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Autore: Mohamed Bouzitoune
Un'avventura di Rady Scott
Romanzo
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Un'avventura di Rady Scott
“Nel viaggio della vita non si danno strade in piano: sono tutte o salite o discese.” Arturo Graf

Difficile dire quanta umidità si fosse accumulata durante la notte. Nemmeno la leggera bruma che rendeva impenetrabile l'oscurità riusciva a far sparire le poche stelle che insistevano a non volersene andare. Troppi brindisi, abbracci e i migliori auguri da parte di tutti, ma niente di ciò che si aspettava. Che notte era stata! Nulla avrebbe potuto commuovere Rady Scott e, quasi senza accorgersene, la stanchezza e un'impenetrabile angoscia lo condussero dritto nella sua stanza.
Inciampò senza rendersene conto su ogni oggetto che trovò sul suo cammino, lungo il breve tragitto tra il balcone e la sua stanza. Il letto gli apparve come un'oasi chiara: si sedette sul bordo e si coprì la faccia con entrambe le mani entrando senza volere in una diversa oscurità, più uniforme, più coerente, forse più estranea ma accogliente. Si buttò sul letto e improvvisamente si trovò catapultato nella sua intimità, non riusciva a nascondere la frustrazione e non aveva altro posto dove andare. Un gemito nato da un profondo sospiro diede inizio ad un pianto convulso che non riusciva più a trattenere e che lo inondò completamente.
Quel pomeriggio del mese di marzo era venuto a sapere di aver superato gli ultimi esami parziali del suo corso preuniversitario, e con un eccellente punteggio. A quel punto l'ammissione all'università era un dato di fatto. I suoi genitori gli avevano organizzato una cena per festeggiare e lui aveva invitato diversi amici e parenti. Si aspettava che a metà dei festeggiamenti suo padre annunciasse di aver tenuto fede alla promessa fatta a suo tempo, nel caso avesse ottenuto i risultati tanto attesi. Era soddisfatto di come erano andate le cose, si era addirittura permesso di dire “anche tua madre è molto soddisfatta”; ma quando fu arrivato il momento, inspiegabilmente, evitò la questione e sminuì l'importanza dell'impegno preso. Infine, negò tutto come se non avesse la minima importanza.

Quel mattino, il sole splendeva sulla periferia di Londra. In un cielo sprovvisto di nuvole la città aveva messo da parte il suo aspetto grigiastro e stava assumendo un tenue color ocra. Nel giardino i fiori scoppiavano con i loro colori fin nei prati vicini. Rady e suo padre osservavano con indifferenza le giunchiglie di un intenso e brillante color giallo. Dopo un breve momento di silenzio suo padre, in uno slancio di entusiasmo misto a dubbi, gli aveva chiesto cosa avrebbe voluto in premio se fosse riuscito a superare con successo il corso preuniversitario. La risposta di Rady non si fece attendere: “Una Bentley convertibile Continental S1, color champagne”.
– È come se fosse già tua – rispose il padre.
Fu una promessa molto semplice e si annidò nella parte più profonda del suo cuore di ragazzo, durante quel freddo e nebbioso febbraio londinese del 1959. Aveva sognato quel gioiello scintillante e aveva visto sé stesso nello spazioso abitacolo di quell'opera d'arte della meccanica color champagne. Trascorsero piacevoli minuti di conversazione parlando della sua silhouette, di certe caratteristiche tecniche e dei suoi punti di forza. In quella conversazione semplice e molto cameratesca entrambi si comportarono come se fosse cosa fatta.

Da allora, ogni volta che Rady rientrava dalle sue lezioni interminabili ripassava i suoi noiosi libri e gli appunti che aveva preso in classe. Tutto gli sembrava più sopportabile al pensiero che ormai l'estate era vicina e che avrebbe potuto abbassare la capote della sua lussuosa automobile. La brezza che entrava dalla finestra della sua camera gli sembrava il vento che per la strada batteva contro il parabrezza inclinato, spettinandolo mentre guidava, veloce e temerario, lungo le sinuose strade della campagna inglese. Le ragazze che lo vedevano passare lo salutavano entusiaste applaudendo e salutandolo appassionatamente, desiderose di trovarsi al suo fianco.

