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Autore: Amina Louki
Non dirmi solo ciao!
narrativa
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Non dirmi solo ciao!
Il primo sguardo non si scorda mai.

Uscita dal cancello di casa, mi trovai sulla stradina che sbocca sulla via principale in direzione Viale Europa che porta all'università. M'incamminai, sola, con me lo zaino, il PC e il materiale di studio.
Il mio obiettivo fin dal principio, era quello di trascorrere una giornata solitaria ad apprendere nuove nozioni, lontana da tutti e fare qualche ora di ripetizione.
Il paesaggio infondeva su di me serenità; camminare, infatti, è una cosa che ancora oggi mi appaga molto. Mi permette di pensare, pianificare senza interruzioni, indisturbata.
Era mattina e avevo deciso di trascorrere la giornata in ateneo, quindi, mi ero portata qualcosa per pranzo per dover tornare a casa solo la sera.
La giornata era bellissima, il sole mi invadeva di un calore piacevole, e il fresco della mattina mi accarezzava il viso, il clima tiepido e sereno.
Il traffico del mattino è cosa ordinaria: c'è il cambio turno dei lavoratori dell'ospedale. La pista ciclabile, affianco della mia pedonale, era poco frequentata da svelte biciclette.
Già pregustavo le pause caffè, nel cortile di ingegneria, per ammirare il cielo limpido e assaporare la luce e tepore del sole.
Ci sono due ingressi principali a ingegneria: uno è quello della parte vecchia, delle origini; l'altro invece, della parte nuova, costruita di recente, forse un decennio fa. Tutti chiamano questa nuova parte ‘Inge Nuova', io preferisco chiamarla solo ‘Civile': il nome del dipartimento al suo interno. L'ho sempre chiamata così. È questa la parte dell'università che io frequento da sempre. In prossimità dell'ingresso nuovo, c'è la stazione di BiciMia. All'entrata del cancello si trova il cortile principale, ai lati il giardino con qualche albero giovane, come la struttura.
A sinistra una riserva idrica antincendio, dal design architettonico decorativo simile a una piscina.
I cinque piani dell'edificio accolgono con un atrio molto luminoso a piano terra, grandi porte vetrate, spazi per pause, incontri, tempo libero. La presenza di due tavoli e un punto info invitano alla sosta e allo studio. A sinistra, un corridoio, introduce a due aule studio: ‘Aula Piccola' e ‘Aula Grande', per le loro dimensioni; e, in fondo al corridoio uno stanzino. Lì ci sono i distributori automatici di caffè e merendine, due panche e una porta che conduce al piano interrato, dove si trova aula studio detta ‘Bunker'. Ai piani superiori ci sono a destra e a sinistra i corridoi per le aule didattiche, in prossimità delle scale le aule studio. Al terzo piano, si trova l'aula Cad, riservata a chi frequenta i corsi riguardanti al Dipartimento.
Ah, se solo i muri parlassero... chissà quante storie vi racconterebbero, quanti segreti vi svelerebbero di cui sono stati testimoni... forse ci si renderebbe conto che a volte le cose straordinarie nascono in luoghi apparentemente normali, come lo è il Civile.
Io mi dirigevo, come solito, al Bunker, nel mio abituale angolino seduta al tavolo, a sfogliare e rileggere per l'ennesima volta, Ergonomia e Sicurezza sul Lavoro; dovevo ancora ripetere quell'esame. Avevo persino perso il conto.
Aver sospeso, per qualche tempo la frequenza, mi aveva fatto perdere il ritmo dello studio e la motivazione a frequentare le lezioni, tanto che nel corso magistrale, frequentai solo quattro materie su diciassette. Erano trascorsi ormai due anni e mezzo da quando non mettevo più piede nel mio amato Civile... ahhh...accidenti! Non cambio: insisto a non volerla chiamare Inge Nuova. Di nuovo!
La mattinata, nonostante la fatica dal riprendere, trascorse in intenso studio.
Nel pomeriggio con Mounia, una liceale che veniva da me, in ateneo, per le ripetizioni di fisica, raggiunsi l'aula Cad.
Quel giorno di metà aprile, in aula Cad, i miei occhi alla ricerca della prima postazione libera, incrociarono con lo sguardo di un ragazzo, seduto al PC, con la maglia bianca a maniche corte; le spalle larghe, i capelli neri.
Cercai di trascurare quell'incrocio di sguardi, ma la verità è che mi aveva molto colpito.
Ho ancora di fronte a me quello sguardo, non potrei dimenticarlo...
Quella, fu la prima volta che lo vidi, nel 2014...

