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Autore: Alessio Gonnella
Asmodeus
Horror Dark Fantasy
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Asmodeus
Il sogno ricorrente Sono solo in mezzo al nulla, in un luogo che non conosco. Davanti a me vedo solo un enorme cancello chiuso e un viale di cui non riesco a vedere la fine. Una donna nuda corre verso di me. Sento il suo lamento farsi sempre più vicino, così come il suo pianto. Vorrei arrivare fino a lei per soccorrerla, ma non posso raggiungerla. È terrorizzata, una gamba le sanguina, ha una profonda ferita, anche il seno è sporco di sangue, sul resto del corpo si intravedono altri segni di sofferenza, sembra quasi che qualcuno abbia cercato di portarle via la vita poco per volta, per poterne assaporare tutto il dolore ed il terrore inferto. Urla, corre e non smette di voltarsi, come se fosse inseguita. Ma da chi? Non riesco a vedere nessun altro. Ci divide solo qualche passo, ma, poco prima di raggiungermi, cade strisciando violentemente il viso sullo sterrato. A fatica, prova a rimettersi in piedi, continuando a sanguinare e a ripetere frasi incomprensibili. L'orrore che percepisco nella sua voce è niente paragonato a quello della vista di ciò che resta del suo viso martoriato e sporco di terra misto a sangue. Il viso è irriconoscibile. Solo quando alza la testa, vedo che le manca l'occhio destro e, forse per colpa del troppo sangue, intravedo solo un vuoto scuro e profondo al suo posto Cosa sta succedendo? Mi guarda, tende la mano, piange e implora il mio aiuto. Vorrei aiutarla, ma riesco solo a stare immobile come il cancello che ci divide, mentre la sua gamba destra si solleva all'indietro con uno scatto innaturale. Il suo corpo inizia a ripercorrere il sentiero in senso inverso allontanandosi, con le mani tese in avanti verso di me, come se qualcuno la stesse trascinando via. Non riesco più a vederla. Di lei restano solo una scia rossa sul terreno ed un solco lasciato dal suo corpo sulla ghiaia. Poi le sue urla e quell'odore metallico di sangue che, metro dopo metro, si perdono nell'oscurità. BEEP BEEP BEEP! Era solo un brutto sogno, per fortuna. L'insopportabile rumore della sveglia stamattina ha qualcosa di stranamente confortante e liberatorio, al punto che sono felicissimo di essermi risvegliato nel mio letto. Perché non riesco a scrollarmi di dosso questa sensazione negativa? Nessuno di quegli orrori era reale, ma è come se una parte di me fosse ancora preoccupata per quella ragazza. Si muore di caldo, qua dentro. Decisamente questa è stata una delle notti più calde degli ultimi tempi. A giudicare dal sudore che mi ritrovo addosso, il termometro deve aver oltrepassato i quaranta gradi. Anche il buio della mia camera da letto è soffocante e non basta certo il mio vecchio ventilatore a smuovere l'aria. Dovrei decidermi a comprare un condizionatore e, soprattutto, a riparare quella vecchia tapparella, ormai incastrata da non so più quanto tempo. Più che una stanza da letto, queste quattro mura sembrano ospitare la dimora di un vampiro, perennemente avvolta dall'oscurità. Un paio di ragnatele, una bara al posto del materasso e magari un bel calice tutto dorato per bere del buon sangue completerebbero l'atmosfera. Dio mio, è impossibile vivere in una topaia come questa, praticamente priva di finestre. C'è pochissima luce, niente aria condizionata d'estate e niente riscaldamento d'inverno. Le tubature fanno un casino assurdo, le mura cadono a pezzi ed in più sono talmente sottili che, se un vicino starnutisce, io, per istinto, mi pulisco il naso al suo posto. È ora di alzarsi, sfaticato! Forse è meglio alzare il culo dal letto, darmi una rinfrescata e mettermi al lavoro. Sono completamente sudato, non ricordo di aver passato altre notti del genere prima d'ora. Riesco a stento a tirarmi su, mi fanno male tutte le ossa. Mi sembra di aver dormito sopra una tavola di legno e, porca miseria, non voglio pensare a tutto il caldo che ancora dovrà arrivare. Alta o bassa