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Autore: Massimo Ferrini
Una faccia una razza
Narrativa
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Una faccia una razza
Una faccia una razza.

Anche un'ordinaria vacanza estiva può trasformarsi in una specie di caccia al tesoro. Dal passato riemerge una storia dove la fortuna gioca il suo ruolo rovesciando spesso le sorti dell'esistenza, ma i conti, i conti si fanno solo alla fine. Due storie di mare che si intrecciano tra passato e presente.

Ho una storia da raccontare. Non sono io il protagonista, semmai il tramite del tutto casuale che ha fatto sì che potesse venire alla luce. Tra le infinite combinazioni della vita che gioca con lo spazio ed il tempo, forse era destino che fossi io quel tramite, o forse è solo una mia idea, che a pensarci bene pecca pure di presunzione. Penso che non lo saprò mai. Per anni sono stato il custode di un segreto che avevo fatto mio, finché non ho deciso che fosse più giusto che anche altri potessero conoscerlo. Prima di rivelare altri particolari, trovo necessario narrare alcuni antefatti in cui la suddetta storia trova la collocazione. Era l'estate dell'86. Da tempo desideravo vedere la Grecia, ma rimasi disorientato, quando documentandomi, mi resi conto che con il tempo che avevo a disposizione dovevo per forza fare una scelta dedicandomi al continente o decidere tra quelle tante isole. Questo perché non mi piacciono le vacanze affannate dove si salta da un luogo ad un altro senza un attimo di sosta. Alla fine si è fatto tanta strada e non si è visto niente. Attratto soprattutto dalle isole mi trovavo però in difficoltà, perché ognuna aveva il suo fascino, e tanta storia da raccontare. E man mano che prendevo informazioni, aumentava a dismisura la voglia di partire, già sapendo che quel solo viaggio non avrebbe saziato il desiderio che avevo nel cassetto di conoscere quella terra meravigliosa. Già immaginavo che sarebbe stato solo uno dei tanti nel mio futuro. Con mappa alla mano, cominciai la mia ricerca, attratto a volte dall'una, a volte dall'altra isola. Alcuni nomi evocavano in me passate conoscenze di storia e di letteratura, mitici dei ed eroi, poeti e saggi filosofi che insieme alla prodiga natura hanno reso quel mare il più bello del mondo. Le isole Cicladi erano forse quelle che più frequentemente comparivano sulle riviste, emblematiche di quell'architettura mediterranea che aveva fatto sbizzarrire tanti fotografi nei loro calendari. Quando ancora la scelta rimaneva in alto mare, a complicare le cose fu un libro il cui titolo era più o meno il seguente: “Le settecentosettantasette più belle isole della Grecia.” In un trafiletto si leggeva poi che l'arcipelago, tra isole, isolette e scogli di un certo rilievo, ne annoverava circa settemila. Avevo sempre saputo che solo la Polinesia, come del resto il nome fa intuire, comprendesse migliaia di isole, e non la Grecia, e una mappa, anche se sufficientemente dettagliata, non riporta simili numeri. Quando mi resi conto che stavo solo complicando le cose, la logica mi portò a prendere in considerazione anche quelle isole più vicine al nostro continente, le isole Ionie, sulla costa occidentale del Paese. Sette isole di cui non conoscevo nulla: Zante, Leucade, Corfù, Itaca, Cerigo, Cefalonia e Paxos. Inutile dire che Itaca fu la prima ad attrarre la mia attenzione, più nota a me per aver studiato l'Iliade ai tempi del Liceo. Poi però a venirmi in aiuto, mi vennero a mente le parole di un amico velista che mi aveva detto: “Se decidi di andare in Grecia, non dimenticare che Leucade e Cefalonia, che sono tra le più vicine, non ti deluderanno.” Quando a dirlo è una persona che stimi e che ha viaggiato in lungo e in largo per il mare, diventa difficile non accettare consigli, anche se in un primo momento la mia ricerca si era spinta più lontano, attratto da