
Premessa. Questa raccolta non è stata pensata come tale ai tempi della sua stesura. E' un ibrido, un diario ‘epistolar-emozionale' che ha preso vita autonomamente nei giorni del Covid 19, non esattamente dall'inizio della pandemia. Si compone di ‘lettere al direttore' e risposte private, letture e riflessioni, citazioni e ricordi. Solo in un secondo momento i due autori, Tiberio Fusco e Stefania Sirtori, colleghi e amici, hanno pensato che potesse diventare un ‘libretto' degno di pubblicazione, testimonianza di un periodo di lontananza forzata e di vuoto lavorativo oltre che di dolore, paura e incertezza nel futuro. Anzi, è stata proprio la mancanza della vita di redazione, di quella quotidianità condivisa alla ricerca di temi, spunti e idee per il programma a cui collaborano, a rendere assolutamente necessario ritrovarsi, seppur ‘distanziati socialmente' , e riallacciare quel filo intellettuale che si era strappato bruscamente a causa della pandemia. Occorre spiegare che Tiberio Fusco è un autore storico di Piero Chiambretti. Da molto meno tempo, ma con altrettanta dedizione, al team di Chiambretti si è unita anche la giornalista Stefania Sirtori che affianca proprio Fusco nella preparazione delle interviste agli ospiti de ‘La Repubblica delle Donne', programma trasmesso sui canali Mediaset e interrotto a marzo, agli inizi della pandemia. “La notizia della malattia di Chiambretti, ricoverato per Covid, e dell'adorata madre Felicita, scomparsa per le conseguenze del virus, ci ha gettato nello sconforto. Dopo un periodo di telefonate quotidiane per informarci sullo stato di salute di entrambi e dopo la notizia drammatica della morte di Felicita ho iniziato a scrivere, quasi casualmente, su ‘Anteprima-La Spremuta di giornali', rassegna stampa on line di Giorgio dell'Arti. Da quel momento in poi le comunicazioni tra me e Stefania hanno cambiato forma e il bisogno di confrontarci su quanto stava accadendo, ora così vicino a noi, si è fatto ancora più pressante” commenta Tiberio Fusco. “Tiberio pubblicava ogni giorno una lettera in cui era solito consigliare letture adatte al periodo della quarantena: romanzi, autori, citazioni. Senza nemmeno rendermene conto mi sono nutrita di quegli scritti e ogni giorno ho risposto, privatamente, al mio collega con pensieri in libertà, riflessioni e ricordi del mio passato che man mano le lettere facevano riaffiorare. Non ho voluto appositamente cambiare nulla dalla prima stesura, che avveniva di getto, proprio per mantenere l'emozione di quei momenti in cui mi rivolgevo ad un amico, non certo a dei potenziali lettori. Sono semplici pensieri e ricordi personali e ho voluto che rimanessero tali” spiega Stefania Sirtori. Nasce così questa raccolta che non ha alcuna presunzione se non quella di dimostrare che nell'era dei social, delle stories, delle videochat e delle webcall anche un semplice scambio epistolare può avere un valore immenso, un effetto perfino terapeutico. ‘Scriverci, seppur in questa forma ‘triangolare' e non diretta di carteggio, ci ha aiutati a superare i momenti più difficili, quelli dei quotidiani bollettini del contagio e del computo delle vittime. E' stato un rimedio contro la paura, un modo per superare il trauma dei giorni più dolorosi, quando quel maledetto virus aveva colpito persone a noi tanto vicine e care e si era portato via una donna straordinaria, la mamma di Piero. Ma e' stato anche il mezzo più efficace per non interrompere un legame professionale e quell'esercizio quotidiano di ricerca e di confronto che è alla base del nostro lavoro”
PREFAZIONE
Anteprima è una “spremuta di giornali” che ricavo ogni notte dalla lettura dei quotidiani in viaggio verso le edicole e che, via mail (e solo via mail), consegno ogni mattina alle 7 ai miei abbonati. Io pretendo che Anteprima sia più un quotidiano che una rassegna stampa, soprattutto perché ricca di quella miriade di informazioni nascoste all'interno degli articoli che al lettore frettoloso non è sempre facile cogliere. Come nei quotidiani, alla fine di tutto (dopo una ricchissima informazione di giornata, Anteprima offre ai lettori altre due ricche sezioni, una dedicata agli appuntamenti e un'altra ai ricorsi storici), c'è la rubrica delle lettere. Piuttosto diversa da quelle che si leggono sui giornali: qui personaggi autorevoli raccontano ogni giorno pezzi della loro vita, storie, commentano l'attualità, polemizzano con governanti e giornalisti, senza che sia mai esercitata alcuna censura. Tiberio Fusco, da qualche mese ospite fisso di questo salotto d'élite, partecipa rivelandoci i suoi