pressione dei miei coglioni, cordialmente: fanculo! Mi trascino fino al bagno e mi lavo la faccia più volte, cercando di scacciare gli ultimi residui di sonno e di inquietudine. Lo specchio impietoso mi mostra un viso parecchio sbattuto, ancora intento a ripensare all'afa della notte ormai trascorsa e, ovviamente, al sogno. In testa non ho nulla di troppo preciso. È tutto molto sfuggente, incasinato, sospeso, accartocciato come un miscuglio di percezioni non chiare e immagini che, malgrado l'essermi svegliato già da un po', sembrano ancora avere la forza di nausearmi e farmi stare male. Magari, se ricordassi il sogno completamente, riuscirei a dargli un senso, ma per quanto ne so potrebbe anche essere la mia fantasia che ha rielaborato le scene di qualche film visto in passato! L'unica cosa certa al momento è che troppi dettagli mi sfuggono... e se cercassi di metterli a fuoco iniziando a concentrarmi sul poco che ricordo? Provo a fare mente locale, cercando una traccia di concentrazione fra i brandelli di sonno, alla ricerca di uno straccio di idea che mi porti a capirci qualcosa. C'era un giardino sperduto nel nulla, ma non mi pare di conoscere posti del genere. C'erano persone di età differenti e, a giudicare dal colore della loro pelle, di diverse origini. Tutti i volti erano celati dalla stessa maschera bianca, come di porcellana. Mi trovavo davanti ad una massa di candidi visi bianchi che, ignorandomi beatamente, scopavano come se non ci fosse un domani, muovendosi al ritmo dei loro gemiti. Che cazzo di fantasia! Vediamo... cos'altro? Al centro del giardino c'era una statua dall'aspetto stranissimo, sembrava un qualche idolo pagano o... no, dal suo aspetto direi si trattasse di un demone!!! Attorno ad essa, erano posizionati una ventina di divani dallo stile antico, senza schienale. Come in una fottuta scala di Escher, quella specie di demone aveva solo visi e nessun retro, nessuna schiena. Da qualsiasi punto la guardassi, teneva quel suo dannato sguardo rivolto sempre verso di me. Era come se quello sguardo diabolico tenesse tutto sotto controllo, senza mai distogliere la sua attenzione da niente e da nessuno. Fissava me, i divani e la gente che scopava, tutto allo stesso tempo! Come se... Ma che cavolo ne so. Ricordo che poi ho continuato a camminare, lasciandomi quell'assurdo spettacolo alle spalle, attirato da urla strazianti che provenivano da una porta, decisamente più bassa e più stretta di quelle utilizzate di solito nelle cantine dei vecchi casolari di campagna. Poi c'era quella donna, l'unica a non indossare quella strana maschera. Il sangue, il viso martoriato, il corpo pieno di ferite e... nient'altro! Da questo punto in poi tutto si fa molto più confuso, come se avessi un blackout nella testa. E dire che, al momento, avrei bisogno di tutt'altro tipo di pensieri o immagini alle quali ispirarmi. Ma che cazzo di legame ci potrà mai essere fra queste assurdità che mi tormentano la notte e la tranquillissima vita di merda che faccio ogni giorno? Sinceramente, non ne ho idea! Come se non bastasse questo casino mentale, devo assolutamente finire quel dannato romanzo. Di questo passo, al posto della solita storia d'amore, potrei pure decidere di far morire il personaggio principale di una morte tremenda, tanto ai lettori le tragedie piacciono. Cosa direbbe Michele? Mi manderebbe al diavolo, ecco che direbbe! Giacomo, devi metterti al lavoro! Mi sento sporco, ma non fisicamente. Mi sento sporco dentro, nell'animo. È come se la mia coscienza stesse cercando di dirmi qualcosa, come se volesse farmi sapere che non è d'accordo con quanto accaduto stanotte in quel cazzo di incubo. Il problema è che davvero non capisco quali potrebbero essere le mie colpe, in fondo io non ho fatto niente a nessuno! Oddio, a dire il vero ultimamente ho fatto incazzare proprio Michele, il mio editore. A quest'ora dovrei già darci sotto ed ammazzarmi di lavoro, ma invece ho la strana sensazione di dover essere altrove, di dover aiutare qualcuno... ma