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Autore: Antonio Davini
Baciami il male
Racconti
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Baciami il male
.se fosse andata male. Intanto che camminava ticchettando per strade inondate di luce e afa, il piccolo filo d'oro che aveva al collo si muoveva oscillando.
La sottile catenina con appeso un piccolo ciondolo entrava e usciva dalla scollatura,
in mezzo ai seni e poi sul petto, picchiettando a volte sulla pelle, a volte sul vestito.
Quando se ne accorgeva, tra un pensiero e l'altro,
afferrava il ciondolo e lo faceva scorrere nell'anellino,
su e giù, per sentirne quasi il rumore...
a volte, raggiunta da un pensiero felice, lo portava tra le labbra
e con gli occhi sognanti, lo assaggiava con un bacio.
Era la piccola e umile collanina che le aveva regalato sua madre la sera prima del matrimonio.
Quel giorno la donna aveva aperto la porta della sua camera, per l'ultima volta chiedendo il permesso...
L'indomani quella stanza sarebbe stata per sempre vuota... Si era infilata dentro come una faina in un pollaio,
mentre suo marito, in cucina, guardava la partita.
Vedendola entrare di soppiatto aveva subito capito che quello che stava per accadere era un momento importante ed il cuore le si era contratto in un battito più forte, o almeno così le sembrò.
La madre aveva chiuso delicatamente la porta con le mani dietro per poi ricongiungerle davanti a sé mostrando trionfalmente la collanina d'oro, un po' opacizzata dal tempo.
Lei si era alzata di scatto dal letto e si erano abbracciate senza dire una sola parola.
Un abbraccio infinito,
con lacrime che si mescolavano sulle guance,
ed occhi chiusi per guardarsi dentro i cuori. Con sorrisi di accoglienza appena accennati e appoggiati delicatamente sulle spalle.
Nel frattempo, di là, qualcuno aveva segnato un goal e suo padre aveva esultato.
Era la collana di sua nonna che aveva regalato a sua madre e che ora sua madre regalava a lei.
Poteva essere considerato il pegno delle prigioniere di famiglie antiche, dove è ancora più importante la tradizione della gente che la felicità del singolo.
Dopo un tempo infinito si erano separate,
asciugandosi vicendevolmente gli occhi umidi per far sembrare che non fosse stato niente.
Che non fosse vita vera.
La madre poi le aveva aperto il palmo della mano,
le aveva fatto scivolare dentro la collana,
le aveva chiuso le dita tra le sue, per nascondere quel dono.
Erano rimaste un istante ferme, guardandosi negli occhi, con le mani tra le mani.
Avevano assegnato un calcio d'angolo che riportò entrambe alla realtà. Sua madre scivolò fuori dalla stanza per cancellare quel momento, mentre lei rimase ancora per un istante a guardarsi il pugno chiuso,
in piedi in mezzo alla camera.
Aveva immaginato più volte, durante la vita, il momento in cui sua madre si era sfilata la collana dal collo, forse in bagno,
in silenzio, di nascosto,
ponderando che fosse il momento giusto per regalargliela.
Forse, pensava,
appena se l'era tolta si era sentita come spogliata di quel monile che le stava al collo da anni.
Forse, subito dopo,
si era accarezzata il collo per cancellare quell'assenza.
Non lo sapeva. Ma le piaceva immaginare quel momento.
Ogni volta che camminando quel ciondolo picchiettava, libero tra i seni, il pensiero andava proprio a sua madre.
Era presto per il suo appuntamento.
Tuttavia, si era preparata con largo anticipo,
cercando di fare le cose con più calma possibile per perdere tempo ma non c'era riuscita.
Era ancora in anticipo.
Avrebbe dovuto aspettare.
L'impazienza voleva disperatamente disfarsi del tempo,
ma senza il tempo non sarebbe esistita.
Il tempo amava l'impazienza perché, grazie a lei, le cose avvenivano più velocemente.
E il tempo per essere ricordato
aveva bisogno di essere colmato di avvenimenti.
Non vedeva l'ora che iniziasse ciò che aspettava.
Avvolta nella luce e nel vento caldo.
Il sole stava scendendo dietro le case e concedendo un po' di tregua al giorno.
Le ricordava il suo paese del sud,
ma là le case erano molto più basse ed il sole era ancora più alto, laggiù.
L'uomo che doveva incontrare l'aveva colpita per il suo aspetto
e le aveva dato sicurezza con le sue parole.
