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Autore: Laura Gronchi
Ossessione
Thriller Avventura
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Ossessione
10 agosto 2016.
Il grande generale, condottiero di quella sacra crociata contro il mondo occidentale, di cui pur era frutto, e che lo aveva nutrito e istruito fin oltre la maggior età, si volse verso i suoi uomini.
- Tenetelo fermo! - ordinò Ikpeba, rigirandosi tra le mani un frustino, più adatto ai box di Ascot che a quell'accozzaglia islamica.
Osservò compiaciuto il pilota biondo che sedeva al contrario, con la schiena nuda ben in vista e il resto del corpo riverso penzoloni sullo schienale. Il sangue gocciolava dal naso rotto e dal sopracciglio spaccato. Per terra, un paio di denti affioravano dentro la piccola pozza rossastra che si andava formando. Non era certo opera sua. Lui si era limitato a giragli intorno, mentre si complimentava per lo splendido lavoro che i suoi due soldati stavano svolgendo. Gli occhi morbosamente fissi sulla distruzione che si abbatteva inesorabile su quell'organismo perfetto.
Gli tirò una secchiata d'acqua per ravvivare lo spasso. L'italiano annaspò, tossì e, scuotendo la testa, maledì l'inopportuno risveglio.
 Sergio fissò bilioso la faccia barbuta e divertita dell'uomo davanti a lui, che si batteva compiaciuto la sferza contro la mano. Sputò per terra l'acqua che dalla testa gli era colata in bocca e lo schizzò. Poi, viste le premesse, strinse i denti e si preparò a fronteggiare un nuovo assalto.
l tizio smise di ridere e si spostò risoluto fuori dalla sua visuale.
Un fruscio. - Uno - , disse Ikpeba. Sergio tese le braccia legate e strinse i denti. Bruciava ma non era insopportabile.
Un altro fruscio, si tese ma non arrivò niente.
Pure sadico mi è toccato! Pensò maledicendolo. Inaspettati, arrivarono poi altri tre colpi in rapida sequenza che gli strapparono grugniti soffocati. La faccia eccitata dell'afghano gli si ripresentò davanti, gli occhi illuminati da una luce demente, il sudore che gli bagnava la fronte. Gli prese la faccia pesta con la mano libera. - Grida! - gli ansimò contro.
Sergio si ritrasse, disgustato. - Hai l'alito di una scrofa. -
L'altro, indispettito, riprese. Uno, due, tre, quattro, cinque... Ogni colpo aveva meno forza ma faceva male comunque.
Il cigolio di cardini arrugginiti annunciò l'ingresso di qualcuno che Sergio non poté vedere. Seguì un parlottio concitato, in cui i toni isterici del generale salivano di grado a ogni battuta, poi un'altra grandinata di colpi forti e rabbiosi si abbatterono sulla sua schiena, come sfogo per la frustrazione imprevista. Furono troppi e troppo ravvicinati, ma forse fu un bene perché quel che aveva invocato all'inizio avvenne: svenne.