chi? Quale persona sana di mente, in questo periodo di merda, potrebbe aver bisogno del mio aiuto? E poi, per quale fottutissimo motivo? Mi sto innervosendo Sono uno scrittore, mica un supereroe. Sono super-confuso, altroché, non riesco a smettere di pensarci e a liberarmi da questo senso di colpa che mi si è incollato addosso. È come se fossi schiacciato dal peso di una condanna ingiusta, o dal rimorso per un crimine che in realtà non ho mai commesso. Andando avanti così, prima di stasera mi troveranno esaurito o, peggio, con una corda al collo. Forse è meglio se mi faccio una doccia, sperando di far scivolare via la stanchezza e tutti questi pensieri. Speriamo solo che le tubature non facciano di nuovo qualche scherzo del cazz... BEEP BEEPBEEP... non ci credo! Ancora! Anche oggi ho dimenticato di spegnere quella maledetta sveglia. Fosse per me la lascerei suonare, ma non ho nessuna voglia di sentire quel cazzone del vicino e le sue lamentele sul casino che ho fatto, sul fatto che lui la notte lavora e che, poverino, è costretto a dormire di giorno. Dovessi dargli retta, passerei ogni singola mattina in silenzio, stando attento a non fare il minimo rumore. Dovrei mettere il silenziatore pure alle scoregge? E se invece di camminare, volassi???? Fanculo a lui, deve solo ringraziare che non ho voglia di mettermi a litigare con un deficiente simile. Meglio andare a far tacere quell'aggeggio infernale e poi, se Dio vuole, riuscirò a lavarmi. Ma, che diavolo, perché il corridoio mi sembra più stretto e lungo del solito? La camera da letto sembra non arrivare più. Certo che oggi non sono assolutamente in forma, ci mancavano anche le allucinazioni! Eppure non ho ancora toccato alcool, nemmeno quello del collutorio. Un po' di pazienza. Basta un normalissimo click per spegnere quel fastidiosissimo suono, stavolta per davvero. Ciò che non è normale, è vedere che la sveglia segni la mezzanotte in punto. Cavolo, che ore saranno? A giudicare dalla luce che filtra dalla tapparella scassata, dovrebbero essere più o meno le otto, massimo nove, del mattino, ma non vorrei aver dormito più del dovuto. In cucina sul muro ho un vecchio orologio che bene o male non mi ha mai abbandonato, forse è meglio dargli un'occhiata. Impossibile, anche l'orologio della cucina è fermo e segna la stessa ora: mezzanotte! A questo punto, non mi rimane altro che accendere la TV, vedere con certezza che ore sono e sistemare nuovamente l'ora su entrambi gli orologi. Ma dov'è il telecomando? Dove diavolo l'ho lasciato, ieri sera? Che palle! Vabbè, qual era il pulsante per l'accensione manuale? BEEP BEEP BEEP... Basta! Ma che cazzo succede oggi? Neanche il tempo di chiedermelo che il suono si interrompe da solo. Il televisore si accende senza che io faccia niente, forse a causa di uno sbalzo di tensione? Il solito canale trasmette il telegiornale del mattino, dando ufficialmente il via alla mia nuova giornata di lavoro, l'ennesima. Non bado più di tanto al fatto che il mio vecchio trabiccolo a tubo catodico si sia messo a funzionare da solo e mi siedo un istante sul bracciolo del divano a guardare. La TV parla ed io non riesco a fare a meno di ascoltare. Il Giornalista racconta di alcune persone scomparse improvvisamente nell'ultimo periodo, senza lasciare alcuna traccia. Il servizio è accompagnato dalle loro foto. Le guardo scorrere sullo schermo, ipnotizzato, fino a che un minaccioso scricchiolio del bracciolo mi riporta alla realtà. Prima di ritrovarmi col culo per terra, distolgo finalmente lo sguardo dalle immagini e, di fianco al banner dove si leggono i titoli delle notizie più importanti, vedo l'orologio digitale che segna le 8:47, il che mi conferma, come temevo, che le otto del mattino sono ormai passate da un pezzo. Muoviti, è tardi! Spengo la TV, cambio le batterie dell'orologio in cucina e sistemo le lancette nella giusta posizione. Stessa sorte per la sveglia che da anni trova posto sul comodino accanto al mio letto. Finalmente posso farmi 'sta cazzo di