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Autore: Anna Maria Bonamore
Rinascita
Romanzo
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Rinascita
Il trillo della bellissima sveglia d'argento che teneva sul comodino, regalo di nozze di una sua carissima amica, la svegliò bruscamente dal sonno e da un sogno stupendo che avrebbe voluto continuare a sognare: si trovava su una spiaggia assolata, non avrebbe saputo dire quale, ma era sicuramente una delle tante pittoresche spiagge della sua amatissima Napoli che assomigliava molto a lei nelle corde più nascoste del suo cuore: calda, appassionata, solare, generosa.
A Sonia piaceva pensare a quella forma di simbiosi con la sua città da quando sua madre, nell'infanzia, le aveva raccontato una delle tante leggende legate al nome partenopeo della sua terra: Parthenope era, secondo un'antica tradizione, una fanciulla greca, osteggiata dai suoi familiari nell'amore ardente che provava per Cimone, dal quale era ugualmente ricambiata. La fanciulla, bellissima, amava fermarsi sulla riva del mare per scrutare e immaginare i mondi e i popoli che vivevano oltre l'orizzonte, nella speranza di una vita possibile, piena di amore, con il suo uomo.
Ma dove andare, si chiedeva, mentre il vento le rialzava e le inanellava i lunghi capelli biondi e le gonfiava le bianche vesti; come affidarsi ai flutti, forse senza alcuna speranza di ritorno; dove fermarsi, se non su terre inospitali dove gli uomini non amano la bellezza, dove non ci sono templi, alberi, rose, dove il sole pallido è soffocato dalle nuvole...

Ma un giorno il Dio del Mare, che aveva compreso la tacita richiesta della fanciulla, volendo donarle la felicità, guidò la fragile imbarcazione che i due amanti, ormai decisi a fuggire, erano riusciti a procurarsi, su una terra divina dove il mare convive con verdi colline e con un vulcano ardente di fuoco; dove, in profonde vallate, i due giovani sperimentarono il loro amore, seminando baci nella bruna pietra dei Campi Flegrei e nei giardini ricamati da mille fiori diversi e variopinti.
E fu così che Parthenope è diventata, nel tempo, la Madre, la Signora, il simbolo stesso di una città luminosa e appassionata, mentre il suo spirito continua, da cinquemila anni, a correre tra spiagge e vallate, ad affacciarsi sulle colline e sulle rupi, a ubriacare d'amore tutte le notti stellate, a far sentire il suo canto e il suo profumo disperso nell'aria.
Sonia ricordava spesso questa storia e le piaceva pensare a Parthenope come se fosse un'amica, una sorella, forse se stessa.
E lei continuava nel sogno a correre sulla spiaggia assolata, verso il mare infinito, verso una voce o più voci che la chiamavano e che la riportarono a una più brusca realtà.

