1. Lunedì.
Il ticchettio dell'orologio batteva a ritmo del mio cuore, mentre stavo seduta sul bordo del letto a fissare il completo blu che avrei indossato la mattina seguente e a riflettere sull'importante decisione che avevo preso: accettare un contratto di stage presso un'importante azienda che fornisce servizi tecnologici per le banche, lasciando - dopo due anni - il mio impiego come consulente informatica. La mente era entrata in un uragano di pensieri e timori dopo la telefonata con Barbara, la vice responsabile dell'ufficio del personale della nuova azienda. Durante la conversazione lei parlò degli altri candidati e solo in quel momento apprendevo che non sarei stata da sola a firmare il contratto. Avevo studiato ogni dettaglio per trasmettere serietà e determinazione, ma adesso tutto cambiava. Il mio timore principale era quello di essere presa di mira, con la triste conseguenza di venire esclusa dagli altri e ritrovarmi da sola. Come al solito, per quanto tentassi di pianificare sempre tutto nei minimi dettagli, la vita mi dimostrava la sua imprevedibilità. Tuttavia non potevo immaginare che il destino, nelle tre settimane seguenti, avrebbe continuato a giocare le sue carte imprevedibili.
2. Martedì.
Il martedì mattina arrivai davanti alla maestosa sede dell'azienda: un elegante palazzo antico, illuminato dalla luce del sole, situato su Passeig de Gràcia. Mentre osservavo i dettagli scolpiti nelle colonne, una moltitudine di pensieri mi riempiva la mente: “dovrò confrontarmi con i colossi del mondo finanziario, sarò all'altezza? Sarò in grado di assorbire rapidamente nuove conoscenze? E se il lavoro non rispecchiasse i miei interessi? E se, al contrario, mi appassionasse, ma dopo lo stage mi dessero il ben servito?” Le mani mi tremavano leggermente e il cuore batteva forte. Avevo parecchia ansia, ma la voglia di affrontare nuove sfide mi spingeva a varcare la soglia. Mentre stavo per entrare sentii delle voci alla mia destra e mi bloccai. Volsi lo sguardo e scorsi tre giovani che chiacchieravano all'ombra, accanto alla porta d'ingresso; dal loro abbigliamento formale e da qualche parola, che ero riuscita ad afferrare, capii che si trovavano lì per il mio stesso motivo. Erano quei fantomatici altri a cui la ragazza al telefono aveva fatto riferimento. Mi avvicinai incerta e, cercando di scegliere accuratamente le parole, dissi: «Ciao ragazzi, anche voi siete qui per lo stage?» Uno di loro, con un modo di fare piuttosto accogliente, rispose: «Ciao! Sì, siamo qui per lo stage. Io sono Alex.» Sorrisi cortese e mi presentai: «Piacere di conoscerti, io sono Alìa!» Era un bel ragazzo con i capelli castani lisci e la carnagione chiara, un sorriso aperto che gli illuminava il viso e occhi scuri che trasmettevano cordialità! Feci un cenno con la mano agli altri due. Il ragazzo alla sinistra di Alex si presentò per primo: «Ciao, io sono Matthew, puoi chiamarmi Matt!» I capelli castani spettinati rendevano poco formale il suo aspetto. Mi colpirono la timidezza riflessa nei suoi occhi castani, la postura un po' curva e la sua incapacità di trattenere lo sguardo a lungo. L'altro ragazzo, che si trovava alla destra di Alex, fece un sorriso e disse: «Ciao, il mio nome è Natan, piacere di conoscerti Alìa!» L'esatto opposto di Matt: capelli neri ben curati, occhi scuri grandi e sguardo deciso. La sua postura evidenziava un atteggiamento sicuro e ostentava una padronanza di sé che