Esopo
è stato l'inventore delle favole, così
come le conosciamo. Autore di oltre 350 testi, ha
avuto una grande influenza sulla cultura occidentale
del tempo. A lui si deve la trasposizione in testo
di una forma letteraria che racconta una storia breve,
basata su una morale, tanto che ancora oggi la si
definisce "favola esopica". I suoi protagonisti
sono animali personificati, animati con una pregevole
sintesi e con grande semplicità, che descrivono
i comportamenti umani e le loro emozioni istintive.
Dai suoi racconti sono scaturiti diversi proverbi,
tra cui "La cicala e la formica"
oppure "La gallina delle uova d'oro",
ma anche "La volpe e l'uva" per non
dimenticare una delle espressioni più conosciute:
"Al lupo... al lupo".
Ecco, il senso di questa premessa è servito
proprio per arrivare al lupo. "Lupus in fabula"
o meglio "il lupo nella favola" come viene
spesso impropriamente trascritto. In realtà
non identifica il lupo come protagonista di una storia,
ma qualcosa di diverso che mi ha fatto riflettere
sul modo di scrivere moderno. Sono passati secoli
dall'interpetazione di Leonardo da Vinci con la sua
frase: "Ancora si dice il lupo avere potenza,
col suo sguardo, di fare alli omini le voci rauche",
dove esaltava il timore che questo animale mitico
incuteva negli uomini, rendendoli muti al suo cospetto.
Ma il lupo è stato anche il nostro terrore
di quando eravamo bambini... il lupo nero, quello
che sarebbe arrivato per sbranarci se non avessimo
obbedito ai nostri genitori. Siamo cresciuti con la
paura del lupo, prima con quello di Cappuccetto Rosso
e poi con le trasposizioni cinematrografiche che lo
rappresentavano. Come dimenticare Mork della Storia
Infinita? E oggi... oggi dov'è finita l'immagine
del Lupus in Fabula nelle trame odierne?
Come dicevo prima, il lupo non è mai il protagonista,
ma una figura che sopraggiunge inaspettata nella storia.
Ed è questa figura che ha il compito di rendere
una trama davvero interessante. Non è la tragedia
in sé che tiene attanagliati i lettori davanti
al nostro libro, ma l'attesa che si manifesti. Una
grande lezione in questo senso ci arriva da Tucidide,
che così raccontò la peste che colpì
Atene: "Più che la peste, a distruggere
Atene, fu la paura della peste".
Sia ben chiaro, non ho alcun titolo per insegnare
come si debba scrivere una trama e vorrei che questo
articolo fosse soltanto il punto di partenza di una
discussione molto più ampia. A volte mi domando
se gli stessi libri che un tempo hanno avuto un successo
planetario, oggi sarebbero considerati ancora un capolavoro.
Non dalla mia generazione, sia ben chiaro, ma da quella
che sta prendendo il nostro posto davanti agli scaffali
delle librerie online e che considerano il "lupo
cattivo" un animale in via di estinzione. Del
lupo vero forse hanno ancora timore le pecore per
non fuggire nel bosco, ma anche i cani pastori per
non perdere il proprio ruolo di protettori. È
stampato nel loro dna... e purtroppo quello umano
ha la memoria troppo corta.
Ora che abbiamo individuato la figura mitica del
"cattivo", dobbiamo decidere quando farla
entrare in scena, ovviamente non subito, ma quando
meno il lettore se lo aspetta. L'attesa di "qualcuno"
prevede che se ne conoscano le sue potenzialità
negative e non è detto che sia per forza una
persona. Può essere un evento tragico, può
apparire come una catastrofe naturale o epidemiologica,
anche se il "cattivo" nelle sue vesti umane
ha sempre avuto un fascino perverso. Ma di cosa ha
davvero paura il lettore? Ce lo siamo mai chiesto?
E se fosse diverso da ciò che ci terrorizza
nei nostri incubi peggiori, dovremmo adattarci alle
altrui esigenze, oppure perseguire la nostra linea
di scrittura senza curarci di cosa annichilisce invece
la massa?
Spesso si usa una storia d'amore per attrarre il
lettore. L'amore non passa mai di moda, ma dev'essere
travagliato come quello di Giulietta e Romeo. E allora
la trama non può esimersi dal prendere in considerazione
il "male" come forma antagonista del bene
supremo, e il lupo si trasforma in una contesa famigliare
o razziale. Insomma, pare che un testo, senza una
figura odiosa o negativa, non possa esaltare la parte
bella che vogliamo mettere in mostra. Quanti di noi,
prima di cominciare a battere i polpastrelli sui tasti,
prendono in considerazione questa ipotesi senza lasciarsi
accecare dal buono che abbiamo in mente?
Tutto questo sembra soltanto una regola antica, seppur
in uso nelle tante scuole di scrittura che si propongono
di accompagnare per mano un autore verso la schematizzazione
del proprio lavoro, ma la scrittura è un'arte
individuale complessa, come la pittura per esempio.
La grammatica ha la necessità di regole, ma
non la composizione di una frase o lo svolgimento
di una trama complessa che comprenda una trascrizione
creativa del proprio pensiero. Questa frase sembra
negare l'antefatto di questo articolo, invece è
solo un invito a riflettere in quanti modi possiamo
interpretarlo. Sarebbe stato osannato Picasso se avesse
seguito i dogmi pittorici del suo tempo? E che dire
di Botero e lo strabordare delle sue figure? Lasciatevi
assalire da un dubbio: in quanti modi avrebbero dipinto
un lupo e quale di questi sarebbe passato alla storia?
Se Esopo ha cucito le sue favole attorno a
una morale, dovremmo poterlo fare anche nelle nostre
storie, lasciando al lettore la capacità di
interpretarla. E non importa di quale colore sarà
il nostro "Lupus in Fabula", non importa
se rispetterà le sfumature e i comportamenti
di questo tempo o di un tempo futuro in cui verremo
riconosciuti come visionari o precursori. Ciò
che conta è la nostra capacità di trascinare
il lettore in una trama che è soltanto nostra
e non può essere etichettata dentro un barattolo
fornito dagli altri.
La morale di questa storia, se mai vi fosse sfuggita,
è che un libro non può prescindere dalla
personalità del suo autore e il lupo, comunque
lo chiamate, deve fare sempre la propria parte.
Abel Wakaam
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