16 maggio 1970, ore 23.55, sabato. Asti, Piazza Campo del palio (anche se nel cuore e nella mente degli astigiani è sempre stata piazza d'Armi), una sera come tante altre, forse solo un po' più buia. Si trattava infatti di una notte di luna nuova e i lampioni della piazza, con la loro luce fioca, riuscivano a malapena a far distinguere le sagome dei palazzi e delle persone. Nonostante l'ora tarda, nella piazza, come ogni sera d'altronde, era un brulicare di persone che si muovevano nella penombra. Ampio parcheggio, soprattutto per i pendolari che prendevano il treno per Torino all'alba e tornavano all'imbrunire, e, nelle giornate di mercoledì e sabato, sede del mercato cittadino, al calar della notte diventava il luogo di un commercio di tipo diverso. Due donne stavano fumando e chiacchierando come normali impiegate della posta davanti alla macchina del caffè. In effetti anche per loro era un momento di pausa tra un cliente e l'altro! Con la coda dell'occhio videro avvicinarsi un probabile cliente e, come d'abitudine, si separarono in modo che l'uomo potesse scegliere liberamente. Era un ragazzo di una ventina d'anni, pensarono quasi all'unisono. In realtà la supposizione era dettata solo dal fatto che l'uomo indossava la divisa tipica delle reclute della vicina caserma. Per il resto non disponevano di altri indizi, in quanto non avevano potuto scorgere altri particolari, vuoi per la scarsa luce, vuoi perché il suo volto era per buona parte nascosto dal basco calato sulla parte destra del viso. Non ci fecero caso più di tanto poiché le giovani reclute appena arrivate in città erano spesso timide e si vergognavano di dover cercare l'amore mercenario. Il soldato si avvicinò ad Amalia che, con fare ammiccante, lanciò la sua proposta: “Bel soldatino, andiamo in camera per il tuo angolo di paradiso?” Il ragazzo, che si era fermato a un paio di metri dalla signora, sembrava voler valutare bene l'offerta squadrandola da capo a piedi. Il suo sguardo pareva soffermarsi sui particolari dell'abbigliamento della prostituta. La donna indossava un golfino di lana di color rosa, ormai infeltrita, una minigonna viola che ingenerosamente lasciava scoperte le gambe tra le quali avrebbe potuto passare un cane con la scopa in bocca. Completavano il quadro un paio di scarpe con tacco basso che sacrificavano lo charme alla comodità di chi di passi ne doveva fare sempre tanti ogni sera. Non sembrava molto convinto ma poi fece un cenno di assenso con la testa senza dire una parola. La donna si incamminò senza fretta verso la scalinata del Mercato Coperto. Quando si fu allontanata di una decina di metri, lui si diresse con passo deciso nella stessa direzione, seguendola mantenendo la distanza. Nel frattempo un uomo sui cinquant'anni si era avvicinato a Marylin e l'eterno rito della contrattazione si ripeteva ancora una volta.
