Oriana
Fallaci nacque a Firenze il 26 giugno 1929, in
piena era fascista. Gli anni della sua infanzia erano
quelli del potere mussoliniano e il padre, un attivo
antifascista, era così convinto delle sue scelte
e delle sue idee che addirittura coinvolse la piccola
Oriana, che allora aveva solo 10 anni, nella lotta
resistenziale. Ben presto si unì al movimento
clandestino di resistenza, sempre guidato dal padre,
diventando un membro del corpo dei volontari per la
libertà contro il nazismo. Probabilmente, proprio
la durezza di quel periodo plasmarono la sua tempra
di donna di ferro, che poi la contraddistinguerà
negli anni della maturità e della celebrità.
Suo padre venne poi catturato, imprigionato e torturato,
riuscendo miracolosamente a salvarsi, ma è
lei che ricevette una menzione d'onore dall'Esercito
Italiano a soli quattordici anni. Terminato il conflitto,
decise di dedicarsi alla scrittura in maniera attiva,
con il serio proposito di farne una professione di
vita.
Prima di approdare al romanzo e al libro, Oriana
Fallaci si dedicò prevalentemente alla
scrittura giornalistica, quella che di fatto le ha
poi regalato la fama internazionale. Una fama ben
meritata, perché a lei si devono memorabili
reportages e interviste, indispensabili analisi di
alcuni eventi di momenti di storia contemporanea.
Passata rapidamente nel giornalismo di cronaca per
varie testate, i direttori con cui venne a contatto
non faticarono a riconoscerle una capacità
di ben altro tipo. Le furono assegnati incarichi di
più vasto respiro e di grande responsabilità,
come le interviste a importanti personalità
della politica o il resoconto di avvenimenti internazionali.
La sua eccezionale bravura la porta all'Europeo,
prestigioso settimanale di grande spessore giornalistico
e culturale, per poi collaborare anche con altre testate,
sia in Europa, che nel sud America.
Fra gli exploit più memorabili è da
ricordare la sua infiammata intervista all'Ayatollah
Khomeini, leader del regime teocratico iraniano e
poco incline a riconoscere diritti e dignità
alle donne. Da ricordare inoltre l'incontro con Henry
Kissinger, indotto dalla giornalista, con incalzanti
domande, a parlare di argomenti mai affrontati con
altri interlocutori, come alcune questioni riguardanti
la sua vita privata. La raccolta delle sue grandi
interviste con i potenti della Terra venne poi inglobata
nel libro "Intervista con la storia".
Un significativo esempio del pathos che la Fallaci
riversa nei suoi libri è costituito dal best-seller
"Un uomo" (1979), romanzo steso in
seguito alla morte del compagno Alekos Panagulis.
Nel romanzo "Insciallah" scrive invece
la storia delle truppe italiane stazionate in Libano
nel 1983. Come nella maggior parte dei suoi libri,
anche in questo caso la scrittrice evidenzia lo sforzo
dei singoli per liberarsi dal giogo di oppressioni
e ingiustizie. I suoi libri sono stati tradotti in
più di trenta paesi; fra i riconoscimenti va
segnalata la laurea ad honorem in Letteratura ricevuta
dal Columbia College of Chicago.
Seppure di origini fiorentine, Oriana Fallaci ha risieduto
a lungo a New York: "Firenze e New York sono
le mie due patrie", raccontò lei stessa.
Ed è proprio dal grande attaccamento per gli
Stati Uniti, dalla grande ammirazione che la Fallaci
sentiva per questo paese, che nacque la sua reazione
al terribile attentato terroristico dell'11 settembre
2001 alle Twin Towers. Con una lettera inviata all'allora
direttore del "Corriere della Sera" Ferruccio
De Bortoli, Oriana Fallaci ruppe il silenzio che durava
da tempo. Lo fece nel suo stile, uno stile viscerale
e potente che non lasciava mai indifferenti e che
sollevò una vasta eco in tutto il mondo. Eccone
un estratto: "Mi chiedi di parlare, stavolta.
