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Autore: Martina Tassini
Di uomini e di mondi
Racconti
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Di uomini e di mondi
"In poche settimane tutto era pronto, avevano imballato il necessario in quattro scatoloni, quattro. Anna li guardava. Arrivata a circa trent'anni si domandava se questa fosse la sua vita, quattro scatoloni medio grandi. Tutto qui?
Che la vita di chiunque si riconducesse a cosi poco? Che il passaggio di tutti su questo mondo sia cosi insignificante come quattro semplici scatolini per terra?
...
"Della maternità aveva un'idea differente: pensava che la bimba avrebbe colmato tutti i suoi vuoti e che sarebbero stati solo gioia e amore puro, come si vede nelle pubblicità.
Sola, con il marito dall'altra parte del mondo, mentre la figlia piangeva notte e giorno, Anna, impotente, a volte si rannicchiava in posizione fetale piangendo anche lei.
Cosa diceva quel filosofo che aveva studiato al liceo? "Che non esiste amore perfetto, solamente amore umano" o qualcosa del genere.
Questo si ripeteva per attutire il senso di colpa che provava verso quella innocente creatura e verso il segreto rancore che nutriva nei suoi confronti, pur amandola".

...

"Queste ventate di pensieri la rabbuiavano spesso, erano come ragnatele tessute notte e giorno nella sua mente e, per quanto cercasse di pulirle, qualcuna restava sempre.
...
Quella voragine di solitudine era tornata, ormai la sua mente era straripante di ragnatele che non provava neanche più a pulire.
...
La testa le girava, dei ragni enormi stavano tessendo labirintiche ragnatele dalle quali era impossibile farsi largo".


Dal racconto “siete nati per volare via”


"Chiudo gli occhi e guardo la mia immagine riflessa dal finestrino del treno, un libro di storia in mano, la vecchia copia che avevo al liceo, quella con la copertina rossa, fogli tenuti assieme dal nastro adesivo. Io sono così, i libri mi piace consumarli, specie quelli che amo, metto l'orecchia, sottolineo, scrivo note a margine.
Per gli adolescenti di oggi la storia è passato remoto, chissà, forse è colpa di noi insegnanti che non siamo in grado di appassionare o far capire che non si tratta solo di pagine piene di nomi altisonanti e date da imparare a memoria, ma della testimonianza del passaggio di uomini e di mondi ".

Dal racconto “Di uomini e di mondi”


"Ci sono luoghi in cui possiamo camminare e non provare assolutamente nulla. Altri che ci mettono nostalgia, si attaccano ai meandri più profondi delle ferite dell'anima, delle nostre malinconie e paure inconsce e le esaltano, quasi a volerci sfidare a resistere. Ci sono luoghi incantevoli che ci attraversano come una canzone estiva, destinata ad essere dimenticata in pochi mesi. Ma ci sono anche luoghi che, per una strana alchimia, ci fanno sentire immediatamente a casa, sentiamo che ci appartengono e noi sentiamo di appartenere a loro".

Dal racconto “Di spezie e di rinascite”

"Terminò di fare le pulizie con la precisione che la contraddiceva, uscì e si avviò verso la fermata dell'autobus, facendosi largo tra la folla. Teneva lo sguardo basso perché non voleva che le persone intorno notassero che piangeva, a dire il vero non voleva proprio essere notata, avrebbe voluto volare via nel vento come una nuvola leggera.
Respirò a fondo, guardò il mondo attorno a sé, Bologna, la loro città d'adozione a cui si era affezionata, ma in cui non si era mai sentita veramente a casa: le mancava il suo amato mare e ancora aveva difficoltà a sopportare la nebbia, l'umidità e il freddo. Si strinse nelle spalle e si arrotolò lo sciarpone che la proteggeva dai sei gradi di un tipico gennaio bolognese.
Notava la gente che camminava e, per ogni passante, cercava di capire se fosse triste o felice, si rallegrò nel vedere che, a ben guardare, almeno a sui avviso - un conforto forse? -molti erano gli sguardi come i suoi: chini verso il basso, tesi, stanchi".
Dal racconto “Siamo mamme anche dei bambini mai nati”

Henry Salentino, italiano di origine, questo il nome. Il bisnonno era arrivato in America dal sud Italia, su un transatlantico in terza classe, topi, puzza di piscio e merda, una valigia con un paio di pantaloni, le pezze al culo e tante speranze. Aveva lasciato una vita di miseria per un'altra vita di miseria.
Aveva attraversato l'oceano per Nuova York come si diceva allora, per trasferirsi in un appartamento di venti metri quadrati senza finestra, acqua e bagno, quello era all'aperto, in comune con gli altri poveracci che vivevano ammassati in quel sobborgo malfamato. E anche lì topi, puzza di piscio. Come l'Italia. Come la nave. In fondo, aveva attraversato l'oceano per schiantarsi a terra da una impalcatura contribuendo allo splendore della grande mela, per ritrovarsi lì, tra sacchi di calce e cemento, in un lago di sangue.
Aveva attraversato l'oceano per morire a trent'anni anni lasciando moglie e figlio.
Dal racconto “storie di ordinaria caduta”.

