Giuseppe
Culicchia (Torino, 30 aprile 1965) è uno scrittore, saggista
e traduttore italiano. Figlio d'un barbiere siciliano e di un'operaia
torinese, le sue prime prove letterarie sono stati alcuni racconti inclusi
nell'antologia Papergang nell'ambito del progetto di scrittura giovanile
"Under 25", curato da Pier Vittorio Tondelli per Transeuropa
Edizioni. Nel 1994 è stato pubblicato il suo primo romanzo Tutti
giù per terra (Premio Montblanc 1993 e Premio Grinzane Cavour
Esordienti 1995), con il quale è stato in copertina sull'Indice
dei Libri del Mese diretto da Cesare Cases, e dal quale nel 1997 è
stato tratto un film diretto da Davide Ferrario con Valerio Mastandrea.
Con Il paese delle meraviglie, romanzo ambientato nell'Italia del
1977, ha affrontato il tema dei cosiddetti Anni di Piombo, visti attraverso
gli occhi dei due protagonisti adolescenti Attila e Zazzi. In Brucia
la città ha raccontato invece il tempo presente, ovvero gli
anni della cocaina (l'autore ha dichiarato in più occasioni che
il titolo di lavoro del libro era "Noi pupazzi di neve"). Il
suo Torino è casa mia, uscito nel 2005 nella collana Contromano
di Laterza, è diventato un long-seller.
Per Feltrinelli ha curato la traduzione del romanzo Le avventure di
Huckleberry Finn di Mark Twain. Per Einaudi ha curato la traduzione
dei romanzi American Psycho, Lunar Park e Imperial Bedrooms
di Bret Easton Ellis. Per Garzanti ha tradotto nel 2001 la raccolta di
racconti di F.X. Toole Lo sfidante, da cui Clint Eastwood ha tratto
il film Million Dollar Baby e dal francese il saggio Perché
i mega-ricchi stanno distruggendo il Pianeta di Hervé Kempf.
Per minimum fax ha tradotto i Racconti dell'Età del Jazz
di Francis Scott Fitzgerald.
I suoi libri sono stati pubblicati in Germania, Francia, Spagna, Catalogna,
Paesi Bassi, Grecia, Russia, Romania, Repubblica Ceca, Corea del Sud,
Turchia.
Dal 2007 al 2009 ha diretto il Bookstock Village della Fiera del Libro
di Torino. Nel 2014 ha diretto la sezione Officina del Salone del Libro
di Torino. Dal 1994 collabora con l'inserto Tuttolibri del quotidiano
La Stampa, occupandosi solo di autori stranieri. Cura da diversi anni
una rubrica sul settimanale Torinosette in allegato al medesimo quotidiano.
Nel corso degli anni ha intervistato tra gli altri Joe Strummer, Isabelle
Huppert, Fernanda Pivano, Bret Easton Ellis, Jonathan Safran Foer, Alberto
Arbasino, Joey Ramone, Bruno Dumont. Ha inoltre scritto il testo introduttivo
del libro fotografico "Piemonte" di Josef Koudelka (Magnum)
e collaborato con l'artista Paolo Grassino per la realizzazione del volume
Ossa Rotte.
Nel febbraio 2021 ha pubblicato il romanzo Il tempo di vivere con te,
dedicato al cugino Walter Alasia, militante delle Brigate Rosse, ucciso
dalla polizia durante un tentativo di arresto nel dicembre 1976.
Giuseppe
Culicchia tiene in serbo queste pagine da più di quarantanni.
Perché la morte di Walter Alasia, al cui nome è legata la
colonna milanese delle Brigate Rosse, è una storia dolorosa che
lo tocca molto da vicino: per il Paese è un fatto pubblico, uno
dei tanti episodi che negli anni di Piombo finivano tra i titoli dei quotidiani
e dei notiziari televisivi; per lui e la sua famiglia è una ferita
che non guarirà mai. Walter Alasia, di anni venti, era figlio di
due operai di Sesto San Giovanni. Giovanissimo aveva cominciato la sua
militanza in Lotta Continua, ma poi era entrato nelle fila delle Brigate
Rosse. Nella notte tra il 14 e il 15 dicembre 1976 la polizia fece un
blitz a casa dei suoi genitori per arrestarlo. Lui aprì il fuoco,
e nel giro di pochi istanti persero la vita il maresciallo dellantiterrorismo
Sergio Bazzega e il vicequestore di Sesto San Giovanni Vittorio Padovani.
