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Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Writer Officina
Autore: Andrea Mori Checcucci
Titolo: Vite a Doppio Principio
Genere Noir
Lettori 3502 32 56
Vite a Doppio Principio
Dopo meno di un'ora i due uomini pranzavano sul terrazzo sotto il gazebo. La donna e la bambina si erano ritirate mentre un servizio di catering, tanto discreto quanto professionale, aveva recapitato piatti pronti e birra messicana ghiacciata, che era stata inserita nel secchiello per lo champagne. Il colloquio era stato sospeso e la conversazione si era spostata su argomenti meno impegnativi come il campionato di baseball e il buon piazzamento in classifica del Tampa Bay Rays, squadra di primo livello in Florida, ma della quale, per un motivo o per l'altro, a nessuno importava veramente. Dopo mangiato, Lee riprese gli argomenti del mattino.
- Fin da piccolo volevo diventare un agente dell'FBI. Quando gli adulti mi chiedevano cosa volevo fare da grande, ho sempre risposto così. Penso che mi abbia influenzato una serie televisiva sul Bureau che andava in onda in quegli anni. Allo spirito del Bureau ho sempre creduto e, badi, in qualche modo, credo ancora. Dopo la laurea e un master in legge, riuscii a entrare all'FBI come impiegato addetto a raccogliere impronte digitali: avrei accettato anche di vuotare i cestini della carta straccia, pur di poterlo fare lì, - raccontava Henry Lee con enfasi, quasi volesse convincere il suo interlocutore della bontà di quella intuizione giovanile. Vitali, interessato unicamente all'aspetto della fedeltà a una bandiera, lo spronò a proseguire nel racconto.
- Immagino abbia presto cambiato mansione, dico bene?
- Dopo meno di un anno qualcuno notò che avevo buone qualità investigative e venni destinato in ruoli sempre più importanti, prima alla lotta ai crimini dei colletti bianchi, quindi al crimine organizzato e infine al controspionaggio.
- Mi perdoni, ma non è la CIA che si occupa di questo?
- L'FBI dovrebbe limitarsi ai crimini federali commessi su suolo americano. L'operazione più importante che ho organizzato è stata la cattura di Ramzi Yousef, l'ideatore dell'attentato del 1993 al WTC. Quell'uomo era a capo di una cellula terroristica.
- Sembra che il collegamento tra lei e il World Trade Center abbia radici lontane e sia una costante della sua vita, dico bene?
- Ha ragione, il WTC è centrale nella mia vita, anche per cause fortuite. Almeno, così credo che sia.
- Ok, quindi lei si è occupato di controspionaggio.
- Vede, forse fu proprio la clamorosa cattura di Ramzi Yousef a mettermi in buona luce, tanto che fui promosso a capo della sezione antiterroristica del Bureau a New York. Era un ruolo di grande rilievo: avevo trecentocinquanta agenti operativi al mio comando e gli Stati Uniti sono un bersaglio d'elezione del terrorismo di matrice islamica, fin dagli anni '80.
- Quindi lei ha collaborato, in quella posizione di vertice, con la CIA?
- Direi di no. L'immagine pubblica di coesione tra le diverse agenzie, FBI, CIA, NSA e via dicendo, è una bella favola da dare in pasto al contribuente e nessuno farebbe niente per smentirla. Lo scambio di informazioni tra le agenzie è lento, farraginoso e inefficace. Inoltre ho scoperto a mie spese che anche la qualità delle informazioni condivise era scadente, quasi che ogni agenzia fosse gelosa dei segreti maggiori di cui era venuta a conoscenza. Personalmente non volevo credere che le cose stessero a questo modo e ho provato in più di una circostanza a collaborare con la CIA, ma loro hanno apparati, strutture e agenti: sono un'entità chiusa e impermeabile che non condivide, neppure col Bureau. a ogni modo, su questo aspetto, avrò modo di tornare più avanti, perché è, in qualche misura, cruciale.
- D'accordo, perdoni l'interruzione.
- Nel 1998 mi sono occupato delle indagini a Nairobi e a Dar es Salaam per gli attentati sincroni alle nostre ambasciate. Anche quello è territorio nazionale. Poi ho investigato sull'assalto alla nostra nave USS Cole, in Yemen: anche la nave è territorio nazionale.
- E a quali considerazioni è arrivato con queste indagini?
- Che in tutti questi episodi era implicata Al Qaeda.
