Racconti di una meretrice
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Si presentò una notte facendo tintinnare davanti a sé il sacchetto di pelle pieno di denari. Era alto, imponente, sotto una coperta scura che lo avvolgeva quasi dalla testa ai piedi. Entrò spingendo, gettò il sacchetto sul tavolo e disse: “Pago bene, ma devi stare zitta e fare ciò che voglio”. Con il volto ancora nascosto dal copricapo, sentii il suo sguardo impaziente su di me. Io annuii. Non attese altro. Mi strappò la tunica di dosso, mi spinse con violenza la faccia sul tavolo e mi sodomizzò senza attendere un attimo, mormorando soddisfatto al mio orecchio: “Puoi anche gridare, se vuoi, non mi disturba”. *** Lo riconobbi la volta successiva, ci misi del tempo perché non era più lui, ormai. Lo sguardo altezzoso, duro e nello stesso tempo assente, anche dopo avermi posseduta, mi era d'ostacolo. A un certo punto, come in un lampo, mi si aprirono gli occhi e i ricordi si accesero; mi lasciai sfuggire sottovoce: “Tu sei Shaul, il piccolo Shaul, il dolce Shaul...” Mi guardò quasi sorpreso, mi prese un braccio e me lo storse dietro la schiena fino a farmi gridare dal dolore. “Il piccolo e dolce Shaul non c'è più da tempo, è morto! Donna, ricordalo bene.” Continuò a torcermi il braccio fino a che non lo rassicurai di aver capito bene. Non ero abituata a un trattamento così violento, ma pagava bene, molto più di chiunque altro. Il suo ruolo glielo permetteva, aveva molto potere al villaggio. Era duro quell'uomo, duro come granito. Irraggiungibile. Mai un segno di rilassamento, nemmeno dopo il più lungo amplesso. Solo qualche mese dopo, una notte, durante un violento temporale: era freddo quella notte, sotto le pelli, attaccata a lui nel tentativo di scaldarmi; un soffio più forte spense la candela e nel buio più totale iniziò a raccontare.
“ Eravamo in sette quell'anno, alloggiavamo tutti dal maestro, in città. Provenivamo da diversi villaggi, io ero il più piccolo. Era una casa a due piani. Di sotto c'erano la stanza dei fornelli, la stalla e l'aula di studio e preghiera, sopra, altre due camere, pareti e porte in legno di cedro, il maestro teneva alla sua intimità. In una dormiva lui, nell'altra noi studenti. Si saliva su con la scala a pioli. Dopo i primi tempi d'ambientamento, le cose incominciavano ad andar bene. Studiavo molto e la mia capacità di ricordare facilmente i versetti ben presto mi fece diventare il favorito del maestro. Non smetteva mai di lodarmi e di additarmi come esempio agli altri studenti, benché io fossi l'ultimo arrivato. Questo mi fu fatale. Attirai l'invidia dei compagni. Sorpresi più di una volta il più grande, Ben'harfah a guardarmi con odio profondo. Qualche giorno dopo, una notte come questa, una notte di temporale, sentii afferrarmi all'improvviso da più braccia, prima che facessi in tempo a rendermi conto cosa stesse succedendo, mi riempirono la bocca di stracci, mi girarono sul giaciglio, tenendomi strette le braccia mi costrinsero in ginocchio e mi stuprarono a turno, più e più volte. Con le lacrime agli occhi pregai dio incessantemente di porre fine alla mia vita, ma questo non accadde, quella notte dio era diventato sordo come pure il maestro. Prima dell'alba mi lasciarono lì, senza forze, dolorante nel corpo e nello spirito. Ben'Harfah mi disse all'orecchio: “Questo è solo un acconto, se dirai qualche cosa al maestro ti strappiamo i testicoli e te li facciamo ingoiare per poi lasciarti morire dissanguato, capito? Non una parola, ti controlliamo.” Il giorno seguente, vomitai per tutta la giornata, non riuscivo a parlare, avevo la febbre e così fu anche il giorno successivo. Mandarono a chiamare mia madre, la implorai in ginocchio di portarmi via con sé, ma non