Giovanni
Montanaro ha studiato giurisprudenza all'Università
degli Studi di Padova ed esercita la professione di
avvocato presso lo studio legale Roedl & Partner.
Nel 2005 ha scritto per il teatro il dramma Arriva
sempre la stessa lettera da Vienna. Ha esordito
con il romanzo La Croce Honninfjord (2007,
Marsilio, segnalato nel 2006 alla XIX edizione del
Premio Italo Calvino). In seguito ha pubblicato
Le conseguenze (2009, Marsilio) e Tutti i colori
del mondo (2012, Feltrinelli) che è stato
finalista al Premio Campiello. Ha poi scritto Tommaso
sa le stelle (2014, Feltrinelli), Guardami
negli occhi (2017, Feltrinelli) e Le ultime
lezioni (2019, Feltrinelli). Il suo ultimo libro
è Il libraio di Venezia edito da Feltrinelli,
2020.
Nessuno
ci fa caso. È un anello piccolo, d'oro, con
un lapislazzuli. Quasi non lo si vede, quando si guarda
la Fornarina di Raffaello. Eppure quell'anello seminascosto,
nella parte bassa del dipinto, racchiude una storia
che da secoli affascina e incuriosisce. Nessuno ne
ha mai davvero svelato il segreto. Margherita detta
Ghita, la figlia del fornaio, la ragazzina appena
adolescente che sta a Trastevere, gli occhi scuri,
le mani piene di farina, e Raffaello, giovane anche
lui, il pittore più grande, prediletto dai
papi, pieno di grazia e di talento. Una storia d'amore
irripetibile, una delle più grandi di tutti
i tempi, che sboccia tra povertà e ricchezza,
tra la frenesia degli umili e il potere dei papi e
dei cardinali, che deve passare attraverso il fidanzamento
quasi obbligato di Raffaello con Maria Dovizi, che
cresce e continua a fiorire a dispetto di calunnie
e avidità. Sullo sfondo, la bottega di Raffaello
e di Giulio Romano. La voce di Ghita, da dietro le
grate del convento di Sant'Apollonia, racconta di
quella Roma disabitata che all'inizio del Cinquecento
comincia la gloria del suo Rinascimento, e di tutte
le fatiche, le lotte e le violenze, di quel loro amore
che nessuno vuole, a cui nessuno crede, che viene
negato, scacciato, irriso, ma che in fondo è
l'unica cosa che resta. Grazie a quel dipinto di formidabile
sensualità. Che è l'ultima cosa che
Raffaello ha fatto su questa terra, l'unica che ha
fatto per lei soltanto, quando le ha detto, per l'ultima
volta: "Guardami negli occhi". Giovanni
Montanaro entra con passo sicuro e sguardo partecipe,
appassionato, nel mondo di uno dei pittori più
grandi e più amati, conducendoci nel cuore
di un mistero. E della bellezza.
1881,
Gheel, anche conosciuto come "il paese dei matti".
Teresa Senzasogni non è pazza, ma come tale
è stata registrata per poter godere, come è
uso in quel villaggio fiammingo, dell'ospitalità
della famiglia Vanheim. Un giorno avrà una
dote e sposerà il suo Icarus, che le racconta
le ingiustizie del mondo. Ma poi arriva un nuovo ospite,
un vagabondo rosso di capelli, schivo, rude, gli occhi
accesi da una febbre sconosciuta, e Teresa sembra
riconoscere in lui un destino incompiuto: diventerà
un pittore - lei lo sa, lei lo sente -, troverà
nei colori una strada universale. Quando la "profezia"
si avvera sono passati una decina d'anni e molto è
accaduto, a Teresa e a Vincent van Gogh. Teresa scrive
al caro signor Van Gogh perché si ricordi,
perché la aiuti a mettere ordine nel disordine,
speranza nella disperazione, amore nel disamore e
colore nel grigio. Lui, in verità, è
l'unico vero amore di tutta la sua vita. E come tutti
gli amori è pieno di luce e di futuro. Il romanzo
di Giovanni Montanaro è una lunga lettera che
si trasforma in una storia di anime in gabbia, di
sentimenti che vogliono lasciare il segno e di un
bisogno di libertà grande quanto l'immaginazione
che lo contiene.
In
campo San Giacomo, a Venezia, c'è la Moby Dick,
una libreria di quelle "che ti sorprende che
esistano ancora, anche se ci sono in ogni città,
tenaci come guerrigliere, eleganti come principesse".
Il suo libraio si chiama Vittorio, ha passato i quarant'anni,
vive per i suoi libri, combatte per continuare a venderli.
Un giorno incontra Sofia, gli occhi chiari e le risposte
svelte, che prende l'abitudine di andare a trovarlo.
