Ariase
Barretta. È nato in un quartiere popolare di Napoli. Si è
laureato allIstituto Orientale, per poi proseguire gli studi presso
le università di Modena, Barcellona e Madrid. Alla passione per
la scrittura ha sempre affiancato quella per la musica, dedicandosi allo
studio della teoria musicale, del pianoforte e della composizione corale
presso i conservatori di Salerno e Benevento. Ha lavorato come redattore
e traduttore per numerosi network televisivi italiani e internazionali
e per varie case editrici. Attualmente si dedica allinsegnamento
nellambito degli studi linguistici e letterari di area spagnola
e ispanoamericana.
Nel 2009 ha vinto il Premio Letterario "La voce dei Sogni; a cui
ha fatto seguito la pubblicazione di "Litany". Successivamente
ha pubblicato i romanzi "Darkene" (2012), "Psiconsintesi
della forma insetto" (2'14), "H delle sette piaghe"
(2015), premiato come miglior noir al Festival "Giallo al centro"
di Rieti e in seguito "Living fleshlight" (2018). Nello
stesso anno ha fondato con la performer Manuela Maroli il duo di Letteratura
Performativa Sacrificium Viduae, con cui ha realizzato le opere "Luce
di come vivo" e "Le Lacrime di Venere", Attualmente si
occupa di "Queen arte e Trasmodernismo, con particolare riferimento
all'opera dell'artista cileno Pedro LemebeL.
Il suo ultimo romanzo è "Cantico dell'Abisso".
"Cantico
dell'abisso" è il ricordo di un'estate che racchiude tutto
il simbolismo della scoperta, dei sogni, della consapevolezza, della violenza
e dell'accettazione di sé. È la storia di Davide, di situazioni
apparentemente incredibili, di messe in scena che servono in modo utile
e funzionale a raccontare la verità o, se si vuole, una delle tante
realtà possibili. È la vicenda di un tredicenne che vive
a Bologna e che ama visceralmente suo padre, Osvaldo, in modo morboso,
incapace di stabilire un limite o un oltre che non deve essere travalicato.
Davide affronta la sua acerba consapevolezza in modo aperto, in un viaggio
che lo porterà all'emancipazione e categoriche scelte di vita,
non ultima quella di convivere serenamente con la propria omosessualità
e con la decisione di diventare transgender. Nel romanzo di Ariase Barretta
nulla è più potente della realtà, in una narrazione
fluida che mescola passato e presente, dolore e promesse di una vita migliore.
Abel Wakaam: Ciao Ariase, rompo subito gli indugi con una domanda
scomoda e diretta: la pubblicazione di "Cantico dell'Abisso"
è un atto di coraggio o, considerati i tempi, una sapiente operazione
di marketing?
Ariase Barretta: Ciao Abel, mi piacerebbe molto essere capace
di realizzare una bella operazione di marketing e finire in testa alle
classifiche di vendita, purtroppo, però, sono negato per quel tipo
di cose. Anzi, secondo gli editori sembra quasi che io faccia di tutto
per rendermi la vita difficile. Basta guardare i tempi di attesa per la
pubblicazione dei miei romanzi per capirlo. Ho impiegato ben quattro anni
per trovare un editore disposto a pubblicare "Cantico dell'abisso".
Quattro anni che sono comunque ben poca cosa se paragonati ai sedici anni
di attesa per pubblicare "H dalle sette piaghe".
Abel Wakaam: Nei tuoi testi hai sempre affrontato temi scomodi
e fuori dagli schemi, ti ritieni un transcreazionario anche quando scrivi
storie dal profondo della tua anima, oltre che nelle traduzioni di libri
come il "Prometeo male incatenato" di André
Gide?