Parigi, d'estate, un'opera d'arte, vedeva i tetti illuminarsi, raggianti, baciati dalla luce del sole. Camminava rapida, perché questo era il suo modo, a passo svelto, non sapeva perché, ma aveva sempre camminato rapida, anche nei giorni in cui il tempo si dilata, quando fa caldo, quando non c'è nulla da fare se non approfittare della giornata. Assorta in questi pensieri, perché spesso mentre si cammina si pensa, e a volte accade che i pensieri volino liberi come nuvole in cielo, incrociò il suo riflesso in una vetrina. Si fermò un istante. Un piccolo momento di narcisismo tutto femminile. Le piaceva ciò che aveva scelto per quel sabato, un vestito leggero ma comodo che metteva in evidenza le sue forme aggraziate, i capelli legati con cura e un filo di trucco, quasi impercettibile, come se si fosse messa addosso la prima cosa che le era venuta in mente. Era esattamente l'effetto che voleva ottenere.
Era felice, di quella felicità pulita, vera, un cuore colmo di pace che camminava nella città che amava in una splendida giornata di sole. In più sapeva che la sera lo avrebbe rivisto ed era nervosa, un dolce nervosismo la attraversava da parte a parte. Decise quindi che per far passare il tempo avrebbe scelto un libro da gustarsi ai giardini del Lussemburgo in una panchina protetta all'ombra degli alberi.

Dal racconto “Una impercettibile virata”.

Il lodge dove avrebbero trascorso una settimana era costruito sul fiume, una baracca di legno per cucinare, una baracca a testa per dormire, due turche all'aperto e il fiume per lavarsi. I pasti venivano preparati e serviti dalla guida, l'elettricità necessaria per la cucina veniva accesa un'ora a pranzo e due ore a cena, poi candele e torce. Era semplicemente uno spettacolo. Non si sentiva alcun rumore se non quelli della foresta, il fiume si tingeva di rosa al tramonto, le stelle e la luna brillavano tanto che la notte non c'era bisogno della torcia. C'era tempo per leggere, passeggiare, girovagare sulle zattere di legno, ammirare gli animali, conoscersi.
I viaggiatori non cominciano mai parlando della loro vita, le loro conversazioni scardinano sempre le convenzioni sociali: a loro non interessa sapere chi sei o che lavoro fai, solo che luoghi hai visitato e si conoscono attraverso racconti e aneddoti di viaggio.
La prima sera, quando l'elettricità venne spenta, si riunirono tutti attorno ad un fuoco ed Emily iniziò a suonare. Dopo essersi allietato con la musica, il gruppo decise di coricarsi, tutti tranne Leonardo ed Emily che rimasero a parlare.
“Sei mai stato a Manchester?” Iniziò Emily.
“No, ma mi piacerebbe”.
“Non è una bella città, ma musicalmente è molto viva. Sei in viaggio solo?”.
“Si. E' un periodo che gira male, non sono soddisfatto del mio lavoro e anche con la mia compagna discutiamo spesso. La verità è che...” non fece a tempo a finire la frase che Emily lo interruppe.
“Io sono vedova. Mio marito è deceduto un anno fa, un ictus, si è afflosciato davanti a me, quando l'ambulanza è arrivata lui era già morto. Che strana parola. Morto. Suona male, vero? Deceduto forse sarebbe più appropriata, suona meglio, è meno lugubre. Comunque, il senso non cambia”.
Leonardo non sapeva cosa dire, decise di lasciarla parlare.
“Le settimane seguenti ho vissuto come in coma. Dovevo organizzare il funerale, sistemare il conto in banca, riempire moduli, insomma, tante cose da fare, non sono stata ferma un secondo, E' solo dopo che te ne rendi conto, quando tutto è finito, quando dopo la funzione funebre tutti vanno a casa te compresa, ti siedi sul divano, non hai più niente da fare e senti solo silenzio. E' in quel momento che realizzi che se ne è andato davvero, che non sentirò più la sua voce o che non canteremo più assieme. Allora piangi. Piangi finché non crolli. I primi tempi gli amici sono gentili, ti chiamano tutti i giorni, poi sai com'è la vita, ognuno ha le sue cose, e le chiamate si affievoliscono. O forse non ero di compagnia. A dire il vero penso di averli allontanati tutti, ma d'altra parte mi parlavano con delle banalità tali che se avessi potuto sputare fuoco dalle fauci li avrei inceneriti all'istante. Non sono cattive perone, è che in certe circostanze non si sa mai cosa dire, anzi non credo neppure che si debba dire nulla perché la frase giusta non esiste”.
Emily prosegui mimando le voci degli amici.
“Sei una privilegiata. Hai conosciuto l'amore vero, resterà sempre con te”. “Meglio aver amato e avere perduto che non aver amato mai”. “Coraggio il tempo lenisce tutto”.
Lonardo la interruppe, di getto “Cos'è, esiste un prontuario delle banalità da dire in caso di perdita?”. Non sapeva perché lo avesse detto, aveva paura di averla offesa, invece Emily si mise a ridere e mentre rideva urlava contro il cielo stellato “Fanculo tutti. Coraggio Leonardo con me. Fanculo tutti” e si ritrovarono ad urlare assieme nel mezzo del nulla con una falena che li guardava esterrefatta.
“Grazie” continuò Emily quando smisero di ridere e gridare. “Grazie di cuore. Sai, adesso sto meglio, ma all'inizio è stata dura. Smisi di lavorare, non riuscivo. Mi avevano detto che avrei dovuto tentare di mantenere la mia vita di prima, ma proprio non riuscivo. Sono caduta in depressione. Per chi non l'ha mai veramente provata è difficile da spiegare, le uniche parole che mi vengono in mente sono anch'esse banali, di quelle che puoi trovare su una rivista per donne, di moda o psicologia spicciola. E' come essere in una stanza buia, non vedere né luce né una porta per evadere e sentire che le pareti si stringono sempre più intorno a te fino a farti soffocare e a non farti respirare”.

Dal racconto “Viaggi e vini francesi”

Martina Tassini

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