Il 12 novembre 2019, però, 187 centimetri di
acqua alta eccezionale inondano le case, i negozi,
sommergono gli scaffali di Vittorio. Le pagine annegano,
e "campo San Giacomo è pieno di libri
perduti, e pare che tutto sia perduto". Giovanni
Montanaro, che ha vissuto in prima persona i giorni
tragici dell'inondazione, li racconta in un modo lontano
dalle cronache che hanno commosso il mondo. Racconta
l'angoscia dell'acqua che sale, che distrugge, ma
mostra anche un'altra Venezia, i giovani, i cittadini
che reagiscono, l'allegria nata in mezzo allo sfacelo,
fatta della capacità di aiutarsi, di rinascere.
Personaggi, emozioni, colpi di scena il cui cuore
è Venezia, sono i librai, è l'amore
per i libri e l'amore che nasce grazie ai libri, è
la tenacia di salvare le cose più care, a ogni
costo. Un racconto che non rappresenta più
soltanto Venezia ma diventa il simbolo di ogni improvvisa,
tragica emergenza e di ogni faticosa rinascita. Per
la prima volta Vittorio pensa che quei libri non sono
morti, anche se sono ammaccati, anche se non sono
più perfetti - come capita agli uomini, di
ammaccarsi, ma poi di restare vivi.
Abel Wakaam: Ciao Giovanni, quale arcana passione
induce uno stimato avvocato a inoltrarsi nella magia
della scrittura? È la voglia di chiudersi alle
spalle il mondo in cui sei costretto a lavorare, per
plasmarne un altro senza le crudeltà di ogni
giorno?
Giovanni Montanaro:Non me lo sono mai domandato
davvero. Ho due grandi passioni: essere scrittore
ed essere avvocato. E col tempo ho capito che forse
la passione è una sola. Rappresentare, dar
voce a qualcun altro, utilizzare la mia identità
a servizio di altre identità, di altre storie.
Se lesito di quello che faccio, da avvocato
o da scrittore, è evidentemente molto diverso,
credo che la radice, il processo sia lo stesso. La
spinta di tutto è la curiosità, la voglia
di difendere gli altri, di dare loro spazio.
Abel Wakaam: In Guardami negli occhi
racconti la vita della Fornarina dopo la morte di
Raffaello, col chiaro intento di rendere giustizia
a una giovane donna, costretta ai margini della società
di quel tempo e ridotta al silenzio dalle convenzioni
che impongono di nascondere una relazione scandalosa
con un grande pittore. Com'è stato possibile
ricostruire la sua storia? Su quali tesi sono basate
le tue ipotesi? È tutto frutto della tua intuizione,
oppure hai trovato gli indizi facendo ricerche storiche
sul loro rapporto?
Giovanni Montanaro: Ci sono alcuni dati certi
sulla Fornarina. Che il pittore lamava, che
quel dipinto è stato uno dei pochi che Raffaello
ha fatto senza committenza, che lui è morto
giovane senza terminare il dipinto. Poi ci sono due
teorie, sul personaggio storico: che fosse una prostituta
o davvero una fornaia. Non ci sono evidenze certe
per sposare una delle due ipotesi. Io propendo, forse
romanticamente, per la seconda. Anche perché
ho scoperto delle ricerche scientifiche, che mi sembrano
trascurate, su un piccolo particolare che mi pare
decisivo. Un anello nuziale che è stato dipinto
e poi cancellato. Per questo, per me la Fornarina
è anche il simbolo di un amore impossibile,
anticonvenzionale, senza il quale forse quel dipinto
non sarebbe così straordinario.
Abel Wakaam: In Tutti i colori del mondo
racconti invece la storia di Teresa Senzasogni che
scrive una lunga lettera a Vincent Van Gogh per rocordargli
le circostanze particolari in cui si sono conosciuti.
Una lettera in cui esprime il suo amore per la vita
attraverso la sua passione per i colori. E in una
miriade di tonalità e sfumature sembra intinto
il testo: "I colori della Campine mi piacevano.
Erano poetici. Mi tornano spesso in mente; larancio
delle volpi, il bianco giallo della schiuma della
birra, il rosso dei tulipani, i bruchi trasparenti
che diventano farfalle variopinte". E in
un'ultima frase si coglie il tuo spirito: "Se
ti senti colpita da un libro, o da qualcosa daltro,
è perché è scritto col cuore,
con umiltà e semplicità, e capace di
raccontare, senza sbavature, una bella storia".
Ecco, io credo che questa sia proprio una bella
storia, ma ancora una volta trovo singolare la tua
ricerca di un rapporto nel passato. Questa epoca "sporca"
in cui viviamo non riesce a ispirare le tue trame?
Giovanni Montanaro: Non lo so. Certo, sto
arrivando al presente con i libri più recenti,
"Le ultime lezioni" e "Il libraio di
Venezia", ma non credo ci sia una preferenza
specifica. Forse è una questione di maturità;
raccontare il proprio tempo richiede più coraggio,
perché bisogna schierarsi, definirsi, capirsi
più che raccontando il passato. Ma non credo
che smetterò di cercare storie del passato.