- Questo lo sanno tutti.
- Negli anni '90 era una novità: era stato indagando su Ramzi Yousef che mi ero reso conto che lui faceva parte di una grande rete internazionale di terroristi, con campi di addestramento in Afghanistan e finanziamenti dai paesi del golfo.
- Non mi sembra una notizia sorprendente.
- Già, ma Al Qaeda era finanziata, tra gli altri, dai nostri alleati sauditi.
- Questo lo pensano in molti, almeno quanti hanno visto Farenheit 9-11 di Michael Moore.
- Anche questo è vero. Quello che molti non sanno, è che negli anni '80 Al Qaeda è stata creata, finanziata, armata e addestrata dalla CIA, dopo l'invasione sovietica dell'Afghanistan, in funzione anti russa: è un prodotto americano.
- Questo è già più interessante: prodotto difettoso, mi pare.
- Al Qaeda, anziché sciogliersi nel 1989, dopo il ritiro sovietico, ha mantenuto intatti i suoi ranghi, i campi di addestramento, la rete di affiliati: ha solo modificato il suo obiettivo e le sue fonti di finanziamento, orientandosi sui paesi del golfo, Arabia Saudita in testa.
- Perché?
- Se la domanda è perché esiste il terrorismo islamico o che scopo ultimo abbia, non sono in grado di risponderle se non in termini di logiche ribaltate: serve agli americani per avere un nemico insidioso, dunque affidabile, serve agli arabi sunniti per attirare il nostro esercito su quelle piastre incandescenti che sono i loro maledetti deserti, a combattere guerre senza senso che non potremo mai vincere, che dissanguano noi mentre, a nostre spese, favoriscono i giochi di alcune potenze regionali a scapito di altre.
- Interessante.
- Le guerre, come l'odio, creano un legame d'elezione. Se non può essere l'amore o l'amicizia a legare popoli e culture dai valori troppo antitetici, odio, terrorismo e guerra possono essere la seconda scelta, quella necessaria, l'unica possibile.
- Una visione alquanto cinica, mi pare.
- Non è cinica, è realistica.
- Vada avanti.
- Quanto all'Arabia Saudita credo che ci sia più di una spiegazione: intanto le dinamiche del potere all'interno della famiglia reale saudita sono oscure. Non esiste in quel paese un canale per esprimere il dissenso. Osama bin Laden, nonostante abbia vissuto per molti anni come un bandito, appartiene a una delle famiglie saudite più facoltose, che certamente gode del favore della famiglia reale Al Saud. E poi è contraddittoria l'alleanza tra americani e sauditi: se è chiaro il nostro interesse a mantenere un canale privilegiato con il primo produttore mondiale di greggio, altrettanto non lo è quello della famiglia saudita, gelosa da un lato di mantenersi salda al potere con l'aiuto dell'alleato americano e, dall'altro, in quanto wahhabita, di ergersi a paladina dell'ortodossia sunnita. Ora, per i wahhabiti, chi non aderisce all'Islam è perciò stesso nemico dell'Islam: Osama bin Laden è l'incarnazione di questa contraddizione. Essere alleati dell'america e allo stesso tempo wahhabiti è come mescolare il diavolo con l'acqua santa, per loro. Ed ecco spiegati non solo gli attentati contro i paesi occidentali impegnati nelle guerre in Kuwait prima, in Afghanistan e in Iraq poi, ma anche contro paesi islamici che scendono a patti con l'America, prima tra tutte la stessa Arabia Saudita o contro i paesi islamici più tiepidi verso l'ortodossia coranica e più orientati a una visione laica dello stato. Infine, Al Qaeda è diventata una sorta di franchising del terrorismo, tale per cui anche gruppi eversivi islamici, che non hanno mai avuto rapporti con bin Laden, con Al-Zawahiri o con le basi in Afghanistan, si appropriano del marchio per fini propri, perché il marchio è diventato una garanzia, in fatto di terrore, dopo l'undici settembre.
- Istruttivo. Ma l'undici settembre?
