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Autore: Ileana Aprea
Giochi di specchi riflessi
Romanzo
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Giochi di specchi riflessi
Quella mattina Cassandra (sua madre l'aveva chiamata così perché aveva una grande passione per la storia e la mitologia greca) si svegliò come sempre alle sette.
Le piaceva alzarsi presto.
Fin da quando era poco più di una bambina pensava che "il mattino avesse l'oro in bocca!".
Quel giorno ,però, mentre guardava la sua immagine riflessa nello specchio, si rese conto che non era più una ragazzina.
Aveva già trentasette anni, anche se non li dimostrava!
Almeno questo era ciò che continuava a ripetersi, quasi a voler esorcizzare l'inesorabile passare del tempo.
Non era bellissima, ma a suo modo possedeva un fascino innato.
I lunghi capelli neri e gli occhi scuri, grandi e profondi che tradivano le origini meridionali, da parte di madre.
Il suo sguardo era dolce ma allo stesso tempo penetrante.
Era una scrittrice di successo.
In quel momento la vita le passò davanti, come se fosse un film.
Il primo bacio vero dato ad una festa di compleanno di un suo compagno di scuola, ad un ragazzo carino, del quale, per quanto si sforzasse, non riusciva a ricordare il nome.
Ciò che ricordava era che fu un bacio dolcissimo, niente di traumatico come le avevano detto le sue amiche che avevano vissuto quell'esperienza prima di lei e che nel momento in cui ciò accadeva,si trovavano nella stanza accanto e ballavano al ritmo di .Amadeus.
Poi ci fu Edgar, il primo grande amore, quello che non si scorda mai che, però, ti spezza il cuore.
Era bellissimo con i suoi grandi occhi verdi e i capelli di un rosso caldo, tipicamente .Irish .
Lo aveva conosciuto mentre era in vacanza a casa dei suoi zii, a Dublino.
Era un amico di suo cugino Paul.
Fu una storia breve ma intensa che durò il tempo della vacanza o poco più. Probabilmente erano entrambi troppo giovani!
Dopo Edgar, ebbe una storia con Giacomo, non era bello come Edgar ma in cambio era dotato di una dolcezza disarmante.
Lui era innamoratissimo e lei, per quanto si sforzasse di credere in quel sentimento non riusciva a ricambiare con la stessa intensità.
Quella volta fu lei a spezzare il cuore a lui.
Infine, Matteo, la sua storia più lunga, con il quale si parlava di matrimonio,che purtroppo finì con un tradimento che lei non riuscì a perdonare. A volte si chiedeva se il loro fosse stato vero amore.
Dopo di lui, qualche storia senza importanza.
Decise, quindi, di dedicarsi solo allo studio.
Era intelligente, Cassandra, curiosa e amante della lettura.
Fin da piccola aveva l'abitudine di leggere qualsiasi cosa le capitasse sotto mano.
Questa passione l'aveva ereditata da suo padre Luke che era inglese.
Era il 1968, l'anno delle rivoluzioni e dell'emancipazione, in cui lo slogan era: Fate l'amore non fate la guerra.
Lui era un giovane ed affascinante avvocato, nato ad Evershot, un suggestivo villaggio nella pittoresca campagna inglese nel Dorset a duecentoventicinque chilometri da Londra.
Era innamorato dell'Italia e si innamorò di una bellissima ragazza messinese di diciassette anni.
La conobbe una sera a Londra.
Lei dava una mano nel ristorante italiano del padre. Da Peppino.
Serviva ai tavoli.
Fu amore a prima vista.
Non appena lei ebbe compiuto diciotto anni, si sposarono e decisero di andare a vivere in Italia, a Roma, una città che entrambi amavano moltissimo.(Sua madre le aveva raccontato di quando aveva otto anni lei ed i suoi genitori erano andati a Roma da alcuni parenti.
Era la prima volta che vedeva la capitale.
I parenti le fecero da ciceroni, portandola anche a Fontana di Trevi. Gettò la monetina come facevano tutti esprimendo il desiderio di tornare!