traspariva dal suo modo di parlare. La mia curiosità crebbe quando vidi avvicinarsi altri ragazzi e ragazze, pronti a unirsi a noi. La danza delle presentazioni iniziò e, sebbene, non riuscissi a memorizzare i loro nomi, riuscii a fare mentalmente un breve calcolo: eravamo in totale 15 neo assunti, provenienti da diverse parti del mondo, ognuno con la propria storia; ognuno con un nuovo inizio... Tutti potenziali nemici. Molti di loro avevano trovato un appartamento o una stanza in affitto da circa una settimana, per iniziare il nuovo lavoro. L'unico che viveva a Barcellona era Alex, che si era trasferito da circa un anno. Io vivo in questa bella città da ben 13 anni, un arco di tempo che mi sembra incredibile! Alle 10 in punto decidemmo di entrare. L'ingresso era imponente e all'interno ci accolsero delle ampie scale in marmo, che conducevano al piano superiore, in un'elegante torsione architettonica di gran spessore. La luce del sole filtrava poco, penetrando in piccoli spicchi dalle alte finestre; per il resto l'ambiente era illuminato da lampadari e moderni faretti a led disposti in modo da non alterare l'atmosfera antica del luogo. Uno Stuart, vestito in maniera impeccabile, ci venne incontro. Si presentò con un sorriso e poi ci invitò a seguirlo attraverso un intreccio di corridoi alle cui mura padroneggiavano dei grandi dipinti di paesaggi e castelli antichi. Raggiungemmo gli ascensori situati in fondo e salimmo al piano superiore, dove ci attendeva il responsabile dell'ufficio del personale. Le sue movenze erano impeccabili ed evidentemente costruite, vestiva con un abito formale di ottima fattura; i capelli brizzolati perfettamente in ordine e gli occhiali senza montatura conferivano un'aura di precisione alla sua figura. Ci condusse verso una grande sala conferenze, piena di sedie ordinatamente rivolte verso un ampio tavolo di vetro dal moderno design discutibile. Venimmo accolti da un uomo e da una donna dalla postura rigida e il sorriso tirato. L'aria era decisamente più calda e io, piuttosto nervosa, mi torturavo il pollice con l'unghia dell'indice, ma smisi subito perché temevo che qualcuno potesse accorgersene; non volevo dare l'impressione di essere una persona insicura. Tolsi la giacca, occupai una sedia e accanto a me presero posto Matt, Natan e Alex che continuavano a scambiare battute sottovoce con sorrisi compiaciuti. Cercai di capire se stessero parlando di me ma, dalle parole che riuscivo a cogliere, non sembrava fosse così. A differenza di tutti gli altri, io rimanevo in silenzio e defilata, scrutando ognuno di loro e osservando la sala ampia e lussuosa illuminata dal sole. I due responsabili presero la parola e io cercavo di assorbire ogni dettaglio sull'azienda e sul contratto che, da lì a poco, avremmo firmato. Ci comunicarono che avremmo preso parte ad un corso di formazione che si sarebbe tenuto a Valencia e sarebbe iniziato dopo due giorni! La sorpresa e l'eccitazione dei miei nuovi colleghi, a questa notizia, era palpabile. Io invece mi sentivo sopraffatta! Avrei passato molto tempo in compagnia degli altri stagisti, nella mia mente si accavallarono una serie di probabili scenari e in tutti io non venivo minimamente presa in considerazione, e in molti diventavo lo zimbello dei miei nuovi colleghi. Per cacciare via quei pensieri iniziai a stilare una lunga lista delle cose da fare prima di partire, ma mi resi subito conto che avrei dovuto