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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Giovanni Toso
Titolo: Achyrion
Genere Fantascienza
Lettori 4146 29 54
Achyrion
Procedo a piedi nel porto, dai cantieri al molo, devo salire a bordo della "Old Destiny", la nave che mi porterà a Malta, dove lavorerò come capo-equipe per la New Turism Professional, quando noto un'auto che, pericolosamente, corre fra le gru e gli autocarri. Ho l'impressione che mi segua. Ho lavorato in questo posto, conosco una scorciatoia tra le navi e i rimorchi per arrivare prima agli imbarchi e forse riesco a seminare l'auto che mi pedina. Nel tragitto vedo un piccolo bar, in muratura, bianco, con una sola finestra ed una porta rossa di legno; sono affamato e decido di entrare. La padrona dell'esercizio, una donna anziana, con un grembiule azzurro, molto bassa, i capelli lunghi e tinti di un nero impossibile, mi fa sedere ad un tavolino che traballa; bevo il mio cappuccino, immerso nei miei pensieri, quando sento un urlo terrificante, non faccio in tempo a realizzare quello che sta accadendo, in una frazione di secondo, l'auto che mi seguiva, una berlina anni '90 blu, si scontra spedita come un treno contro l'ingresso del bar. L'impatto sfonda l'entrata e la facciata dello stabile riducendo tutto in mille pezzi che schizzano accompagnati da un polverone che m'investe.
L'auto penetra nel bar; fuoriuscendo dalla nube di detriti, fracassa il bancone alla mia sinistra, la vetrina piena di cornetti, panini e il frigo di gelati; la proprietaria viene travolta dall'urto ed io che mi trovo a pochi metri più indietro, sono prossimo alla morte.
Ho il cuore che mi scoppia, l'adrenalina è a mille.
Sento dentro di me qualcosa di strano, un forte calore, il tempo sembra essersi fermato, vedo tutto muoversi a rallentatore, i detriti, la porta di legno in frantumi, l'auto che sta per travolgermi. La paura mi blocca sulla sedia e rassegnato, stringo il mio bagaglio, un attimo prima di chiudere gli occhi, credo di aver visto il pavimento piegarsi su se stesso; ora non sento più niente, una decina di secondi lunghi una vita, poi una luce dritta negli occhi mi fa rinvenire. Sono seduto e illeso su una panchina, con il mio bagaglio stretto tra le mani. Mi guardo intorno, dov'è il bar?
L'aria di mare mi riempie i polmoni e odo lo stridio dei gabbiani, siamo ad aprile, ci sono diciotto gradi, ma sento un freddo cane. La gente mi guarda come se fossi pazzo; mi tasto il petto, il volto, la testa, le gambe, per capire se sono tutto intero e impiego ben dieci minuti per rendermi conto che sono vivo, senza neanche un graffio e che in qualche modo oscuro e bizzarro, sono arrivato alla stazione marittima, nei pressi del mio imbarco. Come è possibile? Chi mi ha portato qui? Ho forse battuto la testa? Non ne ho idea, alla fine mi convinco di essermi appisolato sulla panchina. Mi guardo intorno con circospezione per capire se c'è qualche auto che mi insegue, invece, scorgo, fra le tante persone ferme sul pontile, un uomo, a dieci metri da me, capello castano mosso, lungo fino alle spalle, faccia ossuta da cattivo, leggermente abbronzato, mi sembra Mark Landers di Holly&Benji, che con un sorriso inquietante, mi fissa, come se mi conoscesse. Mi allontano, ma ho l'impressione che lo strano individuo mi venga dietro, non ha un'aria rassicurante, sono tentato ad andare lì e dirgli:
- Chi diavolo sei? Che guardi? -
Sono quasi un metro e ottanta, magro seppur atletico ma lui è più alto di me, correrei il rischio di prenderle. Fa caldo, mi passo la mano tra i miei capelli castano scuro, li ho tagliati molto corti la settimana scorsa e già mi sembrano ricresciuti parecchio. Oggi mi sento inseguito da cose e persone, ma forse sono solo un po' stressato.
Leggo, per distrarmi, il biglietto rosso con bordi dorati che mi permetterà di raggiungere Malta e la mia compagna, Eva, che è stata assunta, dalla mia stessa società, come addetta al ricevimento. Il mio nome sul biglietto è stato stampato in modo errato; capita spesso e ogni volta che succede, mi secca molto; hanno scritto Ivano Valeri, ma io mi chiamo Ivan Valeri, come mio nonno. Sono quasi le undici, il mare è calmo, la mia nave è arrivata, è la più piccola di tutte, speriamo che riesca a farmi arrivare vivo a destinazione; è bianca, con bordi arancioni e la scritta “Old Destiny” in blu corsivo, con un carattere che assomiglia molto al Comic Sans del mio vecchio PC. Cerco di mescolarmi tra la folla, anche se il mio trolley è verde evidenziatore, la mia tuta da viaggio è rossa con colletto, maniche e pantalone blu, sarà difficile, ma non impossibile. Sembra che sia riuscito a liberarmi del tale che mi seguiva, non lo vedo più; m'imbarco e mi appresto a salire le scale interne della nave. La prossima volta prendo le scale mobili. Devo andare al più presto a sdraiarmi nella mia cabina, la 22, sul ponte C. La notte prima non avevo dormito abbastanza; prima di partire dormo sempre poco, sarà la mia ansia da viaggio che si somma a quella da esame, a quella di volare e a tante altre. Giustifico così gli strani eventi che mi sono capitati quella mattina e non ci pensai più.