La voce che la chiamava era quella di suo marito che la esortava ad alzarsi e lei lo accontentò subito, deliziandosi all'odore di caffè che Mario stava preparando e che sembrava invadere tutta l'intimità della casa. Anche suo figlio si era svegliato e piagnucolava:
- Mamma, mammina, oggi non voglio andare a scuola, non ci voglio andare. Lele mi fa i dispetti, è cattivo e la maestra non capisce. Pure lei è antipatica - .
Lorenzo aveva poco più di quattro anni e frequentava l'asilo; Sonia non poteva permettersi di lasciarlo a casa: lei doveva lavorare e la sua vita era tutta pianificata tra la famiglia e il lavoro; inoltre doveva destreggiarsi fra le mille incombenze che ogni giorno si trovava ad affrontare. Certamente poteva contare sull'aiuto di suo padre che spesso le apriva il negozio mentre lei rassettava un po' la casa e accompagnava il bambino a scuola. Non voleva rinunciare a questo rito con suo figlio: lo aveva voluto, lo amava e voleva stargli vicino il più possibile.
Così ogni giorno lo accompagnava e lo andava a riprendere; qualche volta lo portava nel suo negozio il pomeriggio, se non poteva lasciarlo alle suore della scuola privata in cui lo aveva inserito.
- Certo che è un bel costo... - Diceva spesso suo marito a tal proposito.
- Ma nelle scuole pubbliche non è facile... ci sono le graduatorie e ci sono famiglie che stanno peggio di noi, e poi... le ragazze madri e tutto il resto; come si fa? Almeno gli orari sono flessibili e per noi non è poca cosa. - Ribadiva Sonia. Così preparava il suo frugoletto biondo e lo convinceva che Lele (Daniele) era suo amico e forse gli faceva gli scherzi solo per gioco e che la maestra era giovane e carina e nemmeno antipatica come lui diceva.
Lorenzo faceva allora una smorfia e si lasciava vestire, poi salutava il suo papà che gli schioccava un bel bacio su una guancia paffuta e lo mandava via con un bel sorriso stampato sulla faccia.
Mario guardò sua moglie e le fece un cenno di intesa, di complicità: entrambi sapevano che lo aspettava un colloquio di lavoro e lui non era sicuro che sarebbe andato bene; era già da un po' di tempo che l'uomo non riusciva a trovare un lavoro soddisfacente e tutto pesava sulle spalle di Sonia che, per fortuna, era più ottimista e sicura di sé.
- Andrà tutto bene, amore mio, non temere. Ci vediamo stasera. -
Cercò di rassicurarlo lei, abbracciandolo e baciandolo affettuosamente.
[...]
Alle 13 in punto Sonia chiuse il negozio, si infilò in macchina e fece a ritroso il tragitto della mattina, affrettandosi per andare a prendere Lorenzo a scuola. Gli aveva promesso di farlo pranzare nella trattoria vicina all'asilo, dove cucinavano la pasta con il sugo di pomodoro fresco e basilico che a lui piaceva tanto. Ci si metteva sopra un bel po' di formaggio grattugiato che, lei diceva, cadeva giù lento e soffice come se fosse la neve su una collina bruciata dal sole. A seguire, un bel filettino morbido al sangue e un po' di insalata per rinfrescare lo stomaco. In realtà, al bambino l'insalata piaceva poco:
- Mica sono una mucca che mangia su un prato - . Diceva; ma Sonia lo convinceva anche con la promessa di un gelato che certamente le mucche non si sognano nemmeno di assaggiare.
- Mangia con calma, mucchetta. - Diceva ogni tanto Sonia - e mastica bene; abbiamo tempo prima di tornare ad aprire il negozio. La maestra ti ha dato qualche compito per domani? -
- Sì, devo fare un disegno sulla mia famiglia, con te e papà e pure io, però. -
- Va bene, hai tutto il pomeriggio, prima di tornare a casa. Non ti preoccupare. -