Si risvegliò su un materasso lurido, la luce tremula di una piccola lampadina appesa al soffitto, che schiariva un poco l'oscurità. Non credeva esistesse tanto dolore e non credeva neppure di essere capace di sopportarlo. Il suo corpo reclamava disperato un po' di sollievo che però non sarebbe arrivato. Diede fondo ai polmoni e urlò tutta la sua sofferenza, mentre si metteva seduto per guardarsi attorno: tastò il muro, solido e massiccio, la porta di legno, dall'aria pesante e spessa, la feritoia in alto, da cui non sarebbe sgusciato neppure un gattino.
Okay, non posso fuggire senza chiave e, anche se ci riuscissi, sono sicuro che crollerei svenuto prima di arrivare al cancello.
Notò un secchio d'acqua, su cui si avventò per placare almeno la sete, e togliersi il sapore di carogna e sangue che aveva in bocca. Qualche istante dopo si sentì meglio, anche se lo status di prigioniero senza futuro, non cambiava di una virgola.
Il profilo della donna amata invase improvviso la sua mente. Speriamo che almeno lei si sia salvata da quel volo ardito cui l'ho costretta.
Si fissò le mani ancora illese, e si abbandonò a una serie di riflessioni, cui si aggrappò per ritardare quel che sapeva di dover fare.
In verità, a dispetto della situazione in cui sono, posso considerarmi un uomo fortunato. Non era da tutti innamorarsi davvero e a lui era accaduto per ben due volte, sinceramente ricambiato.
Peccato che devo morire.
Si frugò nelle tasche dei calzoni, che per fortuna gli avevano lasciato, finché le dita non incontrarono una delle schegge di vetro saltate dal parabrezza, nascoste prima di essere catturato. La fissò rassegnato, e si accinse allo sgradevole compito cui l'anima si ribellava con tutte le sue forze. Devo agire adesso che ho ancora la lucidità e le mani intatte, e capaci per farlo. Conosceva i metodi di tortura, l'avrebbero ridotto a una larva senza umanità, preferiva una morte pulita a quel futuro da ameba. Nel suo caso, poi, se lo sarebbero fatto durare parecchio.
La scheggia brillò vivace nella mano destra, mentre premeva lungo la vena azzurrina. Osservò il sangue iniziare a sgorgare copioso assieme alla vita che gli scivolava via lungo le dita. Rabbioso, si passò il dorso della mano sugli occhi, irritati da lacrime di disperazione.
Dio! Non voglio morire! Non ora che le cose si sono sistemate.
Sarebbe stato davvero bello fare quel viaggio nel Galles e non solo quello. Tornare a pilotare i suoi jet in giro per il mondo, e magari trovare lei qualche volta, ad attenderlo sulla pista d'atterraggio. Vedere suo figlio diplomato, forse anche laureato, sposato e con tanti marmocchi attorno.
Scosse la testa per scacciare quelle immagini di una felicità dolorosa, e riprese a premere il vetro sulla vena, ma era piccolo e le dita erano viscide di sangue, s'impuntò in una piega della pelle e cadde per terra.
No! Devo ritrovarlo subito! Il panico lo sommerse mentre, a tentoni, annaspava nella polvere alla ricerca della sua salvezza.
Datti una calmata! Fece un lungo respiro, chiuse gli occhi e si sforzò di pensare ad altro. Il ghigno sfottente di De Rosa gli balenò davanti agli occhi. Gli tornò a mente la conversazione fatta al ritorno dall'Etiopia.
Aveva ragione lui: messo alle strette avrebbe fatto la scelta giusta. Peccato non avere una pistola, sarebbe stato tutto più pratico e veloce.
Tornò a tastare metodicamente il pavimento, e alla fine le dita riconobbero la scheggia e la impugnarono di nuovo. Ora non avrebbe desistito.
Sentì un rumore leggero di passi che si avvicinavano alla sua cella. Un sudore freddo cominciò a scorrergli lungo la schiena, mentre si affrettava a mettere al sicuro la microscopica arma. Si rannicchiò sulla branda in modo da tenere d'occhio la porta, preparandosi alla lotta e a tentare un'improbabile fuga. Sorrise tra sé. Forse non tutto il male veniva per nuocere, magari nello scontro sarebbe partita quella pallottola vagante, che desiderava per porre fine in fretta alla sua sofferenza.

10 agosto 2016 notte

Il cuore batteva tumultuoso nel petto, mentre un sudore insidioso e appiccicaticcio la inzuppava da capo a piedi. Sara richiamò alla mente le immagini dei droni, viste fino alla nausea nei giorni precedenti, e le conversazioni quotidiane con il colonnello Fabbri.
- Abbiamo ricostruito alla perfezione tutta la struttura - , gli aveva spiegato in una delle ultime telefonate.
- E stilato un calendario particolareggiato delle loro abitudini: i compiti degli uomini, quelli delle donne, orari, chi accudisce il bestiame e quando; turni di guardia e posizione delle sentinelle. Sono talmente rigidi e metodici da poterci rimettere l'orologio. - Al colonnello era scappata una risatina.
Quanta baldanza in quelle parole che ora le risuonavano nella testa. Durante il tragitto, se le era ripetute spesso, per convincersi di potersi muovere con una certa sicurezza, una volta dentro.
Non aveva previsto quel violento tremore che la scuoteva e le rendeva impossibile camminare sciolta. Si sforzò di visualizzare il bel viso calmo di Sergio, per darsi coraggio e ricordarsi perché era lì, rammentando che, una volta passato il cancello, non sarebbe stata proprio tutta sola: c'era Hamed cui ricorrere per individuare la sua cella. Bastava solo riconoscerlo tra le centinaia d'individui barbuti, vestiti simili e armati fino ai denti che circolavano all'interno. Un colpo di tosse e lo scatto improvviso di un fucile la costrinsero ad appiattirsi di più nella rientranza dove si era nascosta. La sentinella era proprio sopra la sua testa.
Sei solo un'illusa e una fifona, non ce la farai mai a varcare la soglia! Senti le tue viscere come si contorcono dal terrore! Farai la fine dei codardi! Rimarrai paralizzata in questo buco, in mezzo ai tuoi escrementi! Sei solo una pavida! Non hai mosso un dito in passato e non lo farai neanche adesso! Nonostante tutto l'amore che proclami di provare per quell'uomo! Le sussurrò la mente in un soliloquio maligno.

Laura Gronchi

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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