Dacia Maraini

Dacia Maraini nasce a Fiesole (Firenze). La madre Topazia appartiene ad un’antica famiglia siciliana, gli Alliata di Salaparuta. Il padre, Fosco Maraini, per metà inglese e per metà fiorentino, è un grande etnologo ed è autore di numerosi libri sul Tibet e sull’Estremo Oriente. A ventun'anni fonda, assieme con altri giovani, la rivista letteraria «Tempo di letteratura», e comincia a collaborare, con dei racconti, a riviste quali «Paragone», «Nuovi Argomenti», «Il Mondo». Nel 1962 pubblica il suo primo romanzo, La vacanza, cui seguono L’età del malessere (che ottiene il Premio Internazionale degli Editori “Formentor”) e A memoria (1967). Grazie all’interessamento di Nanni Balestrini, nel ’66 escono con il titolo Crudeltà all’aria aperta anche le sue poesie, che vengono recensite favorevolmente da Guido Piovene. Ben presto comincia a occuparsi anche di teatro. Fonda, assieme ad altri scrittori, il Teatro del Porcospino, in cui si rappresentano solo novità italiane, da Gadda a Parise, da Siciliano a Tornabuoni. Nel ‘73 fonda assieme con L. Leone, Francesca Pansa, Mariola Boggio e altre, il Teatro della Maddalena, gestito e diretto esclusivamente da donne. Lei stessa scrive molti testi teatrali, tra i quali Maria Stuarda, che ottiene un grande successo internazionale, Dialogo di una prostituta con un suo cliente, Stravaganza e altri ancora. Dal 1967, Dacia Maraini ha scritto più di trenta opere teatrali, molte delle quali vengono ancora oggi rappresentate in Europa e in America. Un altro romanzo viene pubblicato nel ‘72, Memorie di una ladra: Monica Vitti ne ricava uno dei suoi film più riusciti. L’anno successivo esce Donna in guerra, poi tradotto, come quasi tutti i suoi libri, in molte lingue. Nell’80 è la volta di Storia di Piera, scritto in collaborazione con Piera degli Esposti: Marco Ferreri ne ricaverà un fortunato film con Marcello Mastroianni. Degli anni Ottanta sono i romanzi Il treno per Helsinki (1984), sulla nostalgica ricerca degli entusiasmi del passato, e Isolina (1985), la storia toccante di una ragazza a cavallo tra Otto e Novecento. Nel ‘90 esce Lunga vita di Marianna Ucrìa, che vince il Campiello e ottiene un enorme successo di critica e pubblico. L’anno successivo escono la raccolta di poesie Viaggiando con passo di volpe e il libro di teatro Veronica, meritrice e scrittora. Nel ‘93 è la volta di Bagheria, un appassionante viaggio autobiografico nei luoghi d’infanzia, e Cercando Emma, che ripercorre la vicenda del romanzo Madame Bovary di Flaubert per capire il suo fascino e svelarne il mistero. Nel ‘94 il romanzo Voci, anch’esso vincitore di molti premi letterari, offre una nuova interpretazione sul tema della violenza sulle donne. I grandi temi sociali, la vita delle donne, i problemi dell'infanzia sono ancora al centro delle sue opere successive: il breve saggio sulla modernità e sull’aborto Un clandestino a bordo (1996), il libro intervista E tu chi eri? (1998) e la raccolta di racconti sulla violenza sull’infanzia Buio (1999, vincitore del Premio Strega). Del 1997 è il romanzo Dolce per sè, in cui una donna matura e giramondo scrive ad una bambina per evocare i ricordi del suo amore per un giovane violinista, descrivere viaggi, concerti, aneddoti familiari. Se amando troppo (1998) raccoglie le poesie scritte tra 1966 e il 1998. Tra il 2000 e il 2001 vengono pubblicati: Amata scrittura (in cui svela con passione e umiltà i segreti del mestiere di scrittore), Fare teatro 1966-2000 (che raccoglie quasi tutte le sue opere teatrali) e La nave per Kobe (in cui rievoca l'esperienza infantile della prigionia in Giappone). Nel 2003 escono invece Piera e gli assassini, il secondo libro scritto in collaborazione con Piera degli Esposti, e le favole di La pecora Dolly. La letteratura, la famiglia e il mistero del corpo sono i temi principali di Colomba (2004). Degli ultimi anni sono invece la raccolta di articoli I giorni di Antigone (2006) e il saggio Il gioco dell'universo (2007) di cui è coautrice insieme al padre. Ancora estremamente prolifica, Dacia Maraini viaggia attraverso il mondo partecipando a conferenze e prime dei suoi spettacoli. Nel 2008 ha pubblicato il romanzo Il treno dell'ultima notte, nel 2009 la raccolta di racconti La ragazza di via Maqueda, nel 2010 La seduzione dell'altrove, nel 2011 La grande festa, nel 2012 L'amore rubato e nel 2013 Chiara di Assisi. Elogio della disobbedienza. Seguono La bambina e il sognatore e Tre donne. Gli ultimi romanzi pubblicati, sempre con Rizzoli, sono invece Corpo Felice e Trio.