Smemorata

Ancora oggi penso come sia possibile, per me, raccontarvi l'inizio di tutta questa storia, dopo così tanto tempo, a malapena ricordo cosa ho fatto il giorno prima.
Di solito non ricordo nemmeno le persone che incontro. Saluto tutti coloro i quali hanno volto a me familiare, anche se non li riconosco. Mannaggia a me! Che smemorata! Spesso, con mio dispiacere, sono ritenuta superficiale, do l'impressione di considerare le persone ombre. La verità è che sono una persona dinamica, sempre in corsa contro il tempo, che non si ferma mai, con troppe cose per testa.
Fermarsi, per me, è persino pericoloso. Mi obbliga a entrare in luoghi della mia mente dove, per ora, non voglio nemmeno sfiorare. Figuriamoci soggiornare. La verità è che ho passato tanto tempo a scappare da situazioni, da possibili legami con persone, oggetti, luoghi... Ho tanta paura del dopo. Quel dopo che potrebbe essere nostalgia, mancanza, fine delle cose piacevoli... È più facile svignarsela, che viverla. È un atteggiamento che ho usato e uso inconsciamente, una reazione-azione quando mi rendo conto che qualcuno sta per bussare alla porta del mio cuore. Ah, per Dio! Quando voglio bene, sono sincera. È troppo il dolore per un eventuale tradimento, meglio stare a debita distanza, una distanza di sicurezza. È una distanza di garanzia, se non rispettata mi porterebbe a non partire, a fermarmi per evitare la nostalgia.
Vorrei tanto superare l'ostacolo, oltrepassare la linea di garanzia, riuscire a buttarmi oltre il confine, vincere la paura, per poter assaporare la vita nella sua complessità e totalità.
È nel proteggermi che mi rendo conto solo ora, sono una persona molto selettiva. Se credo in qualcosa, do tutta me. Per salvaguardarmi da delusioni che ho precluso a me stessa quella sofferenza che poteva essermi maestra, che mi avrebbe permesso di vivere pienamente e capire molto di più le sfumature della vita. Forse poteva essere la parte che avrebbe permesso all'animo della bambina che è in me di maturare.
Nello scorrere i fogli del mio diario trovo frammenti di me.
A dir il vero non sono diversa rispetto a quattro anni fa, solo che sento in me qualcosa di radicale cambiato. Non sono riuscita a controllare chi c'era dietro la porta. L'ho aperta, senza paure, anche se nessuno aveva bussato. Tantomeno qualcuno voleva essere ospite della mia vita.
Smemorata sì, ma se qualcosa mi colpisce al tal punto di catturare la mia attenzione, questa si stampa in maniera permanente nella mia mente, rimane segnata in me. Resta lì, perfetta, ad aspettare che il ricordo bussi... ed è lì che appare. Distratta e attenta. Vigile ai dettagli che il mio subconscio non vuole trascurare.
E lui il Ragazzo Senza Nome, è entrato a far parte di essi.
Con lui, in fin dei conti, sono partita. Dopo avergli aperto la porta, nel viaggio più lungo che io abbia mai fatto, durato quattro anni.