Rady non si era mai sentito così oppresso da quella specie di dolore dell'anima provocato dalla delusione. Si sentì tradito e truffato dai suoi genitori. Non si aspettava una simile amarezza. Per essere degno di quella promessa aveva dato il meglio di sé e l'unica cosa che aveva ottenuto era stata quell'indifferenza, mista alla mancanza di rispetto verso le regole più elementari dell'affetto. Non gli bastarono le spiegazioni e le ragioni che puzzavano di pretesti a buon mercato: il rischio insito nella guida, la spesa eccessiva che avrebbe comportato l'acquisto di un veicolo di quel tipo, le raccomandazioni degli amici... Erano tutte semplici scuse.
Se fosse stato più giovane, Rady avrebbe pianto e bestemmiato, facendo a pezzi qualunque oggetto di valore gli fosse capitato tra le mani, ma il suo mondo era più semplice e allo stesso tempo più complesso di quanto i suoi genitori potessero immaginare.
Quella sensazione di amaro fastidio e di profondo sconforto gli attanagliava l'anima, ormai stanca di essere la sua anima. Qualcosa di inspiegabile, vischioso e in qualche modo tetro lo invadeva con forza e lo avvolgeva fino quasi a soffocarlo. Non sapeva come liberarsi da quell'acre sensazione che stava diventando la sua vita. Pensò di abbandonarsi al sonno per dimenticare tutto, sperando così di tranquillizzarsi. Ma l'intensa inquietudine di cui era preda non permetteva a Morfeo di raggiungerlo con il suo abbraccio protettivo. Il suo sguardo nervoso si perdeva sui tanti oggetti che lo circondavano senza soffermarsi su nessuno di essi, l'attenzione rivolta a qualcosa di distante e confuso, fino a quando si trovò immerso in lente e incoerenti fantasticherie.
Pensò quanto fosse vano, inutile e privo di senso tutto ciò che aveva fatto nella vita. La distanza a cui lo teneva sua madre, così inconsistente ed assurda per i motivi che l'avevano originata. La quasi totalità degli anni che aveva vissuto sfilò sotto gli occhi storditi della sua mente. Il passato ora si mostrava a lui nudo e spoglio di ogni bellezza o incanto. Improvvisamente si vide lontano dalla sua infanzia e adolescenza. Un sentimento di durezza e di convinzione nei confronti di ciò che aveva recentemente vissuto gli diede una sensazione di maturità frustrata. Il timore che tutto ciò che avrebbe mai potuto desiderare o sognare, comprese le sue aspirazioni più nascoste, finissero per imboccare la direzione di una fallita impotenza. Non poteva sopportare l'idea che la sua vita potesse trasformarsi in un instancabile lamento, e tutto a causa di qualcosa si apparentemente semplice e negativo: l'incomprensibile meschinità dei suoi genitori.
La vita non gli sembrava più quell'oceano dalle onde tumultuose che descrivevano i poeti. Ora gli appariva vuota come uno specchio immobile, trasparente e senza immagini come l'aria più ferma. Sentì la sua esistenza andare alla deriva, in acque oscure e sinuose, che lo trascinavano verso una caduta esitante ed imminente. Il letto oscuro e denso di quelle acque maleodoranti era adesso la sua unica immagine nitida, l'insieme delle miserie che lo assediavano: dolori, angosce, sciocchezze... e qualcos'altro che gli faceva male nell'intimo, un'incipiente solitudine che minacciava di non lasciarlo dormire, cosa di cui aveva estremo bisogno.

Quella permanenza nella vacuità gli era familiare, benché non percepisse la pericolosità del suo ripetersi costante. Gli era già successo altre volte, in determinati periodi della vita, di investire troppo su qualche obbiettivo in particolare. Cavalcava a tutta velocità verso quell'obbiettivo senza concedersi la possibilità di un eventuale ritardo o badare ad altri dettagli, pensando solo ad arrivare, ad arrivare, quasi sempre preda di un'ansia inspiegabile. Lui pensava che si trattasse di una naturale manifestazione del suo carattere passionale e tenace, e in un certo senso aveva ragione. Quello che però non era mai riuscito ad intuire prima era che ciò che alimentava questa sua tensione non era il liquido così tenacemente desiderato, ma la sete che lo spingeva verso di esso. A volte otteneva quello che desiderava, ne godeva per un certo tempo ma una volta in suo possesso, l'oggetto del desiderio si trasformava in una delle tante tessere del suo puzzle. Passava un po' di tempo e il ciclo si ripeteva con la corsa verso un altro obbiettivo.
Per lui era solo il riprendere di quella lotta mortale con la sua stessa vita. Questa volta erano comparsi altri elementi che durante la sua infanzia e adolescenza non erano presenti. Questa volta la frustrazione era accompagnata dal sentirsi solo con sé stesso, ed era in cerca di un capro espiatorio. Per consolarsi, pensò di essere vicino al giorno che avrebbe messo fine alla sua giovane esistenza e immaginò il suo corpo esausto cadere in fondo a un vortice dove forse la sua anima angosciata avrebbe trovato riposo, in qualche modo.