Quando riapro gli occhi, mi accorgo che è tardi. Quanto avrò dormito? Non poco, fuori è già buio, mi infilo un paio di jeans, una t-shirt ed esco dal mio alloggio.
La nave è molto bella, anche se non è una nave da crociera, ha gli interni di un hotel e l'uso del colore rosso è frequente. Sono arrivato in sala giochi, luce blu e un odore di moquette e plastica nuova; vedo che ci sono solo sette video-poker, tutti uguali.
Credo che mi annoierò presto, io amo i videogame, quelli arcade degli anni 90', con joystick a tre bottoni. Da ragazzino ci giocavo tanto, i miei genitori odiavano quei macchinari, erano convinti che aumentassero il mio stato d'ansia.
Mi siedo sullo sgabello d'acciaio e infilo la prima monetina, tentando la fortuna, quando entra una ragazza dal fondo della sala, in perfetto silenzio. Ha lo sguardo incuriosito, è molto carina, ha i capelli di media lunghezza ricci e biondi, almeno credo, la luce blu non mi aiuta. E' più alta della mia Eva e credo che sia straniera; stivali, pantaloncini di jeans, canotta bianca con su scritto “I love New York” e un giubbotto trequarti con cappuccio.
Da come veste sembra americana, non è male, magrolina, ma con un bel fisico, ha un passo elegante, non sculetta, non mastica gomme. Si avvicina lentamente e confermo, i capelli sono biondi; gioca al mio fianco, sceglie il video-poker accanto al mio, mi sussurra qualcosa in inglese, forse vuole che le cambi il denaro, ho un inglese arrugginito. Le indicherò la coin machine. Preferisco le italiane ma come ti sorridono le straniere è affascinante e curioso allo stesso tempo. Loro sanno che noi non parliamo bene la loro lingua, l'unico modo che hanno per farsi capire è usare la mimica, uno sguardo, un sorriso, a volte un occhiolino. La ragazza in questione mi ha solo chiesto di cambiarle i soldi ma credetemi, il sorrisetto che mi ha fatto allontanandosi, mi ha rallegrato la serata.
Una bella ragazza cerca di attaccar bottone e io ho deciso di non approfittarne, ed è pure straniera! Se mi sentisse il me stesso di qualche anno fa, mi ucciderebbe.
Da animatore turistico il codice alberghiero imponeva al personale di non aver rapporti con il cliente che non fossero di tipo lavorativo, per un cameriere non era difficile rispettarlo, ma noi che lavoravamo nell'intrattenimento, questa regola non la rispettavamo mai. Le ragazze venivano proprio per noi animatori e in particolare per il capo, per questo motivo, ancora oggi, che ho da poco superato la trentina, prediligo tale lavoro. Insomma, non ero il ragazzo da presentare al papà. Intanto è tornata la straniera, si chiama Keem Anderson, dall'inglese che usa sembra australiana, lega molto le parole, dice - Goddei - non è inglese di sicuro.
“Sei una bella ragazza, ma non ci proverò”, è la frase che mi sto ripetendo in mente, mentre iniziamo una discussione sul movimento oscillatorio della nave.
Capisco una frase sì e una no, se non parlasse così velocemente comprenderei tutto, mi serviva ripassare l'inglese e questo modo di farlo è piacevole. E' una tipa chiacchierona per essere straniera. Ma quanto parla! Sono con la mente altrove già da cinque minuti ed ho ormai perso il filo del discorso, sorrido e annuisco. Mi ha appena chiesto di bere qualcosa, va bene andiamo, mi sembra tutto così surreale. Conoscere una donna in sala giochi che ti invita a bere, non ci credo, spero che non mi chieda dei soldi. Cosa direbbe Eva se mi vedesse con lei? Occhio non vede cuore non duole.
Dice che io ho uno strano colore degli occhi, tra il verde e il castano, io non ci ho mai fatto caso, per me sono castano scuro. I bar delle grandi navi sono belli e questo non è da meno, è un vero e proprio locale, si beve e si balla; ha la pista ovale e qualche tavolino.
Una nave di giovani, ho visto all'imbarco poche famiglie; tutta questa gente dai diciotto ai vent'anni in sala, secondo me sono gruppi vacanza. Vuoi vedere che sono i clienti del villaggio dove lavorerò? Keem mi parla di lei, il padre adottivo ha un'officina e la madre insegna, è qui in vacanza. Abbiamo preso già due birre e il secondo giro lo pago io, credo che per Keem io sia un'ancora di salvezza, s'annoia a stare con ragazzi più piccoli. Intanto dall'altra parte della sala c'è il tale di stamattina che mi guarda; ora che lo vedo bene, sembra un ventenne: ma quanto sei brutto, sembri più vecchio, hai anche il naso grande con la gobba.
- Si dice che gli italiani siano farfalloni, ma tu ancora non c'hai provato. -
Era Keem! Dopo mezz'ora d'inglese mi parla in italiano? Cosa si sarà bevuta?
Ero stupefatto: - Ma come, parli italiano? E perché solo adesso? -
- Volevo vedere se valeva la pena sforzarmi con te, l'italiano lo studio all'università. -
Mi ha messo alla prova e l'ho superata alla grande ma se dovessi spiegarvi come, non saprei, in realtà dopo un po' di convenevoli pensavo ad altro e ho fatto solo smorfie di approvazione. Questa è la prova che io non capirò niente delle donne ma loro non capiranno mai niente di me. Keem ha appena salutato il tizio del molo, poi mi nota mentre l'osservo:
- Ti interessi molto più al mio amico Manuel che alla nostra discussione? -
Manuel, questo è il nome del nasone, da quanto dice l'australiana, lui accompagna la propria sorella minore in vacanza e ovviamente ci prova con Keem.
