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Salvatore Basile

Salvatore Basile svolge attività di sceneggiatore dal 1992.
Tra le sue sceneggiature ricordiamo: Ultimo, San Pietro, Cime tempestose, La cittadella, Sarò sempre tuo padre, L’uomo sbagliato, Fuga per la libertà, Giovanni Paolo II, Sotto copertura, Il sindaco pescatore, I fantasmi di Portopalo, Gli orologi del diavolo, La fuggitiva, Il Commissario Ricciardi.
È ideatore di serie tv come: Il giudice Mastrangelo, Il Restauratore, Un passo dal cielo e Una pallottola nel cuore. Ha curato, inoltre, la regia de L’uomo che cavalcava nel buio e di alcuni episodi de Il restauratore, Don Matteo 8 e Un passo dal cielo 2.
Attualmente sta lavorando alla seconda stagione del Commissario Ricciardi e ad altre serie per la RAI.
Collabora abitualmente con Terence Hill, Beppe Fiorello e Sergio Castellitto, attori che hanno interpretato la maggior parte dei suoi successi televisivi, insieme a Gigi Proietti col quale ha lavorato per oltre 25 anni.
Il suo romanzo d’esordio "Lo Strano Viaggio di un Oggetto Smarrito" è stato pubblicato il 5 maggio 2016 da Garzanti e i suoi diritti sono stati venduti in Germania (Blanvalet); in Grecia (Mamaya), in Francia (Editions Denoel) e in Albania (Dituria).
A maggio del 2018 è uscito il suo secondo romanzo, "La Leggenda del Ragazzo che Credeva nel Mare", per Garzanti. La Germania (Blanvalet) ha acquistato i diritti.
Il suo terzo romanzo "Cinquecento catenelle d’oro" è uscito con Garzanti ad aprile del 2022.

Lo strano viaggio di un oggetto smarrito. Il mare è agitato e le bandiere rosse sventolano sulla spiaggia. Il piccolo Michele ha corso a perdifiato per tornare presto a casa dopo la scuola, ma quando apre la porta della sua casa nella piccola stazione di Miniera di Mare, trova sua madre di fronte a una valigia aperta. Fra le mani tiene il diario segreto di Michele, un quaderno rosso con la copertina un po' ammaccata. Con gli occhi pieni di tristezza la donna chiede a suo figlio di poter tenere quel diario, lo ripone nella valigia, ma promette di restituirlo. Poi, sale sul treno in partenza sulla banchina. Sono passati vent'anni da allora. Michele vive ancora nella piccola casa dentro la stazione ferroviaria. Addosso, la divisa di capostazione di suo padre. Negli occhi, una tristezza assoluta, profonda e lontana. Perché sua madre non è mai più tornata. Michele vuole stare solo, con l'unica compagnia degli oggetti smarriti che vengono trovati ogni giorno nell'unico treno che passa da Miniera di Mare. Perché gli oggetti non se ne vanno, mantengono le promesse, non ti abbandonano. Finché un giorno, sullo stesso treno che aveva portato via sua madre, incastrato tra due sedili, Michele ritrova il suo diario. Non sa come sia possibile, ma Michele sente che è sua madre che l'ha lasciato lì. Per lui. E c'è solo una persona che può aiutarlo: Elena, una ragazza folle e imprevedibile come la vita, che lo spinge a salire su quel treno e ad andare a cercare la verità. E, forse, anche una cura per il suo cuore smarrito.

