Regione di Oshikoto - Namibia - Africa
Etosha, il "Grande luogo bianco", così era chiamato dall'etnia Ovambo che ancora popola la regione. Quando il parco fu fondato, la Namibia era una colonia tedesca e questa terra fu per anni la più grande riserva faunistica mondiale. La sua parte centrale è costituita dall'Etosha Pan, un'enorme depressione salina, antichi resti di un lago poco profondo, alimentato anticamente dal fiume Cunene. In seguito, l'acqua mutò il proprio corso e tutta la zona si trasformò in un semi deserto. Ai giorni nostri, durante la stagione delle piogge, il Pan viene talvolta alluvionato dai fiumi Oshana e Omiramba, riportando il lago agli antichi splendori.
All'interno del parco erano sorti numerosi lodge in cui ospitare i turisti, affascinati dalla voglia di Africa, ma il più esclusivo doveva ancora riaprire i battenti da lì a poco, alla fine della stagione delle piogge. General manager di tutta la struttura era una giovane donna inglese, Patricia Blase, dal carattere spigoloso e deciso, sempre pronta ad affrontare di petto ogni minima problematica. Animalista convinta, voleva trasformare l'Afrikan Camp nell'ultima frontiera della natura e, grazie all'aiuto del padre, maggior azionista del progetto, aveva imposto le sue scelte sin dall'inizio, decidendo di costruire la struttura lontano da tutti gli itinerari conosciuti.
Questo però cozzava con la pigrizia dei facoltosi clienti, poco propensi a sobbarcarsi un faticoso viaggio in fuoristrada dall'aeroporto di Tsumeb su una strada dissestata e polverosa. L'idea iniziale fu quella di costruire una piccola pista di atterraggio, ma le autorità del parco si mostrarono irremovibili ad ogni tipo di offerta e negarono il permesso. Quando tutto sembrava perduto, Patricia venne a sapere dell'esistenza di un antico forte tedesco, situato a pochi chilometri dal lodge, da cui prendeva il volo un piccolo aereo da turismo. Per verificare l'autenticità dell'informazione, decise di andarci di persona.
C'era un fotografo spagnolo che pareva saperne di più sull'argomento e lo chiamava semplicemente Fuerte Alleman. L'aveva scoperto per caso, appena dopo il tramonto, attirato da una luce fioca che brillava su una delle torrette. - Sembrava un miraggio, - spiegò - perché mai mi sarei aspettato di trovare una costruzione simile nel bel mezzo del bush. Il proprietario mi ha accolto per la notte, ma si è mostrato alquanto schivo e riservato. Gli Ovanbo lo chiamano Moku e sembrano avere molta soggezione di lui.
- Un bianco quindi? - lo interrogò.
- Sì, sì, un bianco scorbutico e testardo tanto che insiste a coltivare la vite su questo terreno così poco adatto. Il suo sogno è quello di produrre vino, ma da quello che ho visto ha poche speranze.
- Te l'ha detto lui? - domandò Patricia, sempre più incuriosita dal personaggio.
- No, lui è apparso solo qualche minuto per guardarmi in faccia prima di dare disposizione al personale di servizio, affinché mi desse una sistemazione per la notte. Quel poco che so l'ho appreso dai locali e non sembrano molto entusiasti di parlarne.
- Hai visto anche la pista di atterraggio?
- Praticamente è attaccata al Forte. Da quel che ho capito, lui esce con l'aereo direttamente dal grosso portone e va a rullare sulla pista. In un angolo del cortile interno c'era un biplano, uno Stearman se non sbaglio... giallo e rosso. - sorrise il fotografo - Roba d'altri tempi!
- Mi sapresti indicare come arrivare al Forte?
- Più o meno devi seguire una direzione di 100 gradi verso est, però di giorno non si nota nel bush. Hai più possibilità di scorgerlo al tramonto e, se non lo trovi, sarà dura ritornare indietro... rischi di dover passare la notte in mezzo ai leoni.
Patricia lo guardò con aria di sufficienza. Aveva passato gran parte della vita in Africa, accompagnando suo padre in ogni angolo più remoto, non aveva certo problemi a trovare un forte a pochi chilometri dall'Afrikan Camp.
Il fotografo, dopo una rapida occhiata al primo bottone aperto della sua camicia color ecru, si offrì di accompagnarla, ma lo sguardo perentorio di Patricia arrestò sul nascere il suo timido tentativo di approccio. Non voleva più saperne di uomini, almeno non per ora, dopo la dolorosa separazione dal marito, durata tre anni e terminata con un armistizio che non riusciva a sopportare.
- Le guerre si combattono solo quando si è sicuri di vincerle, - l'aveva avvertita il padre - se non puoi provare i suoi tradimenti... lascia perdere!