- Ci arrivo. Dopo l'insediamento di George W. Bush, nei primi mesi del 2001 eravamo arrivati, noi del Bureau di New York, ma non solo noi, alla conclusione che qualcosa di grosso bollisse in pentola. Segnali convergenti giungevano da fonti non collegate tra loro. C'era anche l'informazione che sarebbero stati utilizzati aerei come missili su suolo americano. Sapevamo che diversi cittadini sauditi, sospettati di terrorismo, erano riusciti a ottenere i visti d'ingresso negli Stati Uniti, utilizzando perlopiù il nostro consolato a Jeddah, capace quanto uno scolapasta di filtrare l'acqua sporca. Avevo denunciato quel consolato per i visti facili, ma non è successo nulla: quella è rimasta la cloaca aperta da cui la feccia colava liberamente negli Stati Uniti. Sapevamo che alcuni di questi frequentavano costose scuole di volo negli USA. Naturalmente misi a parte i miei capi. Non lo feci una volta soltanto, percorrendo diverse vie gerarchiche. Ma, per qualche ragione, non ho trovato ascolto. Ho allertato anche la CIA, con risultati simili. Ho avuto la netta sensazione che tutti, ai piani alti, sapessero già o, quanto meno, che avessero l'ordine di lasciare correre. Ho impiegato alcuni mesi, mentre spingevo le indagini sempre più vicino agli obiettivi potenziali, prima di rendermi conto che esisteva una precisa volontà di non dare seguito al mio lavoro, di più, di boicottarlo.
- Quello che sta dicendo è molto grave: forse gli attentati di New York e Washington potevano essere evitati?!
- La questione è molto più grave di così. FBI, CIA, NSA, National Aviation Administration, NORAD, Pentagono e chissà chi altri, non solo hanno ostacolato il mio lavoro, ma, in qualche modo, sono gli artefici di quegli attentati.
- Si rende conto di quello che sta dicendo?
- Non può essere diversamente. Se prima, durante la seconda presidenza Clinton, esisteva una generica restrizione sui nostri atti che potevano danneggiare i rapporti coi sauditi, appena Bush Junior si insediò nel gennaio 2001, emise un ordine che impediva a chiunque di investigare su qualunque attività che riguardasse direttamente o indirettamente la famiglia bin Laden, sui flussi di denaro che da loro, dai sauditi e dagli altri paesi del golfo giungevano ad Al Qaeda. Non c'era più molto da capire e, se io non mi fossi tolto dai piedi in fretta e in silenzio, lo avrebbero fatto loro. Per questo, il 22 agosto 2001, detti le dimissioni dall'FBI, con effetto immediato.
- Mi pare che lei stia facendo delle affermazioni quanto meno controverse.
- Vedo che ancora dubita delle mie parole. Io invece, quando mi licenziai, temevo che non sarebbe bastato, perché loro sapevano che io sapevo parecchio e a quel punto potevano pensare che parlassi. La mia sola assicurazione sulla vita, il 22 agosto, era che nulla di quanto paventavo era ancora successo. Fino a quel momento la minaccia che potevo rappresentare era facilmente contrastabile: se avessi gridato al mondo che aerei pilotati da terroristi si sarebbero schiantati contro primari obiettivi su suolo americano, mi avrebbero dato del pazzo. Purtroppo di lì a breve i fatti mi hanno dato ragione e, a quel punto, io sono diventato un personaggio davvero scomodo tanto per la CIA che per il Bureau. Per questo ho scelto di morire a Ground Zero, perché solo da morto potevo salvarmi la vita. Il crollo delle torri, che rappresentava per me allo stesso tempo la materializzazione di un rischio mortale e il coronamento di un fallimento personale, nella decisione lucida di un istante, si trasformava nella migliore opportunità di salvezza che potessi immaginare.
- Ho capito cosa mi vuole dire, ma egualmente faccio fatica a credere che ci siano gli americani dietro l'undici settembre.
- Lei dice? Provi a rispondere in modo convincente a qualcuna di queste domande, - disse Henry Lee fattosi molto serio e concentrato. Dopo una breve pausa, come per raccogliere le idee, prese a sciorinare domande in successione, intervallate da brevi silenzi, come per lasciare sedimentare ogni quesito nella mente del suo interlocutore, ma senza mai attendere una risposta.
- ...perché le nostre agenzie, che non avevano saputo parlarsi e prevedere nulla prima dell'undici settembre, solo tre giorni dopo, erano già in grado di fornirci la lista completa di diciannove dirottatori, tutti i supposti responsabili dei dirottamenti, e di indicare in Osama bin Laden il sicuro mandante?
- ...com'è che in soli tre giorni le agenzie avevano già ricostruito i movimenti delle ultime settimane, i pagamenti con carte di credito, i prelievi bancomat, le scuole di volo frequentate da tutti e 19 i supposti terroristi e disponevano delle foto di ciascuno?