La leggenda del ragazzo che credeva nel mare. Quando si tuffa Marco si sente libero. Solo allora riesce a dimenticare gli anni trascorsi tra una famiglia affidataria e l'altra. Solo allora riesce a non pensare ai suoi genitori di cui non sa nulla, non fosse che per quella voglia a forma di stella marina che forse ha ereditato da loro. Ma ora Marco ha paura del mare. Dopo un tuffo da una scogliera si è ferito a una spalla e vede il suo sogno svanire. Perché ora non riesce più a fidarsi di quella distesa azzurra. Perché anche il mare lo ha tradito, come hanno sempre fatto tutti nella sua vita. Eppure c'è qualcuno pronto a dimostrargli che la rabbia e la rassegnazione non sono sentimenti giusti per un ragazzo. E Lara, la sua fisioterapista, che si affeziona a lui come nessuno ha mai fatto. Lara è la prima che lo ascolta senza giudicarlo. Per questo Marco accetta di andare con lei nel paesino dove è nata per guarire grazie al calore della sabbia e alla luce del sole. Un piccolo paesino sdraiato sulla costa dove si vive ancora seguendo il ritmo dettato dalla pesca per le vie che profumano di salsedine. Quello che Marco non sa è il vero motivo per cui Lara lo ha portato proprio lì. Perché ci sono segreti che non possono più essere nascosti. Perché per non temere più il mare deve scoprire chi è veramente. Solo allora potrà sporgersi da uno scoglio senza tremare, perché forse a tremare sarà solo il suo cuore, pronto davvero a volare.

Cinquecento Catenelle d'oro. Le spighe di grano dorato si piegano al soffio del vento. Maria le osserva e pensa che quella terra rappresenta la vita intera della sua famiglia, che la lavora da generazioni. E che, forse, sarà l’unica protagonista del suo futuro. Ma lei vuole di più. Soprattutto ora che ha imparato a leggere, e nuovi orizzonti le si sono schiusi davanti agli occhi. Maria ha confidato il suo segreto solamente al padre, l’unico a condividere i suoi sogni. Così, quando lui è costretto a partire per l’America in cerca di fortuna, Maria si sente persa, e solo le sporadiche lettere che riceve riescono a riportarle il sorriso. Lettere che raccontano di palazzi alti fino al cielo, di fotografie capaci di muoversi, di treni che corrono sullo schermo. La parola cinematografo è troppo difficile da pronunciare, ma contiene una promessa di futuro. Maria vorrebbe condividere la notizia con tutti, e invece finisce per essere additata come una visionaria, una persona da cui stare lontani. Fino al giorno in cui incontra Domenico, un giovanissimo fotografo in erba, il primo a credere che quello che il padre le ha raccontato sia vero. Per questo vuole trovare una prova, un esempio di quelle immagini che paiono prendere vita. Perché Maria non è una bugiarda, è solo una sognatrice. E i sogni possono far paura. Bisogna essere coraggiosi per accettare i cambiamenti, per non smettere mai di imparare. Insieme, Maria e Domenico possono fare una magia: un telo bianco in una grande piazza pronto a raccontare la storia più bella che ci sia.

Abel Wakaam: Ciao Salvatore, la prima frase che ho letto nel tuo libro è di Goethe:"Poche persone hanno l’immaginazione per la realtà". Immaginare la realtà non può essere anche un modo intimo per plasmarla?

Salvatore Basile: Credo che l’immaginazione sia il motore del cambiamento. Ha le sue radici nel sogno e nella fantasia, ma sogni e fantasie possono anche rimanere concetti solo astratti: quanti sogni restano nel cassetto? E quante fantasie rimangono irrealizzate? L’immaginazione, invece, elabora strategie, sviluppa percorsi per raggiungere un obiettivo, crea i modi del cambiamento. In poche parole, spinge a “inventare”, quindi anche a plasmare la realtà perché aumenta la potenzialità di un sogno o di una fantasia, sposta la loro concezione astratta verso il piano del desiderio, che è invece qualcosa di concretizzabile.
Più si permette all’immaginazione di librarsi, più si aggiungono particolari all’oggetto del desiderio. Più si aggiungono particolari, più aumenta la possibilità di sentirlo, di percepirlo come un qualcosa di reale, consentendoci quindi di scegliere se vogliamo agire sulla realtà, mettendo in atto un cambiamento, affinché il desiderio si concretizzi. Per questo l’immaginazione è rivoluzionaria, fa paura a chi vuole “conservare” un qualunque tipo di potere. Ma non è tutto: l’immaginazione sviluppa l’arte. E, per uno strano circolo virtuoso, l’arte innesca l’immaginazione.