Non era stato facile mettere in piazza il dolore e l'imbarazzante disequilibrio della propria sessualità e nemmeno sentirsi rimproverare per la freddezza... per l'assoluta mancanza di passione, come se fosse l'unica scusa per cercare rifugio tra altre braccia, tra altre gambe, senza prima affrontare una leale discussione che avrebbe condotto alla stessa identica meta, senza combattersi all'ultimo sangue.
E così l'aveva liquidato con una sostanziosa buonuscita, come si fa con un direttore che non può essere licenziato. L'aveva messo finalmente alla porta ed ora si ritrovava un nemico in più da combattere sullo stesso terreno, un concorrente sleale che aveva usato il denaro ricevuto per il rilancio di un lodge in quella stessa Namibia che pareva odiare così tanto prima del divorzio.
Alla luce di questa nuova battaglia, la possibilità di mettere le mani sull'unica pista di atterraggio dei dintorni diventava una questione di vitale importanza, tanto da affrontare il suo scorbutico proprietario in prima persona.
Quella stessa sera, Patricia chiamò il padre e lo mise al corrente della novità. - In tutti questi anni ho cercato di aiutarti e di proteggerti, - si sentì rispondere - ma questa volta dovrai arrangiarti da sola. L'unico consiglio che ti posso dare è di non dire a quell'uomo che sei mia figlia, in un remoto passato abbiamo avuto qualche discussione... ed è meglio che lui non sappia.
- Quindi conosci Moku? - lo incalzò - Perché non me ne hai mai parlato?
- E' un uomo pericoloso, - rispose, schiarendosi la voce - specialmente per una bella donna come te! Usa pure il tuo fascino per sedurlo, ma non lasciare mai che si avvicini troppo o ne resterai avvelenata.
Patricia rimase sorpresa da quelle parole, specialmente perché a pronunciarle era stato il padre. - Non mi farò mordere e nemmeno avvelenare, - lo rassicurò - questi ultimi anni mi hanno resa sempre più diffidente e non sarà certo un vecchio leone a catturare la gazzella che è in me.
Etosha National Park - Namibia
L'Afrikan Camp era diverso da tutti gli altri lodge. Possedeva quel tocco in più per conquistare l'anima al primo battere di ciglia. Disposto in un ampio semicerchio rivolto a sud, si affacciava sulla riva di un lago artificiale che lo separava dal bush. Gli animali arrivavano al tramonto e lo specchio d'acqua diventava l'unica barriera verso le case degli uomini, seduti tranquillamente nel portico ad ammirare lo spettacolo selvaggio della natura, mentre consumavano la cena. A proteggere gli uni dagli altri era un'invisibile cristallo immerso a pelo d'acqua, frutto dell'ingegno di un architetto italiano che, per un certo tempo, era stato molto vicino a Patricia.
L'idea comune era stata quella di invertire le parti: un'enclave umana al centro della savana, una specie di zoo dove il posto degli uomini era dentro le gabbie. - Chissà cosa penseranno i leoni di noi, - ripeteva spesso Patricia - se smetteranno, seppur a torto, di considerarci dei terribili predatori e porteranno i loro cuccioli a vedere che fine ha fatto la razza umana!
Lei sognava un turismo diverso, i cui proventi sarebbero serviti anche a strappare la terra d'Africa ai signori della guerra per ridarle la dignità che si merita. Per rispetto a questo meraviglioso continente, aveva bandito ogni forma di inquinamento, affidando la produzione di corrente ed acqua calda esclusivamente alle nuove tecnologie basate sull'energia solare.
Tutto questo aveva creato scompiglio nei lodge dell'Etosha National Park. I proprietari non vedevano di buon occhio questa evoluzione ecologista perché si erano trovati costretti a nuovi investimenti per restare al passo con la concorrenza, quando si sarebbero potuti accontentare dei vecchi e rumorosi gruppi elettrogeni in uso da decenni.
- Voglio che si avverta soltanto il sospiro dell'Africa, - aveva decretato Patricia - voglio che si percepisca ogni bisbiglio di giorno e di notte, affinché si possa tornare alle origini e rivivere di noi stessi.
Le sue scelte avevano attirato il mercato turistico che conta, quello fatto di persone disposte a spendere oltre diecimila sterline pro capite per vivere davvero l'Africa sulla propria pelle, gente disposta anche a rinunciare al lusso e al confort sfrenati pur di raccontare di essere stati lì... a pochi passi da un branco di leoni che si abbeveravano al tramonto. In fondo era anche questo un modo per apparire, ma a lei interessava sopratutto l'Africa perché possedeva la convinzione che, salvando l'Africa, avrebbe salvato il mondo.
Perfezionista com'era, aveva preteso di conoscere anche le critiche di ogni ospite dell'Afrikan Camp ed era giunta alla convinzione che l'uomo avrebbe bisogno di una sorta di teletrasporto, un sistema avveniristico che lo proietti nel luogo che desidera senza sorbirsi la trafila di un lungo e faticoso viaggio.
