Vito
Catalano è nato a Palermo nel 1979. In
una vita fra Italia e Polonia (dove per anni ha tenuto
lezioni di scrittura italiana agli studenti di Linguistica
Applicata dell'Università di Varsavia), ha
pubblicato numerosi articoli sui quotidiani Il Messaggero,
Il Riformista, La Sicilia e quattro romanzi: L'orma
del lupo (Avagliano editore 2010), La sciabola
spezzata (Rubbettino 2013), Il pugnale di Toledo
(Avagliano editore 2016), La notte della colpa
(Lisciani Libri 2019). Lavora ai documenti d'archivio
del nonno, Leonardo Sciascia.
Il suo ultimo libro è "Il Conte di
Racalmuto" edito da Vallecchi
Firenze
La
notte della colpa. Cè un filo rosso
che lega le vicende di un avvocato emergente, un gestore
di un agriturismo siciliano e un insegnante di italiano
che è emigrato a Varsavia. Un filo fatto di
sangue che si snoda lungo le pagine di tutto il romanzo.
Una colpa che si riaffaccia dopo anni e un assassino
che intende chiudere i conti con se stesso e con gli
altri. È impossibile fuggire dalle proprie
responsabilità e dal proprio passato e le scelte
sono sempre difficili: il destino mette alla prova
quando si è giovani e quando si è adulti.
Sullo sfondo di suggestive località della Sicilia
e della Polonia, la storia si sviluppa rapida e con
svolte improvvise e lancora di salvezza che
lamore rappresenta stavolta può non bastare.
Il
Conte di Racalmuto. Sicilia, XVII secolo. Il paese
di Racalmuto è governato dal conte Girolamo
del Carretto, uomo spietato e avido, dall'insaziabile
istinto pre-datorio. Traditori d'ogni risma e assassini
senza scrupoli percorrono ogni giorno vie e sentieri,
mentre la gente vive in mezzo a sospetti e paure.
Il bene e il male si confondono. Ma il potere del
conte, pur sembrando senza limiti, finisce col trovare
un inaspettato intreccio di nemici: la moglie Beatrice,
il priore del convento degli Agostiniani e un servo.
Fra inganni, agguati e innamoramenti, i personaggi
del romanzo rimarranno invischiati in una rete pericolosa.
Ispirandosi a una storia vera e partendo dalle righe
che il nonno Leonardo Sciascia ha scritto sull'episodio
nelle pagine dedicate al paese natale di Racalmuto,
Vito Catalano costruisce una trama in cui la fantasia
si mescola a ricordi di luoghi e persone.
Abel Wakaam: Ciao Vito, come ci si sente ad
essere il nipote di Leonardo Sciascia, figlio di Annamaria,
la più piccola di casa? È un peso da
portare, una forma di orgoglio oppure una gioia da
condividere?
Vito Catalano: Non ho mai sentito come un
peso aver avuto come nonno Leonardo Sciascia, sono
contento del nonno che ho avuto e mi piace parlare
di lui coi lettori appassionati e curiosi. Quanto
alla mia decisione di mettermi a scrivere, considero
l'ombra di mio nonno benevola.
Abel Wakaam: Il tuo ultimo libro inizia con
una frase proprio di Sciascia, tratta dal suo romanzo
Le parrocchie di Ragalpetra: " Il conte
stava affacciato al balcone alto tra le due torri
guardando le povere case ammucchiate ai piedi del
castello, quando il servo Antonio Di Vita «facendoglisi
da presso, lassassinò con un colpo darma
da fuoco». Era un sicario, un servo che si vendicava;
o il suo gesto scaturiva da una più segreta
e appena sospettata vicenda?"
È stato un modo per intrecciare ancora di più
la tua vita col ricordo di chi ti teneva seduto sulle
gambe da bambino?
Vito Catalano: La citazione di mio nonno mi
è sembrata una maniera indovinata per introdurre
il lettore nelle pagine della mia storia e rendere
immediatamente esplicito il legame che sento fra le
pagine di mio nonno e il mio voler scrivere un romanzo
sul conte di Racalmuto.
Abel Wakaam: Tratto da Il conte di Racalmuto:
"Benché avesse appena dodici anni,
con la fionda nessuno, neppure fra gli adulti, era
in grado di battere Paolino: la mamma lo sapeva e
spesso lo mandava lontano, in campagna, a prendere
qualche animale da infilare nella pentola per il brodo
o da cuocere sulle braci. Cerano altri due fratellini
da sfamare e labilità di Paolino era
lunico modo per procacciarsi un poco di carne
ogni tanto; ma bisognava stare attenti, non farsi
vedere: linvidia poteva impadronirsi dei vicini
e gli sgherri del conte erano sempre in giro fra le
vie del paese e i sentieri della campagna."
C'è qualcosa di te in questo ragazzino? E chi
era, da piccolo, il Conte da cui dovevi fuggire?
