Palermo, 2 febbraio 2012.
L'ingegnere Renato Blandi mostrò un pacchetto di sigarette quasi vuoto. - Guardi qua: di solito mi dura due settimane, invece l'ho fatto fuori in due giorni. - Pietro Marletta, caposquadra degli operai dell'acquedotto, alzò gli occhi al cielo. - Si rende conto? - continuò Blandi, imperterrito. - Con tutti gli impegni che ho, ci mancava solo il ritrovamento di due carte ammuffite. - Continuò a parlottare da solo mentre cercava di chiamare qualcuno al cellulare. - Ecco - , disse, alzando la mano che stringeva il telefonino, - in direzione nemmeno si degnano di rispondere. Che devo fare? - - Ingegnere - , lo interruppe l'operaio, - oggi viene qualcuno mandato dai beni culturali, se non si capisce cosa sono queste carte, i lavori non possono proseguire. - - Già - , ribatté Blandi in tono ironico, - perché i beni culturali sperano di trovare chissà cosa. Io però sono un professionista, se no buttavo tutto nella spazzatura, come hanno fatto altri colleghi in passato. - Grazie agli scavi dell'acquedotto erano stati rinvenuti degli antichi manoscritti e il dipartimento dei beni culturali voleva capire se ci fosse ancora qualcosa sotto quello strato di terra, per questo i lavori erano bloccati. Secondo le procedure che si devono seguire in questi casi, all'ingegnere era stato consigliato di avvisare subito le forze dell'ordine per timore di un furto nelle ore notturne. Infatti, nonostante il luogo fosse transennato, non sarebbe stato difficile per un ladro introdursi nel cantiere e rubare quegli oggetti antichi che spesso fanno gola a collezionisti privati con pochi scrupoli. Il professionista, infastidito dagli eventi, ma sempre serio e irreprensibile, aveva seguito il consiglio. La polizia si era occupata dei rilievi e aveva allertato i funzionari della direzione dei beni culturali. La seconda mossa toccava a loro. - Ingegnere, la vogliono al telefono. - Un operaio disse a Blandi che era arrivata una chiamata al numero del conservatorio Bellini. - Arrivo, arrivo - , rispose lui. Una Mercedes 190 nera accostò al luogo degli scavi, sul viale che costeggia il mare, presso il mercato ittico. Ne scesero due individui in giacca e cravatta. Raggiunsero la postazione dove sostava un gruppo di operai. Uno dei due, con un vistoso anello al mignolo della mano destra, prese un fazzoletto e si ripulì le scarpe, che in quel tratto si erano sporcate di terra. L'altro si guardò attorno con aria curiosa da dietro gli occhiali a specchio. - Cerchiamo il direttore dei lavori. È qui? - chiese uno dei due al caposquadra. - È al telefono, dentro l'istituto. A breve tornerà. - Dopo un paio di minuti, Blandi si presentò. La direzione dell'acquedotto non gli garantiva il proseguimento dei lavori. L'operaio gli andò incontro. - Ingegnere, ci sono due signori che la cercano. - - Buongiorno - , esordì Blandi porgendo la mano, - siete inviati dei beni culturali? - - In un certo senso - , rispose il tizio con gli occhiali da sole, mentre l'altro, con aria infastidita, continuava a pulirsi gli abiti dalla polvere. - Dovremmo dare un'occhiata ai documenti ritrovati. - - Che significa? Siete o no funzionari dei beni culturali? - Il tipo occhialuto si limitò a ripetere: - Al massimo cinque minuti poi la lasciamo lavorare in pace. - - Ho disposizione di far accedere solo i funzionari. Mi dispiace. - I due si guardarono. Uno tirò fuori una busta marrone e la ficcò in mano a Blandi. - Soltanto cinque minuti. Questo è un piccolo omaggio per il disturbo. - Dopo qualche istante di sgomento, Blandi restituì la busta. - Non posso farlo. - Senza una parola, quelli si girarono e se ne andarono. L'operaio si avvicinò di nuovo. - Ingegnere, tutto bene? - - Sì, sì... tutto a posto. - Tuttavia l'ingegnere continuò a pensare a quello strano incontro. Marletta non disse altro. Osservò la macchina scura che si allontanava. In tarda mattinata arrivarono un paio di inviati del dipartimento, un funzionario dell'università e di nuovo la polizia. Fossero venuti prima... pensò Blandi, scocciato per il tentativo di corruzione subìto. Dopo una veloce ispezione, i funzionari posero le antiche carte in due cassette di frutta vuote e sigillarono l'ingresso degli scavi. Da quel momento vi avrebbe avuto accesso solo qualcuno autorizzato dai beni culturali e dalla questura. Nel pomeriggio fu allertato il professor Castigliano, che chiese subito di essere affiancato da qualche valido studente a cui scaricare parte del lavoro. L'ingegnere tornò a casa, parcheggiò l'auto nello spazio a lui riservato e si apprestò a percorrere a piedi i pochi metri che lo separavano dal cancello del condominio. Due figure incappucciate uscirono da un angolo buio e gli si affiancarono. - Cercate qualcuno? - chiese l'ingegnere. - Forse ci può aiutare - , disse uno dei due. - Stiamo cercando Renato Blandi. - - Sono io