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Autore: Giuseppina Valla
La forza dell'edera
Narrativa
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La forza dell'edera
La storia di una famiglia piemontese.

Il mio nome è Annetta e da tutti sono chiamata “quella dell'Edera”. Per me l'edera non è un semplice arbusto, è una componente importante della mia vita. Sulle sue foglie, come sulle pagine di un libro, sono stampate le illusioni, le sofferenze, le gioie, le conquiste di chi mi ha voluto bene. Mi piace sfogliarle per rivivere quei momenti. In quella splendida giornata di metà settembre, pur mancando pochi giorni all'inizio dell'autunno, l'aria era tiepida e avvolgeva con delicatezza il piccolo paese situato nella zona a sud del capoluogo piemontese. Dominato da una corona di montagne dalle cime alte e a tratti già un po' imbiancate, emergeva con prepotenza dalla vastità della pianura, disseminata da una miriade di altri piccoli centri con la loro caratteristica chiesa, un vecchio castello e le vie brulicanti di contadini. I pioppi alti e ancora abbastanza carichi di foglie segnavano il confine tra la terra e il cielo e, posti sui margini dei prati, sembravano voler difendere quel grande mare verde ondeggiante di erba e di foraggi, punteggiato di semplici abitazioni. Si temeva che il fresco cominciasse a farsi sentire, invece i raggi del sole erano forti e riuscivano a rinvigorire anche le ossa intirizzite dei più vecchi. Proprio loro, da più di mezz'ora, erano sistemati nei lucidi banchi della chiesa e, quando si alzarono le spesse tende di velluto, furono i primi a squadrare dalla testa ai piedi il nutrito corteo di parenti che si apprestava a partecipare al matrimonio. Era quello l'evento di cui si parlava da mesi perché la sposa non era figlia di contadini, ma dello speziale del paese, considerato il fidato garante della salute di tutti; a lui ci si rivolgeva quando i bambini erano colpiti da terribili mal di pancia e gli adulti tossivano per una stagione intera. Il suo negozio, anche se si era solo agli inizi del novecento, sfavillava di capienti ampolle di ceramica blu, beige e sul vetro della porta d'ingresso, il verde e grosso serpente attorcigliato intorno alla spada, attirava subito l'attenzione di chi svoltava l'angolo della via principale. Le pareti, verniciate con una sobria mano di bianco, erano più pulite di quelle della sala consiliare del municipio e il bancone di noce scura, intarsiato con cura, conservava gelosamente dietro le vetrinette scorrevoli i medicinali più usati. In mezzo, sul lucido del marmo, spiccava un'imponente bilancia di ferro con i piattini di ottone lucidissimi sui quali l'uomo dosava con attenzione il contenuto dei diversi pacchetti consigliati per ogni tipo di disturbo. Era stato proprio lui ad offrire alla figlia il braccio per farla scendere dal calesse nuovo di zecca noleggiato in un paese vicino per l'occasione. 5 L'attesa apparizione aveva di colpo riempito il sagrato della chiesa e le comari erano rimaste a bocca aperta nel vedere la giovane avvolta in un vaporoso completo di raso della tonalità dell'avorio. Il bolero, contornato di colore marrone, metteva in risalto il bianco nitido della camicetta di pizzo sottostante e cadeva mollemente sulla lunga gonna ampia alla base e notevolmente stretta in vita. Di sotto le scarpine, dello stesso colore del vestito, avevano la borchia tempestata di perline di madreperla uguali a quelle che luccicavano sulla papalina che ricopriva i lunghi capelli biondi, raccolti in una raffinata e corposa treccia. La sposa, con la grazia di una madonnina raggiante, avanzava con passo sicuro sulla guida di panno rosso srotolata all'ultimo momento dal vecchio sacrestano e si attaccava sorridente al padre, trionfante come un generale vittorioso. Lo sposo, mio fratello, era già all'altare ed aspettava, timidamente inginocchiato, sul morbido cuscino dell'elegante sedia in stile che la perpetua tirava fuori dalla cappella del Sacro Cuore per i matrimoni più importanti. Non era solo la particolarità del momento a conferirgli un'aria un po' spaurita, ma il timore di non essere all'altezza della situazione e di non far fare bella figura alla sua amata ed ai suoi stimati genitori. Era estremamente nervoso e continuava a muoversi come se sotto le ginocchia ci fossero i gusci delle noci che la severa maestra del paese metteva agli alunni più indisciplinati. Gli occhi scuri ed