La maggior parte degli appunti era infatti legata al lungo viaggio di trasferimento tra l'aeroporto di Tsumeb e il lodge, dovuto proprio alla sua scelta di costruirlo lontano dalle strade principali del parco. In questo contesto, la pista di atterraggio del Fuerte Alleman diventava di vitale importanza, aggiungendo anche nuova enfasi alla magia dell'Afrikan Camp.
Nel primo pomeriggio, prima di partire alla ricerca del forte, Patricia ripensò alle parole del padre e si chiese per quale strano motivo non le avesse mai parlato di quel posto e, soprattutto, di quell'uomo che pareva conoscere così bene. Prima di salire sul Defender, chiamò ripetutamente il suo abituale compagno di viaggio finché arrivò di corsa, sbucando da sotto il portico di uno dei cottage.
Shadok era uno splendido esemplare di quattro anni di Rhodesian Ridgeback, un cane di grossa taglia, a pelo raso, di un bel marrone vivo. La particolarità di questa razza è una cresta sul dorso, formata da una linea di pelo più scura che cresce in direzione opposta al resto del mantello. I suoi antenati venivano usati per la protezione dei villaggi, delle carovane e anche dei bambini. Venivano utilizzati per la caccia a leopardi, babbuini e alla selvaggina veloce, ma anche per tenere occupato il leone finché non sopraggiungeva il cacciatore. E' un cane di carattere molto tenace ed è capace di attendere diversi giorni un leopardo che si è arrampicato su di un albero.
Patricia non si muoveva mai dal campo senza di lui. Era una sorta di guardia del corpo, un amico fedele su cui contare e un deterrente per chiunque si facesse delle strane idee su una donna affascinante che girava da sola in quell'angolo sperduto di Africa.
Shadok si sistemò sul sedile del passeggero, attese la carezza di rito e seguì col naso che il cristallo del finestrino scendesse di qualche centimetro, poi poggiò la zampa destra sul cruscotto davanti a sé e attese che la Land Rover si mettesse in moto.
- Cerchiamo di trovare il forte, - esclamò Patricia - così facciamo luce su questo misterioso personaggio e sul fatto che mio padre lo tema così tanto!
Dal racconto del fotografo spagnolo, la costruzione si sarebbe dovuta trovare a ovest, in direzione cento gradi e a circa quattro o cinque chilometri nel bush. In Africa la visibilità è spesso di decine e decine di chilometri, ma basta un'asperità del terreno, una collina o una macchia di vegetazione per celare agli occhi la presenza di un gruppo di animali o, come in quel caso, di un massiccio fortino rimasto in piedi dai tempi della colonizzazione tedesca. Una volta abbandonata la strada, ci si muoveva su un terreno impervio, pieno di insidie, senza sapere cosa nascondesse un gruppo di sterpi o cosa si trovasse oltre un cespuglio di rovi.
Patricia avanzò con prudenza fino ad incrociare quella che pareva una pista battuta. Non vi erano tracce di pneumatici ma l'erba era calpestata di recente, seguendo una linea retta. Poco più avanti, si imbatté in un gruppo di donne che tornavano al proprio villaggio portando sul capo dei pesanti otri pieni d'acqua. Si offerse di accompagnarle, o almeno di trasportare il loro prezioso carico sulla jeep.
Dopo una breve discussione, la più anziana delle donne acconsentì ad un passaggio, seppur intimorita dalla presenza di Shadok che la annusava con sospetto. Le chiese informazioni sul forte, ma sembrava non capire. Ben diversa fu la sua reazione alla parola "Moku". Spiegò che si trattava di un uomo pericoloso, non cattivo, con cui era meglio non avere a che fare.
- Perché pericoloso? - insistette.
- E' come un vecchio leone solitario, - rispose la donna, sempre attenta che il cane non le si avvicinasse troppo - quando resta da solo nella savana, attacca tutti quelli che si avvicinano a lui! - Non ci fu modo di sapere altro. Lasciata la donna nei pressi del villaggio, si fece indicare la direzione da seguire e proseguì tra un fitto groviglio di acacie, finché non ci fu più modo di andare avanti.
Abbandonare la Land Rover non sarebbe stata una scelta sensata. Cercò di riflettere qualche istante e decise comunque di continuare a piedi. Prese dal bagagliaio un kipplauf a due canne rigate, se lo mise in spalla, chiamò a sé il cane e lo mandò in avanscoperta.
Shadok trotterellò con aria sicura fino a sparire tra i cespugli. Quando ritornò, lo fece di gran fretta. Si arrestò davanti a Patricia e cominciò a ringhiare.
- Metta giù quel fucile o le faccio saltare il cervello! - tuonò in inglese una voce roca, difficile da individuare come posizione.
Abel Wakaam
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