Nato
a Manchester nel 1954, Tim Parks è cresciuto
a Londra e ha studiato a Cambridge e ad Harvard. Nel
1981 si è trasferito in Italia, dove vive tuttora.
Ha scritto diciotto romanzi, tra i quali "Lingue
di fuoco, Europa (candidato al Booker Prize),
Destino e In extremis.
Negli anni novanta ha scritto Italiani e Uneducazione
italiana, due saggi dal sapore squisitamente personale,
apprezzabili soprattutto per la loro fine ironia antropologica.
A questi si sono aggiunti Questa pazza fede,
che racconta lesilarante microcosmo di una tifoseria
provinciale, e Coincidenze, sui binari da Milano
a Palermo, ritratto dell'Italia divertente e pungente,
tra aneddoti e malintesi, paesaggi meravigliosi, contrattempi
e ritardi. Da ricordare poi La fortuna dei Medici,
che ripercorre la storia della banca medicea fiorentina
del XV sec., e Insegnaci la quiete, una profonda
riflessione narrativa su salute, malattia e meditazione.
Parks ha inoltre tradotto vari autori italiani,
tra cui Pavese, Moravia, Tabucchi, Calvino, Calasso,
Leopardi e Machiavelli. Per molti anni ha insegnato
la traduzione in ambito universitario e ha trattato
questa tematica nel suo Tradurre linglese:
questioni di stile, libro in cui analizza la traduzione
italiana dei modernisti inglesi.
Collabora regolarmente con il New York Review of
Books e il London Review of Books.
The
Telegraph.
"Questo racconto arguto della vita universitaria
milanese è un romanzo o un memoir? Poco importa,
è una delizia". Afferma Julian
Evans.
Un aspetto curiosamente piacevole di Italian Life
di Tim Parks è il suo sottrarsi a ogni
tentativo di definizione. È il frutto
di quarantanni in Italia, ci dice lautore.
Ma è finzione o no? Con i ritratti di James,
professore di letteratura (come lo era Parks) a Milano,
e di Valeria, una giovane brillante originaria della
Basilicata, che si trasferisce al nord carica di speranze
per frequentare luniversità, racconta
la storia di due personaggi in via di definizione,
ma anche la vita in Italia. Questa confusione avvince
il lettore, tenendolo sulle spine. Allinizio
Italian Life è un saggio in forma di dramma
in cui, come scrisse Bruce Chatwin, per quanto
la narrazione possa aderire ai fatti, è in
opera un processo romanzesco. Nel caso di Chatwin,
questo fungeva da pretesto per autoincensarsi raccontando
frottole; in quello di Parks è un modo per
fondere i personaggi e sovrapporre gli eventi. Più
avanti si insinua un tono da commedia dellarte,
con una cupa storia di corruzione, truffa e nepotismo,
ambientata nel mondo universitario, animata dalle
conversazioni dei protagonisti. Parks aggiunge un
elemento divertente e un ulteriore tocco di vivacità
ponendo una favola italiana in apertura di ogni capitolo.
Definisce una favola anche il suo libro, che però
è più lungo e più dantesco, una
sorta di epopea sottilmente comica del viaggio di
due anime nellaccademia, senza giustizia divina
ma con nuove intuizioni e legami di fedeltà
che stemperano il tradimento. James e Valeria affrontano
tormenti tipicamente italiani. Il primo è la
famiglia. In Italia infelicità vuol dire
esclusione, abbandono da o da parte della famiglia,
che si tratti della famiglia dei colleghi o dei parenti.
Lungo il suo viaggio in treno per Milano, Valeria
(uno splendido esemplare del tipo standard,
come osserva il lascivo sacerdote di provincia) è
accolta a Napoli da una zia che la aspetta con frutta
e taralli; a Roma da unaltra zia, una suora,
con una fetta di formaggio e un litro di vino sfuso;
a Firenze da una terza zia con una busta piena di
pettole. Queste attenzioni sono una forma di potere,
per ricordare a Valeria che appartiene a loro.
James si imbatte in vincoli altrettanto ferrei: quando
cerca di passare dallessere solo un insegnante
di inglese allo status di professore, gli viene
detto che viene sempre preso il candidato interno,
per quanto incompetente. Perché i candidati
esterni fanno domanda, allora, chiede. Per
indicare la loro sottomissione al sistema. Arriviamo
al cuore dellatteggiamento pan-italiano. Come
si fa a non diventare padroni in un paese di servitori?,
si chiedeva Mussolini senza bisogno di una risposta.