Ariase Barretta: Tradurre il "Prometeo male incatenato"
è stato come affondare le mani nel fango della creazione, un grande
privilegio. Considera che si tratta di uno dei libri che ho amato di più
nella vita. Dal mio punto di vista, la transcreazione è una possibilità
molto valida quando i romanzi nella loro versione originale non sono più
fruibili in modo efficace, eppure si tratta di una tecnica usata quasi
esclusivamente nella comunicazione pubblicitaria. Io credo, invece, che
sia perfetta anche per l'ambito letterario. La traduzione di Julio
Cortázar delle "Mémoires d'Hadrien",
per esempio, è in fondo una transcreazione. E non si tratta dell'unico
caso che potrei citare. Ecco, Cortázar è sicuramente
uno dei miei maestri, sia come scrittore che come traduttore. A ogni modo,
per me è fondamentale non smarrire mai il senso della creazione,
forse proprio perché tratto temi scomodi e spesso scabrosi. Gli
argomenti di cui parlo si appiattirebbero sul linguaggio del mezzo televisivo
senza un opportuno lavoro creativo sulla lingua e sulla struttura del
romanzo.
Abel Wakaam: Il "Cantico dell'Abisso" sembra
averti condotto al di là dei tuoi limiti. A questo punto, ti sei
già chiesto cosa sarà del poi?
Ariase Barretta: "Cantico dell'abisso" è
il primo capitolo di una trilogia di romanzi ambientati a Bologna e so
già che non troverò pace finché non avrò portato
a termine l'intera opera. L'approccio è grosso modo quello della
trilogia su Napoli (Darkene, Psicosintesi della forma insetto, H dalle
sette piaghe), in cui mescolavo lo psico-noir con tinte di iperrealismo
sociale. In alcuni momenti, sono tentato di interrompere ogni contatto
con la realtà. Ho scritto un romanzo fantasy, molto lungo, forse
proverò a pubblicarlo. Sì, direi che l'ideale per me sarebbe
provare a evadere da questo mondo. Mi piacerebbe anche iniziare a scrivere
romanzi del terrore, ho già pubblicato alcuni racconti di questo
genere e sono stati molto apprezzati, ma anche gialli, libri di avventura...
Sono molto appassionato di letteratura e cinema di genere.
Abel Wakaam: Sei uno degli esponenti migliori e meno scontati
della letteratura Lgbt italiana. Lo ritieni un pregio, un peso oppure
un interessante marchio di fabbrica?
Ariase Barretta: Non sono in grado di risponderti, anche perché
nell'ambito degli scrittori LGBT+ non credo di godere di una particolare
considerazione. A ogni modo, di certo per me non rappresenta un peso essere
associato a quella realtà; tutt'altro, lo considero un privilegio!
Ho profondamente amato tanti romanzi considerati classici della cultura
gay come "Scende giù per Toledo" di Patroni
Griffi o "Seminario sulla gioventù" di Busi,
giusto per citare due opere italiane. Da anni mi occupo come ricercatore
dell'opera dello scrittore e artista cileno Pedro Lemebel, che
era anche un militante transfemminista. Però devo anche confessarti
che credo poco in certe etichette. Io cerco l'archetipico, ciò
che va oltre il genere. Forse potrei autodefinirmi uno scrittore pan-genere
o, meglio ancora, de-genere.
Abel Wakaam: Hai più volte affermato: "Racconto
storie difficili, parlo spesso di cose di cui non si vuole sentire parlare.
Eppure credo che nei miei libri ci sia anche un'incredibile luce".
Puoi decriptare meglio quest'ultima frase?
Ariase Barretta: Spesso i miei lettori mi scrivono per dirmi che
nella lettura dei miei romanzi hanno trovato molto conforto. C'è
sempre un sentiero di luce nelle mie storie, persino in "Living
Fleshlight", che tutti considerano il mio libro più violento
e crudele. Quando una delle ragazze riesce a salvarsi, nel finale, e si
rende conto di non aver mai visto il mare in vita sua... Ecco, quella
epifania improvvisa e inattesa è un momento di grande luce. Con
il tempo mi sono reso conto che il mio primo romanzo, "Litany",
è un'opera profondamente religiosa. Forse è per quello che
Caterina Falconi e Francesca Bonafini mi hanno chiesto di
partecipare al progetto dell'Editore Avagliano "La vita invisibile"
che ha come tematica proprio la spiritualità, il divino. Chi avrebbe
mai potuto immaginare che avrebbero coinvolto proprio me che non appartengo
a nessuna religione?
Abel Wakaam: Tratto da il "Cantico degli abissi":
"Erano maschi che giocavano tra loro, in assenza delle donne.
