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Autore: Abel Wakaam
Diario dal Sahara
Avventura
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Diario dal Sahara
Aeroporto Menara di Marrakech - Marocco - 16 maggio.

Quando non si sa dove andare, bisogna andare. E non serve cercare perché sicuramente c'è un luogo incantato, nascosto nella nostra anima, che ci chiamerà. Il mio soffio di libertà si chiama Laayoune, conosciuto anche col nome di El Ayun, antica capitale del Western Sahara.

Ho scelto di stare dalla parte sinistra dell'aereo per scrutare l'Africa dall'alto. Sotto di me il mare sembra non finire mai. La terra lontana sull'orizzonte si nasconde invece tra le nuvole che si sfilano come fiocchi impalpabili nell'azzurro spietato del cielo. Adoro scrutare dall'alto i pascoli della vita... come quando percorro i sentieri impervi che salgono gli immutati pendii delle montagne per dominare il mondo da una posizione privilegiata.

Chiudo gli occhi e mi lascio trasportare dai pensieri. Quando li riapro, scorgo le cime innevate dell'imponente catena dell'Atlante coi 4.265 metri del Jbel Toubkal.

Mi chiedo cosa ci faccio qui, o meglio, cosa diavolo andrò a fare laggiù, oltre le montagne, e non mi so rispondere. Non serve un motivo per andare nel deserto. Ci si va per perdersi e alla fine ci si ritrova. E il fatto eclatante è che non ho alcun timore. Un po' come quando si va in guerra e si dà per scontato che non sarai tu a morire. Per la verità non ho nessuna intenzione di morire, ma si pensa sempre alla morte, giusto per ricordarci di quanto sia bella la vita. Già... la vita si immagina sempre diversa da come alla fine si presenta, ma in fondo è tutto quello che ci succede mentre siamo indaffarati a preoccuparci del resto.
Quando i motori dell'aereo si fanno più silenziosi, trattengo il respiro. Guardo il GPS da polso della KeyMaze e mi accorgo che la quota di volo sta diminuendo. Qualche minuto e la voce della hostess mi avverte di allacciare le cinture. L'ala di sinistra si abbassa e immediatamente percepisco il sangue spostarsi da una tempia all'altra. Stiamo virando... e scendendo.

Con me, l'immancabile zaino della National Geographic, un marsupio ed una tracolla. Ripasso mentalmente la lista di ciò che contengono, ma ho la certezza di non aver dimenticato nulla. E come potrei? Li ho svuotati e riempiti una volta al giorno per due settimane, quasi dovessi partire per la faccia oscura della luna.

Prima di ogni cosa il mio NetBook e poi la reflex, una Canon, ma anche una seconda digitale compatta e una videocamera in alta definizione. Tutto della medesima marca per poter caricare le batterie con un unico caricatore multiuso; e poi il pannello solare ed un pesante accumulatore da 7Ah. Il telefono satellitare lo acquisterò una volta arrivato sul posto per essere certo che funzioni.

Pochi abiti, l'essenziale, tre paia di pantaloni e qualche maglietta, l'immancabile giubbetto color verde militare, due shemag, cinque paia di calze, due di scarpe e sette slip. Tutto pressato nelle tasche interne dello zaino tra gli immancabili fazzoletti di carta, le coperte di alluminio e due dozzine di barrette multiproteine della Enervit.

Ora dall'oblò dell'aereo vedo finalmente le case e le palme che sfrecciano via come se fossero inghiottite da un gorgo, poi percepisco il contatto delle ruote con la pista di atterraggio, qualcuno applaude e io tiro un respiro di sollievo: - Anche questa è fatta!

Adesso viene il bello perché devo staccarmi dagli altri passeggeri e perdermi volutamente nello scalo, evitando così di passare dai posti di controllo. Non devo uscire dal Menara, ma nel contempo non devo dare nell'occhio perché altrimenti il mio viaggio finirebbe qui.

Amed è da qualche parte e mi sta osservando, devo solo aspettare che venga da me con quel suo sorriso enigmatico e mi conduca verso uno dei tanti hangar commerciali da cui partono gli aerei cargo per il sud del paese.

Compare all'improvviso, mi viene incontro e mi abbraccia: - Dobbiamo fare in fretta, - mi dice in francese - dopo l'attentato al Caffè Argana la Polizia è ovunque ed è diventata sospettosa.