Parks segue il percorso tortuoso di Valeria dalla
laurea di primo livello (inutile) al dottorato (che
ottiene per la sua obbedienza) e di James da lettore
a professore, tra intrighi, insostenibile tedio e
servilismo. La libertà accademica non è
altro che un ossimoro, con lunico sollievo che
la scena si svolge in Italia, tra il piacere unico
della passeggiata mattutina verso il bar con il suo
cappuccino da leccarsi i baffi, una spirale
ironica disegnata dal cacao sulla schiuma, gli
aperitivi serali con i colleghi, la nebbia invernale,
lo stridore dei tram. Di tanto in tanto le descrizioni
sono un po didascaliche, anche se la rievocazione
involuta e capricciosa della vita universitaria tracciata
da Parks sa essere molto divertente gli esami
orali dove si contratta per un voto più alto,
la sessione di laurea in cui i laureandi presentano
la tesi davanti ai famigliari. Dopo lelezione
di un nuovo rettore scaltro e manipolatorio, Italian
Life si fa più romanzesco; la trama e la scrittura
prendono velocità e i personaggi della commedia
iniziano a parlare come ci si aspetta che facciano
gli italiani: senza freni. Ci sono scene meravigliose,
come quando James nega fermamente di aver altrettanto
fermamente accusato Bettina, la direttrice di dipartimento.
A sorpresa arriva anche una sezione commovente sugli
studenti di James. Ogni anno gli studenti lo trasformavano,
in un certo senso. Lo tenevano in vita. Amava la loro
agitazione prima degli esami, le ragazze che si mordicchiavano
i ricci, i ragazzi che si mangiavano le unghie, e
amava il loro spudorato opportunismo quando andavano
nel suo ufficio in orario di ricevimento per chiedergli
un trattamento di favore
Invece di sfuggirgli,
la vita si accumulava. Uno strato si sedimentava sullaltro,
lesperienza si arricchiva. E lì alluniversità
era dentro la vita italiana, ne faceva parte, la serbava
in sé stesso e dava tutto sé stesso.
Autore di diciotto romanzi, Parks non avrebbe mai
potuto scrivere un saggio professorale sulla vita
italiana. Al contrario, fino alla fine ci regala la
soddisfazione di una commedia veritiera, divertente
e provocatoria che mette a nudo la differenza dellItalia
come nazione e come popolo gioioso, affettuoso e mutevole,
docile nel temperamento e irremovibilmente ostinato
nelle sue tradizioni.
Abel Wakaam: Ciao Tim, grazie per questa
lunga chiacchierata. L'Italia è un popolo di
santi, poeti, artisti e navigatori, ma anche di feroci
critici verso il sistema, specialmente quando non
funziona. In Italian Life hai voluto raccontare
il dissesto dell'istruzione nel Paese in cui hai scelto
di vivere. Devo dedurre che in questi anni, oltre
alla passione per il calcio di provincia, hai acquisito
anche un po' della mentalità italiana?
Tim Parks: Sarebbe strano, e anche triste,
se dopo 40 anni in Italia non avessi assorbito un
po' dei comportamenti italiani. Eppure conta la propria
infanzia e gioventù, la formazione iniziale.
Semmai ci si può disfare di un'identità
nazionale, ma è difficile acquisirne una. Quello
che più mi colpisce in Italia poi non è
la critica del sistema, che è facile e che
si trova in molti paesi, ma la straordinaria ubbidienza
e sottomissione di tante persone anche molto intelligenti
in riguardo a norme di comportamento odiose. Un paio
di anni fa ho abbandonato l'università perché
non ne potevo più e non vedevo nessuna speranza,
almeno dove insegnavo io, di miglioramenti. La critica
c'è ma non porta da nessuna parte. Nel libro
Italian Life, più che criticare cerco di raccontare
molti fatti nella vita quotidiana di varie persone
e di metterli in rapporto, anche con molte altre 'storie'
italiane, fiabe, romanzi, biografie. Il risultato
dovrebbe essere insieme comico e sconvolgente.
Abel Wakaam: Nel corso della storia abbiamo
assistito al contrapporsi di due diversi modelli di
libertà: la libertà come libero arbitrio
e la libertà come assenza di costrizione. Oggi
potremmo affermare che sussiste una diversa forma,
derivante dalla comoda ricerca di una "non contrapposizione".
Più che ubbidienza e sottomissione, si tratta
di un modus vivendi in cui usiamo la nostra intelligenza
per fingere di appagare chi crede di poterci soggiogare.
Si potrebbe più semplicemente tradurre in un
"menefreghismo" all'italiana, dove l'ostentata
accondiscendenza nasconde la disconoscenza del potere.
Cosa ne pensi invece di questa chiave di lettura?
