La ragazza con la rotella in più
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La temperatura della camera da letto iniziava a salire per via delle lame infuocate del sole che, squarciando le stecche delle serrande, piombavano come kamikaze nella stanza. Dalle fessure delle tapparelle sgattaiolavano dei pulviscoli di luce, gentili frammenti di stelle ribelli, che non si uniformavano agli altri raggi, precipitati nella stanza come ghigliottine. Un odore repellente e suadente, esaltato dall'andirivieni di abbandoni e riconciliazioni, intrecciava i sogni sotto la pelle. Tutto sembrava animarsi in quella camera, a eccezione di Lilia, che – con la faccia ancora perfettamente truccata – sembrava morta, più che addormentata.
Stella, come una madre che rincasa prima del tempo, interrompendo la favola d'amore della figlia, bussava alla porta, ricordandosi soltanto dopo di avere le chiavi. Appena entrava, si dirigeva subito in camera da letto. Tentava di svegliare Lilia con della musica. Non riuscendoci, andava in soggiorno, accendeva il televisore e impostava una scena del film “8 ½” di Fellini. Appena arrivava alla scena preferita da entrambe, la riflessione del protagonista, aumentava il volume al massimo. Nell'intero palazzo dove abitavano le sorelle Gapiès echeggiava: “... E non mi fa più paura dire la verità, quello che non so, che cerco, che non ho ancora trovato. Solo così mi sento vivo e posso guardare i tuoi occhi fedeli senza vergogna. È una festa la vita, viviamola insieme... Non so dirti altro, né a te né agli altri. Accettami così come sono se puoi, è l'unico modo per tentare di trovarci”. Poi spegneva e tornava in camera da letto. Poggiava la sua mano sulla spalla di Lilia e aspettava. Dopo qualche secondo la sentiva muoversi.
– Hmm ... sì... facciamo festa... – mugugnava Lilia con un filo di voce.
– Perché non ti sei struccata prima di andare a dormire? – chiedeva Stella – Non ti sei mai truccata e ti metti a fare le prove la sera prima delle nozze?
Lilia sbarrava gli occhi.
– Dov'è Rosa? – gridava.
– Come dov'è Rosa? Stai bene? Non è ora di smetterla? Pensavo avessi capito. – la incalzava Stella.
– Dov'è Rosa? – gridava ancora scandendo bene le lettere.
– Sarà la tensione prima del grande sì. – sminuiva Stella – Dove vuoi che sia Rosa? Sempre nello stesso posto.
– Dimmi dove sta Rosa.
– La sarta, allora, aveva ragione.
– Cosa c'entra ora la sarta?
– Ieri sera, quando sono andata a prendere il vestito, era molto preoccupata per te. Mi ha detto che ti sei presentata tutta truccata e vestita in modo strampalato. Era da un po' che non lo facevi e, soprattutto, non l'avevi mai fatto prima con lei. Per di più, le hai raccontato una storia assurda.
– Allora non era un sogno! E, se lo era, questo significa che anche il più folle dei sogni può contenere la verità! Ma la verità non si svela da sola prima o poi? O siamo sempre e solo noi che dobbiamo trovarla e rivelarla? Dimmi dov'è Rosa. – ripeteva Lilia.
– Ora basta. È uno scherzo di pessimo gusto. Tu, invece, dov'eri ieri sera? Sono passata, ma non c'era nessuno. Avevo bisogno di vederti. Volevo parlarti.
– Rispondi solo a questa domanda, poi mi alzo e tutto andrà come previsto. Ho bisogno di fare ordine. Dimmi dov'è Rosa. – chiedeva Lilia con tono angosciato.
– Se non ti dovessi sposare, me ne andrei subito. Ora alzati o me ne vado e ti vesti da sola.
– Tu sei lesbica? Rispondimi.
– Ma che importanza ha? Achille amava Briseide come amava Patroclo e nessuno lo torturava con queste domande stupide. Saranno fatti miei cosa faccio o cosa mi piace fare e con chi? Su, ora basta. Alzati o ti giuro che vado via.
– Eh sì, vai via anche tu, come ha fatto Rosa stanotte. Tanto ormai ci sono abituata.
– La smetti di fare la vittima e ti alzi? Non ti si addice.