Abel Wakaam: "Quando chiudo gli occhi vedo ancora la distesa di grano e sento il fruscio delle spighe che si piegano al vento. Vedo mio padre che ritorna a casa dopo la fatica nei campi e sembra sorgere da quel mare dorato, col suo passo lento". L'attesa del padre che allunga il passo per intingere finalmente le mani nell'acqua tiepida ci trascina immediatamente dentro lo scorrere a ritroso del tempo. È acqua presa dal pozzo da una bambina di dieci anni, secchio dopo secchio, e poi scaldata al sole da mezzogiorno al tramonto. In poche righe hai scolpito la scena nella memoria di chi porta impresso sulla pelle quella stessa vita, ma anche nello stupore di una generazione che può soltanto immaginarla. Per chi di loro hai scritto questo romanzo?

Salvatore Basile: Credo e spero per entrambi. Narrare è evocare ma anche rivelare. È attingere a piene mani dalla memoria e, allo stesso tempo, reinventarla per ricongiungerla all’attuale. In questo caso, mi sono ritrovato a raccontare un tempo di cui mi sono sentito anello di congiunzione: ho un’età che mi permette, grazie ai racconti e ai ricordi dei nonni e dei prozii, di stare a cavallo tra quell’epoca e l’oggi, popolato anche dalla generazione delle mie figlie e dei miei nipoti. E la tua domanda mi fa capire che, scrivendo, ho pensato ai “miei vecchi”, quelli che hanno popolato la mia infanzia e cercato di “informare” i secondi. E poi, credo di averlo scritto per… Maria e per tutte le donne a cui, soprattutto in quell’epoca, è stata negata voce troppe volte.

Abel Wakaam: Sempre tratto da Cinquecento Catenelle d'oro: "Mio padre ancora non torna, il sole è già tramontato da un pezzo e temo che l’acqua nel catino non sia più tiepida. Poi lo vedo, ha tra le mani una cesta di vimini e sento che porta con sé, insieme all’odore denso del sudore mescolato alla polvere, anche un profumo di fragole". Mi sembra di sentirlo quel profumo di fragole. L'odore del sudore dava invece il senso della fatica e nessuno arricciava il naso di fronte ad un mezzadro che ritornava stanco a casa. Per dipingere queste sfumature bisogna averle necessariamente vissute. Puoi raccontarmi la tua infanzia?

Salvatore Basile: Ho avuto un’infanzia serena e metropolitana, nel cuore del Vomero, a Napoli. Figlio unico, i miei cugini e cugine a farmi da fratelli e sorelle. Nonni musicisti del San Carlo e la loro musica come sottofondo alle prime emozioni e alle prime scoperte. Ma ho avuto anche molto tempo “in solitaria” che mi ha spinto alla lettura, per mia fortuna. Rispondo all’intenzione della tua domanda: ho trascorso le prime estati della mia vita nel Cilento, a casa di una zia di mio padre che ci ospitava. Il Cilento degli anni ’60 era un viaggio a ritroso nel tempo: l’acqua si tirava su dal pozzo, che era al centro del cortile. Forse è stato lì che ho assorbito un po’ di vita contadina, quei ricordi, quegli odori, quei paesaggi che ho cercato di restituire nel romanzo. Tutto il resto è stato documentazione e… immaginazione, appunto.

Abel Wakaam: Il tuo modo di scrivere può essere equiparato ad una forma di pittura che utilizza le parole come un pennello, ma qual è la vera differenza tra il comporre un romanzo e curare la sceneggiatura di un film?