Una madre che non ha avuto il tempo di esserlo. Un figlio mai cresciuto. Tra di loro, i giorni teneri e feroci, sognati eppure vividissimi che non hanno vissuto insieme. E un dialogo ininterrotto che racconta cosa significa diventare donne e uomini oggi. A più di quarant'anni dai versi che hanno disegnato i contorni di un cambiamento possibile -"Libere infine di essere noi / intere, forti, sicure, donne senza paura" - Dacia Maraini riavvolge il filo di una storia tempestosa, quella al femminile, attraverso le parole di una madre a un figlio perduto, il suo, che cammina verso la maturità pur abitando solo nei ricordi. E così che l'immaginazione si fa più vera della realtà, come accade per tutte le donne che popolano i suoi libri - Marianna, Colomba, Isolina, Teresa - e sono arrivate a noi con le loro voci e i loro corpi. Corpi che non hanno mai smesso di cercare la propria via per la felicità, pieni di vita o disperati per la sua assenza, amati o violati, santificati o temuti, quasi sempre dagli altri, gli uomini. Ed è proprio a loro che parlano queste pagine. Agli occhi di un bambino maschio non ancora uomo. Per ricordare a lui e a tutti noi, sul filo sottile ma resistente della memoria, che solo quando l'amore arriva a illuminare le nostre vite, quello tra i sessi non sarà più uno scontro ma l'incontro capace di cambiare le regole del gioco.

Sicilia, 1743. Il loro legame viene da lontano, e ha radici profonde. È nato quando, ancora bambine, Agata e Annuzza hanno imparato l’arte tutta femminile del ricamo sotto lo sguardo severo di suor Mendola; è cresciuto nutrendosi delle avventure del Cid e Ximena, lette insieme in giardino, ad alta voce, in bocca il sapore dolce di una gremolata alla fragola; ha resistito alle capriole del destino, che hanno fatto di Agata la sposa di Girolamo e di Annuzza una giovane donna ancora libera dalle soggezioni e dalle gioie del matrimonio. Ora, mentre un’epidemia di peste sta decimando la popolazione di Messina, le due amiche coltivano a distanza il loro rapporto in punta di penna, perché la paura del contagio le ha allontanate dalla città ma non ha spento la voglia di far parte l’una della vita dell’altra. E anche se è lo stesso uomo ad accendere i loro desideri, e il cuore scalpita per imporre le proprie ragioni, Agata e Annuzza sapranno difendere dalla gelosia e dalle convenzioni del mondo la loro amicizia, che racconta meglio di qualunque altro sentimento le donne che hanno scelto di essere. Il ritorno di Dacia Maraini alla narrazione storica dopo La lunga vita di Marianna Ucrìa, uno dei suoi libri più amati, è un romanzo intenso e delicato, pervaso dai colori e dagli odori della sua Sicilia, che attraverso il filtro di un passato mai così vicino parla di ognuno di noi, e di cosa può salvarci quando fuori tutto crolla.

Abel Wakaam: Ciao Dacia, la tua biografia è così lunga da rappresentare per intero un'epoca. E lo fa in modo coinvolgente, lasciando trasparire a tratti l'atroce sofferenza della prigionia e la fame patita in un campo di concentramento giapponese, insieme alla tua famiglia nel 1943. Bisogna per forza conoscere il dolore per raccontare la vita in tutte le sue sfumature di nostalgia e bellezza?