scriverla per non dimenticare nulla. Dovevo necessariamente rimandare a dopo quella attività. La donna si alzò e si avvicinò a noi tenendo delle cartellette azzurre in mano. Me ne consegnò una, ma io non riuscii ad afferrarla con prontezza e mi cadde a terra, lei sorrise ritraendo la mano e giudicandomi con lo sguardo... o forse era solo la mia immaginazione. Raccolsi la cartella da terra e ringraziai, sentendomi impacciata e non perfettamente a mio agio; più pensavo di non voler dare l'idea di persona insicura e più la situazione mi sfuggiva dalle mani. La cartella azzurra conteneva materiale da studiare e una brochure con il nome dell'hotel a cinque stelle. Mi sarei aspettata un albergo economico, data la tendenza alla revisione dei costi della maggior parte delle aziende. Il culmine della riunione venne segnato dalla distribuzione dei contratti che avremmo dovuto firmare e consegnare. Il tempo concesso era limitato, pensavo che non fosse sufficiente per poter leggere più volte i termini del contratto e poter fare qualche domanda per chiarire eventuali dubbi. Ma voltandomi mi accorsi che eravamo rimasti soltanto in tre: io e altri due ragazzi di cui non ricordavo il nome; per cui mi decisi a firmare e infine mi alzai per consegnare il contratto. Ringraziai stringendo la mano alla donna e poi all'uomo ed uscii dalla stanza raggiungendo gli altri ragazzi. Uscendo dall'edificio, il sole mi avvolse confortandomi. Mi sentivo come se avessi avuto, per tutto il tempo, delle grandi mani sulla testa, ma ora, varcata la soglia, quelle mani si erano sollevate e io avevo ripreso a respirare. Temevo che le mie sensazioni fossero segnali evidenti che quel lavoro non era la mia strada. Tuttavia, ormai avevo firmato per una grande realtà, leader, nel settore, a livello mondiale; un'opportunità che non potevo lasciarmi sfuggire, anche se non era la mia massima aspirazione. Tra l'altro avrebbe potuto piacermi alla fine; dovevo semplicemente darle una chance. Meno male che me ne convinsi e andai fino in fondo. Mi avvicinai ai miei nuovi colleghi; discutevano su cose pratiche relative alle tre settimane che ci attendevano. Qualcuno propose di cenare insieme la sera seguente, qualcun altro precisava che avrebbe raggiunto Valencia con la propria automobile e si metteva a disposizione per dare passaggio agli altri. Una ragazza di nome Carol mi guardò e mi chiese: «Hai bisogno di un passaggio, per raggiungere Valencia?» Ci pensai qualche istante; l'idea di trascorrere 3 ore in auto con degli sconosciuti che mi avrebbero riempito di domande sulla mia vita non mi allettava, per cui decisi di andare in treno e, cercando di non sembrare scortese, risposi: «No, grazie. Vi raggiungo direttamente lì.» Ci salutammo e ognuno andò per la propria strada. Più tardi tornai a casa e, varcata la soglia, tolsi le scarpe sull'uscio e feci un profondo respiro. La mia mente era rimasta dentro quell'edificio; aveva bisogno di qualche altro minuto per uscire da là e tornare a casa dove si trovava già il mio corpo. Dovevo fare parecchie cose entro il giorno dopo, ma la priorità, in quel momento, era leggere il materiale che avevo ricevuto ed imparare tutto entro il primo giorno di formazione, per evitare di fare brutte figure. Presi la cartellina azzurra e mi accomodai sul mio piccolo divano. Il bagaglio sarebbe stata la seconda cosa da fare; dovevo portare un bel po' di roba per affrontare al meglio quei primi giorni.
