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Autore: Riccarda Riccò
La conoscenza di Sofia
Sentimentale Giallo Nero
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La conoscenza di Sofia
Quando il martedì Brenno Capedri salì le scale seguito da Sofia, lei si sentì come una che va al patibolo. Entrarono nella stanza da letto di lui, che aveva una pinza in mano, pronto a girare la chiave e a mostrare il contenuto, come secondo i patti.

"Sicura di volere vedere cosa c'è dentro?" le chiese con un'espressione triste.

Lei annuì.

Brenno prese con le tenaglie il mozzicone della chiave e lo girò, quindi tirò il cassetto e lo aprì. All'interno c'era un plico di fogli da disegno fermati da uno spago da pacchi in juta naturale. Prese il blocco delicatamente, sciolse il fiocco con una meticolosità degna di un rito esoterico e porse lentamente il pacchetto a Sofia, poi si sedette sul letto.

"Questo segreto vale di più di un bacio" disse.

Erano studi di nudo femminili, con soggetto Caterina. Sofia guardò velocemente le date in fondo a destra e vide che anche in quel caso si poteva creare un ordine cronologico, i nudi più "velati" erano più datati rispetto a pose che lasciavano poco all'immaginazione. Sofia non riuscì ad analizzare quelle anatomie, si sentiva come dall'oculista quando devi tenere gli occhi aperti mentre ne esplora il fondo con una luce accecante. Non riuscì a dire niente. Non finì di scorrere i disegni, dopo quattro o cinque rimise insieme alla bell'e meglio il blocco e lo posò sul comò, poi si girò verso Capedri simulando con un mezzo sorriso un' indifferenza e una tranquillità che non provava.

"Soddisfatta?" chiese lui abbattuto.

Lei fece di sì e poi disse: "E' meglio che scenda a controllare Giulio", quindi abbassò la testa, si girò e fece per andarsene.

D'improvviso si bloccò e senza guardarlo gli chiese: "Amava molto quella donna?"

Brenno era ancora seduto sul letto.

"Lei a chi crede? Alle dicerie o al suo cuore?"

Neanche quella volta si aspettava quella risposta e ancora non seppe cosa dire e così continuò la sua fuga verso il basso.

Dopo mezz'ora circa uscì dalla porta principale e raggiunse Capedri dietro casa che stava tagliando della legna con un'accetta, in camicia felpata, con zero gradi e nebbiolina. Menava colpi violenti con una forza rabbiosa e per un po' non si degnò di fermarsi, come se lei non ci fosse stata. Poi appoggiò l'ascia, si asciugò la fronte gelata con il braccio e la guardò, in attesa.

"Mi scusi, signor Capedri, ma non mi sento tanto bene. Andrei volentieri a casa."

"Cosa succede?"

"Niente di ché, solo un gran mal di testa"

"Mi dispiace. Vada pure. Ci vediamo giovedì"

"Certo, arrivederci".

Salì in auto, aveva già preso le sue cose, salutato Giulio, respirato l'aria della radura, il fumo del camino dentro, il profumo dei sempreverdi fuori.

Stava pensando a una frase che aveva letto da qualche parte, chissà quando, e chissà se era proprio così, Nessuno può disegnare un albero senza diventare in qualche modo un albero, e chissà, pensava, a disegnare un corpo nudo con quella intensità. Era come disegnare l'anima del tronco, gli internodi dei tessuti vegetali, dalla corteccia al midollo, attraverso gli anelli di accrescimento.

Era ancora di più, era inserirsi in quel fusto, incarnarsi nelle fibre, vivere il brivido dell'albero, il suo impercettibile oscillare al vento, l'apparente staticità, la paura della quiete forzata, della immobilità indifesa.

Ripensò ai ritratti, a tutti quelli contro il muro, al suo, a quelli che aveva appena visto. Ripensò a quando lui l'aveva ripresa... Brenno non disegnava per passarsi il tempo, per distrarsi, per riempire un vuoto; lui doveva vuotare un pieno. Mentre lui ritraeva, faceva uno sforzo fisico, buttava fuori un carico che era dentro di lui, che lo schiacciava, lo faceva esplodere. Di questo Sofia era ormai certa, perché lo aveva visto all'opera.

Disegnare non era un hobby, ma una salvazione.