Dacia Maraini: Non c’è  bisogno di essere stati in un campo di concentramento per conoscere il dolore. Anzi direi che  nella vita di tutti i giorni, in tempo di pace e di abbondanza, il dolore esistenziale può essere terribile. Non si spiegherebbe altrimenti il largo uso di droga che tiene in piedi la criminalità del mondo. Quello che si impara in un campo di concentramento non è solo il dolore astratto di stare al mondo, ma l’orrore della fame, dei vermi, dei pidocchi, del freddo, della paura di morire sgozzati come ci promettevano le guardie tutti i giorni. Si impara la concretezza delle privazioni e la voglia di sopravvivere. Si impara ad adattarsi, dividendo una patata in cinque, mangiando le formiche come facevo io, frugando nell’immondizia per soddisfare la terribile fame che ci uccideva.

Abel Wakaam: Hai sperimentato ogni forma di letteratura artistica e teatrale, dalla poesia alle fiabe, dipingendo le figure femminili con la delicatezza e il coraggio di chi sa vedere ben oltre le apparenze. Ti sei più volte schierata al fianco di donne e bambini, senza però ostentare fisicamente la tua figura. Lo hai fatto con la parte più tagliente delle parole e hai sempre saputo dosare la profondità delle ferite inferte. La forza morale è forse uno scudo con cui hai voluto celare le tue fragilità?

Dacia Maraini: Certo, le sofferenze della guerra e del campo mi hanno insegnato a resistere mantenendo la  dignità, cosa non facile. Ma credo che sia stato anche importante avere un padre orgoglioso e fiero delle sue idee liberali  e una madre coraggiosa e intrepida.

Abel Wakaam: Hai più volte affermato che la poesia, così come la musica, sono il ritmo della vita. E hai usato volutamente il temine "contagiare" per indurre gli insegnanti a coinvolgere gli alunni senza mai obbligarli. Di questi tempi, la parola contagio è strettamente legata a un vaccino. Esiste la speranza che non ci sia invece una pozione per guarire dalla magia delle parole?

Dacia Maraini: Per fortuna il virus della bellezza e del ritmo non è guaribile. Se qualcuno lo uccide, riprende a vivere, sempre, anche in condizioni difficili, forse proprio nei momenti difficili.  Contagio non è una parola legata solo alla malattia, anche se in questo momento lo si può credere.  Contagiare vuol dire comunicare attraverso i sensi qualcosa che ci emoziona e ci dà la febbre. È una parola che si presta alla simbologia e in quel senso l’ho adoperata, soprattutto per contrapporla all'idea della costrizione.

Abel Wakaam: Hai rivendicato un posto in prima fila per le donne scrittrici del novecento. Lo hai fatto senza alzare la voce, ma proprio per questo hai trovato la solidarietà di molte figure maschili. Chi sono, oltre a te naturalmente, le autrici che meritano di essere citate?

Dacia Maraini: È importante secondo me che le giovani scrittrici riconoscano le loro madri letterarie. Se ne avvale la memoria collettiva, il senso della continuità di un discorso al femminile, il riconoscimento dei talenti troppo spesso taciuti e negletti. Debbo molto a: Anna Maria Ortene, Elsa Morante, Natalia Ginzburg, Lalla Romano, Maria Messina, Amelia Rosselli, Fausta Chiarente, Anna Banti.  Ce ne sono molte altre, ma queste sono state le più importanti per me.

Abel Wakaam: Nel libro La Nave di Kobe hai scritto: “Si va via per tornare.” Ma tornare significa avere un luogo sicuro da chiamare casa. Qual è questa sorta di rifugio atavico in cui ti senti davvero al sicuro?

Dacia Maraini: La mia casa piena di libri e di carte, il letto dove ho sognato e continuo a sognare il passato e gli amici che mi vengono a trovare nel sonno.

Abel Wakaam: In La seduzione dell'altrove sei di nuovo tornata sul concetto del ritorno: “Il viaggiatore racconta a se stesso prima di tutto e poi agli altri le tappe del suo itinerario. Ci rimugina sopra, le riunisce e stende come una carta davanti a sé, la carta delle sue esperienze. Per ritrovare poi, in letti estranei e lontani, la nostalgia del ritorno. Per ricominciare, ogni volta che una storia è conclusa, con un’altra storia.
Devo dedurre che la "seduzione dell'altrove" sia come un delizioso amante che, passata l'euforia del momento, non potrà mai trasformarsi in un porto sicuro?