Blandi. Chi siete? - Gli uomini gli saltarono addosso, immobilizzandolo. Uno dei due estrasse dalla tasca un panno imbevuto di cloroformio, che gli venne premuto sul viso. In pochi attimi tutto divenne buio. Caricarono l'ingegnere su un furgone parcheggiato fuori. Al suo risveglio, la vista era un po' appannata. Blandi si guardò attorno. Si trovava in un luogo tetro, simile a una grotta. Il pavimento era di pietra e recava tracce di vecchie mattonelle di maiolica settecentesca. Di fronte a lui, un tavolo di marmo, molto antico, al quale erano sedute cinque o sei persone col volto coperto da maschere. Il chiarore di alcune fiaccole rivelava anche una dozzina di incappucciati in piedi, immobili e con le braccia conserte. - Dove sono? Che volete da me? - - A noi interessa mettere le mani sui ritrovamenti degli scavi che lei dirige. Non vogliamo altro. - - Allora siete gli stessi che sono venuti stamattina. - La voce dell'incappucciato si fece dura. - Risponda. Non faccia commenti! - - L'ingresso degli scavi - , balbettò Blandi, - è stato sigillato dalla polizia e dai beni culturali. Non posso fare nulla. Lo avevo detto, stamattina, a due persone che sono venute a chiedermelo. Non ho più accesso agli scavi neanche io. - - Tutte balle - , tuonò la voce misteriosa, - sappiamo bene che se lei volesse, potrebbe ancora entrarci. - - No, non è così - , ribatté Blandi. - Hanno sequestrato l'intera area. Cosa posso farci? Mi avete offerto soldi ma io non potevo accettarli proprio per questi motivi. - - Non siamo abituati ai rifiuti. - - E allora vi consiglio - , disse l'ingegnere con tono stanco e avvilito, - di entrare voi stessi negli scavi. Magari di notte. Prendete ciò che vi serve e andate via. - - Noi non cerchiamo noie. Vogliamo che chieda un'autorizzazione a entrare per un motivo qualsiasi. A lei la daranno. - Blandi rimase in silenzio per qualche secondo. L'altro proseguì: - È disposto ad aiutarci? Non glie lo chiederemo un'altra volta. - - Non posso farlo. - - Va bene, ingegnere. La nostra conversazione si chiude qui. È un peccato che lei non abbia voluto collaborare. - L'incappucciato fece un cenno a qualcuno dietro di lui. Un uomo si alzò e si avvicinò al povero Blandi. Tirò fuori dal saio un coltello. Quello supplicò: - Vi prego, ho due figli ancora piccoli! - Il tipo in maschera colpì il prigioniero al ventre e al petto. Senza pietà. Le urla dell'ingegnere rimbombarono tra quelle vecchie pareti ammuffite. L'uomo si contorse più volte prima di spirare. Il suo carnefice stava in piedi, stringeva in una mano il pugnale sporco di sangue. - Gettatelo da qualche parte, in campagna o altrove - , disse il capo. Renato Blandi aveva pagato con la vita quell'onesto diniego. Gli incappucciati, uno dopo l'altro, iniziarono a uscire. Il sinistro leader era immobile, il volto parzialmente illuminato da una candela. Sembrava un demonio resuscitato chissà da quale inferno.
Palermo, 9 febbraio 2012.
Era riuscita a rispondere per un pelo, il cellulare si scaricava sempre nei momenti meno opportuni. Quella telefonata l'aveva spiazzata e riempita di orgoglio. Era stata scelta dall'università per partecipare allo studio di materiale cartaceo antico trovato da alcuni operai che stavano effettuando lavori nei sotterranei del conservatorio Vincenzo Bellini. Non era la prima volta che Silvia veniva contattata per lavori simili, ma adesso le affidavano un incarico molto interessante. Avrebbe avuto a che fare con la passione della sua vita: i manoscritti. Il suo corso di laurea in storia e filosofia era stato arricchito da una serie infinita di stage, seminari e tanto altro per lo studio dei documenti cartacei antichi. Un master di paleografia a Parigi, uno all'università di Colonia, un periodo di ricerca tra Londra, Brema e Madrid, sempre immersa tra vecchi manoscritti che andavano dal 1200 al 1800. La giovane aveva già un curriculum importante. La laurea sarebbe stata una conseguenza di tutto ciò e, forse, nemmeno la parte più importante dei suoi studi universitari. Quel pomeriggio, la chiamata dal dipartimento l'aveva resa felice. L'incarico appariva importante. Cosa avevano trovato quegli operai nel sottosuolo di quell'edificio? Silvia si era subito messa al lavoro. Il conservatorio Bellini sorgeva nel luogo che era stato sede di una chiesa del Quattrocento, l'Annunziata, distrutta durante i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Alla base del torrione, una lapide ricordava un fatto di sangue avvenuto all'interno della chiesa: una congiura contro un viceré conclusa con una strage. Anno 1517. Il portale del conservatorio, nella stradina che aveva il nome del capo congiura assassinato, era l'antico ingresso della chiesa. Silvia non era riuscita a reperire altre informazioni. L'avrebbe affiancata un docente
Fabio Ceraulo
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