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Autore: Rocco Luccisano
Cacciatori di reliquie
Thriller Storico
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Cacciatori di reliquie
- Mi trovo a centocinquanta chilometri a sud-est di dove ci siamo visti l'ultima volta... va bene... Li tengo sotto controllo. Ha già un “mango maturo” in mano, anzi nella sua tasca. Gliel'ha raccolto il cubano... sì, ti aggiornerò... -
Finita la comunicazione criptata, si alzò e li seguì ben distanziato.
Un'altra figura da dietro fece lo stesso col dovuto ritardo, un occhio puntato sul turista e l'altro sull'improbabile coppia italo-cubana.

15. LA TRAVERSATA OCEANICA

Erano passati quasi tre mesi dallo sbarco da Palos viaggiando sospinti dai favorevoli alisei. Fino a quel momento le due imbarcazioni avevano navigato quasi ininterrottamente a meno di una lega l'una dall'altra. Quella comandata da Christophorus Colombus era una nau con tre vele quadrate di proprietà del timoniere Juan de La Cosa; quella al comando di Martin Alonso Pinzón era una caravella latina a vele triangolari. L'ammiraglio le aveva scelte di diverso tipo per sperimentare quale delle due reagiva meglio. Secondo lui, a differenza degli altri, seppur più leggere, le caravelle resistevano meglio a burrasche e tempeste grazie al miglior sistema veliero. Inoltre permettevano un'andatura di bolina, ovvero la possibilità di seguire una rotta con angolo minore di novanta gradi alla direzione del vento.
Giorno dopo giorno aumentava la paura di non raggiungere la loro destinazione, di rimanere senza provviste al vedere che le scorte si riducevano sempre più. Emergevano sempre più frequenti le avvisaglie del crescente malumore tra i marinai dei tre gruppi di provenienza. Nacquero così le prime lamentele e proteste. Non si fidavano più del loro ammiraglio. Lo aveva preventivato, ma ora nemmeno lui si fidava più di loro.
L'intrusione abusiva nella sua cabina, le casse spostate e il suo diario segreto “violati”, non erano più una casualità. C'erano poi altri, troppi indizi che per lui costituivano la prova che a bordo ci fosse qualche spia. La sua diffidenza si stava trasformando in una fobia al punto da dubitare adesso del suo vice vicecomandante Vicente Yáñez, l'unico che possedeva la chiave della sua cabina, tanto da togliergliela. Il carico papale però si trovava ancora nella sua cabina, perfettamente stivato e sigillato, pronto per essere gettato in mare come da missione affidatagli dal Pontefice Innocenzo VIII.
Il mare davanti a loro si estendeva sconfinato e le onde erano sempre più lunghe e morte, una calma perturbante che sembrava arrivare dall'infinito. Allo stesso modo quel giorno la distanza tra le due imbarcazioni si era misteriosamente dilatata. La Niña seguiva una rotta parallela rispetto alla Misionaria che si trovava a mezza lega a ore undici rispetto alla sua prua.
Era sera e Colombo si trovava chiuso nella sua cabina, solo a redigere i documenti di bordo. Chiuso il diario ufficiale, prese quello segreto e cominciò a scrivere:
Confermo quanto già comprovato a oltre duecento leghe a ovest delle Azzorre. Avverto il mutamento del cielo e delle stelle, come pure della temperatura dell'aria e dell'acqua del mare. In questi ultimi giorni il mare ha iniziato a essere sempre più calmo, nonostante il vento, e la temperatura ancora più che mite...
Certo è che non si può mai attraversare l'oceano se non si ha il coraggio di perdere di vista la riva. E la lingua non è sufficiente a dire e la mano a scrivere tutte le meraviglie del mare.
Ringraziando Dio, secondo i miei calcoli, credo che stia arrivando il punto dove inabissare... stava per concludere la stesura quando d'un tratto sentì un urlo provenire dal cassero sopra di lui. Lo raggiunse. Tutti si erano concentrati attorno al timoniere che aveva gridato: - Terra! Terra! Terra! - .
La terra non si vedeva, però si vedevano alghe ed erba mai viste fino ad allora. Un paio di marinai scesero attraverso le scalette di corda lungo la murata di sinistra e raccolsero dei rametti di pino e bacche simili a quelle del lentisco della sua terra ligure, come le definì Colombo. A bordo, con rinnovata eccitazione tra i membri dell'equipaggio, si riviveva la stessa atmosfera di avventura che regnava appena sbarcati dal Vecchio Continente, e nessuno sembrava più interessato a chiudere occhio per quella notte. Così Colombo decise di rinunciare e rinviare l'inabissamento delle casse segrete. Andò a cercare il suo vice intento a manovrare con le cime una vela.
- Ehi, tu, prendi il mio posto - disse il vicecomandante Vicente Yáñez dall'albero di mezzo intuendo cosa volesse l'ammiraglio quando lo vide andargli incontro.
Scesero nella cabina del comandante.
- Dobbiamo posticipare l'operazione - sussurrò il genovese che contemplava le casse come se fosse l'ultima volta. Si fece il segno della croce con un'espressione di cordoglio per la missione segreta che avrebbe dovuto portare a termine da lì a poche ore.
- Attenderemo fino a un'ora prima dell'alba. Tu oggi starai solo alla guida. Ti chiamerò io. Ora vai e comunica che concedi una notte di riposo a quelli che sono di turno. -
Mentre lo spagnolo andò ad annunciare l'insolita notizia ai marinai che prima si sorpresero e poi accettarono, a poppa si alzò un vento caldo che non si era visto da quando erano salpati dalle Canarie. Da buon navigante, Yáñez avvertì al momento quel soffio rumoroso che andava aumentando la sua velocità. Tornò indietro per comunicarlo al genovese che uscì subito dalla cabina per valutare di persona le condizioni meteorologiche.
- Non mi convince Colón. -
- Nemmeno a me, è uno di quei segnali che non presagiscono nulla di buono - lo catalogò il ligure.
Dietro di loro il cielo si stava facendo buio più intensamente e più velocemente del solito e lui, astronomo, notò subito che a una a una le costellazioni stavano sparendo alla sua vista. Diede un'occhiata alle acque ormai scure del mare fino a poco prima di una bonaccia insolita, piatte come l'acqua della tinozza con cui da bambino Colombo giocava sognando di viaggiare. Da poppa il mare cominciò a ondeggiare, poi a incresparsi, poi a irrobustirsi, ma la navigazione procedeva tranquilla, con la nave sorella non più a destra, ma ancora a vista.
Verso le quattro del mattino, mentre il mare continuava a gonfiarsi e a mostrare la sua forza fino allora latente a quelle latitudini e longitudini, bussarono alla cabina. Il resto dell'equipaggio, esausto, stava riposando come concesso, compresa la solita guardia papale che sorvegliava costantemente la porta della cabina. Lui, desto, se ne stava sdraiato a occhi chiusi di fianco alle casse, carezzandole con i polpastrelli.
- Chi è? -
- Sono io, Vicente. - La voce bassa.
- Arrivo. -
- Ci siamo, è giunta l'ora di abbandonarvi - e carezzò le casse per l'ultima volta.
Aprì la porta e la richiuse dietro di sé. Vicente era lì davanti a lui, immobile, senza lampada a olio e tantomeno una candela, quasi invisibile in mezzo all'oscurità, come da consegne del capo che lo rimproverò: - Ti avevo detto che sarei venuto io per non creare troppo... - .
Non aveva terminato la frase quando sentì sotto il mento la freddezza del metallo. S'irrigidì al riconoscere la lama di una scimitarra.