Quel desiderio si era avverato!)
L'anno successivo nacque Demetrio.
Suo padre avrebbe voluto che Cassandra seguisse le sue orme, ma codici e leggi, non facevano proprio per lei.
Li trovava freddi. e distaccati rispetto al sentire dell'uomo.
Preferiva, quindi, studiare qualcosa che le scaldasse il cuore e l'anima.
Optò, per la facoltà di lettere e decise di discutere la tesi con la cattedra di lingua e letteratura italiana..
L'argomento della tesi fu sul romanzo epistolare di Giovanni Verga Storia di una capinera
Era quello che preferiva tra i lavori di Verga . Quando lo aveva letto per la prima volta era rimasta affascinata dall'anima tormentata della protagonista, probabilmente perché nel suo inconscio sentiva che era più vicina ai tormenti di quell'anima di quanto avrebbe potuto mai immaginare.
Era una ragazza normale, Cassandra, con sogni ed aspirazioni.
Aveva quell'età in cui si sente di poter tenere il mondo in mano.
Ma un bel giorno si rese conto che quel mondo quasi perfetto, può andare in mille pezzi, quando meno te lo aspetti.
Una notte si svegliò di soprassalto con il cuore che batteva all'impazzata, madida di sudore."Tranquilla", pensò, "è stato solo un brutto sogno."
Bevve un sorso d'acqua dal bicchiere che teneva sempre sul comodino e, un po' a fatica, riuscì a riaddormentarsi.
Ma, purtroppo, non si trattava solo di un brutto sogno.
Qualche settimana più tardi, verso le due di notte squillò il telefono.
Il cuore cominciò a batterle forte.
Rispose suo padre.
Dal suo tono di voce capì che doveva essere accaduto qualcosa di molto grave.
Ma a chi? Quando senti il padre che diceva
"Va bene, arriviamo subito!"
In quel momento la stanza cominciò a girare sempre più forte, come se fosse una trottola impazzita che si fermò solo quando il padre entrò di colpo spalancando la porta.
"Dobbiamo andare subito in ospedale, tuo fratello ha avuto un incidente. Telefona a tua zia e chiedile se può venire a dare un'occhiata a tua sorella Elettra."
Si misero in macchina.
Quello le sembrò il viaggio più lungo che avessero mai fatto.
Nessuno parlava, forse per paura di dire qualcosa che in quel momento, nessuno aveva voglia di sentire.
Finalmente quel viaggio interminabile finì ed arrivarono all'ospedale. Chiesero all'infermiera di turno in accettazione, ma in quello stesso momento, stava andando loro incontro un giovane dottore con i capelli rossi e lisci.
"Signori Cooper?
Mi dispiace, vostro figlio, purtroppo, è deceduto pochi minuti fa.
E' arrivato in condizioni gravissime, abbiamo fatto tutto ciò che era in nostro potere." Cassandra ebbe l'impressione che suo padre non avesse sentito una sola parola di ciò che il giovane dottore aveva appena detto.
Il suo sguardo era perso nel vuoto.
Sua madre si era accasciata su una sedia di plastica bianca che sembrava fosse stata preparata proprio per lei.
Un'infermiera gentile le aveva portato un bicchiere d'acqua e una compressa. Sicuramente era un calmante.
" E' necessario che qualcuno provveda al riconoscimento."
Quella frase riecheggiò in quell'androne vuoto e asettico rompendo il silenzio che si era creato.
Vista la situazione, quel compito ingrato non poteva che toccare a lei.
Il dottore le fece strada.
Durante il tragitto verso la camera mortuaria, Cassandra continuava a ripetersi che di lì a poco si sarebbe svegliata scoprendo che si trattava solo di un brutto incubo.
Che la persona che si trovava in obitorio non era il suo fratellone
Finalmente arrivarono.
Un dottore paffutello,dall'aria bonaria con degli occhialini tondi da primo della classe li condusse verso la stanza in cui venivano tenuti i cadaveri che erano in attesa che qualcuno desse loro un nome, un'identità.