nomi di maggiore notorietà, ma che probabilmente non corrispondevano ai miei criteri, che escludevano in primo luogo la mondanità e l'apparenza eccessivamente turistica. Così, facendo tesoro di quel consiglio, rimaneva da scegliere tra le due, ma probabilmente, data la vicinanza era possibile conoscerle entrambe. Senza un apparente motivo, decisi comunque per Cefalonia. Giancarlo, un amico con cui ero solito andare ogni anno a pescare, accolse la mia proposta con entusiasmo. Io naturalmente, evitai, per paura di rimettere in discussione la scelta, di dirgli come fossi arrivato a quella conclusione. Passati i giorni febbrili dell'attesa e dei preparativi, arrivò finalmente il bel giorno. Io non ho paura di volare, ma mal sopportando le tediose prassi di imbarco e il limitato bagaglio trasportabile, avevo deciso che l'auto, anche se più lungo è il tempo necessario, fosse il mezzo più confacente alle nostre esigenze. Senza contare poi che avendo l'attrezzatura da sub più tenda da campeggio e vettovaglie varie, non sarebbe 9 stato facile trasportare il tutto. Ma Giancarlo, all'ultimo momento, aveva dovuto rinunciare per una frattura ad un piede. Nemmeno avevo avuto il tempo di trovare una compagnia alternativa, anche se per certe vacanze, l'affiatamento è fondamentale e la collaudata amicizia era difficilmente rimpiazzabile. Partire da solo a dire il vero mi rendeva un po' nervoso, e in parte mi aveva tolto entusiasmo. Cercavo di non pensarci più di tanto, sicuro che una volta sul posto, con un po' di fortuna avrei fatto qualche conoscenza. Ma chiuso alle spalle l'uscio di casa, ebbi subito la sensazione che l'avventura fosse già cominciata. Non sono pochi i chilometri da percorrere per raggiungere il porto di Bari, ma la consapevolezza di essere in vacanza, fece sì che scorressero leggeri. E del resto la mia “Uno”, pur non di primo pelo, svolse egregiamente il suo compito. La traversata poi, dopo la lunga attesa per l'imbarco, non rappresenta un problema quando sai che ogni ora che passa ti avvicina alla meta. Ed erano tempi in cui dormire sul ponte di coperta, invece di chiudersi in un'angusta cabina, non era un disagio. Anzi, era il piacere di sentire sulla pelle la salmastra brezza del mare, sotto un tetto di stelle che fuori dai forti bagliori delle città, è incredibilmente luminoso. Senza contare poi che l'atmosfera era particolarmente stimolante. Ragazzi e ragazze, sul ponte di poppa, avevano steso i loro sacchi a pelo, ed una chitarra accompagnava vecchie e nuove canzoni, spaziando dal melodico al rock. La brezza marina insieme all'umidità della sera, trasportava anche un po' di quello smog inevitabile che fuoriusciva dalla ciminiera del vecchio traghetto, ma nessuno se ne curava. Una falce di luna, nella sua fase crescente, si rispecchiava sulle placide acque come una tenue spada di luce, pennellando di ulteriore magia la calda notte d'estate. Ricordo un fatto curioso che contribuì a colorire quell'inizio di avventura. Apparve, quando tutti ormai erano sistemati nei posti più riparati e strategici, un tedesco, un po' attempato e corpulento. Sembrava appena uscito dall'Oktoberfest, sicuramente superava di gran lunga il quintale. L'attenzione di tutti i presenti si rivolse a questo pittoresco personaggio, che con fare di chi la sa lunga, estrasse da un grosso zaino un sacco a pelo rosso fuoco, e quella che a prima vista poteva sembrare una rete da pesca. Era in realtà una amaca, e dal momento che non c'erano alberi, probabilmente tutti si domandarono dove l'avrebbe potuta sistemare. Ma il nostro amico evidentemente aveva già adocchiato i due ancoraggi necessari. Con fare indifferente, legò prima un capo ad uno dei montanti in ferro che sostenevano la veranda del ponte, mentre l'altro lo assicurò alla battagliola di poppa. A quel punto piazzò il suo sacco a pelo, si guardò intorno orgoglioso con