Dico allora.
- Mi sono trasferito da poco, per lavoro. Vorrei trasformare le vetrate del mondo in luce che riflette colori impossibili. -
Rimango perplessa, non so esattamente cosa intenda, ma mi affretto a rispondere: - Sembra qualche cosa di meraviglioso! -
- Sì, è come creare la luce, ovvero riflessi di luce colorata. -
- Mi vengono in mente quelle chiese piene di vetrate colorate. I Rosoni? È così che si chiamano? Il Rosone della Chiesa di San Francesco o quello della Chiesa della Sacra Famiglia. -
- Vedo che le conosci molto bene. Potresti accompagnarmi a visitarle? - Chiede Noah inaspettatamente.
- Se non hai impegni ci possiamo andare non questa, ma la prossima domenica. - Rispondo con una disinvoltura che non mi appartiene.
- Potremmo vederci nel primo pomeriggio e la sera mangiare qualcosa insieme, se ti va. - Conclude Noah sicuro di sé. Non aspetta neanche la risposta, accenna un sorriso, recupera le sigarette e si incammina lungo il viale sino a scomparire.
In quel preciso momento mi rendo conto che ho appena dato un appuntamento a un uomo. Non capisco chi ha cominciato, tutto quel parlare di luce colorata e di chiese... Forse sono stata io, ma in ogni caso sono anni che non esco con un ragazzo e il solo pensiero mi provoca una leggera ansia.
22 Ottobre 2017 – Firenze - Ore 16.00
Con entrambe le braccia sul volante, fisso il vuoto anziché la strada. Sono anni che non vado a un appuntamento e forse questo non è neanche un vero appuntamento. Andremo a visitare delle chiese, guarderemo vetrate, rosoni, finestre decorative o come caspita si chiamano.
Il clacson dell'auto dietro la mia mi fa sobbalzare, è scattato il verde, parto in seconda, l'auto singhiozza, si ferma.
Una coda di automobilisti inferociti inizia a urlare parole che non riesco neanche a decifrare. Il rumore dei clacson mi stordisce, rimetto in moto e parto prima che scatti il rosso e penso che la gente ha proprio raggiunto il limite dell'intolleranza. È sempre pronta ad arrabbiarsi, ad aggredire il prossimo, a esplodere in una violenza repressa.
È finita l'epoca della solidarietà, non parliamo della sensibilità e dell'empatia, è tutto così squallido e triste.
Questo semplice fatto mi ha smosso un nodo in gola e la giornata ha ripreso toni cinerini.
Mi ritrovo senza altri intoppi sotto casa della mia migliore amica. Esito solo qualche secondo prima di far suonare il citofono.
- Bianca sono io. - Mi annuncio a voce bassa.
- Non ci credo, ti faccio mille telefonate e poi ti presenti così all'improvviso senza avvertirmi? Da dove vieni? -
Esclama Bianca effettivamente stupita quando le sono davanti. - Quale miracolo è riuscito a far spostare la montagna? -
Bianca ha ragione, ma l'appuntamento, o quel che è, con quel Noah mi ha messa in agitazione e vorrei parlarne con lei, anche se il breve tragitto in auto mi ha messo di nuovo di cattivo umore.
Sono ancora troppo fragile, fragile come uno stupido bicchiere di cristallo.
Alla mia espressione afflitta Bianca diventa seria, aggrotta le sopracciglia, mettendo in evidenza una rara ruga sulla fronte spaziosa.
- Cosa ti è successo? - Mi chiede.
Mi asciugo in fretta una lacrima che si è posata sul labbro, il sapore salato per un attimo mi porta lontano. Ma è solo un attimo.
- Ero venuta per raccontarti una cosa, una novità. Invece durante il tragitto è accaduta una stupidaggine e mi rendo conto di quanto sono fragile, di quanto basta poco per ferirmi. Non so, ma è tutto così diverso da un tempo. La gente sembra incattivita, insensibile, arrabbiata, indifferente, ho come l'impressione che se potesse, ti passerebbe sopra calpestandoti senza nessuno scrupolo. È come se non esistesse più la coscienza, come se la gente non avesse più un'anima. Un po' come la “signorina” Gori dell'ufficio. Non capisco più se sono io troppo debole, triste e depressa, o se è la società a essere troppo dura.
Insomma, la malata sono io o la società? Perché tutto quello che sta accadendo non mi sembra tanto normale. Ognuno fa quello che gli dice la testa! -
Bianca mi ascolta e mi stringe le mani annuendo.
- Non posso che darti ragione, le cose sono cambiate, c'è chi lo chiama progresso e a noi sai come ci chiamano? Antiche! E invece siamo tra quei pochi che hanno conservato i valori, l'empatia, il calore umano. Conosciamo ancora l'importanza delle piccole cose, sappiamo ancora ammirare un tramonto, e assaporare la lentezza del tempo che passa, quando la maggior parte delle persone corre, corre, ma per arrivare dove? Dimmelo tu che io non lo so. Devi solo essere più forte e sicura di te stessa. -
La guardo pensierosa, un lampo di speranza mi attraversa.
- Domenica prossima vedo un amico. - Dico tutto d'un fiato.
- Hai un appuntamento? - L'acuto felice di Bianca mi perfora un timpano.
Selene Rossi
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