Tra mordi e fuggi, incontri e assenze

Da quel pomeriggio, in aula Cad iniziai a vederlo ogni volta che mi capitava di fare ripetizioni a Mounia. Nulla mi frullava in testa. Non nutrivo altro che una piccola curiosità nei suoi confronti. Adempivo il mio dovere. Poi entrambe, chiariti i dubbi sulla fisica, tornavamo devote alle nostre routine. Lei andava a casa ed io anche.
All'ordine del giorno in quel periodo c'era intenso studio, si avvicinava la sessione esame. La miglior compagna era l'ansia. Tanto che per me e per molti studenti di ingegneria, in quei momenti di alto stato di stress ci si chiedeva e ci si chiede tuttora: “Ma chi me lo ha fatto fare di iscrivermi a ingegneria. È un suicidio!”
La sessione era andata male, e sentii il bisogno di partire.
Ovviamente, la maggior parte delle volte, la fuga premeditata prevedeva la stessa prassi: PC a portata di mano, sito Ryanair, prenotazione volo economico e biglietto in mano, cercare tra gli amici automuniti un passaggio per l'aeroporto. Tappa consueta l'autogrill. Tradizione non ancora abbandonata...
Mi piace tuttora osservare le persone in viaggio, catturare i loro momenti. In cerca di qualcosa da immagazzinare nella mia mente. Questo mai mi annoia.
Mi piacciono gli autogrill, mi piacciono gli aeroporti. Amo ogni singolo momento che vivo in questi posti. Qui riesco a essere un'osservatrice esterna come se guardassi lo schermo di una TV, anche se, in realtà, io stessa sono una di loro.
Solo ora mi rendo conto che è il tipico atteggiamento di chi ricerca, anche solo un'ispirazione.
E se capitasse uno scambio di un sorriso o di un saluto amichevole con sconosciuti, è sempre un piacere. Mi conquista, inoltre, l'idea di pensare che le persone che incontro per caso abbiano storie di viaggio diverse, interessanti o straordinarie.
C'è una cosa che mi fa compagnia mentre guardo, cerco, osservo: un bel caffè macchiato caldo, con latte di soia.
Caffè italiano? Unico al mondo! Tanto da farmi viaggiare con moka e caffè.
Partii verso casa, infatti, la meta solita delle fughe dagli esami è sempre stata Copenaghen, casa della mia famiglia. Lì, tra parenti, moka, caffè profumato, e vie della città mi ritrovavo.
Copenaghen mi assomiglia: è l'uno e l'altro come me, antica e moderna, caotica e quieta, tradizionale e innovativa, piena di diverse bellezze. Piena di contraddizioni, proprio come lo sono io. È la città giusta per me, per le sue sfaccettature.
Arrivò il giorno del mio rientro in Italia, partii da Københavns Lufthavn, con malinconia. Il ritorno alla quotidianità, in Italia, mi lasciava il retrogusto amaro, di ciò che lasciavo: il profumo delle castagne dei venditori di street food, i colori, i paesaggi, gli antichi palazzi di mattoncini ed era già nostalgia.
All'ateneo mi attendeva un ritmo frenetico, lo studio, le attività scientifico-culturali del Gruppo di Studio Al-Biruni (fondato da me e altri studenti di seconda generazione come me). In mezzo a tutto questo per realizzare una mostra documentaria mi è stata offerta l'occasione di frequentare sempre più l'aula Cad, aula del mio incontro.
Abbandonai così, per il tempo necessario al lavoro sul progetto, l'aula Bunker, per frequentare a tempo pieno l'aula Cad.
Ecco che, mentre scendevo dalle scale, al primo piano iniziai a notare qualcuno con una borsa di colore arancio molto acceso. Mi accorsi che era lui. Ma tirai dritto. “Bella borsa!” Pensai tra me e me. Se non mi fossi vergognata di comprarne una uguale, l'avrei fatto. Sarei risultata pazza, non è il caso! Difficile, però, non notarla.
Scendendo le scale, repressi ogni pensiero che lo riguardasse.
Nei giorni successivi era sempre lì, solo, a pranzo. La cosa m'incuriosiva. Mi sembrava un ragazzo così singolare e misterioso. Lui in compagnia della sua solitudine. Avrei voluto sapere già da allora qualcosa su di lui, ma tornavo in me e poi sceglievo di tralasciare i pensieri.
Dopo settimane e settimane di lavoro, finalmente, i pannelli della mostra documentaria erano pronti per essere esposti, in varie occasioni, alla cittadinanza, sia per uso didattico che per conferenze.
Con la fine dei lavori sancirono anche le mie visite in aula Cad e di conseguenza i miei incontri con lui terminarono.
Il lavoro svolto con la mostra documentaria fu oggetto d'interesse da parte del dipartimento di competenza e Stefano Barontini professore di tale dipartimento e primo autore della mostra documentaria, decise di partecipare all'assemblea EGU (European Geosciences) a Vienna. Una volta che fu approvato l'Abstract decisi di partire con il prof e i dottorandi che avevo anche essi collaborato nella stesura della mostra.
Rappresentava per me un'occasione speciale. Una di quelle occasioni non programmate né tanto meno sognate. Ma dal momento in cui decido di partire per qualsiasi meta si risveglia in me la curiosità verso la città ospitante, nei confronti della cultura, la storia e il cibo.
Non tutti i miei viaggi sono quelli custoditi nel cassetto dei miei sogni; situazioni come queste le chiamo occasioni speciali.
Ebbene sì, sono una grande curiosona. In realtà, la curiosità fu sempre l'ingrediente principale principalmente nei viaggi, nei meandri della mia mente nei confronti del Ragazzo Senza Nome. L'altro ingrediente fondamentale è la fuga. Che sia da un luogo fisico o a livello interiore. Il desiderio di scappare dalla realtà, allontanarsi dai legami, quelli che mi limitano. Fuga da Brescia, dall'università. Tutto questo verso ciò che semplicemente mi fa sentire libera e felice.
Era una bella giornata, ed io ero in pausa pranzo nel cortile di ingegneria, un mese prima della partenza per Vienna, con mio stupore ricevetti una chiamata via Skype.
Era Fatima Ezzahra G., un'amica di vecchia data, di cui, ancora oggi, custodisco tanti ricordi di vita piacevoli; invitava me e sua sorella Mouna a Londra, dove viveva, biglietti compresi. Mi sembrò una boccata d'aria: mi aveva letto nel pensiero: avevo tanto desiderio di un viaggetto per vedere amici cari... Che super regalo! Arrivava proprio nel momento giusto. Londra come Copenaghen era di più, luoghi dove si erano trasferiti parti di me, del mio cuore. Dopo la stancante sessione d'esame, che tempistica perfetta senza essere stata programmata.
Londra è stata una parentesi rigenerante non solo per me, ma anche per Fatima Ezzahra G. e Mouna. Era il primo periodo di distacco tra di noi, e la mancanza era sempre accesa dai ricordi limpidi vissuti insieme.
Londra, un clima mite, gli immensi giardini con gli alberi che, ancora nudi, mostravano le prime gemme, i prati ancora segnati dall'inverno. Un incanto.
Era già capitato di ritrovarsi lì tra amiche, passeggiare ai piedi del Big Ben, attraversare il Tamigi sul Tower Bridge, mangiare pollo fritto e patatine fino alla nausea.
Londra imponente e maestosa ascoltava le nostre risate, i nostri commenti, le nostre emozioni sotto il solito cielo tetro e piovoso.