Nel vano tentativo di liberarsi da quei pensieri scosse la testa e aprì un angolo della persiana dell'ampia vetrata. Da quella posizione poteva vedere, in mezzo all'oscurità, l'immenso giardino e il boschetto di abeti dove gli piaceva nascondersi da bambino e sotterrare i suoi piccoli tesori. Il ricordo di quei rituali lontani gli parve sciocco e ormai privo di senso. Solo il colore verde intenso dell'erba aveva un effetto parzialmente consolatorio, benché non ne fosse pienamente cosciente; fece scendere la persiana e si avvicinò alla sua piccola scrivania, piena di libri in disordine e di quaderni, posta nell'angolo a nord della stanza.
Si sedette sulla sedia girevole e, senza volerlo, cominciò ad aprire i cassetti. In uno di essi trovò alcuni dépliant pubblicitari che avevano distribuito all'università. Ne prese uno a caso e lo aprì, rimanendo assorto per alcuni istanti ad osservare quelle spiagge paradisiache, i lussuosi hotel e la gente che passeggiava libera da preoccupazioni. Il sole che si vedeva in quelle immagini gli sembrava diverso da quello che aveva illuminato quel pomeriggio freddo.
Prese a caso un altro dei dépliant: in copertina si vedeva la fotografia di una villa in stile classico, del colore bianco più puro e limpido che Rady avesse mai visto. Ai lati era circondata da alberi ad alto fusto che più che nasconderla accentuavano il calore della sua particolare bellezza. Più in basso, un'altra fotografia mostrava un arco d'ingresso che recava la scritta: Illa d'Or. Si chiese in che lingua fosse scritto e cosa volesse dire. Era una località nelle isole Baleari, ed era scritto in catalano. La cosa lo incuriosì e cominciò ad osservare quelle immagini con maggiore attenzione. Oltre l'arco si vedevano altre case dalle caratteristiche simili. La vegetazione tutt'intorno era esuberante e, sullo sfondo, il mare blu si confondeva con un cielo dal colore molto simile.
Improvvisamente provò un inspiegabile desiderio di trovarsi laggiù, non fosse che per scoprire con i propri occhi le inimmaginabili meraviglie nascoste all'interno di quell'hotel, le cui immagini lo avevano catturato e distratto dalle sue preoccupazioni. L'armonioso complesso architettonico che si confondeva con il mar Mediterraneo era magnifico. Le increspature leggere delle onde sulla superficie dell'acqua sembrarono a Rady un elemento decorativo in più della bella immagine. Sembrava che gli architetti avessero messo in quella posizione una porzione di mare al solo scopo di creare armonia tra l'hotel e il paesaggio circostante. La sua idea gli sembrò improvvisamente sciocca, e mentre scrollava le spalle ripiegò il dépliant e lo mise da parte, insieme agli altri.