Dacia Maraini: No, non penso in questi termini di stanchezza del presente. Per me il viaggio è un processo di conoscenza. E più è rischioso, non nel senso fisico ma intellettuale, di confronto con abitudini nonché pensieri diversi dai nostri, e più mi preparo alla sfida. Ma rimango dell’idea che ognuno abbia bisogno di una casa, di un piccolo luogo di identità personale a cui riferirsi, lì dove abbiamo piantato le radici.

Abel Wakaam: Tratto da La Grande Festa: “Nei campi di sterminio era la poesia a tenere vicine le teste mangiate dai pidocchi, nelle baracche gelide, dimentiche delle piaghe, della dissenteria, della fame che lacerava lo stomaco. Chi conosceva una poesia a memoria, la ripeteva lentamente a voce alta e gli altri ascoltavano in cerchio, silenziosi, incantati.” È in questo modo che, attraverso l'arte, si impara a domare la paura e, immediatamente dopo, ad apprezzare la solidarietà?

Dacia Maraini: La poesia ha questa forza, che sta non solo nei suoi contenuti, ma nel suo respiro libero, nel ritmo audace che tocca le emozioni più profonde.

Abel Wakaam: In Trio, il tuo utimo romanzo, racconti la storia di due amiche, un uomo e la peste di Messina. Girolamo è l'Ulisse di turno, un viaggiatore imperterrito che, dopo ogni ritorno, sente il bisogno di ripartire. Agata e Annuzza rappresentano invece due personalità molto forti che, nonostante tutto, accettano il ruolo di moglie e amante in modo apparentemente consenziente. La loro amicizia è il tema centrale della trama. Il tutto si svolge nella Sicilia del '700. Al giorno d'oggi, quante donne accetterebbero la stessa situazione?

Dacia Maraini: Non lo so. Probabilmente poche. Infatti, in molte scuole dove mi hanno invitata a parlare del libro con i ragazzi, la prima domanda era: non è irreale che due donne amino lo stesso uomo senza farsi a pezzi? La mia risposta è: noi abbiamo in comune con gli animali tutti i sentimenti naturali: gelosia, aggressività, odio, rancore, spirito di vendetta, ma anche gioia, allegria, amore, generosità, solidarietà. Ma mentre negli animali vince sempre la natura, noi umani che ci diamo degli scopi sociali ed etici, abbiamo inventato la ragione e la democrazia, che sono strumenti intelligenti per dominare gli istinti. Anche se molto spesso ci ricadiamo dentro con spreco di irrazionalità, credo che attraverso la ragione, l’educazione e la cultura, si possano e si debbano controllare gli istinti.

Abel Wakaam: Nella tua lunghissima carriera c'è un'opera di cui ti sei pentita e che riscriveresti in modo diverso per trasformarla in un messaggio ai posteri?

Dacia Maraini: Sinceramente no. Ogni opera esprime non solo il mio pensiero, ma anche il pensiero e la cultura del momento storico in cui l’ho scritta. Non credo di avere mai superato i limiti della ragione  e del rispetto verso gli altri che mi sono sempre imposta.

Abel Wakaam: Un'ultima domanda che faccio a tutti. Quale consiglio ti senti di dare a chi prova ad affacciarsi oggi nel mondo della scrittura?

Dacia Maraini: Prima di tutto consiglio di leggere tanto. Non si può scrivere se non si è immersi nella memoria letteraria. Il che vuol dire: non solo leggere i best seller del momento, ma rivolgersi ai  classici, almeno per un'ora al giorno. Poi scrivere, riscrivere e riscrivere ancora. Quindi provare a confrontarsi con altri, che non siano la mamma e la fidanzata o il fidanzato, magari fondando una rivista, come ho fatto io "è stata per me un grande esercizio" e infine cominciare a pubblicare, ma scritti brevi, sulle riviste on line. Solo quando si è diventati sicuri che si ha qualcosa da dire e che si è capaci di comunicare emozioni sia etiche che estetiche, si può affrontare il romanzo e la sua pubblicazione.

Abel Wakaam

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