Maschi che finalmente potevano dare libero sfogo alle proprie fantasie,
lontani dagli sguardi e dal giudizio delle loro compagne. E che nascondevano
proprio in quelleccesso di virilità, forzato e quindi poco
credibile, quella che era la debolezza più evidente della loro
sessualità, ossia lincapacità di essere realmente
se stessi. Non sarebbero stati in grado di lasciarsi andare come probabilmente
avrebbero voluto. Erano soffocati, sconfitti da anni, o forse secoli,
di insegnamenti su ciò che è giusto e ciò che non
lo è. Ma quando si denudarono per fare il bagno nel fiume, i loro
corpi non mancarono di tradire le intenzioni della loro volontà,
dissipando la menzogna e rivelando ciò che le loro azioni e le
loro parole non avevano e non avrebbero mai osato dire".
Insegnare la sessualità può confondere la sessualità?
Ariase Barretta: In una società sana insegnare l'educazione
sessuale dovrebbe essere la norma. Ciò significa che bisognerebbe
anche far capire ai ragazzi che esistono generi sessuali che si discostano
dalla cosiddetta "norma", individui non binari o dal genere
fluido, orientamenti diversi da quello eterosessuale... Bisognerebbe insegnare
a tutti, sin da subito, che non c'è niente di male in tutte queste
cose. È importante farlo, soprattutto per aiutare i bambini e gli
adolescenti che vivono con disagio il rapporto con la propria unicità,
che si sentono non adeguati, non accettati e temono di essere soli. Io
sono stato adolescente negli anni '80, come Davide, il protagonista di
"Cantico dell'abisso", e per quelli della mia generazione
è stato molto difficile fare i conti con lo sguardo accusatorio
e repressivo della società dell'epoca. Le cose per fortuna stanno
cambiando, ma temo che il cammino sia ancora lungo. In una delle scuole
in cui ho insegnato, per esempio, era stato attivato un progetto extracurriculare
di Educazione sessuale, ma l'obiettivo era solo quello di fare del terrorismo
sulle malattie a trasmissione sessuale. Una vera tristezza.
Abel Wakaam: Sempre tratto dal tuo ultimo libro: "Al rossetto,
dato con il pennarello rosa, intanto, si stava aggiungendo un neo finto
sulla guancia. E il contorno labbra non ce lo vogliamo mettere? In quegli
anni andava molto di moda. E giù di pennarello nero. Guarda qui,
Mauro, guarda che roba sexy sto diventando. E nel frattempo lui aveva
preso quello azzurro dalla scatola e afferrandomi la testa mi aveva detto
di non muovermi. Questo è lombretto. Sta buonino così,
altrimenti va a finire che ti cieco un occhio. Due macchie celesti sulle
palpebre che mi facevano somigliare a David Bowie nel video di Life On
Mars".
C'è un momento particolare in cui si smarrisce l'innocenza e si
comincia a guardare il mondo in modo diverso, seppur con gli stessi occhi
di un ragazzo?
Ariase Barretta: Il mio modo di guardare il mondo è cambiato
quando avevo dieci anni e alcuni ragazzi della mia scuola mi hanno costretto
a mangiare la cacca di un cane. Ritenevano giusto e doveroso punirmi per
la mia diversità. Ciononostante io non ho mai smarrito la mia innocenza,
mi considero ancora un individuo di assoluta purezza.
Abel Wakaam: Qual è il presente e il futuro della letteratura
Lgbt in Italia?
Ariase Barretta: Qualunque movimento di lotta per i diritti di
una minoranza deve puntare alla potenziale estinzione di se stesso. Se
non lo fa vuol dire che non sta lottando nel modo giusto. Ottimisticamente,
potrei dire che in futuro non ci sarà più bisogno di utilizzare
espressioni come "letteratura LGBT+". Si tratterà,
forse, di una connotazione di carattere puramente filologico, un capriccio
per teorici della letteratura. Per quanto mi riguarda io aspiro alla purezza
del Rebis alchemico. Per me la letteratura è sacra, è
la dimensione delle conoscenze archetipiche e in quanto tale, essendo
al di sopra di tutte le cose, non può avere genere di nessun tipo.
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