Una scintilla lo distrasse e volse lo sguardo verso il camino. Le braci alimentavano ancora il calore accogliente del locale: il fumo tenue saliva verso l'alto in spirali azzurrine e poi si perdeva. La sua immaginazione si fece catturare sempre di più da quelle forme fugaci. Prese di nuovo il volantino in mano e convinto ma un po' distratto lo infilò in una delle tasche interne della sua giacca. In quelle tasche custodiva gli oggetti a cui teneva di più. La notte regnava ormai nella sua pienezza, il silenzio sembrava impenetrabile. Pensò che la miglior cosa da fare fosse andare a letto. Si sdraiò senza fretta incrociando le mani dietro la testa, guardando il soffitto pur senza vederlo. Non volle accendere l'abat-jour accanto al letto e si sentì protetto da quella penombra. I suoi pensieri cedettero il passo ad un pacifico sopore e poi ad un sonno profondo.
Nel sogno, Rady si ritrovò in mezzo ad una prateria immensa, popolata da una mandria di cavalli. Ad un lato c'era uno strano gruppetto, un gruppo particolare formato da alcuni omini dalla statura bassissima che cavalcavano cavalli bianchi. Sembravano discorrere tra loro ma poi, quando lo videro, inaspettatamente si lanciarono in una folle corsa nelle direzioni più diverse, come se qualcosa di tenebroso li avesse spaventati. Rady li guardò mentre scomparivano alla vista e si incamminò verso una collina vicina da dove poté vedere una moltitudine di altri omini vociferanti. Nessuno sembrava prestargli attenzione, assorti com'erano nella loro incomprensibile conversazione.
Salì su un cavallo baio dalla criniera bianca come la coda, che gli si avvicinò mansueto. Poco dopo si ritrovò in mezzo a quegli esserini. Parlavano tutti insieme e sembrava discutessero dei loro cavalli preferiti. I loro visi erano alterati, come se dall'esito della discussione dipendesse in buona parte il loro destino. Si udì il suono di una specie di corno ed immediatamente cominciarono a correre verso un laghetto vicino, girandogli intorno. Sembrava che la loro vita dipendesse da ogni singolo metro percorso dai cavalli, sempre più vittime delle crudeli fruste agitate da quegli strani fantini. Sollevarono una gran nuvola di polvere che parve portarli con sé, lontano. Improvvisamente, con quell'imprecisa arbitrarietà caratteristica dei sogni, Rady stava camminando tra le soffici dune di una spiaggia del Mediterraneo. La calda brezza passava sul suo corpo come una carezza fresca, e un sole intenso gli scaldava la pelle in modo incontenibile.
Era scalzo e aveva nella mano destra tre frombole a corda doppia. Sentì un'ombra scura, piccola e curva che lo fece quasi cadere. Alzò gli occhi e guardò dietro di sé: non c'era nessuno, si trovava a pochi metri dall'arco d'ingresso di una bella villa bianca circondata di palme. Sull'arco si leggeva distintamente Illa d'Or; Isola d'Oro, mormorò senza rendersene conto. Non molto lontano, oltre una duna che sembrava un'immensa mammella comparvero di nuovo i cavalli, all'improvviso. Correvano come disperati, ora ancora più vittime della frusta di quegli ometti che sembravano avvicinarsi alla meta. “La meta è l'arco!” pensò, e si fece da parte. Vedendo che si avvicinavano, Rady cominciò ad urlare più forte di tutti gli altri tra quella moltitudine, incitando un cavallo che non riusciva a distinguere in mezzo a tutti gli altri ma che era certo fosse il suo, e che sicuramente avrebbe vinto.
Il lussuoso hotel si stagliava imponente un po' più in là, su di un cielo blu intenso e chiaro. Il dolce movimento delle onde si infrangeva sulla spiaggia come una preghiera insistente. I cavalli erano sempre più vicini alla meta, ad ogni istante che passava. Vide il suo cavallo passare in testa al gruppo e sentì di colpo una gioia che a poco a poco gli apparve più lontana. L'immagine si confuse con la finestra della sua camera da letto e i latrati del cane in giardino. Era sveglio, ma le intense sensazioni del recente sogno lottavano ancora per restare avvinte alla sua pelle e alla sua mente. Sbadigliò a lungo e si sedette sul letto con un salto. Si diresse in bagno con passi pesanti e aprì il rubinetto della doccia. L'acqua lo fece svegliare del tutto, e uscito dal bagno si vestì in fretta, come se temesse di arrivare in ritardo ad un impegno ineluttabile.

Non aveva nessun appuntamento, ma il ricordo di quella corsa di cavalli non voleva abbandonarlo. Stava per uscire dalla sua stanza quando gli venne in mente di estrarre dalla tasca della giacca quel volantino che vi aveva riposto la sera precedente. Per lui i sogni non avevano mai significato altro che un'accozzaglia di immagini incongruenti, ma questa volta la sensazione dello sbuffare dei cavalli sembrava aria tiepida che traspirava da tutti i suoi pori.
La sua mente logica associò quell'esperienza al dépliant turistico e ad un richiamo a cui occorreva rispondere. Cercò il listino prezzi e fece un confronto con quanto rimaneva nel cassetto in cui custodiva i suoi risparmi. La differenza era abissale. Doveva moltiplicarli immediatamente: cominciò a pensare ad alcune opzioni che gli parvero assurde, finché ebbe un'idea.
Visitare quel pomeriggio stesso l'ippodromo di Ascot, nel Berkshire, a ovest di Londra. Quel pomeriggio si sarebbe corso il Royal Ascot e, già che c'era, avrebbe fatto visita al suo amico Kevin Sarandon che lavorava all'ippodromo e che non vedeva da tempo. Con un po' di fortuna avrebbe potuto moltiplicare i suoi risparmi e chissà, viaggiare... in ogni modo, aveva poco da perdere... e forse molto da guadagnare, pensò mentre frugava nel cassettino in cerca del denaro. Fece colazione in fretta e, senza parlare con nessuno, si incamminò verso la vicina stazione a prendere il treno che lo avrebbe portato all'ippodromo...

Mohamed Bouzitoune

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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