La guardo e le dico: - Non ti piace questo Manuel vero? Quindi secondo me, mia cara, mi stai usando per allontanarlo e la cosa non mi fa piacere. -
Ho fatto anche la faccia offesa, Keem però mi stupisce con una frase: - Potrebbe essere, come potrebbe essere il contrario. A volte penso che in un altro posto ci sia una Keem che in questo stesso momento balla con lui, mentre tu, sei ancora ai video-poker. -
La frase mi è rimasta impressa, sono astemio e due birre mi stendono, ho sonno e fame, credo che tra poco cercherò o il letto o il ristorante. Ciò che mi dà fastidio non è l'odore dell'alcol ma quello di sudore, il bar di questa nave non è spazioso e ci sono tanti ragazzini vestiti alla moda che ballano; non comprenderò mai come si faccia ad andare con uno che porta i risvoltini ai pantaloni ma per come sono vestito e non avendo neppure fatto la doccia, non posso giudicare.
Intanto noto che Keem non si vede più nella mischia, credo che io sia stato scaricato senza preavviso. Meglio, non credo negli amori a prima sbronza e anche da single, quella non me la dava a bere. Approfitto dell'occasione per uscire, mi faccio strada tra i giovani ubriachi che occupano la pista. Ma guarda un po' c'è Manuel che cerca Keem, poveretto, quella è una che non la molla facilmente e non credo che ti sarebbe andata bene, nemmeno in un'altra ‘dimensione'. Finalmente sono fuori di qui; festa a parte, la nave sembra deserta, non credo che siano tutti là dentro, è inverosimile, quindi già tutti a nanna?
Penso troppo, credo che l'odore del mare di notte e la luna che illumina le acque siano uno spettacolo che mi distoglierà la mente da tutte le mie inutili domande.
Mi trovo sul ponte principale dove ci sono le scialuppe di salvataggio, fa luce solo la luna e qualche riflesso della nave, il suo rumore non è una ninna nanna perfetta, ma il cullare del mare è rilassante, ottimo per le mie povere orecchie. Non so nemmeno che ore sono, credo che fumerò. Un momento! Manuel! Si avvicina, che vuole da me?
- L'australiana mi da detto che ti avrei trovato qui -
- Impossibile che ti abbia detto questo, sono uscito senza farmi vedere da lei, a meno che non mi stiate spiando. Ci conosciamo forse? Dimmi che vuoi, non mi fai paura! -
Quando faccio il duro sono così credibile che convinco anche me stesso.
Ora sono alla ringhiera con le scialuppa appese lì davanti, saranno quasi una decina se non di più, una dietro l'altra, diciamo che scavalco, finisco dentro una di queste e poi saltando da una all'altra, sì.. l'uomo ragno mi farebbe un baffo.
Ipotesi bocciata, non sarebbe una bella fuga, la porta è dietro di lui e le altre due sono non molto vicine.
C'è un salvagente appoggiato al parapetto ma se glielo sbatto in testa non lo stordisco, quindi niente da fare, proverò con la diplomazia. Manuel continua: - Tu sei Ivan Valeri, io ti conosco e anche tu conosci me, ma non ancora; dimmi Ivan, hai mai recitato in TV o al cinema? O almeno ti ricordi di averlo fatto? -
Ma che dice? Sarà un imbroglione che mi chiederà 600 euro per un book fotografico, vediamo se lo smaschero: - No, mai, forse mi confondi con un'altra persona. Ma dimmi hai qualche aggancio in TV? -
Mi sarebbe piaciuto essere un attore, ho anche fatto qualche provino ma non mi è andata bene."Mondi paralleli, altre dimensioni", si vede che sono un fan della fantascienza, sono nato negli anni '80 come potrebbe essere altrimenti?
Oggi sono un animatore, faccio spettacoli nei villaggi turistici, non sarà la televisione ma almeno mi diverto. Tornando a Manuel, lo ascolto, sono curioso: - Ivan, hai fatto un sogno giorni fa, eri in una stanza piena di disegni sulle pareti, eravate in due, tu e il tuo coinquilino, il fumettista, ricordi? -
Di colpo sono spiazzato, sai quando da piccolo tuo nonno fa finta di rubarti il naso e tu ci sei cascato al punto tale che piangi? Pianto escluso, la sensazione di stupore è la stessa; il sogno l'ho fatto giorni fa, Eva era ancora ad alloggiare da me a Napoli e quando glielo raccontai, mi disse che avevo una pessima fantasia, anche in sogno.
Oggi questo ragazzo mi ha descritto quello che nessuno poteva sapere, ad Eva non avevo detto dei disegni sui muri.
Manuel si avvicina e continua a parlare: - Ivan, su uno di quei disegni c'era la scritta EPII. -
Ormai è a un palmo da me e io sono pallido dallo stupore, questo particolare non lo sa nessuno, ho dimenticato di dirlo ad Eva e fino adesso, l'avevo dimenticato anche io.
Ok, l'ansia è alle stelle ma c'è una spiegazione logica, anzi due: la prima è che sto ancora dormendo in cabina, quindi non esiste né Keem, né la sala giochi, né il bar e né Manuel.
La seconda, Keem esiste, il bar esiste ma ho bevuto troppo ed ubriaco sono collassato, adesso giaccio a terra svenuto e quindi sogno tutto questo.