- ...com'è che l'undici settembre non ne sapevano niente e il quattordici hanno sostenuto di disporre di tutte le prove necessarie, tanto da dichiarare chiuse le indagini?
- Perché tutte queste diciannove persone, nelle settimane antecedenti l'attacco, fecero di tutto per lasciare quei segni facilmente rintracciabili del loro passaggio?
- ...perché invece non esiste alcun video che mostri i diciannove imbarcarsi davvero sui rispettivi voli?
- ...come mai, nelle liste passeggeri dei quattro voli dirottati, non esiste uno solo dei nomi dei dirottatori e neppure un solo nome che sia riconducibile a origini arabe?
- ...come si spiega lei che, dopo gli attentati suicidi, almeno sei presunti dirottatori siano risultati ancora vivi e liberi in Arabia Saudita?
- ...nessuno tra coloro che volavano sui quattro aerei dirottati è sopravvissuto: come avrebbero fatto costoro a salvarsi e a lasciare il paese?
- ...come mai, nelle ore successive agli attentati, in pendenza di un blocco aereo assoluto sull'intero paese, tutti i numerosi membri della famiglia bin Laden presenti in America sono stati lasciati partire in aereo senza che a essi venisse rivolta nemmeno una domanda?
- ...perché, quando l'Arabia Saudita ha rifiutato di indagare su quindici suoi cittadini presunti terroristi, dal nostro governo non si è alzata non dico una voce, ma neppure un sussurro? In fondo si tratta di un governo amico.
- ...perché i velivoli dirottati, che si erano sincronizzati in modo efficiente pur in mancanza di possibili contatti tra loro, si schiantarono contro le torri a un orario tale per cui il numero delle vittime fosse il minimo possibile?
- ...come si spiega che tutti gli aerei usati nell'attentato fossero quasi completamente vuoti?
- ...perché lo schianto contro il pentagono, allo stesso scopo, avvenne contro un'ala che era chiusa per ristrutturazione?
- ...come mai al Pentagono i terroristi hanno scelto di compiere una manovra quasi impossibile per colpire una parete perimetrale, quando, schiantandosi con minori difficoltà sui tetti dell'edificio avrebbero massimizzato danni e vittime?
- ...insomma, che interesse poteva mai avere bin Laden a limitare il numero dei morti alle torri a tremila, quando scegliendo un orario diverso avrebbe potuto ottenerne agevolmente trentamila?
- ...perché Dick Cheney, che stava nel bunker della Casa Bianca, avvisato per tempo dell'aereo in avvicinamento a Washington, impedì che i caccia intercettori si alzassero in volo e lo abbattessero?
- ...come ha fatto un Boeing 757, con un'apertura alare di 38 metri, a volare a oltre seicento chilometri all'ora a meno di dieci metri da terra e a infilarsi in un buco nel Pentagono di soli cinque metri di diametro?
- ...come mai nelle immagini della parete del Pentagono, subito dopo lo schianto, non vi è la minima traccia dell'impatto del piano di coda dell'aereo e delle ali?
- ...perché non disponiamo di una sola immagine significativa di questo schianto, avvenuto sull'edificio forse più video sorvegliato della terra?

L'uomo procedeva cadenzando le domande seguendo un proprio schema mentale e sembrava non doversi mai arrestare.
- ...perché di questo aereo come di quello schiantatosi a Shanksville non esiste un solo rottame, un solo motore che sia riconducibile al tipo di Boeing che ci dicono essere stato utilizzato?
- ...come mai nessuna delle otto scatole nere, progettate per resistere a impatti estremi e a incendi oltre i mille gradi, è stata in grado di restituirci le conversazioni in cabina di pilotaggio di neppure uno dei quattro aerei killer e soltanto per l'aereo del Pentagono abbiamo estrapolato dati di volo talmente incredibili da far pensare a un missile cruise piuttosto che a un aereo passeggeri?
- ...perché i dirottamenti furono fatti nel giorno preciso in cui l'aeronautica militare era impegnata in così tante esercitazioni che i caccia intercettori disponibili per difendere tutto il settore nord est del paese, da Washington al confine canadese, erano solamente quattro?
- ...come mai, a tutti i livelli di responsabilità della National Aviation Administration, del NORAD e dei servizi, nessuna delle persone poi ritenute responsabili di gravi negligenze, dico nessuna, è stata rimossa dall'incarico, ma nemmeno sanzionata? Tutti invece sono stati promossi subito dopo l'undici settembre o poco oltre.