Le sembrava di essere in un film dell'orrore.
Era come se non stesse accadendo a lei.
Il medico legale si avvicinò ad un lettino, tirò su il lenzuolo scoprendo il volto di colui che vi giaceva.
Cassandra stava per avere un mancamento.
"Demetrio."
Quel nome le uscì strozzato dalla gola.
"E' lui", disse con un filo di voce.
Sembrava che stesse dormendo.
I capelli scuri che gli incorniciavano il viso, troppo lunghi secondo suo padre.
Gli prometteva sempre che li avrebbe tagliati il giorno seguente.
Però quel giorno non arrivava mai e non sarebbe arrivato mai più!
"Posso dargli un bacio?"
Il medico legale annuì.
Cassandra avvicinò le labbra alla fronte del fratello ormai fredda.
Nel tirarsi su si voltò di scatto e piangendo abbracciò il giovane dottore che era lì accanto a lei che accolse quel abbraccio con la dolcezza intrinseca di colui che, a causa del lavoro che aveva scelto di fare, chi sa quante volte aveva vissuto scene simili.
Nel frattempo il medico legale aveva già ricoperto il volto di suo fratello.
In quel momento ripensò al brutto sogno che aveva fatto qualche settimana prima.
Possedeva una spiccata sensibilità, Cassandra.
Non era la prima volta che le capitava di fare sogni particolari.
Aveva sempre attribuito la colpa al karma.
Ma questa volta pensò che dipendesse soltanto dal rapporto quasi simbiotico che aveva col fratello.
Il dottore la riaccompagnò dai genitori che nel frattempo erano stati fatti accomodare nella sala d'attesa.
Li trovò seduti abbracciati. Stavano piangendo.
Era la prima volta che vedeva suo padre piangere.
Le si strinse il cuore.
Pensò fosse meglio non far guidare il padre in quello stato.
Nemmeno lei aveva tanta voglia di farlo quindi chiese all'infermiera dell'accettazione se fosse possibile far chiamare un taxi.
La macchina sarebbe tornata a prenderla lei la mattina seguente.
Aveva già subito altre perdite, ma con la scomparsa di Demetrio era come se fosse morta anche una parte del suo cuore.
Trovava profondamente ingiusto che si potesse morire a soli trent'anni a causa di un pirata della strada, quasi sicuramente ubriaco, mentre stai uscendo dall'ufficio e stai per tornare a casa.
Cassandra non pensava che ci sarebbe stata tanta gente ai funerali.
C'era tutta la redazione del giornale presso cui lavorava.
Demetrio era un bravo giornalista ed era una bella persona.
Aveva tanti amici. I suoi genitori avevano voluto che ci fosse anche Elettra a salutare il fratello, ma lei si guardava intorno confusa.
Era troppo piccola per capire cosa stesse accadendo attorno a lei.
In quel momento Cassandra provava una sorta di invidia nei confronti della sua sorellina di tre anni.
Il dolore era troppo grande anche per lei che ne aveva ventisette.
E fu a causa di questo dolore insopportabile che i suoi genitori decisero di trasferirsi in Inghilterra nel villaggio natale del padre.
Ma, Cassandra decise di rimanere a Roma.
Pensò che fuggire a lei non sarebbe servito.
Se il padre le aveva trasmesso l'amore per i libri, Demetrio le aveva insegnato ad amare il Blues.
Era un appassionato di Ella Fitzgerald.
Aveva quasi tutti i suoi vinili.
Le aveva insegnato anche ad apprezzare i film impegnati.
Le venne in mente un episodio.
Erano a casa con alcuni amici, i quali fecero il grave errore di delegare a lui la scelta del film da vedere. Scelse “Il cielo sopra Berlino”, di Wim Wenders, regista che lui amava molto.
Fu decretato che Demetrio non avrebbe mai più scelto un film.
A Cassandra piacque molto, ma lei non faceva testo.