3. Mercoledì.
Il giorno dopo affrontai quel breve viaggio. Il treno rallentò gradualmente e infine si fermò alla stazione Nord di Valencia. Osservavo le valigie ammucchiate in fondo al vagone: la mia era la più grande e, purtroppo, sembrava anche la più pesante. Pensavo con rimpianto al passaggio offerto dai colleghi: forse avrei fatto meglio ad accettare ma, probabilmente, nel portabagagli di un'utilitaria non ci sarebbe stato abbastanza spazio. Afferrai con sforzo il mio bagaglio e, con un equilibrio precario, scesi dal treno. Pensai che al box informazioni c'era sicuramente la fila e, quando vidi il controllore, mi sembrò che chiedere a lui fosse la cosa migliore: «Salve! Potrebbe indicarmi da che parte devo andare per trovare un bus o un taxi?» Me ne pentii all'istante: il controllore mi guardava con aria seccata, e in effetti, pensandoci, aveva mantenuto quell'espressione dall'inizio del viaggio, mentre si muoveva su e giù per le carrozze. Mi disse: «Se esci dalla stazione, da quella parte, vedrai che sulla destra ci sono i bus.» Il suo tono mi infastidì: nonostante fosse evidentemente più anziano di me di almeno vent'anni, ciò non gli arrogava il diritto di rivolgersi come se stesse parlando con una ragazzina... ho pur sempre trent'anni! Ringraziai con freddezza per le indicazioni, nascondendo la mia reale mancanza di gratitudine. Mentre camminavo, osservavo i dettagli architettonici della stazione: l'ampio soffitto che si estendeva sopra di me, ornato da eleganti decorazioni in stile neogotico; le finestre dall'aspetto antico dalle quali filtrava la luce naturale che creava un'atmosfera calda e accogliente. Mi diressi verso l'uscita, e le sculture e gli ornamenti incisi nei muri continuavano a catturare la mia attenzione. Era un mix affascinante tra il passato e il presente. Uscita dalla stazione mi voltai a guardare la parte esterna; i miei occhi vennero catturati dall'imponente facciata che si ergeva con maestosità di fronte a me. Sembrava un museo, ma anche un castello fatato decorato con arance e fiori. Non poteva esserci luogo migliore per inaugurare l'inizio della mia nuova avventura.
Individuai un bus, con un portellone aperto ed alcune valigie già a bordo. Caricai la mia con determinazione e non poche difficoltà, ma andava bene così perché chiedere aiuto voleva dire arrendermi, e dimostrare a me stessa che non ero in grado di cavarmela da sola! Alla fine riuscii a caricarla e a spostarla per fare spazio ad altri eventuali bagagli. Salii sul bus semi vuoto, acquistai il biglietto dall'autista e presi posto accompagnata da un morso d'ansia che mi stringeva lo stomaco. Guardavo la città dal finestrino: era una combinazione di storia e modernità; un luogo davvero affascinante che sembrava dinamico e, allo stesso tempo, accogliente. Iniziava già a piacermi. Memorizzavo i nomi delle vie e, in lontananza, scorgevo strade affollate, piene di locali invitanti per la cena e tapas bar. Erano le 18, e già avvertivo un certo appetito, principalmente causato dalla tensione di quella nuova avventura. Non avevo idea di cosa aspettarmi con i miei nuovi colleghi. Una parte di me (direi circa tre quarti di me), temeva di dover affrontare situazioni analoghe a quelle vissute con i colleghi del mio precedente impiego. Vidi l'hotel dall'altra parte della strada; ero finalmente arrivata! Il bus si fermò e dissi all'autista che dovevo recuperare il mio bagaglio, lui, sorridendo, mi fece un cenno con la testa. Scesi dal bus e affrontai nuovamente la fatica nel tirar fuori la mia valigia. L'hotel appariva più imponente di quanto sembrasse nella brochure. Varcai la soglia: la hall era ampia e circolare con un soffitto altissimo e al centro un lampadario gigantesco; alla destra della porta di ingresso c'era una parete in vetro leggermente oscurato che schermava in parte la luce del sole. L'atmosfera era di classe, e la struttura si rivelava moderna e, allo stesso tempo, elegantemente accogliente. «Buongiorno, ben venuta!» Quella voce mi destò da uno stato un po' sognante. Volsi lo sguardo: una ragazza, vestita con un completo blu, mi sorrideva da dietro un lungo bancone. Accanto a lei altre due ragazze, anch'esse vestite allo tesso modo, stavano consegnando le chiavi a dei clienti. Avvicinandomi, riconobbi due dei