Tim Parks: In Italian Life cè
un personaggio che più volte offre questa versione
vagamente rassicurante. Non è nuova. Cera
chi parlava in termini simili sotto la dittatura medicea
del 400. Comunque, credo di riconoscere lubbidienza
cieca e la sottomissione abbietta quando le vedo,
anche perché qualcuno, soprattutto tra i giovani,
esprime apertamente la sua sofferenza. Per fortuna,
Italian Life parla anche di altre cose ben
più intriganti e allegre.
Abel Wakaam: Hai insegnato l'arte della traduzione
in ambito universitario e hai prodotto anche un libro
su questo argomento. Che effetto fa tradurre in lingua
inglese i testi di scrittori italiani come Pavese,
Moravia e Calvino, ma anche Leopardi e Machiavelli
(tanto per citarne qualcuno)? Quale è stato
l'equilibrio semantico con cui hai saputo rispettare
il loro stile personale, pur adattandolo allla tua
visione della letteratura generale e in particolar
modo a quella inglese?
Tim Parks: Sono stato fortunato. È
un privilegio tradurre un grande autore per una casa
editrice seria che offre anche un buon supporto editoriale.
Si impara molto e aiuta ad arricchire la propria scrittura.
Non cerco affatto di adattare lautore alla mia
visione della letteratura. Anzi, è un piacere
dimenticare la mia visione, il mio stile, la mia voce,
e concentrarmi sulloriginale, capirlo bene e
comprendere la sua posizione nellinsieme dei
testi che compongono la letteratura italiana. Poi,
ovviamente, la traduzione è scritta in inglese,
con una consapevolezza dei registri e stili inglesi.
Ogni testo presenta problemi diversi, ma anche opportunità,
richiede lelaborazione di criteri di scelta
diversi quando cè una tensione tra semantica
e stile. Certe voci inconfondibili il Leopardi
dello Zibaldone, il Pavese di La luna e i falò
sono state molto difficili da ricostruire in
inglese. Il lettore non vuole che Leopardi sembri
Coleridge, o Pavese somigli a Steinbeck. Però
è sempre un bel faticare. Ci si stanca, ma
vale la pena.
Abel Wakaam: Hai istruito all'arte della traduzione
centinaia di studenti all'Università, ma lo
hai fatto dall'alto di un pulpito incontestabile.
Ritieni che si possa insegnare la scrittura (non la
grammatica) senza aver mai prodotto un testo di qualità,
riconosciuto dalla critica? E chi può giudicare
davvero la qualità di un testo?
Tim Parks: Oddio, non ho mai pensato di insegnare
dallalto di un pulpito. Si parla insieme di
un testo, si cerca di capirne le qualità, il
rapporto tra stile e contenuto, il modo di avvicinarsi
al lettore, con quale scopo, ecc. E poi si cerca di
ricostruire questa complessità nellaltra
lingua. È vero che io ho sempre portato molta
esperienza nella discussione, ma ogni studente, ogni
persona, ha il suo idioletto, la sua posizione; la
lingua di oggi non è quella di ieri. Così
è capitato che io stesso ho imparato molte
cose durante le lezioni. Per quanto riguarda linsegnamento
di chi non ha praticato molto il mestiere, non credo
che sia impossibile; non posso conoscere le lezioni
degli altri. Limportante è evitare di
introdurre regole fisse, come surrogato dellesperienza;
bisogna rimanere aperti, flessibili, sensibili.
Giudicare "davvero"? Credo sia impossibile
arrivare a giudizi definitivi. Perché avere
questansia? Dallaltra parte, poniamo qualcuno
che conosce bene una lingua, e qualcun'altro no. Tendo
a essere più interessato alla reazione/giudizio
di chi quella lingua la conosce bene. Se analizziamo
la reazione di un bambino a Leopardi e la reazione
di uomo che ha molto vissuto, tendo a rispettare di
più il giudizio di chi ha vissuto. Più
noi siamo in grado di portare a un testo la nostra
esperienza in termini di sapere, di vita e di letteratura,
più saremo in grado di coglierne l'essenza
e più la nostra opinione avrà un certo
peso. È per questo che si studia. Non puoi
godere e cogliere Dante senza un po' di preparazione.
Abel Wakaam: Nell'Arte della scrittura
di Lu Ji, la scrittura stessa non viene descritta
come una semplice disciplina, ma come un'arte spirituale
"in cui la parola diviene forma privilegiata
del viaggio interiore, della ricerca e di una più
alta comprensione di sé e del mondo".
Esiste una forma corretta per tessere una trama, oppure
bisogna astenersi dal domare l'istinto e lasciare
quindi che le parole e i protagonisti prendano vita,
strappando i fili dello scrittore burattinaio che
decide in ogni istante della loro esistenza?