un sorriso sornione che metteva in evidenza i suoi baffoni biondi, e si adagiò sull'amaca. Tutti avevano seguito la manovra senza distogliere l'attenzione. E quando il germanico che aveva sottovalutato il proprio peso o la robustezza delle corde si schiantò con il suo culone sul pavimento, non furono pochi, me compreso, che non riuscirono a trattenere una risata. In realtà le corde non si erano strappate, ma solo allentate dalla trazione. L'omone per non dare soddisfazione, con il sedere che toccava terra, piegato a mo' di banana, rimase stoicamente nella sua posizione fino al mattino, volendo far credere di stare comodo. Terra di Grecia, finalmente, la nave iniziò le manovre di attracco al porto di Igoumenitsa. Mentre dal ponte guardavo l'acqua che seppur dentro al porto era di incredibile trasparenza, le prime macchine cominciarono ad uscir fuori dalla bocca spalancata del traghetto, invadendo la banchina. Inutile aver fretta, si rischia di scendere giù al garage e respirare a pieni polmoni il fumo delle auto che gli impazienti vacanzieri mettono in moto prima del necessario. Ma in breve tutti i passeggeri furono fuori. Tra tanti riconobbi ragazzi che come me avevano passato la notte sotto le stelle e con i quali avevo scambiato qualche battuta. Qualche sorriso e qualche saluto accennato, ma tutti erano impazienti di raggiungere le definitive destinazioni. Nessuno di quelli che avevo conosciuto era diretto a Cefalonia. Sulla strada fuori dal porto, due ragazze con grossi zaini stavano facendo l'autostop. Anche se gli anni '70 erano passati da un pezzo, quella forma di trasporto era ancora in voga. “Quando è culo è culo!” Pensai, credendo che la fortuna mi avesse già concesso la possibilità di stare in compagnia. Ma fu subito delusione, le due ragazze francesi e per giunta carine, erano dirette ad Atene. Cercai di scacciare quel senso di vuoto che colpisce quando non si è troppo abituati a viaggiare da soli e tantomeno a quel soliloquio mentale che è impossibile evitare, ma poi ritrovato il mio ottimismo, conclusi che in fondo non tutto può andare liscio come si vuole e che la mia vacanza era solo all'inizio. E di questo fatto non potevo certo lamentarmi. Sicuramente ci sarebbero state altre occasioni. Avevo già ingranato la marcia e salutato le due autostoppiste quando realizzai che se anche avevamo diverse destinazioni, potevamo fare insieme una parte del tragitto che avrebbe permesso loro di accorciare le distanze dalla meta. Infatti se i miei calcoli non erano errati, avevo non meno di centosessanta km. da fare per arrivare a Leucade attraversando Prevesa, dove le due ragazze avrebbero potuto trovare un nuovo passaggio per raggiungere Atene. Così con un colpo di clacson e gesticolando, feci avvicinare le due che già avevano sfoderato il dito ed il migliore sorriso nella speranza che qualcuno si fermasse a raccoglierle. Cosa non troppo facile perché le auto che transitavano, quasi sempre erano al completo, o i passeggeri, recandosi in vacanza, avevano gran parte dello spazio occupato dai bagagli. Essendo io da solo, non fu difficile trovare lo spazio necessario. La conversazione all'inizio languì, non conoscendo da ambo le parti le rispettive lingue, ma dopo un po', instaurandosi quella sintonia che deriva in parte dalla simpatia reciproca ed in parte da comuni obbiettivi, con mimica, gesti e parole talvolta abbastanza simili per entrambi, riuscimmo a comunicare con una certa disinvoltura. E quando arrivò il momento di separarsi, ero così dispiaciuto quasi da pentirmi di aver dato loro il passaggio. Non so se loro provassero la stessa sensazione. Ma quando ci salutammo, dopo una breve sosta a un bar di Prevesa per farci una birretta, venne spontaneo abbracciarci e scambiarci gli indirizzi, promettendo di incontrarci di nuovo.

Massimo Ferrini

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