doccia, sperando non succeda più niente di strano. Vorrei solo rilassarmi, darmi una rinfrescata e buttarmi a capofitto sul mio nuovo romanzo. L'acqua è fantastica, ma, non mi smuove di un millimetro. Ho smesso finalmente di sudare, anche se tutti i miei pensieri sono ancora prigionieri di quello strano sogno. La mia mente è ancora invasa da una sequenza di immagini e urla terrificanti, come dei flash improvvisi. Cerco di pensare ad altro, ma riesco solo a intestardirmi su ciò che resta di questa notte e sul bisogno di trovare un dannato finale al mio libro. Chiudo l'acqua, le tubature interrompono finalmente il loro concerto stonato e mi butto addosso l'accappatoio. Uscendo dalla doccia, rischio pure di rompermi l'osso del collo. La vecchia tenda di nylon ormai ha più buchi di un colabrodo ed ogni volta che mi lavo rischio l'osso del collo. Dannazione, rischierei meno se il pavimento fosse ricoperto di bucce di banana! Devo svegliarmi. È meglio se mi faccio un caffè bello forte, ne ho bisogno. Intanto accendo il computer nello studio, così nel frattempo che preparo la moka e trovo una tazzina pulita, magari si avvia. Lo stomaco comincia per giunta a brontolare un po' troppo, devo mangiare qualcosa prima di mettermi seduto e riprendere a scrivere. A stomaco pieno si lavora meglio, o no? E dire che, mesi fa, quando cominciai a mettere insieme tutte le idee che avevo in testa, mi sembrava quasi che il finale fosse bello e pronto, praticamente già scritto. Sì, in effetti sapevo già come doveva finire la storia, ma una serie di eventi e lo stato d'animo di questo periodo mi hanno come teletrasportato in un territorio mai esplorato prima d'ora. In fondo, come posso scrivere una storia d'amore dove baci e abbracci sono l'essenza, se ciò che ho in testa ora è solo sofferenza e morte? È come se improvvisamente chiedessi a Stephen King di scrivere frasi d'amore per i baci Perugina... mmm... ecco, un bel croissant al cioccolato non guasterebbe! Piccolo, veloce e gustoso, degna compagnia per il mio caffè. Niente di meglio per iniziare la giornata. Su, muoviti. Gironzolo per la casa in accappatoio e ciabatte, gustandomi la colazione. Mi volto, intravedo il PC e l'orologio sullo schermo: sono ormai passate anche le nove del mattino. L'idea è quella di mettermi al lavoro, ma la prospettiva di dover rileggere tutto e tornare a bloccarmi nuovamente sullo stesso punto, come ogni sacrosanto giorno, non mi stuzzica affatto. Forse è meglio se mi metto qualcosa addosso e vado a cercare una qualche ispirazione tra le vie del paese. Afferro i primi vestiti che mi capitano tra le mani, li infilo senza dare alcuna importanza a colori e abbinamenti. Prendo le chiavi, il portafogli, il cellulare e finalmente mi lascio il portone di casa dietro le spalle. Attendo qualche secondo l'ascensore, ma come al solito, qualche cretino non ha chiuso bene la porta e lo tiene occupato a chissà quale piano. Prendiamo le scale anche oggi! Dai gradini, arriva un buon odore di pulito. Al piano terra, scopro che “il cretino” che ha bloccato l'ascensore è in realtà la donna delle pulizie, anche se non capisco per quale motivo. La guardo e la saluto educatamente. Lei alza lo sguardo e, quasi infastidita dalla mia presenza, risponde al saluto in maniera poco cortese, ma in quel momento non do troppo peso alla cosa. Esco dal palazzo e mi avvio attraverso le strade praticamente deserte. Giustamente, non è che se uno cerca la giusta ispirazione la trova pronta sotto casa. Sarebbe troppo facile. Vivo in un paese piccolo, poco popolato, qualche migliaio di anime. Non è facile trovare tantissima gente in strada in un posto così, ma, in compenso, si vive bene. La città, il caos e l'inquinamento sembrano distanti anni luce, sembrano solo brutti ricordi. Qua si sta tranquilli, il clima è mite e, quasi fosse magia, esistono ancora le mezze stagioni. Mi dirigo verso i giardini pubblici. Il tempo è bello, il sole già comincia a scaldare le strade. Arrivato al parco, mi guardo attorno e noto con