Purtroppo il freddo, il vento, il rumore dei motori della nave e la ringhiera di ferro ghiacciata e bagnata dal mare che stringo, sono troppo veri, troppo reali per essere un sogno. Mi si è seccata la gola e non riesco a muovere le gambe; all'improvviso sento addirittura caldo, lo fisso senza fare una smorfia ma lui ha capito che mi ha messo in crisi.
Forse ho la soluzione, ubriaco avrò raccontato il sogno a Keem, deve essere così.
- Nel sogno caro Valeri, lei ha chiamato la sua ragazza, vuole che vada avanti? -
- Sì, vai avanti! -
Sorride: - Non posso, ti sei svegliato. -
Ok, adesso si è posizionato alla mia sinistra, davanti a me ho la porta aperta, scappo? No, mi allontano lentamente.
- Valeri, non sei pazzo, presto tornerai lì, cerca il signor Chirico, è la tua salvezza e ricordati, se non ritorni la perderai. -
A questa frase me ne sono andato a passo svelto e mi dirigo al ponte della mia cabina.
Quel gran figlio di buona donna! Sarà uno scherzo e magari anche televisivo, ma sì! Sono sicuramente protagonista di una candid camera, fatta anche bene devo dire.
Non è la prima volta che mi capita di incontrare tipi enigmatici, tempo fa ero davanti ad un parco giochi e una zingara mi lesse la mano: - Un futuro non del tutto roseo - disse. In realtà non ci voleva tanto, a vedermi anche io a quei tempi mi sarei auto-predetto un futuro non del tutto roseo e quando mi girai, non la vidi più.
Non so come il nasone abbia fatto ma se voleva farmi venire la cagarella ci è riuscito alla grande, touché!
Ecco sono arrivato alla mia cabina, vedo alla fine del corridoio una famiglia rientrare, meno male, la visione di un nucleo familiare mi ha sciolto un po' i nervi.
Un corridoio stretto con cabine a destra e a manca, lungo chissà quanto e siamo solo io e loro.
Entro in cabina finalmente; mi sembrava più grande, mi stendo sul letto, indosso il mio pigiama rigato, non sono tranquillo, ho la sveglia impostata. Sono le 01:15, sembrava più tardi.
Sdraiato guardo il soffitto e per distogliere la mente da quello che mi ha detto Manuel, penso allo strano circolo di eventi che è stata la mia vita fino ad ora e alle mie scelte che mi hanno indotto ad essere sempre incostante.
Le nostre scelte; chissà cosa sarebbe successo se ne avessimo fatte altre? Cosa sarebbe cambiato nella nostra vita? Quanto pesano nel presente e quanto peseranno nel nostro futuro? Non lo sapremo mai. Queste domande vi hanno già fatto venire il mal di testa vero? Ma non ditemi di non averci mai pensato.
Sono nella cabina 22; essendo nato il 2 febbraio, credevo che il 2 mi portasse bene. Per quale criterio della numerologia, non lo so.
Se penso al 2 oggi, mi viene in mente un cattivo voto (2 come impreparato), il 2 di picche, il 2 come secondo posto a una competizione. Per quale motivo avrebbe dovuto portarmi bene questo numero?
Quando sei piccolo ne pensi di cazzate, il guaio è che ci credo ancora oggi, sfigato dalla nascita.
Penso ad Eva, la sto raggiungendo, non vedo l'ora che il viaggio finisca e che possa riabbracciarla. Lei, mi ha fregato; dopo che facciamo l'amore, mi passa le mani fra capelli e mi ripete all'infinito che ho dei bellissimi occhi smeraldo, lo dice un po' per sfottermi e un po' perché le persone che ci amano tendono a vedere in noi qualcosa che gli altri non vedranno mai.
Quando l'ho vista la prima volta, ero in Maremma, uscivo dal villaggio per accompagnare alla stazione ferroviaria una giovane cliente che avevo frequentato per due settimane.
Il mio capo mi disse che con il treno delle 15:30 arrivava un'animatrice nuova e sarei stato io a fare gli onori di casa.
Avevo appena salutato Marylin, quando dal treno, al binario 2, arrivava Eva Marini, la vidi subito, perché i ragazzi arrivavano già in divisa e lei era l'unica ad uscire da un treno non molto affollato, proveniente da sud, con pantaloncini, maglietta e cappellino con la scritta: "Animation".
Da lontano non mi ero accorto di quanto fosse carina e come potevo? Marylin era sul treno da tre secondi e già mi chiamava al cellulare, dicendo che voleva scendere alla prossima fermata; se fosse successo il capo mi avrebbe ucciso.
Ero così preso dalla discussione telefonica, girato di spalle sul binario opposto, guardando il treno di Marylin allontanarsi che non davo importanza ad Eva, la quale era scesa dall'altra parte della piccola stazione di provincia; però mi giravo e le lanciavo uno sguardo ogni tre frasi per non perderla di vista, insomma facevo aspettare una donna e non era carino.
In tutto, su quella piccola stazione a quattro binari, contavo forse una sessantina di anime, personale compreso, alla fine fu lei a prendermi alle spalle e io attaccando il telefono di botto mi voltai e ne rimasi stupito e affascinato.
Non era arrabbiata o comunque non lo dava a vedere; più giovane di me, di un bel po', ma matura nel volto e nello sguardo.
Il sorriso che mi faceva sdrammatizzava quanto era successo, sembrava volesse dirmi:
“Non fa niente che mi hai lasciato ad aspettarti per fare i fatti tuoi”.
Eva era graziosa, giovane, calma e con una maturità che presto mi avrebbe messo nel sacco.
Se la ragazza della sala giochi era bionda e carina, Eva era molto di più; i capelli nero corvino lisci e lunghi, un po' più delle spalle, pelle olivastra.