sentimenti, consigliando libri, ammonendo i contemporanei con i consigli degli antichi, ricordandoci a ogni rigo che il tempo presente è fuggevole, e dunque ogni cosa passa, sia quelle che ci danno felicità che quelle che ci angosciano. Non sapevo che Stefania Sirtori partecipasse in silenzio a questi ragionamenti, e la lettura del carteggio che segue, un'articolazione inattesa di quello che facciamo ogni notte e che si tramuta in questo caso in una sorta di triangolo intellettuale, è stata una sorpresa graditissima. Mentre spingo il lettore ad aprire al più presto le pagine di questo libro, e a trovare così ristoro all'angoscia che ci trasmettono i tempi, invito Stefania a farsi coraggio e a manifestarsi a sua volta direttamente anche da noi. Entri nel nostro piccolo club, si renda visibile agli amici di Anteprima, non sia egoista e partecipi da questo momento i suoi pensieri ai nostri lettori: ne verrà un bene per tutti. Giorgio Dell'Arti
INTRODUZIONE
C'erano (una volta) una donna e un uomo (Sirtori e Fusco) che si scrivevano, e lo facevano per lavoro, perché il loro lavoro consisteva nello scambiarsi opinioni su ciò che avviene nel mondo. Ma questa volta ci sono invece una ragazza e un ragazzo (Stefania e Tiberio) che si parlano e sono spinti da qualcosa che non è più lavoro ma il tentativo di reagire a una situazione di pericolo che sembra coinvolgere il mondo intero. Stiamo parlando delle stesse persone ma di una diversa condizione che li ha investiti: il nuovo modo di scriversi, di comunicare, sembra avere a che fare con la sopravvivenza stessa. Si è convenuto mediaticamente di chiamare questa nuova condizione: “l'Angoscia del CoronaVirus”. Le parole usate dai due dialoganti, dunque, non vanno più al vento, né cadono nel vuoto, perché intercettano la pena, la speranza e l'attesa di qualcosa che è già accaduto e che ancora potrà accadere, qualcosa che ha un nome e un decorso, che è insieme vago e preciso, qualcosa che genera paura, anzi terrore e più ancora panico. Come definire il nostro tempo, quello degli ultimi mesi, quello che una volta chiamavamo estate? Viviamo in una sorta di Età della Convalescenza, continuamente minacciata dall'Età della Ricaduta. Siamo nella prospettiva opaca di un dramma che il mondo intero sta vivendo da diversi mesi: la Pandemia. E assistiamo a una guerra mediatica, e soprattutto politica, tutta puntata sul ritrovamento dell'elemento salvifico, in questo caso il Vaccino. Sul Vaccino – questo è chiaro – si è scatenata una vera guerra politica. Non conta tanto salvare le vite, quanto piuttosto assicurarsele coi voti. Il Vaccino procurerà voti. 12 Intanto i due ragazzi (non posso che chiamarli così) continuano il loro combattimento per la vita e lo fanno con le armi a disposizione: prima la parola. E dove si trova la parola? Si trova in quel “deposito” che ognuno di noi custodisce, fatto dei libri letti, delle parole ricevute dai maestri ma anche dagli amici e dagli sconosciuti. I testi che abbiamo letto, nel corso di una vita, costituiscono poco a poco un “deposito della memoria” che spesso – in tempi benevoli – può apparirci inutile o almeno ingombrante. In realtà questo è falso. Ce ne rendiamo conto quando dobbiamo attingere a questo deposito perché siamo in qualche modo minacciati: nei sentimenti, nelle convinzioni, nelle certezze. Allora i fantasmi si fanno carne: ecco Grazia Deledda che appare a Stefania Sirtori. Ecco Rodolfo Sonego che si rivolge a Fusco. Mettere le mani in questo deposito non è senza conseguenze: vi si trovano raccolti i temi con cui l'umanità si è cimentata dagli esordi. Tiberio apre e chiude l'epistolario con la “Lettera a Lucilio” di Seneca e affronta il difficile tema della morte. Stefania rintraccia il proto-femminismo nella vicenda della Deledda, alle prese con una Sardegna che sembrava rimasta all'età dei nuraghi. Seneca ricorda che “sono più le cose che spaventano che quelle che ci fanno veramente male”: Stefania prende atto e aggiunge che “la paura di morire, se gestita e non subita, è l'emozione che ci salva la vita”. Ma poi aggiunge, in un'altra lettera, che i mass media propagano la paura in modo che sia impossibile gestirla. Per questo bisogna attingere alla nostra “biblioteca interiore”. Come ricorda Stefania: “I libri sono come piccole finestre. Aprirli, uno dopo l'altro, consente a tutti di uscire dalla propria camera e realizzare viaggi straordinari. Illimitatamente”. Forse non saranno questi viaggi a salvarci ma almeno allontaneranno e terranno a bada coloro che vogliono imporcene altri verso il nulla mediatico. Mario Nicolao
Stefania Sirtori
|