Mi chiedi di rompere almeno stavolta il silenzio che
ho scelto, che da anni mi impongo per non mischiarmi
alle cicale. E lo faccio. Perché ho saputo
che anche in Italia alcuni gioiscono come l'altra
sera alla Tv gioivano i palestinesi di Gaza. "Vittoria!
Vittoria!" Uomini, donne , bambini. Ammesso che
chi fa una cosa simile possa essere definito uomo,
donna, bambino. Ho saputo che alcune cicale di lusso,
politici o cosiddetti politici, intellettuali o cosiddetti
intellettuali, nonché altri individui che non
meritano la qualifica di cittadini, si comportano
sostanzialmente nello stesso modo. Dicono: "Gli
sta bene, agli americani gli sta bene". E sono
molto, molto arrabbiata. Arrabbiata d'una rabbia fredda,
lucida, razionale. Una rabbia che elimina ogni distacco,
ogni indulgenza. Che mi ordina di rispondergli e anzitutto
di sputargli addosso. Io gli sputo addosso."
L'Autointervista
di una donna che ha il coraggio di scrivere la verità
sugli altri e su se stessa. Temi: il cancro morale
che divora l'Occidente e quello fisico che divora
lei. L'antioccidentalismo, il filoislamismo, il parallelo
tra l'Europa del 1938 e l'Eurabia d'oggi, il nuovo
nazifascismo che avanza vestito da nazi-islamismo.
In questa edizione, oltre ai numerosi inserti, ha
aggiunto un post-scriptum: "L'Apocalisse".
Praticamente un nuovo libro (oltre 100 pagine) col
quale, rifacendosi all'Apocalisse dell'evangelista
Giovanni e sempre intervistando se stessa, completa
e conclude il suo lavoro. (Prefazione di Alessandro
Cannavò)
Domanda: Cara Oriana,
qualcuno racconta che sei malata e, mentendo spudoratamente,
afferma persino che sei morta. In realtà, la
morte non ha mai avuto la forza di far brillare la
sua falce di fronte a chi ha il coraggio di sfidarla
apertamente, e tu ne conosci persino il volto, per
averla incontrata molte volte. In realtà ti
vedo però molto stanca, molto consunta, molto
dimagrita. Come stai?
Oriana Fallaci: Male, grazie. Però
non preoccupartene. La testa resiste benissimo. Nel
mio caso il motto "mens sana in corpore sano"
va sostituito col motto "mens sana in corpore
infirmo". Perché ragiono, scrivo, combatto
come prima e più di prima. È come se
la mia mente fosse del tutto estranea al mio corpo.
O come se, con il male del corpo, la mente si rinforzasse.
Un fenomeno interessante...
Domanda: E scommetto
che non piangi. Ah certo, lo hai fatto soltanto quando
eri bambina, come hai scritto ne "La rabbia
e l'orgoglio".
Oriana Fallaci: No, ho scritto che da allora
non piango con le lacrime, che non piango bagnato,
ma che senza lacrime piango più di quelli che
lo fanno infradiciandosi il viso e la camicia. È
diverso. Cristo! Senza lacrime in questi ultimi mesi
ho pianto sino a restare disidatrata. Ho pianto quando
le bestie che i furbi chiamano "guerriglieri"
o "resistenti iracheni" hanno scannato il
pacifista Nick Berg. Che mentre Nick Berg urlava come
un bove al mattatoio, gli hanno tagliato la testa
con un coltello da macellazione halal. Gliel'hanno
strappata assieme al midollo spinale e poi, con un
video, ce l'hanno mostrata. Ho fatto lo stesso con
l'ingegnere americano Paul Johnson, poi l'hanno fotografato
con la testa mozza e posata sullo stomaco. Ho pianto
quando hanno ripetuto l'infamia col sud coreano Kim
Sun che implorava di non essere ucciso. Ho pianto
come piansi quando decapitarono Daniel Pearl, il collega
di "The Wall Street Jurnal". Ho pianto quando
hanno assassinato Maurizio Quattrocchi, morto dicendo
"Ora ti faccio vedere come muore un italiano"...