Il suo volto bello, regolare, linea del naso dritto e leggermente all'insù, occhi neri, ciglia e sopracciglia ben curate e delineate, guance rotondette ma non troppo, sorriso a trentadue denti. Cleopatra? Sì, ma senza quel trucco eccessivo. Eva non ne portava alcuno e né l'avrebbe usato dopo. La cosa che mi faceva impazzire era la forma degli occhi, allungato, un po' orientale.
I suoi silenzi mi mettevano a disagio, parlava poco e fin da subito mi ha tenuto testa.
La prima cosa che mi chiese su quella stazione fu se avesse avuto tempo di chiamare il suo ragazzo, una volta arrivati al villaggio: - Quando vuoi, tanto non sono geloso. -
Lei: - Nemmeno io -
Lì, giuro, mi sentii un po' eccitato, ho fatto colpo?
Eva si avvicinò: - Tieni, questo è il numero del mio ragazzo, chiamalo anche tu, visto che ci tieni - Fu 1-0 per lei.
Basta pensare, perdo i sensi per un po' ma non dormo bene, mi sveglio continuamente.
Un po' come quando ti suona la sveglia e ti senti più stanco di prima. Io sto peggio, mi fa male la schiena, credo che dormire in nave sia qualcosa di scomodissimo.
Il letto è piccolo e per poco più lungo di me, ho un oblò che mi dà una vista ridicola e stamattina la vista è stranissima, non mi sembra di essere arrivato a Malta, credo di essere ancora in Italia, ma come è possibile, avrò dormito tanto, il sole è alto nel cielo, sto per prendere il cellulare quando delle strilla provenienti dal corridoio mi scuotono di botto. Che è successo? Cosa può succedere su una nave?
Mi vengono in mente le cose peggiori, dai film dell'orrore a Titanic, ma forse esagero, forse sono le classiche famiglie italiane che litigano; sono troppo assonnato per alzarmi e andare a vedere. Mi torna in mente quando ero in vacanza con i miei: due papà litigavano per colpa dei figli, questi di notte avevano rubato bibite dal bar e i genitori, incolpandosi a vicenda, se le diedero di santa ragione; che spasso! Urlavano in dialetto, bergamasco contro salernitano, non si capiva niente di quello che dicevano. Non credo comunque che si tratti di una lite tra famiglie. Le urla aumentano e aumentano le persone che urlano.
Mi alzo di scatto, scalzo sul pavimento freddo quasi mi scappa un'imprecazione, meglio aprire la porta, l'aria in questa cabina deve essere cambiata, colpa delle mie scarpe. Quello che vedo è insolito, c'è panico su questa nave, la gente corre e le donne con i loro bambini per mano urlano con faccia indispettita e scontenta.
Le urla che sentivo erano di protesta non di paura, qualcuno, che come me aveva sentito urlare, sbigottito, inizia a correre per chiedere cosa sia successo.
Parolacce ed insulti non erano per il vicino di cabina ma per la compagnia navale. Volgo lo sguardo alla fine del corridoio e vedo Keem, è ferma, braccia stese, gambe chiuse e sguardo che mi fissa, come se lo stesse facendo già da un po', il volto senza espressione, immobile come se niente stesse accadendo, la gente correndo le passa vicino come se non esistesse.
Spero di essere stato di buona compagnia ieri sera, che l'abbia offesa? O forse si preoccupa per me? In genere quando Eva mi guarda così nasce una litigata assurda, ma lei è la mia ragazza, questa bionda che vuole da me? Sembra quasi che aspetti una mia reazione, poi si gira e prende le scale per il ponte superiore.
Da quello che sento la gente si lamenta e vuole essere rimborsata perché la nave non approderà a Malta, si fermerà in Sicilia, a Catania.
Mi si avvicina un addetto alle pulizie, mi vede assonnato e in pigiama sul ciglio della porta della cabina, difficile non vedermi, ne ho uno verde scuro con strisce blu e rosse e uno sguardo ancora rimbecillito.
L'addetto mi spiega che la gente, saputo della deviazione ha iniziato a urlare e chi non sapeva è andata nel panico.
Il problema sembra essere di natura tecnica ma non mi ha detto di più, sta di fatto che l'ordine sulla nave non è ancora ristabilito.
Ma guarda un po', neanche stessimo affondando.
Faccio uno squillo a mio padre, siamo vicino alla costa e il mio cellulare ha di nuovo campo.
Papà è un tipo energico nonostante l'età, quasi sessantenne, pensa di essere un ragazzino. Fissato per i motori, si è rasato la testa perché i capelli gli davano fastidio sotto il casco ma io so che lo ha fatto solo perché ormai non ne ha tanti; di fisico robusto ma non grasso, continuamente sicuro di sé e testardo; lo stimo ma a volte è decisamente pesante, quindi la chiamata sarà breve e concisa. Appena lo avverto della deviazione che subirà la nave, ha già la soluzione, mi ha detto che prenoterà per me una stanza all'hotel Martini, in via Martini.
- Ma perché devo andare lì? -
- Perché la compagnia risarcirà la notte in hotel a tutti quelli del tuo ponte -
Lo assecondo e attacco. Non ho bagagli da rifare, mi faccio una doccia veloce e mi vesto, chissà Keem dove andrà, è una donna affascinante ed è venuta a cercarmi, che tenera!
Sono nella hall della nave, mi dirigo verso l'uscita. Che bello l'odore del mattino, qualcuno sta ancora urlando ma la situazione di panico è risolta, la gente ormai si limita a lamentarsi.