Finito il pranzo, Sonia prese un caffè, chiese il conto che pagò con denaro contante (non era una grande cifra) e tornarono a prendere la macchina, una Twingo nera vecchio modello che piaceva tanto a Lorenzo perché diceva che la macchina della sua mamma aveva gli “occhioni” (i fari) grandi e buoni come quelli di sua nonna. Attraversarono a piedi un parco giochi dove i bambini più piccoli potevano andare sugli scivoli e quelli più grandi usare le altalene. C'erano alberi e aiuole con piante di vario genere e ben tenute che non dovevano essere calpestate (c'era tanto di cartello con il divieto). Molte persone portavano lì i cani al guinzaglio e poi li lasciavano liberi di scorrazzare un po', lontano dalle aiuole, anche se era autunno inoltrato e soffiava un vento piuttosto gelido. Una signora di circa cinquant'anni fu strattonata dal suo cucciolo di cane lupo al quale non aveva tolto il guinzaglio e fu costretta, suo malgrado, a correre dietro al cane mentre la sua sciarpa bianca svolazzava qua e là sospinta dalle raffiche di vento. Sonia e il bambino si misero a ridere, anche se forse non era proprio il caso, visto che la signora faticò non poco a riprendere il suo cucciolotto che, per fortuna, si era poi accucciato ai piedi di una fontanella.
Tornati al negozio, Sonia lavorò per tutto il pomeriggio mentre il bambino, pur con qualche piccola intemperanza, restò abbastanza tranquillo, lavorando sul disegno che avrebbe dovuto portare a scuola il giorno dopo.
- Lorenzo, hai finito il disegno? -
La mamma lo incitava spesso, ma il bambino quel giorno era lento e piuttosto svogliato. Forse si era stancato di stare fuori casa tutto il giorno.
Disegnava senza troppa convinzione, facendo cadere ogni tanto i colori e Sonia pensò che non avrebbe dovuto più portare il bambino al negozio, potendolo lasciare ai suoi genitori o a Mario, se non doveva lavorare.
Sua madre, Lucia, già da tempo non stava bene, lamentava stanchezza e dolori diffusi e anche il cuore sembrava essere un po' malandato. Era ancora piuttosto giovane, sua madre, ed era ancora una bella signora, con il viso minuto e gli occhi chiari che la facevano sembrare più giovane di quel che era; ma negli ultimi anni sembrava un po' sciupata e aveva spesso ombre bluastre sotto gli occhi.
Sonia se ne preoccupava, ma suo padre diceva sempre che era tutto sotto controllo e che sua madre semplicemente accusava alcuni disturbi tipici della sua età.
- Ma ha solo sessanta anni! Cosa sono, al giorno d'oggi? La vita media si è allungata e si arriva ormai normalmente agli ottanta, se non di più! - Rispondeva lei.
- Sì, ma è sempre stata un po' fragilina, lo sai anche tu. È piccola di costituzione e si stanca facilmente e poi si agita subito per un nonnulla. Sta semplicemente invecchiando, ma per il resto non ti preoccupare e, soprattutto, non farle vedere la tua preoccupazione. Sarebbe peggio! - Disse suo padre, il signor Pietro.
E così Sonia cercava di non interferire troppo nella vita dei genitori e di non pesare troppo su di loro, contando solo sull'aiuto del padre per qualsiasi incombenza, come i pagamenti o come quando la sua automobile aveva qualcosa che non andava e aveva quindi bisogno di una revisione. Restava suo marito che spesso però non era in casa e non aveva troppa voglia di fare il baby-sitter per tutto il pomeriggio, anche se a suo figlio, in fin dei conti, voleva molto bene.
Pensando a Mario, Sonia ebbe di nuovo una fitta allo stomaco, come una specie di crampo, cosa che ultimamente le capitava sempre più spesso e che interpretò come un segno di cattivo augurio, perché lei, come spesso diceva, le cose se le sentiva. E capiva anche che la sua vita, non più idilliaca come un tempo, stava forse per prendere un nuovo corso che avrebbe probabilmente spezzato quell'immobilismo di situazioni che non le riusciva tanto più di tollerare.
Voleva qualcosa di più e di meglio, per la sua famiglia ma anche e soprattutto per lei, moderna Parthenope, solare e generosa. Qualche anno dopo, col senno di poi, e considerando il corso degli eventi e gli ingranaggi che avrebbero quasi stritolato la sua vita e il suo cuore, avrebbe riconsiderato quegli anni (di non grandi soddisfazioni) come i migliori forse della sua vita, quando in maniera ottimistica, come era nella sua natura, cercava di andare incontro, per poi realizzarle, alle sue aspettative, a un benessere e a una felicità che però è spesso molto difficile da trovare e soprattutto da conservare per più di pochi attimi.
Alla fine della giornata, sul punto di ritornare a casa, Lorenzo aveva finalmente terminato il suo disegno:
- Mamma, ho finito! Vieni a vedere! - .
Il bimbo si stropicciava gli occhi con i polpastrelli delle dita tutti sporchi di colore, mentre macchie colorate si erano formate anche sulle guance e sulla camiciola bianca che portava sui jeans blu scuro.
Sonia si avvicinò per vedere e si mise a ridere fragorosamente: suo figlio aveva disegnato una casa bianca col tetto rosso (a scuola la maestra aveva detto che le case si disegnano così) e, davanti alla casa, la mamma con il rossetto e i capelli lunghi. Vicino a lei, un bambino con due occhioni enormi e un sorriso da mezzaluna (meglio di così non sapeva fare!); poco distante, un uomo (lo si capiva dai pantaloni e dai capelli corti) davanti a un prato tutto verde, con le braccia alzate e la bocca aperta (era un quadrato!) come se stesse gridando. Il disegno era veramente elementare (e non poteva essere altrimenti), ma Lorenzo aveva colto in pieno la situazione della sua famiglia e l'aria che tirava in casa.
- È proprio intelligente, mio figlio! - Disse Sonia a bassa voce e si affrettò a tornare a casa.
Infilò le scale di corsa, con il suo bimbo che si aggrappava con le manine a quelle più grandi di lei, morbide e curate, ma molto semplicemente: un velo leggero di smalto rosso sulle unghie che facevano specchio a un rubino circondato da brillanti e infilato vicino alla fede nuziale.
Era una bella donna, Sonia, alta, aggraziata, snella al punto giusto e con un passo di pantera, nonostante i tacchi alti. Spesso faceva voltare tutti gli uomini che la vedevano passare, anche se lei rimaneva seria e compassata tra un complimento e l'altro.
L'ascensore era occupato e stava salendo; lei avrebbe dovuto aspettare che tornasse al piano terra per poi risalire, ma era ansiosa di sapere come era andato il colloquio di lavoro di Mario. Abitavano al terzo piano di una tranquilla palazzina in periferia, modesta ma decorosa e, soprattutto, molto luminosa. D'altronde Sonia non avrebbe mai potuto vivere in un ambiente buio e tetro: aveva bisogno di vedersi in ambienti chiari e gioiosi per permettere alla sua natura di respirare aria e vita.

Anna Maria Bonamore

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