1. Le gemelle Gapiès e la proff. tocca
Lilia e Rosa vivevano insieme da sempre. Forse vivevano una sola stessa vita da quando, trentadue anni prima, erano state registrate all'anagrafe. Nella testa di Lilia, Rosa aveva il compito di vivere e lei di agevolarla in questo. Da bambine, nessuno riusciva a distinguerle. Il viso delle gemelle era irregolare e ipnotico; suscitava lo stesso stupore dell'alba quando affiora dalle fessure delle nuvole e le spacca, obbligandole a inchinarsi davanti a quei colori strabilianti ed eccentrici. Lo sguardo delle sorelle era indefinito e sbalorditivo, somigliava a quell'alba che resta ferma per un po', incastrata tra sbarre di nuvole, disposte come fette di torta non ancora prese d'assalto, prima di riprendere a scorrere in rigagnoli di crema fucsia e arancione fluorescenti. Soltanto qualcuno riusciva a mantenere lo sguardo in quegli occhi cangianti, liquidi, melmosi, oscuri, acuminati, accecanti, furtivi e precisi come un laser, sgattaiolato da una gabbia di riccioli colorati. Una massa esagerata di capelli che, per un bambino vero, doveva nascondere per forza almeno un coniglio. Di bambini veri ne avevano conosciuti solo due, fino a quel momento. I figli del parrucchiere dove Rosa aveva trascinato Lilia, con la solita scusa di renderla felice, costringendola a quelle meches fluorescenti fucsia e arancioni. Qualche istante prima di pagare erano piombati nel negozio due bambini che, insieme, non superavano i diciotto anni e, dopo un'occhiata radiografica alle due gemelle, erano scoppiati a ridere.
– Hai visto quanti anelli hanno in testa? – esclamava il più piccolo.
– Sì, sono le signore degli anelli! – ribatteva il più grande, ridendo.
– Hanno almeno un coniglio nascosto lì sotto. – riprendeva il più piccolo – Sotto gli anelli ci deve essere per forza un coniglio. Uno a testa. Queste mi sa che ce l'hanno la testa. – ripeteva il piccolo ridendo forte.
– Ehi, – esclamava Rosa, che non si adeguava mai al suo interlocutore e, per attirare l'attenzione dei due, che ridevano ancora, aggiungeva – voi cosa nascondete in pancia?
– Tu sei una bambina vera, come noi! – ribatteva immediatamente il più alto dei due – Che bello, finalmente! Giochiamo insieme?
Rosa stava per rispondere, quando il parrucchiere afferrava entrambi i bambini per il polso e li faceva volare dietro una porta a soffietto, ordinando di tornare dalla nonna e di non farsi più vedere al negozio. Lilia, con il suo sguardo da Gorgone, immobilizzava la sorella, che stava per partire in difesa dei due piccoli. Lilia si era appena colorata i capelli per farla felice e non aveva alcuna intenzione di farsi rovinare ancora di più quella giornata, già da dimenticare.
Crescendo, le due gemelle avevano imparato a distinguersi. Rosa indossava abiti succinti e si truccava in modo eccessivo, mentre Lilia non si truccava mai e, pur avendo lo stesso corpo sinuoso della sorella, indossava sempre ampie gonne lunghe e maglioni maschili, tutto rigorosamente nero. Rosa sfoggiava il suo corpo senza pudore, perché non gli dava alcuna importanza. Manifestava sempre i suoi pensieri e amava creare storie per divertirsi, inventando nuovi personaggi, che sapeva interpretare alla perfezione.
Mille volte Lilia avrebbe voluto criticare la sorella, perché la trovava troppo eccentrica e volubile, ma riteneva che i pensieri non fossero degni di essere espressi, quando costituiscono armi improprie o sono privi di originalità. Alle volte, però, Lilia credeva che il suo silenzio non dipendesse dall'affetto nei confronti di Rosa, ma dall'idea che nessuno, compresa sua sorella, meritasse davvero le sue parole. A Lilia non importava di essere considerata sciatta. Sapeva che per chi sa cogliere la profondità che traspare dall'apparenza di ogni cosa, lei doveva sembrare più affascinante della sorella. Merito, forse, di quel sorriso, sfoderato assai di rado, per via di un leggero accavallamento dei due incisivi centrali. Imperfezione che Rosa non possedeva, avendo avuto in sorte, al contrario, una dentatura da far impallidire Julia Roberts.
Lilia insegnava letteratura moderna all'università di Trieste. Era una cattolica praticante e, ritenendosi donna d'altri tempi, avrebbe voluto non uscire mai di casa, se non per andare all'università o in chiesa. Credeva di conoscersi bene: si giudicava irreprensibile e onesta. Le convinzioni di Lilia, però, erano palazzi pericolanti, crepati e scossi dall'orgoglio smisurato impiegato per la sua carriera universitaria e per le sue congetture, che avrebbero dovuto raggiungere l'apice della perfezione. Lilia, infatti, come amava raccontare alla sua migliore amica, una farfalla notturna, non sentiva delle semplici voci nella testa, come gli eroi greci, ma tutti gli aspiranti di un talent show canoro che si esibivano insieme.
Giorgyl Sungrif
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