Imbocco un altro corridoio, ma guarda un po', c'è una porta a forma di trapezio, entro, lo stanzino è piccolo, alto e poco profondo, una scala è appoggiata al muro, in cima ad essa è seduto lui, Manuel: - Sali, dai, goditi la vista -
La vista? Questo è pazzo, siamo praticamente in un ripostiglio.
- Ivan, tra poco ce ne andiamo, il viaggio è quasi finito -
- Se cerchi di impaurirmi sappi che non ci riuscirai, sei solo uno psicopatico, addio. -
Non faccio nemmeno un passo che lui mi dice: - Quando arrivi, cerca Chirico, non ti dimenticare. - Poso la valigia ci vado giù duro: - Vaffanculo! Io non cerco nessuno, perché so già dove andare, De Chirico l'ho studiato al liceo e non era nemmeno il mio pittore preferito! -
Esco a passo svelto, mi hanno sempre detto che nella vita non bisogna avere paura o almeno non mostrarne mai. Il porto di Catania non lo conosco ma mentre chiedo per la fermata dell'autobus o un taxi, mi ricompare Keem: - Ciao pigiama a strisce, dove devi andare? -
- In albergo, l'ufficio mi ha prenotato una camera, non potevo passare la notte sulla nave. -
Non mi andava di dirle che “papino” mi aveva prenotato la stanza. Che figura ci fa il maschio italiano? Mi dice che anche lei sarebbe andata in hotel, ma per mia sfortuna non il mio. Sembra che faremo parte di strada insieme, così ci avviamo e devo dire che alla luce del sole non è male, non è abituata però alle strade catanesi e al traffico italiano, si meraviglia di come attraverso la strada piena di macchine e di qualche motorino di troppo.
- Ecco cara Keem, questa è la fermata, io devo prendere il 255 e tu il 52. -
Mi dispiace lasciarla ma mi ha mentito, era in viaggio con altra gente, perché adesso è da sola? La cosa mi incuriosisce, d'altronde le bionde sono sempre state menzognere e quasi quasi faccio un brutto pensierino. Mentre calmo i miei ormoni lei mi stupisce: - Se prendi il 52 con me, dopo due fermate sei nella zona del tuo hotel. Dai vieni con me! -
Adesso sarò sincero, mi va di andare, almeno passo un po' di tempo in compagnia, solo che sarà difficile spiegare ad Eva che mi rompo un po' e l'unica persona che mi ha dato confidenza è la bella straniera. Chi ci crederebbe? Secondo l'opinione femminile dovrei andare dritto in hotel, leggere un libro, mangiare e passare un'ora al telefono con mamma e parenti.
- Va bene dai, prendo il 52 con te. -
Ora la cosa che mi preoccupa di più è che il mio bus è già passato due volte, mentre il suo no.
Ho visto anche la cartina, in un punto il 52 passa a 300 metri dal mio albergo ma la prima fermata utile da quel punto è a 2 chilometri, quindi a meno che non mi butti giù dal bus al volo, sono un coglione di primo livello.
- Sai ballare? - Keem me lo ha appena chiesto con un volto sorridente e un po' infantile, ma che domande mi fa? - Certo che so ballare, non vedi il fisico asciutto di un ballerino? -
La scena non è delle migliori, io con il trolley verde evidenziatore, tutta rossa e blu e lei, con il trolley rosa, pantaloncini e giubbotto di jeans, top bianco e scarpe da ginnastica bianco nere.
Siamo su un marciapiedi, vicino ad una fermata che è situata in una zona deserta, dove non c'è un'anima, dietro al porto commerciale e vuole che le faccia vedere il passo base della salsa! Pazze queste straniere. Non sta facendo altro che provocarmi per poi scaricarmi alla fermata 4. Le prendo la mano sinistra e lei mi guarda fisso negli occhi come se volesse dirmi qualcosa, come se questa scena l'avessimo già girata in un film, tante e tante volte.
Il suo sguardo non è di una piccola ragazza vogliosa di esperienze folli, sul suo volto c'è anche malinconia, un pizzico, quanto basta per celare un ghigno dietro a un sorriso e una smorfia dietro ad una risata.
Mi sento a disagio, non lo dovrei fare, ma oltre a questo c'è anche altro che mi da fastidio: Keem si comporta in modo strano, mi dà l'impressione di un' attrice che mentre recita una parte, perde il personaggio e presa dall'enfasi smette di recitare.
Per un minuto la persona che credevo di aver compreso, cambia, si comporta come una bambina in vacanza da sola per la prima volta, si agita, ride e mi tira le braccia quasi mi volesse trascinare via con sé.
Premetto, io non so ballare la salsa e da come si muove nemmeno lei.
Danzare con lei è un incubo, non ha il senso del ritmo, eppure ho la sensazione che sappia ballare molto bene e che stia sbagliando di proposito. La cosa mi mette ancora più in imbarazzo perché siamo alla fermata del bus, in piena zona cantieri navali!
Mi strattona un po', poi mette la sua testa vicino al mio orecchio sinistro e mi dice: - Sei molto simpatico, è da tanto tempo che volevo ballare con te. -
Impossibile io non l'ho mai vista, sarà stato un errore di traduzione. Ancora stravaganze! Ma ormai ho accettato il gioco, tanto dovrò sopportarla ancora per poco.
Arriva il bus, lei mi guarda negli occhi sorridendo, io salgo sull'autobus e lei che fa? Non sale! Non faccio nemmeno in tempo ad accorgermene che il bus è bello che partito.
