Dario
Galimberti è architetto e vive a Lugano, in Svizzera. Responsabile
del corso di laurea in Architettura della Scuola Universitaria Professionale
della Svizzera Italiana (SUPSI) e professore in progettazione architettonica,
nel 1991 ha ricevuto per la sua attività di architetto il prestigioso
Premio internazionale di architettura Andrea Palladio e nel 2010, per
quella accademica, il premio Credit Suisse Award For Best Teaching. Ha
pubblicato numerosi scritti specialistici su riviste di settore e alcuni
testi professionali tra i quali: La Santa casa Lauretana a Sonvico (2003)
e Gli strumenti da disegno prima del computer (2009).
Nel 2014 esce il suo romanzo d'esordio: Il bosco del Grande Olmo
e l'anno dopo Lo chiameremo Argo. Con Libromania ha pubblicato
Il calice proibito (2015), il racconto Augusta Raurica (2016),
L'angelo del lago (2017) e Un'ombra sul lago vincitore di
diversi premi letterari.
Sulla rivista Opera Nuova (2019/2) dedicata ai cambiamenti climatici,
ha pubblicato il racconto La città nel deserto (2019), e
in seguito La storia di come hanno salvato il mondo (2020).
Il suo ultimo romanzo è La ruggine del tempo
(2021 Libro Mania)
Lugano,
1881. Una banda di ladri penetra nel castello di Trevano e fa razzia di
preziosi. Poco dopo Vera von Derwies, figlia del barone proprietario del
castello, muore in seguito a una caduta da cavallo. E nei giorni seguenti
la tragedia torna ad abbattersi sul castello: vengono trovati senza vita
lo stesso barone e un giovane inserviente, Nuto. Cinquant'anni dopo, l'anziana
Liside chiama al proprio capezzale il figlioccio Ezechiele Beretta, massima
autorità della polizia cittadina, e gli chiede di indagare sulla
morte di Vera. Ormai prossima alla fine, la donna - all'epoca dei fatti
in servizio al castello - non riesce a darsi pace: è convinta che
quella caduta da cavallo non sia stata accidentale. Nonostante le circostanze
della richiesta e le prove inconsistenti, Beretta si interessa al caso:
assistito dall'appuntato Bernasconi appura che le teorie di Liside sono
più plausibili del previsto, e qualcosa non quadra neanche nella
morte del povero Nuto. L'indagine storica si sovrappone a quella su una
morte più recente e altrettanto misteriosa, che porta il Beretta
a scontrarsi con personaggi in vista della Lugano che conta e tinge di
sangue le acque blu del lago che bagna la città.
Abel Wakaam: Ciao Dario, da architetto progettista ad architetto
di intricate trame letterarie il passo sembra improponibile, invece per
te è stata una trasmigrazione naturale. Puoi raccontarmi com'è
avvenuta?
Dario Galimberti: Un progetto darchitettura nella fase iniziale
necessita da subito di un approccio concettuale già
caratterizzante degli intenti formali, funzionali e strutturali che costituiranno
lopera. In pratica, per citare Etienne Louis Boullée, famoso
architetto illuminista: La concezione dellopera ne precede
lesecuzione. I nostri antichi padri costruirono le loro capanne
dopo averne creata limmagine.
Questo modus operandi, dove limmagine finale devessere già
chiara nella mente nella fase iniziale, è trasferibile in altri
processi creativi e in particolare in un romanzo giallo, dove gli intrecci
devono essere congruenti come i lati e gli angoli di un poligono regolare:
come la geometria alla base dellarchitettura.
Oltre alle similitudini sul metodo progettuale la trasmigrazione
credo sia avvenuta anche attraverso il modo di presentare i progetti.
Ho sempre cercato, nelle così dette relazioni tecniche
che accompagnano i progetti, di ignorare il tecnicismo per dare spazio
alla narrazione, cosa poco di disciplina, ma in verità molto meno
noiosa. Il tempo ha fatto il resto.
Abel Wakaam: Nei tuoi libri racconti le indagini del delegato
di polizia Ezechiele Beretta. Da dove arriva questo nome atipico?
Dario Galimberti: La figura del delegato di polizia, nata nel
cantone Ticino allinizio del 1900 e scomparsa da qualche anno, è
paragonabile a quella del commissario. In Italia il nome delegato di polizia
compare nella canzone Porta Romana nella versione di Nanni
Svampa, presumo quindi che tale funzione fosse in uso anche in Lombardia.
Il cognome Beretta è molto comune dalle mie parti, e come con altri
personaggi ho utilizzato cognomi locali piuttosto diffusi. Trattandosi
poi di un romanzo poliziesco mi piaceva lassonanza con il tenente
Baretta, della serie televisiva della seconda metà degli anni Settanta
interpretata da Robert Blake. Ezechiele invece è un nome antico,
biblico, che aveva ricevuto da Dio una missione impossibile a Babilonia,
quindi un significato adatto al personaggio.
Abel Wakaam: Nell'incipit del tuo ultimo romanzo citi una frase
di Erich Maria Remarque, tratta da "Niente di nuovo sul
fronte occidentale" che dice: "E il silenzio è
il motivo per cui le immagini del passato non suscitano desideri ma tristezza,
una enorme sconsolata malinconia".
La tua storia è infatti ambientata nel lontano 1881. Come mai questa
scelta?