Quel ricordo la fece sorridere.
Mentre era assorta in quei ricordi, bussarono alla porta.
Il suono insistente del campanello la fece trasalire.
Si infilò velocemente la vestaglia di seta nera che era appesa ad una specie di attaccapanni attaccato alla parete e scese di corsa la scala a chiocciola che separava la zona notte dal soggiorno.
"Sarà di sicuro Emma" pensò.
Emma era la sua assistente e quella mattina sarebbe dovuta passare perché avevano un appuntamento per l'ora di pranzo.
Quindi aprì la porta senza nemmeno guardare dallo spioncino, pensando di trovarsi di fronte la ragazza.
"Non credi di essere un po' in anti.."
Ma aprendo la porta sobbalzò sull'uscio.
Non era Emma ma un uomo alto con un bel fisico nascosto da un completo di lino nero. Portava un paio di Police che tolse con un gesto elegante permettendo così a Cassandra di poter ammirare i suoi occhi che erano di un blu intenso, i capelli erano neri e corti ma non troppo.
"Cassandra Cooper? Ispettore capo Lorenzo Mori", le disse mostrandole il distintivo.
"Ispettore?" replicò lei. "
Mi dispiace disturbarla a quest'ora, posso entrare?"
"Prego, si accomodi" lo invitò lei un po' sorpresa dal fatto che un ispettore capo della polizia si presentasse a quell'ora a casa della gente.
Si chiedeva, inoltre, quale potesse essere il motivo della sua visita ma non riusciva a darsi una risposta.
" Mi scusi ma mi sono svegliata da poco." disse mentre si allacciava la cinta della vestaglia.
Aveva ancora i capelli arruffati e i piedi scalzi.
"Mi preparo il caffè, mi fa compagnia?"
"Volentieri, grazie" rispose lui mentre si accomodava su una delle due poltrone di pelle nera che si trovavano nel soggiorno.
Cassandra servì il caffè.
"Le dovrei parlare di suo fratello."
"di mio fratello, Demetrio?"
Nel pronunciare quel nome la ferita che credeva essere ormai rimarginata riprese a sanguinare.
"E' morto diversi anni fa, investito da un pirata della strada."
"Mi dispiace riaprire questa ferita, mi creda, capisco che debba essere doloroso, ma abbiamo deciso di riaprire il caso.
Abbiamo anche tentato di rintracciare i suoi genitori, ma non siamo riusciti a contattarli.."
"I miei genitori, ora, vivono in Inghilterra."
"Capisco. Comunque, visto che lei è la parente più prossima, abbiamo bisogno della sua autorizzazione per riesumare il corpo."
"Un momento! "esclamò lei.
"Perché? E che intende dire con: riesumare il corpo, si trattò di un incidente."
"Vede, sono da poco emersi nuovi elementi che ci fanno presupporre che non sia stato così. Suo fratello potrebbe essere stato ucciso e gli omicidi non cadono mai in prescrizione." "Omicidio, ma cosa sta dicendo? Chi avrebbe potuto fare una cosa del genere? Mio fratello non aveva nemici. Era amato da tutti!"
"Capisco che possa essere uno shok, ma, vede, pensiamo che stesse scrivendo un articolo su un argomento molto scottante. Per ora non posso dirle altro. Quindi, se potesse seguirmi in commissariato le sarei molto grato."
"Si certo" disse lei ancora un po' frastornata da ciò che le era stato comunicato."
Mi dia il tempo di prepararmi e disdire un appuntamento."
"Faccia pure con comodo."
Nel dire questo l'ispettore si alzò in piedi.
Mentre la aspettava prese a guardarsi intorno con quello sguardo attento che caratterizza i poliziotti..
Al centro della stanza c'era un divano in pelle nera, come le due poltrone che si trovavano ai due lati.
Sul divano c'erano alcuni cuscini con ricami orientali, gettati qua e là.
Davanti al divano un tavolino rettangolare in cristallo sorretto alle due estremità da due elefanti in ferro battuto. Sul tavolino, al centro, un vaso di cristallo con dentro dei fiori in legno di bambù.