Domanda: Chiarisco subito
un punto. Questa intervista non avrà nulla
in comune con quelle che facevi ai potenti della Terra.
Tantomeno seguirà la traccia del "compagno
segreto": il racconto dove, attraverso l'alter-ego
che si nasconde sulla sua nave, Joseph Conrad fruga
nella propria coscienza e cerca di capire se stesso.
Il mio ruolo sarà semplicemente quello di porti
delle brevi domande e spronarti così a parlare.
Sei d'accordo?
Oriana Fallaci: D'accordo, ma di punti io
devo chiarirne altri due o tre. Primo: detesto le
interviste. Le ho sempre detestate, incominciando
da quelle che facevo ai cosiddetti potenti della Terra.
Per essere una buona intervista deve infilarsi, affondarsi,
nel cuore dell'intervistato. E questo mi ha sempre
incusso disagio. In questo ho sempre visto un atto
di violenza, di crudeltà. Secondo: in maniera
particolare ho sempre detestato quelle che i giornalisti
facevano a me, non di rado manipolando le mie parole,
alternandole sino a rovesciarne il significato, aggiungendo
al testo scritto domande che non avevano avuto il
coraggio di porre, e di risposte che non avevo mai
dato, poi riparandosi dietro il sacro e profanato
principio della Libertà di Stampa. Infatti
a un certo punto dissi basta, non mi beccate più.
Smisi di farmi intervistare e quando uscì "La
rabbia e l'orgoglio", persino quando uscì
"La forza della ragione" mi guardai
bene dall'aprir bocca. Sai, i miei rapporti col giornalismo
sono sempre stati difficili. Oserei dire dolorosi...
Domanda: E allora perché
accettare di vedermi?
Oriana Fallaci: Perché ho la morte
addosso. La medicina ha sentenziato "Signora,
lei non può più guarire. Non guarirà.
Stando a quel verdetto, e nonostante gli anticorpi
del cervello, non ho molto tempo da vivere. Però
ho ancora tante cose belle da dire, e un'intervista
m'è parsa il mezzo più sbrigativo per
dirne almeno alcune...
Domanda: Il terzo punto
qual è?
Oriana Fallaci: Questo. La proposta di far
intervistare la Fallaci dalla Fallaci mi insegue da
decenni. Cento volte me la sono sentita rivolgere,
cento volte. In ogni lingua, in ogni paese. E l'ho
sempre respinta con un secco "no grazie".
Io non ho compagni segreti che si nascondono sulla
mia nave. Non ho bisogno di frugare dentro la mia
coscienza attraverso di loro. La mia coscienza traspare
in modo lampante da ciò che scrivo, ossia dalle
idee che esprimo senza ipocrisia. Non mi piace, insomma,
indulgere in autoritratti. Non mi piace nemmeno offrire
il mio volto ai fotografi, ai cameramen, alla curiosità
della gente. Mi dolgo di averlo fatto in passato,
talvolta, e ogni volta che rivedo quelle dannate fotografie
sbuffo. Anche quando stanno sulla controcopertina
d'un libro. Ho ormai raggiunto quella che chiamo l'Età
d'Oro della Vita, cioè quel che il vocabolario
chiama vecchiaia. Conduco una vita molto ritirata,
molto severa cioè spartana e sono molto gelosa
della mia privacy...
Domanda: A questo punto
allora dobbiamo salutarci? Incosciamente ti ho sempre
dato del Tu invece che del Lei. Posso ricordarti così?
Oriana Fallaci: No, è meglio darci
del Lei, per carità. Non amo indulgere a mode
giacobine. E poi Lei appartiene a un'altra vita...
a un'altra storia. Io appartengo al mio presente.
Mischiandosi si subirebbero traumi a cui non si è
mai preparati. Ci penserò io a continuare.
Scriverò un libro su questa intervista e lo
chiamerò "Intervista a se stessa. L'apocalisse".
Abel Wakaam
© Writer Officina
Lettori: 9110
|