miei nuovi colleghi: Daniel e Noah. Il giorno prima Daniel, capelli quasi rasati e barba incolta, raccontava che aveva lasciato un lavoro ad Edimburgo. Noah invece ci disse che era originario della Svizzera. Mi colpiva la sua magrezza che tentava, evidentemente, di camuffare con la doppia montatura degli occhiali e con i folti capelli neri pettinati in avanti. Pensai di attendere che andassero via, ma poi temetti che potessero accorgersi di me e domandarsi perché mai non li avessi salutati, quindi decisi di farmi avanti: «Ciao ragazzi, anche voi appena arrivati?» Daniel mi rispose sorridendo: «Ciao Alìa. Sì, siamo appena arrivati. Gli altri sono già andati a fare un giro. Posiamo i bagagli e, se ti va, ci vediamo qui nella hall.» «Perfetto!A dopo» conclusi, rendendomi conto che non me la stavo cavando affatto male. Ricordai che, il giorno prima, i colleghi avevano deciso di cenare tutti insieme a Valencia. Meno male che avevo portato un outfit adatto per la sera, nonostante fossi convinta che avrei trascorso le mie serate da sola in hotel. Mi accorsi che l'addetta alla reception attendeva paziente che io finissi di parlare. Mi scusai per l'attesa e le dissi che avevo una prenotazione a nome di Alìa Davis. La ragazza digitò velocemente sulla tastiera, con un po' troppa foga, poi mi chiese un documento e, infine, mi consegnò le chiavi indicandomi il numero della mia camera. Poi aggiunse che uscendo dall'ascensore dovevo dirigermi a sinistra e poi a destra; la mia camera era la seconda. Concluse facendo un cenno all'addetto ai bagagli che si trovava alle mie spalle. Dissi al ragazzo che non avevo bisogno di aiuto. Lui mi sorrise e io ricambiai, percependo che ero riuscita a dirlo con un tono gentile e non ferendo il suo orgoglio maschile. Trascinavo il mio trolley verso l'ascensore, immaginando che, alle mie spalle, gli impiegati se la stessero ridendo guardando i miei movimenti impacciati. Resistetti alla tentazione di girarmi per averne conferma; dovevo lottare contro quelle fissazioni non alimentandole... o qualcosa del genere che mi ripeteva sempre la dottoressa Ramirez, la mia psicoterapeuta. Arrivai al secondo piano, le porte dell'ascensore si aprirono lentamente con un leggero suono meccanico. Seguendo le indicazioni della ragazza alla reception, mi diressi a sinistra e, dopo appena cinque passi, arrivai ad un piccolo corridoio sulla destra, che conduceva a due sole camere. Superai la prima e mi avviai verso la seconda. Aprendo la porta mi ritrovai in una stanza curata nei dettagli. Un grande letto matrimoniale, di quelli chiamati “King-size”, dominava la camera. Pensai sorridendo che, in realtà, si trattava di un “Queen-size”, visto che la regina di quella stanza sarei stata io per le successive tre settimane, o almeno dalle 18 in poi, cioè dopo la fine delle lezioni. Mi suonava piuttosto strano che dovessi andare a lezione ogni giorno, come se fossi tornata al liceo. Varcata la soglia richiusi la porta alle mie spalle e un delicato profumo di pulito, accompagnato da note leggere di limone, mi accolse. Il sole non riusciva a passare attraverso le doppie tende azzurre, ma appena le aprii i raggi attraversarono il sottile velo bianco trasparente, riempiendo la camera di una luce calda e accogliente. L'ampio schermo appeso alla parete di fronte al letto, sarebbe rimasto spento durante il mio soggiorno, dato che ho sempre preferito immergermi in una buona lettura piuttosto che distrarmi con le insulsaggini della televisione: gossip, critiche e gogne mediatiche. Accanto alla porta d'ingresso, scorsi una porta bianca chiusa, la aprii ed entrai in un elegante antibagno, con il lavandino incassato in un ripiano in marmo e un grande specchio retroilluminato che aggiungeva un tocco di raffinatezza. Aprii una seconda porta, anch'essa bianca, restai sorpresa nel trovare una lussuosa vasca idromassaggio e una spaziosa doccia. La mia permanenza in quel luogo si preannunciava piacevole! Dopo aver sistemato tutto, mi concessi una doccia veloce per liberarmi dell'odore del treno che ancora sentivo addosso e poi indossai un pantalone beige e una camicetta in raso color terra di Siena. Mi sentivo fresca e leggera, pronta ad affrontare la serata.
Isabel Grace Leone
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