ebbi il coraggio di raccontarle quello che era accaduto, così lei non volle sentir ragioni, credendo che il mio fosse solo un capriccio di bambino. Rimasi lì altri cinque mesi, altri cinque terribili mesi. Provai anche a parlare al maestro. Un giorno finalmente rimanemmo soli e decisi di raccontare tutto. -Maestro -Dimmi, piccolo Shaul -La notte del temporale, prima che mi sentissi male, la ricordi maestro? -Certo, dimmi... -Ecco, Ben'Harfah, e tutti gli altri mi hanno preso, picchiato, e poi... poi... mi hanno spogliato messo in ginocchio e poi... e poi... -Shaul! Silenzio! Non voglio essere coinvolto in queste beghe da bambini, la mia è una scuola seria, non posso correre dietro a tutte le dicerie di un bambinetto viziato... -Ma maestro... -T'ho detto zitto! Non dire null'altro se non vuoi essere punito. Le bugie per un uomo di legge, la legge divina, quella che tu, che noi studiamo, lo sai, non sono permesse. Quindi pensaci bene prima di formulare accuse senza senso. Ti hanno picchiato? Ciò è male. Quindi ti autorizzo a restituire i colpi ricevuti, sta scritto: 'occhio per occhio dente per dente'. Ma per il resto, non raccontare nulla di queste tue invenzioni, saresti deriso da tutti. Rovineresti la reputazione della mia scuola e questo non lo posso permettere. Capito? Quella sera stessa, il maestro dovette andare via per un viaggio di un giorno. Fu anche quella per me una notte da non raccontare, mi tolsero anche il bavaglio per godere del mio dolore... e per sentirmi implorare. Ma io non lo feci. Resi dura la mia anima e il mio corpo, e giurai vendetta, ma non occhio per occhio, bensì vita per vita, perché quei giorni mi tolsero la vita per sempre.”
Tacque a lungo. Io non osai pronunciare parola e un brivido gelato lungo la schiena mi spinse ad abbracciarlo ancora più forte. Riprese il racconto. Ora la sua voce era dura e tagliente come lama affilata.
“Ormai avevo deciso, dovevano pagare tutti, io ero morto per sempre, dovevano perciò morire anche loro, tutti, anche quell'ipocrita e pavido del maestro. Nessuno mai mi avrebbe più ferito, da allora in poi ho sempre colpito per primo. In una giara nascosta dietro la casa accumulai a poco a poco tutti i residui di olio di lampada che avanzavano ogni sera. Quando ve ne fu a sufficienza, decisi di agire. Una notte senza luna attesi, attesi a lungo, con gli occhi sbarrati sul soffitto. Controllando a stento il mio respirare affannoso, attesi fino a che quello dei miei compagni di stanza fosse il respiro del sonno profondo. A quel punto, ogni paura ed esitazione scomparvero, ero l'angelo della vendetta in persona. Silenzioso mi alzai, recuperai la giara, cosparsi d'olio il pavimento, le porte e la scala, con dei bastoni bloccai le porte dall'esterno e con la pietra focaia appiccai il fuoco ai piedi della scala. In un lampo le fiamme raggiunsero il piano di sopra. Fu un godimento vederle salire imponenti. Mi fermai sulla soglia di casa, sentivo i colpi di tosse dei miei compagni, le urla, i calci sulle porte sbarrate, le maledizioni. Durarono poco. Subito dopo crollò il pavimento, solo allora, gridando mi allontanai a cercare aiuto, la mia vendetta era compiuta. Da quella notte ho scelto da quale parte stare: meglio essere persecutore che perseguitato. E' solo una questione di forza e io colpisco sempre per primo. Il popolo da sempre ha paura di tutto e io ne approfitto; le loro paure accrescono il mio potere, e più il mio potere e la mia forza vengono accresciuti e più loro hanno paura. Semplice da capire, no? E se hai potere, hai anche denaro, e se hai denaro puoi prendere quello che vuoi, tu lo sai bene, vero? E' tutta e soltanto una questione di prezzo.”
Ercole De Angelis
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