Subito dopo tentò di scappare, ma venne raggiunto dai proiettili
della polizia.
Giuseppe allepoca ha undici anni e Walter è suo cugino. Ma
in realtà è molto di più: è il fratello maggiore
con cui non vede lora di passare le vacanze estive, che gli insegna
a giocare a basket, che lo carica sul manubrio della bicicletta e disegna
per lui i personaggi dei fumetti che ama. È un ragazzo affettuoso,
generoso, paziente, e agli occhi di Giuseppe incarna un esempio.
In questo memoir asciutto e allo stesso tempo accorato Culicchia ricostruisce
ciò che da bambino sapeva di Walter, scavando nei propri ricordi
alla ricerca dei germi di ciò che sarebbe stato, e lo confronta
con quello che crescendo ha appreso di lui dalla sua famiglia, ma anche
dai giornali e dai libri di storia. E così facendo racconta gli
anni della lotta armata e del terrorismo da una prospettiva assolutamente
unica.
Non cè vittimismo, non cè retorica, cè
il dolore di un bambino che a undici anni perde in una sola notte un affetto
immenso e tutte le certezze che credeva di avere, unito alla lucidità
di un grande scrittore che ha cercato per oltre quarantanni la giusta
distanza per raccontare questa storia.
Abel Wakaam: Ciao Giuseppe, dalla tua biografia emergono storie
difficili che raccontano temi complessi. Ne "Il tempo di vivere
con te" si percepisce una forma infantile di ammirazione per
la figura del cugino a cui eri molto legato, appartenente alle Brigate
Rosse. Fino a che punto le sue idee hanno condizionato la tua giovinezza?
Giuseppe Culicchia: Non si tratta in realtà di una forma infantile
di ammirazione nei confronti di Walter: chiunque lo abbia conosciuto non
ha potuto fare a meno di amarlo. Walter era amato da tutta la nostra ampia
e variegata famiglia, visto che sua madre oltre a mia madre aveva un'altra
sorella e altri tre fratelli con il relativo corredo di figli e cugini.
Certo il mio rapporto con lui era particolarmente stretto, ma le sue idee
non hanno condizionato la mia giovinezza: è casomai la sua morte
ad avere segnato la mia vita.
Abel Wakaam: Il tuo libro comincia con una canzone di Battisti:
Che anno è. Che giorno è. È, questo, il tempo
di vivere con te. Sono passati quarant'anni da quei giorni. Sono rimasti
ancora così incisi profondamente nella tua memoria?
Giuseppe Culicchia: Non è vero che il tempo guarisce le ferite.
Ho cominciato a scrivere da ragazzo perché volevo scrivere questo
libro, e se sono trascorsi 45 anni prima che ci riuscissi è perché
affrontare questa storia era per me troppo doloroso. Per decenni ho avuto
un file vuoto sulla scrivania del mio computer, intitolato semplicemente
"W.A.". Ora che finalmente ho scritto "Il tempo di vivere
con te" ho scoperto che ogni volta che rileggo quelle pagine sono
di nuovo lì con lui. Per quanto mi riguarda, questo dà un
senso a tutte le pagine che ho scritto in precedenza, e in generale al
mio lavoro di scrittore.
Abel Wakaam: Racconti di lui come se fosse ancora un compagno
di giochi, della sua pazienza e della gioia di rivederlo dopo una lunga
assenza. Ma nel gioco, lui era un soldato vero, diverso da quelli di plastica
che allineavi sul tavolo della cucina di zia Ada. Eri consapevole fin
da allora quale fosse il suo vero ruolo nella vita?
Giuseppe Culicchia: Tranne sua madre, con cui si era confidato in
virtù del rapporto d'amore e di fiducia che li legava, nessuno
sapeva della scelta di Walter e tantomeno avrebbe potuto immaginarsela.
Walter era una persona piena di vita, di senso dell'umorismo, affettuosa
e generosa, impossibile da conciliare con lo stereotipo del "terrorista"
o del "mostro".