Dario Galimberti: Un episodio di fantasia, come spesso avviene
nel romanzo, si intreccia con un fatto reale. Il delegato Beretta, come
molti, ama bere il caffè al bar e leggere il giornale. Il primo
giorno dellanno non cerano quotidiani, ma solo una rivista:
lIllustrazione ticinese del 31 dicembre 1931 che riportava alcuni
estratti del romanzo "nuovo di zecca" Niente di nuovo sul
fronte occidentale di Erich Maria Remarque, e questo è
vero. Leggendo a questo proposito il romanzo di Remarque non ho potuto
non comparare i giovani uccisi al fronte e abbandonati nelle trincee,
con la morte del giovane Nuto ucciso in un modo così esecrabile:
morti inutili semmai ce ne fossero di utili. Sovrapponendo le immagini
di questi fatti, mi pare che lenorme sconsolata malinconia indicata
da Remarque sia il giusto sentimento per tanta ignominia.
Abel Wakaam: Un episodio di fantasia, unito a un fatto realmente
accaduto, crea un intreccio che conduce il lettore a seguire la vicenda
con maggior interesse, ma allo stesso tempo c'è il rischio di distrarlo,
innescando la sua curiosità verso informazioni esterne. Non è
certo il tuo caso, perché la tua scrittura semplice e diretta,
così corredata dalle parole dei protagonisti, lo trascina invece
nel tuo mondo, esattamente così come lo descrivi. Quanto sono importanti
i dialoghi in un romanzo?
Dario Galimberti: Un editor con cui mi sono confrontato mi ammoniva
non appena i dialoghi superavano le tre righe, definendoli: monologhi
verbosi, didascalici, retorici e monotoni. Io pensavo a quelli di Dostoevskij
lunghi interi capitoli: come cambia il tempo. I dialoghi sono essenziali
e dovrebbero comparire nei momenti fondamentali, magari evidenziando i
conflitti e gli stati danimo dei vari personaggi, intercalati da
interventi narrativi che descrivano espressioni facciali, movimenti degli
arti, del corpo e quantaltro. Da ultimo credo che una buona parte
della caratterizzazione passi proprio per i dialoghi, e questo ne sottolinea
limportanza.
Abel Wakaam: Scrivere una serie legata allo stesso protagonista,
da un lato semplifica la caratterizzazione del personaggio, ma dall'altro
rischia di ricadere nel déjà-vu. Dopo "Un'ombra
sul lago", come sei riuscito a far rivivere Ezechiele in questa
nuova avventura?
Dario Galimberti: È vero. Esiste una complicazione nello
scrivere dei romanzi con lo stesso protagonista se non si chiama Montalbano,
così noto ai lettori che non vi è più la necessità
di caratterizzarlo. I romanzi che io chiamo del Beretta sono
autoconclusivi, per cui ogni storia è autonoma. Consapevole però,
se confrontato con lo stesso lettore, di arrischiare di ripetermi e di
essere noioso, ho così cercato delle strategie per diversificare
le descrizioni fisiche e quelle dei luoghi. La definizione dei caratteri
dei personaggi invece è risultata più semplice, in quanto
le diverse situazioni hanno permesso di cogliere le reazioni e gli atteggiamenti
dei protagonisti, senza per forza cadere in un déjà-vu.
Abel Wakaam: Dal Fantasy all'avventura del cane Argo, poi sei
entrato prepotentemente nel mondo oscuro del genere giallo/thriller. Un
passo importante, dove tessere trame intricate diventa anche una ricerca
spasmodica di idee originali. Cosa ti ha condotto tra i bivi incerti di
questo sentiero complesso?
Dario Galimberti: Un giorno scrissi un incipit che mi ruotava
nella testa, mi pareva simpatico, e qualcuno mi disse: Dai, vai
avanti
, e così scrissi il mio primo romanzo di narrativa.
Poi mi vennero altre idee avventurose, finché il mio interesse
per i gialli e thriller si impose. Oltre alla trama classica: buoni, cattivi,
intrecci, intrighi, ecc., mi piace parlare anche delle persone, della
quotidianità, dello spazio, dellarchitettura e di quantaltro
accade nel tempo della narrazione. Ad esempio, nellultimo romanzo
La ruggine del tempo, in aggiunta alla particolare attenzione
per il patrimonio costruito, mi sono soffermato su temi sempre attuali,
come il dramma della migrazione, il bullismo e forse altro. In questo
senso il contenitore giallo permette di parlare di differenti
situazioni e magari rendere accattivanti temi che potrebbero risultare
ostici.
Abel Wakaam: Puoi raccontarmi come sei arrivato alla pubblicazione
del tuo primo libro? Ti chiedo inoltre che consiglio daresti agli autori
emergenti di Writer Officina?
Dario Galimberti: Il primo libro, Il Bosco del Grande Olmo
fu il frutto di tanta ingenuità ma anche di tanta voglia di provarci.
Conscio da subito che avrei avuto bisogno di un editing cercai su Internet.
Trovai una società esperta nel settore e i loro editor mi aiutarono
a sistemare il romanzo dandomi numerosi consigli. Riuscirono anche a trovare
un piccolo editore che lo pubblicò. Ero anche conscio che se avessi
voluto continuare a scrivere, un libro pubblicato avrei dovuto averlo.
Quella prima esperienza mi aiutò a comprendere il complesso mondo
delleditoria. In Italia vengono pubblicati più di 230 libri
al giorno, il che fa capire quanto sia difficile trovare un po' di spazio
su uno scaffale di una libreria. In analogia con il mestiere dellarchitetto,
dove il concorso è il miglior modo per avvicinarsi ai mandati significativi,
ho preso quella strada.
Oltre alla mia esperienza, aggiungo una riflessione di Ezechiele Beretta,
magari utilizzabile come consiglio: Bisogna anzitutto crederci.
E poi, per qualche fenomeno inspiegabile, uninterferenza astrale,
aliena, o chissà cosaltro, magari solo fortuna, le cose si
avverano. Ma bisogna crederci.
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