Quando scopri che nessuno si è mai domandato
davvero cosa sia successo a Van Gogh in un anno di
cui non si sa nulla, ma nel quale decide di diventare
pittore, capisci che lì cè spazio
per la tua storia. Anche perché poi anche le
storie che non ci sono più ti appartengono,
ti parlano di dolore, speranza, lotta, sorpresa.
Abel Wakaam: Quindi la tua curiosità
di scrittore ti porta a indagare con l'intuito dell'avvocato
sui fatti accaduti nel passato, pronto ad analizzare
ogni dettaglio con uno spirito critico, ma al tempo
stesso carico di entusiasmo. Raccontare le "storie
che non ci sono più" non è
anche questo un modo per schierarsi dalla parte dei
protagonisti di quel tempo?
Giovanni Montanaro: Sicuramente. E, spero,
anche di questo tempo. Diciamo che una linea che credo
ci sia in tutti i miei libri è proprio quella
di "schierarsi dalla parte" di chi è
oppresso contro chi opprime. Credo sia la vera dinamica
umana; liberare o imprigionare. Vale ovviamente per
tragedia imparagonabili come lavvento del nazismo.
Ma vale anche, in modo diverso, e proporzionale, per
unacqua alta eccezionale o per i rapporti minimi;
damore, di famiglia, di lavoro. O, come nellultimo
libro, anche semplicemente tra il proprietario di
un fondo e un libraio che rischia di non riuscire
più a pagare laffitto.
Abel Wakaam: Nel Libraio di Venezia,
il tuo ultimo romanzo, il protagonista è proprio
un libraio che racconta l'angoscia dell'acqua che
sale, che distrugge, ma mostra anche un'altra Venezia,
i giovani, i cittadini che reagiscono, l'allegria
nata in mezzo allo sfacelo, fatta della capacità
di aiutarsi, di rinascere. Tu hai vissuto in prima
persona questi tragici eventi in cui "i libri
annegano" e ci troviamo tutti indifesi contro
la forza della natura. In quei momenti non si ha troppo
tempo per scegliere e allora cerchiamo di salvare
ciò che ci è più caro. Qual è
l'oggetto che per nulla al mondo avresti voluto perdere?
Giovanni Montanaro: Credo anch'io i miei libri.
Perché dovunque ho deciso di mettere i miei
libri ho capito che quella era la mia casa. Se dovessi
poi sceglierne uno particolare, forse direi un vecchio
Mondadori in cui ci sono insieme tre racconti di Thomas
Mann. Uno di questi è "Tonio Kröger"
che mi ha sempre colpito perché mi ha sempre
portato a immedesimarmi nel protagonista; un po' troppo
borghese per gli artisti, un po' troppo artista per
i borghesi. È un libro che ho comprato quando
avevo dodici, tredici anni, uno dei primi a cui mi
sono affezionato. Ha delle pagine lucide, come i Mondadori
di una volta.
Abel Wakaam: Sempre da Il libraio di Venezia:
"L'acqua va dappertutto, rapidissima, va sotto
il primo scaffale, prende la carta, la succhia, lacqua
sale, va sotto il secondo scaffale". E poi
ancora: "La Basilica, ancorata come una nave
che nessun mare può affondare". In
queste due semplici frasi, sembra che nel marasma
degli eventi l'uomo abbia bisogno di almeno una certezza.
E allora ecco la figura inamovibile della Basilica
a cui la speranza può aggrapparsi. Venezia
è stata costruita sull'acqua, piantando migliaia
di pali di ontano nelle viscere fradicie della terra.
Se è questa la sfida dell'uomo contro lo sconvolgimento
globale, non temi che un giorno saremo qui a parlare
di Apocalisse. Sei pronto anche a scrivere un libro
sui colpevoli odierni, dopo averlo fatto sugli eventi
storici del passato?
Giovanni Montanaro: Una autobiografia? Credo
che ciascuno di noi abbia delle responsabilità,
nei comportamenti, che solo così si cambia
il mondo. Ma Venezia insegna che l'uomo ha sì
grandi responsabilità nei confronti della natura,
ma anche che la natura è Leopardi, non solo
San Francesco, che bisogna cercare un equilibrio perché,
se fosse soltanto per la natura, questo virus ci avrebbe
davvero spazzati via. Io credo che ce la faremo, come
Vittorio nel libro. Credo che la Basilica resterà
lì, visto che lho sempre cercata in questi
mesi di pandemia quando dovevo ritrovarmi, e lei cera
sempre.
Abel Wakaam: Che consigli ti senti di dare
a chi comincia adesso il difficile compito di raccontare
una storia?
Giovanni Montanaro: Di non ascoltare nessun
consiglio. O forse uno, soltanto; di mettersi nei
panni di qualcun altro che dovrà leggere. Immaginarsi
chi dovrà leggere. Staccarsi dal testo, e leggere
come un estraneo. Togliere tutto quello che non è
essenziale, che non serve. Capire se si sta raccontando
a qualcuno qualcosa di importante o se si sta invece
parlando solo a sé stessi.
Abel Wakaam
© Writer Officina
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