Abel Wakaam: La morte di Walter avvenne in un scontro a fuoco.
Due poliziotti bussarono alla porta di casa e andarono dritti sino alla
stanza dove stava dormendo. Lui impugnò la sua Luger e aprì
il fuoco, uccidendoli entrambi sul colpo. Erano il maresciallo dell'antiterrorismo
Sergio Bazzega e il vicequestore Vittorio Padovani, due fra le tante vittime
di quegli anni di piombo, che nessuno forse ricorda. Walter Alasia si
infilò i calzoni e provò a fuggire dalla finestra. Fu colpito
da una scarica di mitra e restò a terra. I genitori seppero solo
in un secondo momento che il figlio fosse morto. Si racconta che uno dei
poliziotti invitò il padre in un bar per prendere un caffè,
e insistì per pagarlo lui. Invece tu, come sei venuto a sapere
cos'era accaduto? Cosa ti raccontarono allora?
Giuseppe Culicchia: Allora seppi cos'era successo in un primo momento
dalla tivù e dai giornali, e poi da mia zia, la madre di Walter,
nel momento in cui fu possibile rivederci. In base a quello che mi raccontò
lei, e a quello che ho potuto ricostruire dalle testimonianze dei barellieri
che per primi arrivarono sul luogo, Walter venne finito con un colpo di
pistola dopo che, ferito alle gambe, giaceva inerme nel cortile di casa.
Questo naturalmente non toglie nulla al fatto che fu lui il primo a sparare
e uccidere; solo, mi pare che giustiziare così un colpevole di
omicidio sia stato un modo singolare di esercitare la giustizia da parte
di uno Stato democratico. Non a caso, esiste nelle teche Rai l'intervista
a uno dei poliziotti che quella mattina parteciparono all'operazione,
secondo cui si trattò di una sconfitta dello Stato. Walter era
stato individuato da almeno un anno. Era pedinato, il telefono di casa
era stato messo sotto controllo. Avrebbero potuto arrestarlo senza alcuno
spargimento di sangue nel momento in cui andava a comprare i giornali
o il gelato.
Abel Wakaam: Nel libro, dipingi la figura di zia Ada in modo toccante,
quasi fosse per te una seconda madre. Morì giovane, col cuore spezzato
dalla perdita del figlio, perché una madre è una madre e
basta... e non può accettare che le venga strappato dalle braccia
chi ha tenuto in grembo per nove mesi. In qualche modo hai preso il posto
di Walter nei suoi abbracci?
Giuseppe Culicchia: La zia Ada è stata davvero per me una seconda
madre, ma nessuno avrebbe potuto prendere il posto di Walter.
Abel Wakaam: La storia che hai raccontato ha il sapore di un pentimento
tardivo. Hai espresso dolore anche per chi, a causa di Walter Alasia,
ha subito un lutto straziante. Altre madri e altri padri... e fratelli
che in quegli anni hanno pagato le parentele con un "difensore dello
Stato", persone innocenti che, per poche lire al mese, dovevano trasformare
il piombo in oro, per riportare tutti noi in un Paese di pace. A distanza
di tanti anni, ritieni di essere riuscito davvero a non schierarti?
Giuseppe Culicchia: Un pentimento tardivo? In che senso? Da parte
mia, per quanto riguarda questa storia non ho davvero fatto nulla di cui
pentirmi. Avevo 11 anni all'epoca! Oggi che ne ho 55, e che sono padre,
non giustifico ciò che ha fatto Walter e sono consapevole del dolore
che lui ha arrecato a due famiglie, facendo delle vedove e degli orfani.
A me interessava capire il perché della sua scelta di entrare nelle
Brigate Rosse e la ragione per cui quella mattina sparò per primo.
Detto questo, il mio amore per lui non è cambiato.
Abel Wakaam: L'ultima domanda è una provocazione. Proverai
mai a scrivere un romanzo che racconta di sola felicità? E quale
consiglio ti senti di dare agli scrittori e scrittrici emergenti?
Giuseppe Culicchia: Spero di riuscirci un giorno. Il consiglio è
leggere, leggere, leggere e ancora leggere. Poi ascoltare, e osservare.
E solo dopo aver letto e ascoltato e osservato provare a scrivere.
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