impazienti lo facevano sembrare un discolo desideroso di allontanarsi a scorrazzare nei prati, ma con i suoi ventun anni si sentiva un uomo fatto, perfettamente in grado di mettere su famiglia e, anche se tutti gli avevano detto che quella ragazza era un tipo troppo signorile per andare ad abitare in cascina, lui aveva dato ascolto solo al suo cuore e a niente altro. Sapeva che non le poteva offrire gli agi della casa dello speziale, ma era sicuro di garantirgli per sempre il suo amore. Quella era la sua unica ricchezza tanto è che per acquistare i mobili aveva dovuto farsi prestare i soldi da un vecchio zio e la guardaroba della camera da letto gli era stata regalata da un lontano cugino che abitava a Torino. I miei genitori l'avevano aiutato poco perché avevano appena finito di pagare il bel pezzo di terra che i vecchi avevano coltivato da sempre e su cui si ergeva una grossa casa con una stalla bassa e stretta proprio attaccata. Da anni la mia famiglia aveva lavorato giorno e notte senza tregua e adesso che non doveva più pagare l'affitto al padrone, doveva continuare a fare sacrifici per comprare altre giornate di terreno. “La terra è la ricchezza più sicura!” continuava a ripetere ogni sera mio nonno seduto sulla lunga panca della cucina “è lì e nessuno può portarsela via. Non si rovina come il mattone e non si perde per strada come il denaro. Per questo voi dovete continuare a lavorare onestamente per allargare la proprietà. 6 Quando io non ci sarò più i vostri figli vi ringrazieranno, eccome vi ringrazieranno!”
Ora la sposa si stava avvicinando e, con lei vicino, anche l'inginocchiatoio diventava a poco a poco più comodo. Il giovane si spostò per accarezzarla e, nonostante gli occhi severi del celebrante sembrassero dirgli di aspettare, le sfiorò la luminosa guancia con un bacio. Si stupì da solo per tutta questa audacia e notò negli occhi di lei un guizzo di piacevole sorpresa. Da quando aveva incontrato quella ragazza tutto era cambiato. Non si sentiva più l'impacciato di sempre che aveva paura di parlare con chi arrivava in cascina e che si sentiva fuori posto in mezzo agli altri. Improvvisamente, e precisamente da quando aveva avuto le attenzioni di una creatura così meravigliosa, si era reso conto che era diventato qualcuno e soprattutto una persona amata oltre misura. Il suo fisico alto, un po' dinoccolato e quel viso incorniciato da una massa di capelli sempre troppo folti e ribelli, avevano assunto una certa compostezza e anche il più insignificante aspetto del suo corpo aveva acquistato il giusto valore. Tutto quello che prima lo faceva sembrare goffo allo sguardo degli altri ora non gli comportava più problema, anzi se piaceva a lei era giusto che fosse così. Non si preoccupava nemmeno delle sue mani per cui, fin dai primi anni delle elementari, tutti lo prendevano in giro e la maestra, quando aveva la cattedra impolverata gli diceva di usarle, al posto di uno straccio, per pulirla. Con la crescita, invece di adeguarsi alla normale grandezza del fisico, esse sembravano evidenziarsi sempre più e apparivano ancora più lunghe e magre. Erano così sfilate che, poiché da lontano non si vedevano i calli e non si sentiva la ruvidità del palmo, potevano essere scambiate per quelle del pianista che, a volte, veniva a suonare durante la messa di mezzanotte a Natale. Nonostante la magrezza, però, avevano una forza incredibile e, quando c'era qualcosa da avvitare che richiedesse particolare energia, chiamavano tutti lui. Negli ultimi tempi, però, nessuno osava più prenderlo in giro e, appena due sere prima, la sua futura sposa le aveva detto che la fede le avrebbe rese ancora più belle. Le guance negli ultimi giorni, forse per la tensione, forse per il lavoro che c'era stato nei campi, erano un po' smunte, ma l'attesa per il matrimonio rendeva ancora più vivo il suo sguardo e l'accattivante sorriso da eterno bambino. Mentre tutto intorno l'ambiente era così serio, la gioia e la serenità che si sentiva dentro da mesi, ora in quella chiesa stavano veramente raggiungendo il culmine e lui sperava di poterle tenere a freno. Fin dall'inizio della loro relazione già il nome stesso della ragazza l'aveva fatto sognare: Gemma. Non aveva mai incontrato nessuna donna che si chiamasse così ed in quelle cinque lettere erano veramente racchiuse la grazia e 7 l'unicità della sua innamorata.

Giuseppina Valla

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