Salvatore Basile: Grazie per l’apprezzamento! Le differenze tra scrivere sceneggiature e romanzi sono tantissime, anche se ci si muove comunque sul terreno della narrativa. Tanto per cominciare, la sceneggiatura è un lavoro di gruppo. Anche se scrivi da solo, poi devi confrontarti con la produzione, col broadcaster, col regista e, per finire, gli attori principali, senza contare il budget a disposizione per le riprese e tante altre varianti. È un lavoro in continua evoluzione, minuzioso, che deve essere dettagliato in ogni singola fase, dal soggetto fino alla sceneggiatura finale. Il romanzo è un territorio libero e strettamente personale. Tra l’altro, forse proprio per reazione alle fasi obbligate e dettagliate della sceneggiatura, lo affronto in campo aperto, senza procedere a scalette: parto da un’idea iniziale, una folgorazione, poi mi lascio guidare, riga dopo riga, dalla scrittura che ne scaturisce. E, a quel punto, si scava nei ricordi e nelle ferite, vengono a galla questioni irrisolte, ci si ritrova a parlare attraverso i personaggi. Avviene anche in sceneggiatura, ma a livelli molto più blandi.
Oltre a ciò, la scrittura cinematografica/televisiva procede in maniera lineare, come se assecondasse lo scorrimento della vecchia pellicola. Il romanzo è sferico, sospende il tempo, entra nell’intimo e lo scandaglia, parla per voce interiore molto più di quanto si possa ottenere da una voce narrante in un film.
C’è un’altra differenza fondamentale: il romanzo lascia immaginare il lettore, la sceneggiatura mostra, definisce, se vogliamo limita l’immaginazione sostituendola con immagini obbligate. Cerco di spiegarmi meglio: quando leggiamo un romanzo, nonostante le descrizioni dell’autore, immaginiamo i volti dei personaggi, gli ambienti in cui vivono, la pioggia e le giornate limpide. Quando poi andiamo a vedere un film o una serie tratta da quello stesso romanzo, ci ritroviamo con i volti dei personaggi “imposti” dagli attori che li interpretano e quasi mai corrispondono a come li avevamo immaginati leggendo. E così per tutto il resto.

Abel Wakaam: Esiste un modo "visivo" per meglio raggiungere l'immaginario del lettore? Può essere l'evoluzione della parola scritta a contrastare la TV delle immagini? Le due tecniche sono sovrapponibili?

Salvatore Basile: Credo che l’immaginario del lettore si raggiunga per sottrazione, accennando le descrizioni in maniera emotiva senza definirne i dettagli e lasciando, quindi, campo aperto alla fantasia e alla suggestione di chi legge. E penso che parola scritta e Tv delle immagini, più che contrastarsi dovrebbero diventare ancora più sinergiche. Ormai, sia al cinema che sulle piattaforme, e anche in Rai, si attinge sempre più spesso dal romanzo, col risultato sperabile di accompagnare sempre più persone alla lettura. Letteratura e audiovisivo, a mio avviso, dovrebbero assumersi il compito di contrastare, semmai, il linguaggio a volte frettoloso e sempre più impoverito/impoverente di alcuni social o reality.

Abel Wakaam: Quale consiglio ti senti di dare a chi oggi vuole tentare l'approccio al tuo lavoro, sia quello dello sceneggiatotre che dell'autore di libri?

Salvatore Basile: Non vorrei apparire troppo drastico, ma il primo consiglio è porsi una serie di domande: sono sicuro di non voler fare altro nella vita? E poi: mi piace l’idea di scrivere oppure ho davvero l’urgenza di farlo? Infine: ho una storia da raccontare o devo cercarla? Una volta risposto a queste domande, consiglierei non solo di leggere e vedere film e serie come forsennati, assorbire le tecniche e gli stili degli autori preferiti, fino ad arrivare a definire il proprio, ma anche di nutrirsi di “persone”, di vite altrui, di essere curiosi e fare domande, raccontarsi senza risparmio… vivere. E non aspettare di essere pronti per cominciare a scrivere, ma lanciarsi con tutto l’entusiasmo possibile a riempire pagine bianche. I risultati, se arriveranno, saranno solo una conseguenza.

Abel Wakaam
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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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