E' da solo, quindi qualcosa è già andato storto perché dovevamo consegnare i documenti alla sorella. L'idea di viaggiare senza era dettata da una logica di convenienza: avremmo potuto adattare la nostra identità in base a chi ci avesse fermato. In ogni caso entreremo nel Western Sahara senza il lasciapassare marocchino, anche perché il permesso sarebbe troppo lungo e complicato da ottenere.

Mi fa segno di camminare lentamente per non dare nell'occhio, e d'altronde siamo solo noi occidentali ad andare sempre di fretta. Mi indica una serie di capannoni color sabbia ai margini dell'aeroporto e mi rassicura che tutto è pronto.

Lì dovrebbe aver lasciato il nostro carico di viveri ed il materiale necessario al viaggio, compresi due fucili Garand M1 e una cinquantina di proiettili.
Ecco è questa la sicurezza degli aeroporti africani, dove con pochi Dirham è facile farvi entrare di tutto! Forse nella zona passeggeri e sugli aerei di linea i controlli sono più severi, ma sulle piste periferiche il movimento di ogni tipo di materiale passa spesso inosservato.

Ed è su quella pista scalcinata che ci aspetta uno degli aerei più usati per il trasporto merci nelle zone disagiate, fiore all'occhiello dell'americana Douglas, in esercizio dal 1945. E' un bimotore a elica, nome in codice C-47 Skytrain, che nella versione destinata agli Inglesi fu rinominato in Dakota. In pratica è il gemello del DC-3 che fu poi adattato per il trasporto truppe.
Il passaggio per due persone dall'Aeroporto Menara di Marrakech fino a Laayoune, nel cuore arido del Western Sahara, mi costa 500 Dirham, circa 44 Euro. Un volo di novecento chilometri seduti tra le casse sporche della stiva.

Conoscendo il pressapochismo di Amed, gli chiedo di verificare insieme la nostra dotazione di viaggio. Mi sorride, si allontana di qualche passo e ricompare trascinando una specie di carretto con le ruote rubate probabilmente a un triciclo. Non ho una lista scritta. La mia verifica è un semplice controllo delle azioni quotidiane e dunque parto a cercare il latte in polvere per la colazione del mattino per finire alla scatolette verdi delle famose razioni K che serviranno alla cena serale.

Mi guarda con aria pensierosa, pur consapevole di aver eseguito correttamente le mie istruzioni. Gli faccio un cenno di assenso e sulle sue labbra sboccia un sorriso.
Nel capannone semibuio ci saranno quaranta gradi e non è certo il caldo secco del deserto. Mi avvio verso uno dei portoni, ma Amed mi richiama con evidente preoccupazione: - Dobbiamo aspettare qui, - si affretta a ricordarmi - verrà uno dei piloti a chiamarci.

- Quando? - gli chiedo.

Per tutta risposta, mi indica un uomo che arriva alle mie spalle. Mi volto giusto in tempo per vederlo in faccia e mi ritrovo stretto in un poderoso abbraccio. Si chiama Nazar e lavora per una compagnia locale di trasporto aereo. E' un ex pilota dell'Unione Sovietica, emigrato in Africa nel 1991 dopo il crollo dell'Impero comunista. Parla un misto approssimativo di francese e spagnolo con un forte accento russo ma, seppur a fatica, riusciamo a comprenderci. Mi spiega che dobbiamo seguirlo in fretta perché ha appena avuto il permesso di volo e il suo collega sta già scaldando i motori.

Quando usciamo dal capannone, sento l'adrenalina che va in circolo. Il rombo dei due motori Pratt & Whitney da 1200 HP riempie l'aria con l'odore forte della benzina avio, sotto le ruote ci sono due cunei di legno ed il portellone è aperto. E' assurdo caricare la merce con l'aereo in moto, ma Nazar mi spiega che, dal momento dell'accensione dei motori, nessuno controlla più quello che viene fatto.