Di fronte al divano c'era un camino incastonato nel muro. Sopra di esso un televisore al plasma di una trentina di pollici.
Ai due lati della tv due piccoli batik. sulla mensola del camino si trovava in bella mostra una targa.
Era di sicuro un riconoscimento letterario.
Infine in un angolo della stanza c'era un mobiletto di vetro con sopra un vecchio stereo stile anni cinquanta attraverso il vetro si intravedevano alcuni vinili.
La proprietaria aveva una gran classe.
L'appartamento era di gran classe con quell'accostamento tra l'esotico e l'occidentale... niente a che vedere con il suo misero appartamentino di semplice poliziotto.
Sul tavolo di cristallo c'era anche un libro.
Era sicuramente una delle sue pubblicazioni..
Vicino ad una porta a vetri colorati si trovava una cesta di vimini con dentro un cuscino rosso.
Probabilmente, la donna aveva un cane o un gatto.
Attraverso quella porta semiaperta si intravedeva una cucina arredata in stile arte povera. di colore chiaro.
Infine, vicino alla porta d'ingresso c'era un mobile, stesso stile della cucina solo di un colore leggermente più scuro.
Appeso alla parete a livello del mobile uno specchio ovale la cui cornice era di legno intarsiato.
Sopra al mobile c'erano uno svuotatasche in pietra nera a forma di conchiglia ed un elefantino di giada verde con la proboscide alzata rivolto verso la porta d'entrata.
Fu colpito da un particolare. Non c'erano fotografie, per lo meno non in quella stanza. All'improvviso una voce lo distolse da quella riflessione.
"Eccomi, sono pronta."
L'uomo alzò lo sguardo e vide una figura snella che scendeva dalla scala a chiocciola. Indossava anche lei un completo di lino, bianco però, che metteva in risalto i lunghi capelli neri che le cadevano sulle spalle.
I sandali erano in tinta con piccoli strass che luccicavano alla luce del sole che filtrava da una piccola finestra che si trovava in alto sulla parete che costeggiava la scala.
La borsa era grande, di corda color sabbia.
Non erano molte le persone che colpivano positivamente l'ispettore, ma quella donna aveva qualcosa di speciale.
"Mi concede ancora qualche minuto?"
"Certo."
Cassandra con cedere elegante si avvicinò ad un tavolino più piccolo posto a lato del divano sul quale si trovava un telefono stile anni cinquanta.
Compose il numero di Emma.
"Ciao Emma, senti potresti rimandare il pranzo con Nerval?"
"Ma...Cassandra lo sai quanto ho dovuto penare per.."
"Si, lo so lo avevamo programmato da tanto tempo, ma ti prego è importante.
Devo assolutamente fare una cosa che non posso proprio rimandare.
"Va bene, va bene. Lo chiamo subito."rispose la ragazza un po' seccata.
"Grazie, sei un tesoro."
"Lo so" replicò Emma con una battuta mentre riagganciava.
Dopo aver messo giù la cornetta Cassandra si diresse verso la cucina, si avvicinò ad una credenza dalla quale tirò fuori una scatoletta di cibo per gatti.
"Duchessa..." (era la sua gatta. L'aveva chiamata così ispirandosi al film di Walt Disney, Gli Aristogatti...
Aveva pensato che quel nome le si addicesse molto.
In effetti era una gatta estremamente aristocratica.).
“Dove sei finita?”
Timidamente fece capolino un bellissimo Certosino color grigio perla.
“Ah! Eccoti, tieni” le disse chinandosi dolcemente porgendole la ciotola.
“Ecco fatto, ora possiamo andare ”disse lei mentre si tirava su.
Con la stessa eleganza con la quale si era chinata.
Poi si diresse verso il mobile con lo specchio, prese un mazzo di chiavi dallo svuotatasche e uscirono chiudendosi la porta dietro le spalle.

Ileana Aprea

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