piacere la presenza di alcuni ragazzini che giocano. Poco più in là, madri e baby-sitter parlano animatamente, di certo spettegolando su qualcuno che oggi non è presente. Mi sembra quasi di sentirle: - Hai visto ieri che pantaloni indossava la moglie di Stefano?! Oddio, erano così trasparenti che, oltre alle mutande, le si vedevano anche le tonsille! - o qualcosa di simile. Concentrati. Mi lascio cadere su una panchina libera e scruto ogni angolo di verde, cercando qualche situazione o anche un semplice istante da cui attingere per il finale del mio libro. All'improvviso, noto che una di quelle donne mi fissa intensamente, come se mi conoscesse da sempre. Viene verso di me. Io resto fermo, non abbasso lo sguardo e cerco di capire se l'ho già incontrata prima d'ora. Visto l'andazzo della giornata, non mi stupirebbe se facessi una figura di merda. Senza che riesca a rendermene conto, mi è già davanti. Ha i capelli sciolti, non porta abiti provocanti né un filo di trucco. Non mi sembra di conoscerla, ma ha dipinta in visto l'espressione tipica di chi ha notato in lontananza un'amicizia di vecchia data e si appresta a salutarla. Dopo avermi scrutato per qualche istante, mi posa le mani sulle ginocchia e, chinando il capo, arriva a un millimetro dal mio viso, accosta maliziosamente le sue labbra al mio orecchio e bisbiglia una frase del tipo: - Sei pronto per me? Se vuoi, io sono tua. Cercami! - Non mi dà il tempo di replicare, mi guarda ancora una volta e poi si gira col chiaro intento di farsi ammirare. Ha un gran bel sedere e due cosce ben tornite che non mi ero ancora preso la briga di notare. Si volta appena, mi saluta maliziosamente con lo sguardo e torna tranquillamente dalle altre madri, ignorandomi, come se non fossi mai esistito. Ma chi era? Non ho la più pallida di chi fosse quella donna o di cosa stesse cercando di dirmi, ma avendola vista da vicino, ne ho la certezza: è una perfetta sconosciuta. Sorrido all'idea che, in fondo, dare una bottarella a una tipa così non mi dispiacerebbe affatto. È sulla scia di questo pensiero che nella mia testa torna a rimbombare l'eco delle immagini che anche stanotte hanno popolato il mio sonno, come un sibilo incessante, impossibile da ignorare. Continuo a sentire sulla pelle tutte le situazioni che ho vissuto nell'incubo, come amplificate, realistiche, ossessive. Non riesco a non pensare a quei corpi nudi, a tutti i culi sparsi a destra e a manca, a tutta quella gente che scopava senza inibizione. Se il tutto si limitasse a un sogno erotico, non lo vivrei come un problema, anzi! Ma non lo è, non posso quindi che inorridire al pensiero di tutti i cadaveri tagliati a pezzi e lasciati marcire dentro a quel pozzo... riesco anche a sentire il fetore che ne fuoriesce, come fosse reale! Mi sembra ancora di respirare quell'aria carica di terrore e morte, tra rumori indecifrabili e urla angoscianti spezzate da momenti di assoluto silenzio, come se le vittime cercassero di recuperare fiato in attesa di un nuovo supplizio... o peggio, come se i loro corpi senza vita dovessero cedere il posto ad un'altra vittima. Forse sto impazzendo. Non sono affatto convinto che sia normale sognare così insistentemente la stessa cosa e per più notti di fila. È pur vero che, tempo fa, in qualche assurdo programma TV (o era la radio?), un esperto diceva che è possibile sognare delle situazioni che, per un motivo o per un altro, ci colpiscono a tal punto da rimanere impresse nella mente e riproporsi nuovamente, notte dopo notte. Oppure, è possibile che l'incubo, sia collegato in qualche modo a qualcosa che ho visto o che ho sentito e che, senza ragione apparente, mi è rimasto impresso, come l'impronta di una scarpa sul cemento fresco. Al diavolo, sono uno scrittore, mica un accidenti di strizzacervelli! Sarà solo un sogno del cazzo, ma più mi arrovello e meno ne vengo a capo, senza contare che, in questo modo, sottraggo tempo ed energie che potrei dedicare al romanzo. E se invece affrontassi la cosa sul serio e mi