Mi tengo ben lontano dalle eliche, eppure il fumo di scarico mi entra nei polmoni e mi arriva diritto al cervello con lo stesso effetto di una sbornia. Salgo a fatica nella stiva e, per mia fortuna, questa sensazione di leggerezza mi abbandona velocemente com'è arrivata. I minuti successivi scorrono senza che accada nulla, finché la radio gracchia qualcosa di incomprensibile. E' allora che Nazar prende i comandi e mi fa segno col pollice alzato. Nello stesso momento mi accorgo che il suo collega non è certo un russo dall'evidente colore scuro della pelle. Indossa una tuta da meccanico arancione, unta e sgualcita. A guardarli bene sembrano il comandante Ian Solo e il suo co-pilota, lo wookiee Chewbecca, appena usciti da un episodio del film Guerre Stellari.

- Non è il secondo pilota... - confido ad Amed che apre la braccia sconsolato prima di domandarmi sorpreso: - Non basta uno?

No che non ne basta uno, maledizione, ma sulle rotte del sud tutto funziona senza regole precise. I motori aumentano di giri, l'aereo ha un tremendo sobbalzo e Nazar urla parole irripetibili al meccanico. Ecco il primo problema sul Millennium Falcon... ma questa volta non è un film!

Ho il tremendo sospetto che l'africano non abbia tolto i cunei davanti alle ruote. Passano venti minuti prima che l'aereo raggiunga la pista più periferica di Marrakech, poi si ferma di nuovo e aspetta il via libera dalla torre di controllo che tarda ad arrivare.

Questi sono i momenti che odio, quelli in cui la tensione diventa palpabile e io non voglio lasciami sopraffare dai pensieri. Mi ripeto che andrà tutto bene, che quella maledetta jeep militare non sta arrivando qui per noi, invece è proprio così.
Ora l'adrenalina è alle stelle, guardo Amed e l'occhio mi cade sui due Garand appoggiati tra la sponda del carretto e le coperte multicolori. Mi chiedo se mai fossi pronto a sparare per difendere la mia vita e non ho il tempo di rispondermi. I due motori si alzano bruscamente di giri, Nazar si lascia scappare un urlo di soddisfazione e il C-47 comincia a rullare.

Abituato ai jet di linea che partono come proiettili verso il cielo, mi sembra che questo catenaccio sovrappeso non decolli mai... e non è solo un'impressione. Quando finalmente si stacca dalla pista, sembra pentito di averlo fatto e continua a volare radente il suolo finché raggiunge una quota minima in cui può finalmente virare. Punta verso l'oceano, poi scende in direzione di Agadir e segue la costa marocchina in direzione sud, tenendo come riferimento la strada costiera che attraversa tutto il Western Sahara fino alla Mauritania. Ah se potesse davvero fare un salto nell'iperspazio! Ma purtroppo non è affatto così e intravedo sotto di me le dune che presto attraverserò a piedi.

Riesco finalmente a rilassarmi e cerco di recuperare almeno un'ora di sonno, giusto il tempo affinché una brusca virata mi distolga dal torpore. Il pilota grida qualcosa che non riesco a capire, mi alzo faticosamente e, cercando di tenermi alle cinghie che reggono le casse, mi affaccio in cabina. - El Ayun! - ripete, indicandomi la pista.

Quasi per incanto mi appare Laayoune.

Il momento dell'atterraggio è sempre carico di apprensione. Mi sembra già troppo basso e la pista ancora non comincia... e devo anche sopportare Amed che invoca Allah ad alta voce, quasi come se un Dio in più aumentasse la probabilità di condurre il C-47 fin sull'asfalto. Non so quale dei due abbia allungato il nastro sabbioso della pista, ma finalmente l'aereo appoggia le ruote con un paio di sobbalzi e finalmente si ferma.

Amed mi abbraccia e sorride, il meccanico porge a Nazar una bottiglia di vodka e le eliche rallentano fino ad arrestarsi. Prima di salutare il pilota, gli chiedo di darmi il numero del suo cellulare, me lo scrive a mano su un foglietto unto e bisunto, ringrazio e ci accomiatiamo.

Il primo impatto col Western Sahara è un caldo insopportabile. Scarichiamo il nostro carretto, salutiamo calorosamente i due pazzi che ci hanno portato sin qui e lasciamo in tutta fretta l'aeroporto attraverso il varco che ci hanno indicato. Nessuno ci chiede niente e il nostro viaggio può cominciare.

Abel Wakaam

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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