16. SEQUESTRO

- Che fai, Vicente? -
Quello non fiatò.
Di lato sbucò Dante, la robusta guardia papale, che lo bloccò con il braccio. Era lui che impugnava l'arma al collo e non il vice.
- Dante... che fai? - domandò lento e incredulo, la punta che premeva sulla pelle.
- Rammenta che sei una guardia che ha giurato fedeltà al Santo Padre. -
Colombo intuì il ghigno della guardia. Il “dio denaro” aveva avuto la meglio sulla fede e la lealtà. Avvicinato a Roma da un uomo di piccola statura, nano, presentatosi in nome di re Giovanni II del Portogallo, gli venne commissionato di aiutare a recuperare le casse a ogni costo, anche della vita dell'ammiraglio, in cambio di un enorme acconto e promesse d'oro. Non conosceva nemmeno l'identità, o quantomeno quella vera, dell'uomo che l'aveva ingaggiato. Poteva essere consigliere del sovrano portoghese o di qualunque altra casa reale, o di un sultanato o del demonio in persona, a lui non interessava. L'unica cosa che gli premeva era l'appuntamento al ritorno per ricevere il saldo in oro.
- E tu Vicente, mi hai tradito... -
Quello abbassò gli occhi e poi la testa. Da dietro si materializzò un nano apparso come un fantasma dall'oscurità. Era per altezza e peso un terzo della guardia papale che aveva corrotto; ma era altrettanto pericoloso, se non di più, con le sue capacità di maneggiare le armi bianche a doppio taglio, come quella che teneva premuta contro il costato di Vicente.
- Che sta succedendo? - osò domandare l'ammiraglio preso alla sprovvista.
- Zitto! - disse il piccoletto.
- Cosa volete? - disobbedì il ligure.
- La sai cosa vogliamo. Quelle casse ci appartengono - disse il nano da dietro Vicente Yáñez che manteneva lo sguardo abbassato per l'onta e la mortificazione di non essere riuscito a difendere se stesso e il suo comandante.
- Sei un saraceno! -
- Infedeli! -
Intanto lui e il vicario venivano spinti sul ponte deserto.
- Com'è possibile che non ti ho mai visto? -

Rocco Luccisano

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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