E allora perché quella sofferenza? Stava fuggendo via, a vedere se da un'altra parte quella fitta interna in mezzo al petto le sarebbe passata. Cercò di dare un nome a quel dolore, per quanto arduo fosse, per quanto sia sempre difficile isolare la provenienza di un intorpidimento. Poi capì, dovette ammetterlo, non aveva mal di testa, aveva male al cuore. Quella donna, quei disegni, quella confidenza sfacciata e nuda l'avevano ferita malamente. Tutta immersa nelle sue miserie, vide all'ultimo momento e sotto curva l'auto bianca che veniva dalla parte opposta della strada dissestata e la scartò per un pelo. Dovette fermarsi e riprendere fiato dallo spavento, mentre la macchina era già sparita dietro a un'altra svolta.

Dopo i primi attimi di tremarella si chiese chi potesse essere ad andare alla radura, dal momento che quella strada portava solo lì. Fu tentata di girare la Mini Cooper per andare a vedere, ma si diede della cretina e continuò il suo viaggio, lavorando con la mente che era tutto un vortice di ipotesi.

Chi andava da Capedri alle quattro di martedì? Era una donna o un uomo al volante? Non aveva visto esattamente dallo specchietto retrovisore, non aveva fatto in tempo ad identificare la targa, né il tipo di auto... le era però sembrato di vedere un adesivo con delle righine azzurre attaccato dietro, una specie di mare. Chi era? Qualcuno che amava il mare.

Dopo le supposizioni le venne un moto di nervosismo isterico e cominciò a parlare forte, come se in quel modo riuscisse a dare un equilibrio alle sue sensazioni, per capire meglio, per non sentirsi sola. Ma era un colloquio privato dai toni di rimprovero e presto rimbalzò negli anfratti del suo spirito aumentando la tensione e la malinconia.

Cosa sto facendo?

Cominciò a dirsi con una nota patetica nella voce,

Cosa sto combinando? Perché? Mio Dio, cosa sto facendo qui? Cosa faccio in questo scoscendimento di territorio ostile e desolato? Era questo che volevo? Complimenti alla crescita Sofia! Congratulazioni per la miglioria! Sono una povera sfigata, una misera, una fallita. Vado cercando chissà cosa e trovo delle pietà! Trovo dello schifo e delle assurdità... passo i miei pomeriggi in 'sto posto dimenticato da Dio e dagli uomini in compagnia di un sindromico e un mezzo puttaniere da strapazzo che a quanto pare raccoglie il consenso di una fauna femminile composita e variegata che non ha niente di meglio da fare che farsi sbrodolare addosso da un lupo di merda dalle attività di dubbia legalità, neanche fosse l'unico uomo sulla faccia di questo angolo del cazzo di terra ! Un primitivo le cui origini si perdono tra la Transilvania e la Dobrogea, un mentecatto che può avere come massimo esponente della sua cultura e civiltà Vlad Tepes l'Impalatore, una sorta di invasato sessuale che sfoga i suoi istinti alienati con disegni pornografici di bassa lega con soggetto una morta assassinata da qualche altro maniaco montanaro che non aveva niente di meglio da fare che accoppare una poveretta in un posto da brivido dal nome che porta iella!

Sofia!

Che cazzo stai facendo?

Che cazzo sto facendo? Cosa sto facendo? Cosa faccio qui? Perché non sono a casa mia con il mio fidanzato a progettare un futuro luminoso e profumato di crema e pastello? Perché il nero ha sempre un ascendente sulla nostra vita, insieme al dubbio, al brivido, all'ombra, al villano? Perché abbiamo bisogno di vedere qualche teschio attorno a noi? Memento mori, croci, pugnali e rock 'n roll, dark, goth, emo, sei una deficiente Sofia, perderti in cazzate alla tua età, sempre alla ricerca di qualche tipo di orrore nella mente, come se la vita non fosse di per sé già una rovina, come se il vivere non fosse già un vagare nell'ignoto in cui il male e il bene sono indistinti, l'Amanita cesarea e quella muscaria, come se dovessimo anche cercarlo il brivido dell'indecifrabile, manco il percorso fosse così liscio, così pulito, siamo angeli caduti e abbiamo bisogno di terra ma aneliamo il cielo, che gran casino Sofia, che gran casino, devo scappare, devo andarmene, cercare un po' di quiete, un po' di pasticcini, di sole tiepido e ninna nanna.

Una lacrima le rotolò giù per il viso.

Mandò un messaggio a Gianguido mentre guidava, Sto arrivando amore, usciamo stasera?

Riccarda Riccò

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