Ore 00.15 Poche decine di metri più in là, un altro rito si ripeteva come la maggior parte delle sere degli ultimi due anni e, soprattutto, tutti i sabati. Andrea, Marco e Gianpaolo stazionavano al civico 1 di via Nino Costa, sotto l'abitazione di quest'ultimo, cercando di decidere chi dovesse venir accompagnato a casa per primo. In realtà, era solo un modo di prolungare la serata con questa scusa. Normalmente i tre trascorrevano molto più tempo sotto la casa di Gianpaolo perché era un punto strategico. Da lì, infatti, il tempo era scandito, non dall'orologio, ma bensì dai passaggi di “Miss Sorriso 1933” e di “Marilyn Monroe”. Si trattava di due prostitute che, in tutte le stagioni dell'anno, con il caldo o con il freddo, immancabilmente, ripercorrevano con cadenza cronometrica il percorso da piazza d'Armi a via Astesano. Le due signore infatti stazionavo dalle dieci della sera alle due del mattino, nell'angolo della piazza, vicino al peso pubblico, per offrire la propria merce a chiunque desiderasse una manciata di minuti di felicità ad un prezzo più che accessibile. Tra un transito e l'altro passavano circa venti minuti: dieci per il tragitto e dieci per il servizio. I tre amici si divertivano a cronometrare i passaggi e a fare previsioni sulla durata delle prestazioni. “Marilyn” era molto precisa: non più di dieci minuti a botta. Si narrava che quando il malcapitato cliente tardava nella “conclusione”, la frase ricorrente fosse “finito?”, dove la o finale durava almeno una decina di secondi così da far terminare, in un modo o nell'altro, l'incontro prezzolato. Miss Sorriso 1933 la tridentina (il soprannome derivava in parte per l'assonanza con l'anno di nascita ma, più significativamente, dal numero dei denti rimasti in bocca alla signora uno, due e ...tre!) era invece molto più disponibile e i tempi a volte si prolungavano anche oltre i dieci minuti. Anche la clientela era diversa: Miss Sorriso era la preferita dei soldati che stazionavano in Asti per il periodo di tre mesi del C.A.R. mentre Marilyn era preferita da uomini più attempati. Tutta questa teoria sulle preferenze dei clienti delle due signore era, per buona parte, frutto delle congetture dei tre giovani che trascorrevano la fine delle loro serate in via Nino Costa. Normalmente sostavano da mezzanotte alle due proprio davanti a quel portone. E da lì potevano contemplare l'andirivieni delle due signore seguite a distanza, più o meno breve, dai loro clienti. Sul tempo che intercorreva tra il passaggio della prostituta e del cliente era tutto un fiorire di supposizioni che davano origine a discussioni, quasi sempre molto animate. I tre avevano stabilito che se la distanza era molta, a volte anche alcuni minuti dopo il passaggio della donna, era sintomo di habitué che sapeva bene dove andare e che preferiva evitare di farsi vedere troppo vicino alla signora. Il cliente nuovo invece aveva bisogno di tenere sotto controllo visivo la preda – non conoscendo l'indirizzo - e quindi la distanza si accorciava a poche decine di metri.
17 maggio, ore 15.00, domenica Nell'ufficio in Questura la povera Marilyn sedeva davanti alla scrivania di Caracciolo. Tormentava tra le mani la sua borsa di coccodrillo che aveva visto tempi migliori. “E così è stata lei a trovare la sua amica senza vita” affermò rivolgendosi alla donna. “Si, signor ispettore. Stamattina mi sono svegliata presto perché ero preoccupata visto che, ieri sera, non ci eravamo più viste. Avevo pensato che il bel soldatino avesse voluto fare il bis e che lei, magari stanca per la giornata, avesse deciso di riposarsi un po' e così non sono più passata a salutarla. Nella notte però mi sono pentita, non riuscivo a prendere sonno e così alla mattina mi sono alzata presto” nel dire queste parole gli occhi assunsero il luccichio tipico di chi sta per scoppiare a piangere ma invece la donna riprese il racconto senza interrompersi. “Sa, ispettore, con il nostro lavoro al mattino prima delle 10 non ci alziamo mai, ma stamattina poco dopo le 9 ho deciso di verificare se tutto era a posto. È stato terribile scoprire che i miei presentimenti erano giusti!” e qui la commozione prese il sopravvento e dalle guance rosse dal troppo fard scesero alcune lacrime. Il risultato fu grottesco. Lacrime miste a rimmel nero scendevano copiose sulle guance rosse provocando l'effetto maglia del Milan. “Capisco la sua commozione” disse Caracciolo porgendole un fazzoletto di carta “ma abbiamo bisogno che ci racconti i fatti con la massima precisione possibile”. Inspirando rumorosamente con il naso e concludendo con una sonora soffiata nel fazzoletto ricevuto, Maria continuò. “Ho provato a suonare il campanello ma poi, non avendo ricevuto risposta, ho usato la mia chiave di riserva e sono entrata. La povera Amalia era sul letto in un mare di sangue. Ho capito subito che era morta e così sono scesa in strada a chiamare aiuto. Ho poi pensato che dovevo chiamare subito la Polizia e così, invece di ritornare in casa per telefonare sono entrata nel negozio del barbiere e ho chiesto di potervi chiamare. Tutto qui.” “Mi racconti invece di quello che avete fatto ieri notte”.
Gianpiero Giordano
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