Ben mi sta, mi guarda seduta dalla fermata e da lontano mi sembra un'altra persona, come se non mi avesse mai conosciuto, mi guarda senza espressione, come se stesse pensando ad altro. La gente è proprio strana. Mi ha lasciato addosso un profumo alla vaniglia che non dimenticherò facilmente. Non è la prima volta che incontro pazze egocentriche e schizzate. Una volta in Islanda incontrai delle ragazze che offrirono a me e a un mio amico birre per tutta la notte, per poi scomparire all'improvviso. Le donne non le ho mai capite e forse faccio bene. Dopo due fermate sono solo nel bus e sto per arrivare all'incrocio di via Martini, se scendessi lì sarei a trecento metri dall'Hotel.
Chiamo mia madre, anzi le mando un messaggio, conoscendola mi chiamerà a breve quindi le dico che tra un'ora sono in camera. Se pur arrabbiato con me stesso, ho ancora nella mente gli occhi di Keem che mi fissano. Occhi traditori, cosa pensa una pazza del genere in quel momento? Che sia solo un gioco di una piccola bambina ricca e viziata?
Mi è arrivato un messaggio da mia madre, devo scendere nei pressi del tabaccaio, quello con due ante gialle enormi, ma se avessi preso l'autobus giusto. Chi glielo dice a mamma che sono altrove per colpa di quella pazza?
Sono solo nel bus, forse convinco l' autista a fermarsi prima: - Wè scusami, mi sono perso, devo arrivare all'Hotel Martini a via Martini, mi dai una mano compà? -
Si gira sorridendo: - Qui si dice 'mbare', scendi qui, presto, che mi ritirano la patente. -
Lo ringrazio, esco dal bus e dinanzi a me il tabaccaio enorme con le ante gialle, di fronte, una piccola strada asfaltata in discesa, a trenta metri, l'hotel Martini.
Sono arrivato, che fortuna! Oh cavolo, in tutto questo non ho ancora avvisato il villaggio, né Eva! Dovrò raccontare e spiegare tutto, beh, quasi tutto.











Capitolo 2 - ETNHOR




Eva non ha creduto alle mie parole, pensa che io non voglia più raggiungerla, che abbia un'altra. A volte penso che la gelosia delle donne dipenda più dal loro orgoglio personale che dalla paura che abbiano di perderti. Già la vedo, pensierosa, seduta a fissare il vuoto e ad immaginare il volto della sua fantomatica rivale. Come se poi esistesse. Quanta rabbia mi fa la sua gelosia ossessiva, Eva perde il lume della ragione e mi fa passare la voglia di sentirla.
Basta adesso, devo capire come finisce questa storia della nave. Le camere dell'Hotel Martini sono carine, arredamento in arte povera, chissà quanto costa un pernottamento, io non caccio un euro, se mio padre mi chiede qualcosa... (un rumore da dietro la porta) Chi diavolo è? Sono le 10:00, che sia la donna delle pulizie?
Con spavento misto a piacere, vedo che entra nella mia camera lei, Keem. Ma che ci fa qua e perché ha le chiavi della mia stanza? Non mi dispiace che un donna mi cerchi ma questo è quasi stalking. Lei con voce soave: - E' tardi dobbiamo andare. -
Io non vado da nessuna parte con questa, chi la conosce, non bastano due belle gambe a fregarmi. Mi mostra un ciondolo e la scritta "EPII", Keem è vestita con un abito nero con le spalle scoperte, molto scoperte fino al sedere, questa cosa mi distrae molto dal medaglione ma, estetica a parte, mi sto riempiendo di rabbia.
- Dobbiamo andare dall'altra parte, devi viaggiare ancora, come hai fatto pochi giorni fa, lo so che ne sei capace e sai bene di cosa sto parlando! Basta fingere che tu non sappia niente. Devi tornare e dobbiamo partire subito. -
Ho capito, questa è pazza, i soldi danno alla testa, ha bevuto o forse si sarà fumata qualcosa di strano o magari se lo inietta nelle vene? L'assecondo: - Sì, adesso partiamo, il tempo che mi faccio una doccia e andiamo, va bene? -
Lei mi guarda con uno sguardo silenzioso e disturbato, ha capito che la sto prendendo in giro, ha qualcosa in borsa che sporge, ha tutta la forma di un manico di un coltello, che faccio? Prendo qualcosa per stordirla? Non va bene, se mi difendessi così contro una donna mi denuncerebbero, diventerei io il malvivente, per giunta questa è anche pazza quindi colpirei una donna, giovane, carina e disabile. Non ho speranze, devo solo scappare.
Mi alzo e vado in bagno mentre lei continua: - Non scappare, non puoi! -
E invece posso, faccio finta di andare in bagno quando scappo per il breve corridoio, apro la porta e quasi scivolo sulla moquette. Alberghi anni 90', l'odore insopportabile di muffa mi riempie i polmoni e quasi me li blocca, ho il battito accelerato, non posso andare al creatore per colpa di una ricca straniera sotto effetto di anfetamine.
Scendo le scale, la hall è al buio, non si vede dove finiscono i tavolini perché solo la reception ha un punto luce che illumina. Ho le mani sudate, dove è la porta d'ingresso dell'hotel? Improvvisamente il mio cuore riprende il suo regolare battito.
Questa oscurità mi disturba ma mi rilassa allo stesso tempo.
Al banco della reception, compare un uomo, è Manuel: - Ivan, continui a correre, a scappare, ma dove vuoi andare? Nessuno ti insegue. Tu non sei qui adesso. Tu ora dormi a casa nostra a via Martini. -
Questa frase non mi intimorisce però non capisco ancora. Perché questi due mi perseguitano? Cosa vuol dire tutto ciò?