Tim Parks: Devo confessare che ho problemi
con alcuni termini di questa domanda. Preferisco le
parole che hanno un referente che in qualche modo
posso conoscere: sedia, sale, sesso, serenità.
Invece "spirituale" mi sfugge. Non ho mai
visto o sentito uno spirito. Presumo si riferisca
a tutto quello che rimane oscuro nella nostra psiche.
Ma non ne sono certo. Lu Ji scriveva nel terzo secolo
dopo Cristo se non mi sbaglio.
Per istinto ho sempre inteso una spinta o compulsione
fisica, che difficilmente si adatta alla necessità
di scegliere durante la stesura di un romanzo. Anche
l'idea di "parole e protagonisti che prendono
vita" è un concetto che mi è difficile
da capire. È vero che certi personaggi vengono
descritti così bene e risultano talmente riconoscibili
che riusciamo a immaginare che abbiano un'esistenza
fuori dal libro. Ma sotto sotto sappiamo benissimo
che questo non è vero. Anna Karenina agisce
solo sulle pagine di Tolstoj perché è
sempre lui il "burattinaio". La differenza
è che è più bravo di altri. E
poi molto dipende, come sempre, dallincrocio
tra testo e lettore. C'è anche chi abbandona
il romanzo russo dopo poche pagine.
Ma cerco di rispondere. Credo che tu mi stia chiedendo
se cè una formula, un modo sicuro, un
processo che si possa insegnare, la soluzione che
mi permetterà di produrre un buon romanzo.
Rispondo con una citazione di D H Lawrence:
"Sì può solo insegnare quello
che è già stato fatto". Così,
se si volesse riscrivere i romanzi del passato, o
scrivere gialli o romanzi rosa "che non è
poi unaspirazione ignobile" la risposta
sarà sì, qualche formula ci dovrà
pur essere. Ed effettivamente moltissimi romanzi oggi
sono ripetizioni di qualcosa già fatto, scritte
da persone che hanno imparato bene delle formule.
Anche l'aspetto morale, sentimentale ecc. può
diventare una formula, persino tra scrittori che consideriamo
"importanti". Ma "novel"
vuole dire innanzitutto "nuovo", e per il
nuovo non ci può essere una formula. Alla fine,
a parte la mia difficoltà con la parola spirituale,
misura forse della distanza tra di noi, sono d'accordo
con Lu Ji. Il romanzo è un esercizio che ci
invita a raccontare e comprendere un po' meglio noi
stessi e il mondo; così per fare qualcosa dinteressante
bisogna sgomberare bene il campo e guardare intensamente
sia fuori che dentro, che poi, alla fine, sono la
stessa cosa.
Abel Wakaam: Hai scritto libri di generi nolto
diversi tra loro. Hai dovuto adattare il tuo stille
di scrittura, oppure hai "marchiato" ogni
testo con la tua personale impronta?
Tim Parks: Non saprei cosa sia la mia personale
impronta. Parlando con diverse persone, o a pubblici
diversi, o in diverse situazioni si parla in modo
diverso. Scrivendo un romanzo dove un uomo affronta
il suicidio del figlio e la fine di un matrimonio
tormentato quanto passionale (Destino) usi
uno stile diverso rispetto a quando scrivi un libro
bonario sulle ferrovie italiane (Coincidenze).
Rimane comunque, senza che io me ne preoccupi, un
mio marchio personale di qualche tipo. Un po' di anni
fa una studentessa francese, per la tesi, ha paragonato
il mio romanzo Bontà, "un uomo
alle prese con una figlia terribilmente handicappata",
con il mio libro più scherzoso, Italiani,
in cui raccontavo la storia dei miei vicini in un
piccolo paese del Veneto. Sono due libri molto diversi,
eppure questa studentessa ha trovato moltissime somiglianze
e punti di contatto. Forse la cosa importante è
affrontare ogni impresa nel modo che sembra appropriato,
senza preoccuparsi di questioni di identità.
Abel Wakaam: Per terminare questa piacevole
conversazione, che consiglio daresti agli scrittori
di Writer Officina?
Tim Parks: Quel periodo della gioventù
in cui uno cerca la propria vocazione, cerca uno sbocco,
una conferma, è insieme il periodo più
entusiasmante, ma anche il più angoscioso della
vita. Perché non puoi sapere quello che sarà.
I consigli sono pericolosi, soprattutto se non sai
a chi li stai dando; proporrei solo di non essere
troppo ansiosi di arrivare subito alla pubblicazione
e al successo. La vita è lunga. Arriverà
il momento in cui i tuoi talenti troveranno il soggetto
adatto. Io avevo scritto sette romanzi prima di pubblicarne
uno. Lapprendistato è stato utile.
Abel Wakaam
© Writer Officina
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