Il rientro non era per nulla amaro: mancavano solo due settimane per ripartire per Vienna.
I giorni passarono senza che me ne accorgessi. Partii prima degli altri perché volevo andare in aereo. Il mio percorso fu con scalo a Bratislava e proseguito in bus fino a Vienna.
Alloggiavo nel centro città: le vie erano piene di gente, il tempo favorevole, l'atmosfera primaverile regnava sulla città, sia tra le vie sia sulla riva del Danubio.
Giungere all'Austria Center Vienna, dove si svolge usualmente l'assemblea annuale EGU e dove noi avremmo presentato il nostro progetto concretizzatosi con mostra a Brescia, mi aveva lasciato con il fiato sospeso.
Era un ambiente pazzesco, immenso, ricco di eventi, pannelli espositivi, conferenze sui più diversi argomenti: idrologia, geologia, oceanografia, cambiamento climatico e tanto, tanto ancora... Addirittura anche, ‘Missione Rosetta', sonda inviata nello spazio nel 2004 per studiare le origini del sistema solare.
Davvero tutto fenomenale, ero in uno stato euforico. Fu per me un'occasione straordinaria. Conobbi cose mai neanche immaginate di settori fuori dal mio ambito formativo.
Avvertivo, però, in fondo al cuore una sensazione strana, una sorta di gelosia. Eventi così significativi nell'ambito delle tecnologie non erano a portata di mano. Lontane da raggiungere. Era come sentirmi privata di opportunità di crescita formativa nel mio territorio. Forse non era proprio gelosia ma ingiustizia, mi sentivo privata di qualcosa, penalizzata. Il mio desiderio di imparare e conoscere trovava Vienna l'ambiente idoneo, e si scontrava con le risorse che mi offriva il mio territorio.
In quel clima di ebrezza, mi raggiunse Milton, un vecchio compagno di studi e amico. Mi ero concessa un fuori programma: una gita per la città in compagnia di Stefania, docente dell'università di Firenze, conosciuta lì, mentre ero intenta a catturare dei bei ricordi con la macchina fotografica. Avevamo trascorso un intero giorno a esplorare le cose più importanti di Vienna.
Non potevo certo farmi sfuggire l'occasione di visitare il palazzo di Sissi, il quartiere Hundertwasserhaus realizzato dall'artista austriaco Friedensreich Hundertwasser, il Castello Belvedere, dove è esposto il famosissimo bacio di Klimt, e assaggiare la sacher torte, preparata dalle abili mani di esperti pasticceri austriaci.
Che sbalordimento scoprire che il piatto tipico austriaco è simile alla cotoletta milanese!
Milton, che l'aveva ordinata, la mangiò con una totale insoddisfazione. Che delusione! Che fiasco! La sua mimica esprimeva lo sconforto per avere mangiato male e buttato i soldi. Oltre il danno, pure la beffa!
Con Stefania quante risate condivise. Io ero super soddisfatta dalla mia zuppa agli asparagi. Notevolmente deliziosa, che a casa provai a imitare. Il risultato era leggermente fallimentare.
Beh, mi viene da dire che le foto che beccai su Google Immagini non hanno mentito, se non per il fatto che, lo schermo piatto del PC non trasmette la profondità del paesaggio, dove i nostri occhi si perdevano.
Ho lasciato un pezzo di me in quella città. In primo luogo nei giardini del castello della principessa Sissi.