Il maledetto receptionist continua: - Tu sei un viaggiatore, puoi lasciare la tua realtà e viaggiare, raggiungerne un'altra e viverla. Ti senti sciocco e io ti sembro pazzo vero? Ma osserva bene, guarda è giorno, fuori c'è il sole eppure qui, è tutto buio. -
Non capisco il significato delle sue parole, torno in camera quasi dimenticandomi di Keem. Lei dovrebbe essere lì.
Risalgo le scale ma la porta è aperta, non ci sono finestre sulle scale. La mia camera è illuminata, è tutto come prima.
Urlo spazientito: - Keem, esci e non ti farò niente! - come se le potessi far del male, non ho niente tra le mani. Afferro una scopa che era dietro la porta del bagno, poi mi giro e vedo scorpioni, due grossi scorpioni, nel mio bagno? Non ho tempo di pensare altro, chiudo la porta e mi giro di scatto. Keem è dietro di me! L'adrenalina mi schizza in tutto il corpo, mi sento gli occhi caldissimi e le braccia leggerissime. Ho il sangue alla testa e la rabbia mi sale ogni attimo di più, non mi avrai, maledetta!
Con tutta la forza che ho in corpo provo a colpirla ma all'improvviso mi fermo, mi blocco. Tutta la mia rabbia e adrenalina non ci sono più. Era bastata una carezza sul mio volto, l'odore della sua pelle, un bacio sulla bocca e la sua fronte appoggiata sulla mia.
Faccio cadere la scopa, la bionda mi porta con sé.
Ha una maglia rossa di cotone e un pantalone nero, ma quando si è cambiata? Anche i suoi capelli mi sembrano più lunghi. Mi porta in camera da letto io sussurro: - Perché hai messo due scorpioni in bagno? - e lei: - Il tempo si deforma, e come tutte le cose, muta. Guarda adesso ciò che ti mostrerò, ci vediamo dall'altra parte. -
Adesso credo, che se questa mi avesse voluto uccidere, lo avrebbe già fatto. La camera è buia, umida, si sente odore di muffa, le pareti ne saranno piene.
Cosa c'è sul divano? Sono io. Sul divano ci sono io che dormo e mentre dormo levito nell'aria. Io vedo me stesso!
- Cosa significa tutto ciò? È solo un incubo, ma così reale. -
Keem sorride: - Sarà reale ciò che vedrai tra poco, stai viaggiando, molto lentamente perché hai paura, le paure sono zavorra nel viaggio della nostra vita e lo sono anche qui. -
Bella frase ma le chiedo: - Dove siamo e dove stiamo andando? Ammesso che questo sia reale. -
- Stai tornando a casa, questo è solo un tempo imperfetto. Sveglialo, (riferendosi al me che dorme levitando nell'aria) e giurami che mi verrai a cercare. -
In camera c'è pochissima luce, è impressionante, questa copia di me stesso levita a un metro da terra, è sudato come me, ma è sereno. Dormo sempre a pancia in su, braccio destro sotto la testa e sinistro a penzoloni. Come svegliare me stesso? Provo a urlargli nell'orecchio ma non riesco a farlo, la voce mi si è bloccata, esce solo un debole sibilo.
Non vedo più Keem. Vado in bagno a prendere dell'acqua per svegliarlo, apro la porta, ci sono rane, sono ovunque, la doccia è in fondo, il secchio è la dentro, schivo le rane per raggiungerla, ne sfioro qualcuna, una sensazione viscida e fredda.
Finalmente ho riempito il secchio, mi giro ma non vedo più il me stesso, m'accorgo che la finestra è aperta, mi affaccio e noto il mio corpo che lentamente cade in strada, poi scompare.
Che significa? Il mio sguardo fissa la strada, questa città non è Catania, palazzi molto moderni, sembra lo scenario di un film poliziesco americano, strade buie, fumo, profumo di pneumatici, neon accesi con la scritta club o nightclub, non vedo bene.
Non vedo bene! Non vedo bene! La vista si offusca e il buio cade su di me, ho la classica sensazione di precipitare, quella che tutti noi abbiamo almeno una volta nella vita e tutto si spegne. Apro gli occhi mi sembra di aver dormito un'eternità, ho una bocca che fa schifo, neanche se avessi bevuto e fumato per tutta la notte, il mal di testa tipico del dopo sbornia, suona la sveglia, chi l'ha messa? Con un gesto istintivo del braccio destro la spengo.
Mi siedo sul letto, sono in maglietta e mutande, sudato non poco. Il sogno di questa notte è stato tremendo. Giurerei che davanti al letto ci fosse un divano e un balcone invece in questa stanza mi sembra leggermente diversa. Scendo dal letto e urto qualcosa, sono bottiglie di birra, che sia andato a dormire nella stanza di un'altra persona? Mi alzo, è buio, a tentoni trovo la maniglia della finestra e la apro, mi arriva un fascio di luce che mi acceca. Mi ricorda quando la mattina mi svegliavo per andare a scuola, abitavo non molto lontano dal mio liceo, così mi alzavo sempre tardi e più o meno la scena era la solita.
Questa non è la mia stanza! Questo non è l'albergo Martini a via Martini, dove sono finito?
Questa sembra una città storica del sud Italia, viuzze strette e pavimentate da sampietrini. Le case e i palazzi non hanno più di tre piani. Il colore che prevale è il bianco argilloso. Non vedo il mare né sento il suo odore, non c'è salsedine in questa mattina cocente d'estate. Non c'è nemmeno traffico, no, non è Catania.
Giovanni Toso
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