rivolgessi ad uno specialista? Magari ho la fortuna di trovare qualcuno che si è già occupato di casi simili. E che diamine, il mondo è pieno di medici! Sicuramente non sono l'unico uomo al mondo ad avere problemi con i sogni! Ma a chi posso rivolgermi? Sono stufo di questo parco. Dal momento in cui non sembra esserci verso di trovare uno straccio di idea, abbandono la panchina e mi dirigo verso casa. È il suono cadenzato dei miei passi sulla strada del ritorno a ricordarmi per qualche motivo che, qualche tempo fa, durante la presentazione di un mio libro in un caffè del centro, conobbi anche uno psicologo. Ricordo che era disposto ad aiutarmi con la caratterizzazione di personaggi con personalità patologiche o borderline. Devo avere ancora il suo biglietto da visita da qualche parte. Forse è il caso di cercarlo. Se lui non è in grado di prendermi in cura, magari saprà indicarmi un collega che potrà darmi una mano. A dire il vero, mi servirebbe subito un aiuto almeno per capire se sto esagerando o se, al contrario, è tutto normale. È prematuro pensare di dover addirittura andare da uno specialista? O forse dovrei solo cercare di stare più sereno e, al diavolo il medico dei pazzi, dedicarmi al mio romanzo in modo più serio e costruttivo? Non lo so, eppure, l'idea di continuare ad affrontare tutto questo da solo mi incute paura e mi procura insicurezza, caricandomi ulteriormente di tensione e confusione. Arrivato al mio numero civico, non posso non notare la vecchia seicento della donna delle pulizie (un macinino di un colore inguardabile, a metà strada fra una qualche tonalità del classico verde militare e la merda di gabbiano). Al di là del portone, incrocio nuovamente il suo sguardo. Stavolta mi limito ad un gesto di cortesia, senza però salutarla. Sembra quasi le dia fastidio quando lo faccio. Proseguo dritto verso l'ascensore, ma lo sportello è tenuto aperto dal secchio dell'acqua con cui, presumo, verranno lavati i vetri del condominio. La tipa si avvicina, mi prende per un braccio all'altezza del bicipite e lo tira a sé appoggiandolo contro il suo seno. Sento la sua stretta aumentare e inaspettatamente rompe il silenzio di questi secondi imbarazzanti, rivolgendosi a me cortesemente: - Chiedo scusa, mi potrebbe aspettare qualche istante? Salgo su con lei. - Senza battere ciglio, pur sorpreso da un atteggiamento così insolitamente gentile, le rispondo: - Certo, si figuri. - Si allontana giusto il tempo di recuperare uno straccio arrotolato sul corrimano ed è subito di ritorno. È una donna di circa trent'anni, statura media, il viso pulito quasi senza trucco, giusto un filo di matita nera sugli occhi, ed i capelli di color castano chiaro, raccolti in una coda. La invito a entrare, sposto il secchio e le cedo il passo. Che diamine le prende? La gentilezza di qualche istante prima svanisce, lasciando il posto ad uno sguardo intenso e provocante. Mi fissa dritto negli occhi, mi coglie del tutto impreparato, provo un forte disagio e come un deficiente alle prime armi, cerco di far finta di niente, limitandomi a chiederle a che piano va. Senza mai perdere il contatto con i miei occhi, allunga un braccio, preme il pulsante numero sei e subito dopo me la ritrovo addosso, avvinghiata, con la sua lingua nella mia bocca, mentre le sue mani vogliose esplorano ovunque. Senza nemmeno rendermi conto, rispondo al bacio e lascio che le mie dita vadano alla ricerca delle medesime sensazioni, senza preoccuparmi delle possibili conseguenze di un gesto inappropriato. Andiamo avanti così, come rapiti da una trance erotica che si interrompe solo in corrispondenza del “clanck” del vecchio ascensore arrivato a destinazione. Lei mi guarda, incredula, senza più alcuna traccia della passione appena interrotta. Mi allontana in malo modo facendo leva con le braccia, la sua espressione è più che contrariata, mi chiede cosa io stia facendo.

Alessio Gonnella

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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