I giorni fluirono tra università e la Cavallerizza, ma di lui nessuna traccia. Soprattutto non avevo più motivo di frequentare l'aula Cad.
Oltre le ripetizioni, per arrotondare, decisi di accettare un paio di proposte lavorative non molto impegnative. Il primo impegno lavorativo prevedeva tre ore in compagnia di un signore anziano nella lettura del giornale, poiché affetto da cecità, nei pomeriggi di lunedì, mercoledì e venerdì. Con il signor Eugenio, mi divertivo e mi arrabbiavo un sacco. Entrambe le cose, aveva le sue fisse come molte persone anziane, ma era comunque una persona con la quale è difficile annoiarsi.
Il martedì e il venerdì mattina invece facevo un'ora di pulizia da una signora anziana. Era davvero piacevole occuparmi di casa sua, in quanto era sempre pulita.
Mi faceva sempre il caffè tra una conversazione e l'altra. Avevamo superato il consueto rapporto lavorativo, mi dava i consigli se ne avevo bisogno. Per le feste ci scambiavamo i regali. Le mandavo le cartoline quando viaggiavo da qualche parte. Elisa, era il suo nome, era davvero di buona compagnia, donna forte e schietta. Sveglia nonostante avesse superato gli ottanta anni.
Dopo l'ora di pulizia, eccomi che sfrecciavo in bici verso l'università. Nella mia vita quotidiana. Nel mio stesso angolino al tavolo del Bunker.
I giorni continuavano a passare, ma di lui nessuna traccia, in università, ma questo non mi impedì la sua presenza in me, nei miei pensieri.

Amina Louki

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Erri De Luca Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
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Lisa Ginzburg Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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