 La sua voce le piaceva così come anche la sua visione sulle cose e i suoi valori.
 Aveva dei figli anche lui e un matrimonio fallito.
Macerie e dolori che li accomunavano.
Forse da lì si poteva ricostruire qualcosa di nuovo insieme?!
Se la vita non le permetteva più di ripartire da zero
l'unica alternativa era trovare qualcuno che avesse un passato simile, per fonderlo, con cautela, insieme al suo.
Cercando di non far prevalere più la sofferenza di uno o dell'altra
e trasformarla in esperienza di vita vissuta
e non l'esibizione prepotente delle proprie cicatrici.
Non sarebbe stato comunque facile.
Il desiderio di essere innamorati non è l'Amore.
Quella sera sarebbe stata se stessa
ma con un pizzico di accondiscendenza in più,
dovuta al forte desiderio di dare una svolta alla sua vita.
Sarebbe stata accogliente e confidente.
Lui sarebbe arrivato a prenderla e sarebbe salita in auto.
Sette secondi.
Si sarebbero stretti la mano per la prima volta... e sorrisi per tante volte durante la serata.
Lui forse le avrebbe fatto un complimento e lei avrebbe abbassato impercettibilmente lo sguardo, quasi non fosse stato così importante. Ma consapevole di averle dato più sicurezza.
Poi sarebbe partito piano con l'auto, senza la fretta di raggiungere la meta, per dare il giusto valore al viaggio.
Sarebbero scivolati per le strade.
Ai 18 secondi lei avrebbe distolto lo sguardo davanti, sulla strada,
per rubare un po' la sua immagine.
Dell'uomo che aveva a fianco. Per avere conferma della sua presenza. Lui se ne sarebbe accorto e avrebbe contraccambiato con un sorriso e con una battuta.
Lei avrebbe sorriso più per la soddisfazione che lui ci fosse. Che fosse lì con lei.
A 48 secondi un attimo di silenzio imbarazzante sarebbe stato abilmente evitato con frasi di circostanza.
E poi, dopo aver preso le misure e gli spazi,
aver rilassato il bacino sul sedile,
ed aver abbandonato le braccia sulle gambe l'appuntamento sarebbe iniziato...
Sarebbero andati a cena insieme.
Entrati nel ristorante il cameriere avrebbe capito che non erano ancora una coppia
e avrebbe dato loro particolari attenzioni.
Più delicate e professionali.
Come le si dà alla sacralità di un nuovo inizio. Qualunque cosa in futuro fosse potuta diventare.
Avrebbero ordinato con un po' di timore di sbagliare pietanza.
E dopo molti secondi, dai sette iniziali, non si sarebbero più curati della sala e degli altri clienti.
Sarebbero stati soli. Insieme.
Si sarebbero guardati più volte negli occhi, distogliendo a volte lo sguardo,
per non darsi completamente.
Per dosare l'intensità.
Avrebbero parlato del loro passato,
stavolta in modo più profondo, come solo con gli occhi si può fare. Ed avrebbero stemperato il tutto con un po' di ironia.
Verso la fine della cena, quando ormai c'era abbastanza confidenza tra di loro,
e non erano più così estranei,
lei avrebbe appoggiato la mano distrattamente sul tavolo.
Più verso di lui.
Quasi come fosse un'offerta.
E lui forse avrebbe preso coraggio e gliela avrebbe presa.
Con la sua mano.
Tenendosi così,
come un primo legame,
visibile a tutti,
visibile a lei.
Palese.
Innegabile.
Si sarebbero poi accarezzati dolcemente le dita, con un'intesa timida ed improvvisata,
scivolando, in un momento di prezioso silenzio,
ascoltandosi la pelle.
Come quando sfiori qualcosa di nuovo, al buio.
Invece loro guardandosi coscientemente le mani, unite.
Come anelli di una catena che si stanno saldando insieme.
Se le dita si fossero anche intrecciate sarebbe stato significativo.
Lei era girata di spalle quando l'auto sopraggiunse.
La colse un po' impreparata.
Ma recuperò con un sorriso.
Fece pochi passi per chinarsi leggermente verso il finestrino e confermare che fosse lei.
Salutandolo spostò una ciocca dei suoi rossi capelli, che le aveva coperto un po' gli occhi chinandosi
e sorrise di nuovo.
Aprì la portiera dell'auto,
aggrappandosi istintivamente al ciondolo della sua collana con l'altra mano 
e salì...

Antonio Davini

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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