Vito Catalano: No, facendo il ritratto del
giovane Paolino sono ritornato ai ricordi familiari,
a quel che la memoria altrui mi ha trasmesso. Uno
zio di mio nonno fu forse il più abile cacciatore
di Racalmuto (proprio mio nonno lo ricorda nelle pagine
de "Le parrocchie di Regalpetra") e si racconta
che da ragazzino, quando la carne non era abbondante,
con la fionda andava a caccia di colombi per la mensa
di casa ed aveva già una mira infallibile.
Abel Wakaam: Racalmuto non è una città
come le altre, sembra quasi congelata nei ricordi
di chi l'ha resa celebre. Conserva ancora intatta
una delle case di Sciascia, l'altra invece è
a Palermo e nel suo studio, insieme a tutti gli appunti
e la fotografia di Pirandello, il calendario segna
il giorno precedente a quello della sua morte. La
tua scrittura è un modo per continuare a sfogliare,
seppur in modo diverso, quelle stesse pagine?
Vito Catalano: Io credo che il mio scrivere
provenga dalla passione per i libri, amare i libri
mi ha portato a scrivere. E l'amore per i libri è
probabilmente nato perché sono cresciuto, appunto,
in un mondo di libri.
Abel Wakaam: Tuo nonno diceva che i primi
dieci anni di vita sono quelli che formano un uomo
e tu hai avuto la fortuna di trascorrerli tutti vicino
a lui. Oltre a coltivare la tua passione per Napoleone,
ti raccontava le storie di banditi siciliani e carabinieri
che a te piacevano tanto. È così che
ha acceso la tua curiosità per la scrittura?
Vito Catalano: Forse così, più
che la passione per la scrittura, si è acceso
l'interesse per la storia e per le vicende avventurose
e misteriose. E i suoi racconti, nel salotto di Palermo
e soprattutto nella terrazza della campagna di Racalmuto,
ancora sono comunque vivi nella mia memoria.
Abel Wakaam: Hai più volte citato la
sua passione per le civette, cominciata perché
qualcuno, dopo il successo del "Giorno della
civetta", cominciò a regalargliele. In
seguito, questa passione di collezionare piccole civette
sè diffusa a tutti gli eredi, al punto
di erigerla quasi a stemma di famiglia. C'è
mai stata una civetta nel tuoi romanzi?
Vito Catalano: Sì, più di una
volta ho inserito gufi e civette. Una volta ho pure
scritto di una civetta che gridava da un noce (Contrada
Noce si chiama appunto la campagna dove mio nonno
amava villeggiare e dove io continuo ad andare ogni
anno).
Abel Wakaam: La parola giustizia
cela dentro di sé unoscura ossessione
di famiglia. Nei tuoi libri si evince la caratura
morale con cui sei stato cresciuto. Ritieni che oggi
abbia lo stesso significato di allora?
Vito Catalano: Una volta mio nonno ha detto:
"Tutto è legato, per me, al problema della
giustizia: in cui si involge quello della libertà,
della dignità umana, del rispetto tra uomo
e uomo. " Parole che ci toccano oggi come nel
passato.
Abel Wakaam: Nei tuoi libri hai infuso uno
stile chiaro ed essenziale, con un'analisi profonda
dei personaggi. Si avverte il profumo della tua terra
e la capacità di percorrere la strada della
scrittura su sentieri paralleli a quelli già
definiti. Chi sono gli autori che hanno in qualche
modo influenzato il tuo modo di raccontare una storia
e da cui comunque ti sei differenziato per cementare
una tua visione personale della letteratura?
Vito Catalano: Difficile mi sembra individuare
con precisione gli scrittori che hanno influenzato
il mio modo di scrivere, ma certo ci sono autori che
leggo e rileggo, maestri sommi nell'arte del raccontare:
Stevenson, Conrad, Scott, Hugo, Dumas, Tolstoj, Werfel,
Perutz, Joseph Roth (tanto per fare qualche nome).
Fra i miei conterranei non solo faccio i nomi dei
grandi (Verga, Pirandello e, naturalmente, Sciascia),
ma sento di avere qualche debito pure nei confronti
di Nino Savarese e di Luigi Natoli.
Abel Wakaam: Si può insegnare l'arte
della scrittura, oppure è un dono innato che
viene profuso per linee di sangue e coltivato con
emotività e passione?
Vito Catalano: Credo ci vogliano impegno e
talento. Poi, certo, suggerimenti e indicazioni di
altri scrittori possono essere molto utili.
Abel Wakaam: Che consiglio ti senti di dare
a chi si accinge oggi ad avvicinarsi timidamente a
questo mondo fatto di parole?
Vito Catalano: Il mio primo consiglio è
leggere molto e "dopo aver bevuto in tante cantine"
provare a scrivere all'inizio testi non lunghi e leggerli
dopo aver fatto passare del tempo dal momento della
stesura per acquisire un certo distacco e chiedendo
anche ad altri di leggerli.
Abel Wakaam
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