- La prego, si fermi, sembra un fiume in piena, - disse Massimo Vitali, ormai in confusione.
- Potrei andare avanti ore, Mr. Vitali, e questa è la batteria delle domande più immediate, quelle che molti semplici cittadini si sono posti, tra cui i familiari delle vittime, a cui le autorità non hanno mai dato risposta e neppure la commissione 9/11, che doveva spiegare e invece ha insabbiato tutto. Di domande ne esiste anche un'altra lista che implica un livello di inferenza maggiore.

Lee appariva fermo nei toni, sicuro di ogni parola ed enfatico. Il suo impeto oratorio sembrava mosso da sincera brama di verità. C'era tanta ricerca approfondita sui fatti dell'undici settembre e non era curiosità accademica la sua. Lui era stato dietro alle indagini ed era a Ground Zero, quando, proprio lì, un nuovo secolo di storia cominciava con un immenso bagno di sangue innocente. Lui era parte di quel sangue, di quell'inizio.
- Non ero a conoscenza di tutte queste incongruenze, - soggiunse cauto Vitali. - All'epoca dell'attentato alle torri, io vivevo in Italia e quando gli americani hanno detto che era stato bin Laden, ho creduto che fosse vero. Lei che spiegazione si è dato?
- Cosa vuole che le dica, nei fatti ho accettato le semplicistiche conclusioni della commissione 9/11: la mancanza di immaginazione, la teoria dell'incompetenza, l'acciaio ammorbidito dagli incendi nelle torri e simili corbellerie...
- D'accordo, lei doveva risorgere dalle ceneri di Ground Zero e, facendolo, certo non poteva sollevare un polverone, lo capisco. Ma che tipo di spiegazione si è dato dei fatti?
- Ne ho trovate un paio. Giudichi lei qual è la meno inquietante. La prima: Al Qaeda era forse dietro l'attentato, ma le più alte cariche dello stato lo hanno, come minimo, reso possibile. Più verosimilmente, lo hanno orchestrato fin nel più piccolo dettaglio. Non c'è stata alcuna incompetenza, alcuna mancanza di immaginazione, anzi, direi l'opposto, massima efficienza e un coordinamento pressoché perfetto. Conosco bene l'organizzazione di Al Qaeda e tutti gli attentati compiuti fino a quel momento non richiedevano un elevato livello di informazioni riservate, di coordinamento o di logistica. Ma questo attacco era di un livello del tutto differente, di un livello mai visto. A mio avviso Al Qaeda non aveva le conoscenze, le competenze e la capacità tecnica per inserire squadre di dirottatori-piloti sugli aerei, per mandarli in sequenza contro gli edifici, per realizzare un lavoro d'orchestra. E tutto questo, mi creda per come li conosco, è al di sopra del loro livello. Può darsi che avessero alcuni uomini, non lo so, ma stiamo parlando di superare in astuzia le nostre divisioni anti terrorismo alla CIA e all'FBI, di infiltrare informatori nella Federal Aviation Administration e nella difesa aerea al NORAD, stiamo parlando di super esperti nel pilotaggio di pesanti aerei commerciali che, specie nel caso del Pentagono, avrebbero eseguito manovre acrobatiche ai limiti strutturali di quegli apparecchi passeggeri e tutto ciò è oltre le possibilità delle operazioni di cui bin Laden era capace. La versione ufficiale, ripetuta per mesi e per anni come un mantra, - È stato Osama bin Laden - , semplicemente non sta in piedi. Non è stata portata una singola prova di questo e bin Laden è rimasto tra i most wanted criminals, fino alla sua cattura, imputato soltanto degli attentati in Kenia e in Tanzania, quelli per cui io avevo raccolto delle prove vere. Dove sono le prove per l'undici settembre? Dove sono i piani? Dove sono i gruppi di fiancheggiatori? Non c'è nulla di tutto questo e, se davvero si volesse fare piena luce su quei tragici fatti, occorrerebbe scavare molto più a fondo di quanto non si è fatto. Già, perché, sostanzialmente, non si è scavato per niente, la risposta era semplice e preconfezionata: Osama bin Laden, il figlio degenere. E quando Obama lo ha finalmente stanato, ammesso che si trattasse veramente di Osama bin Laden, si è ben guardato dal catturarlo vivo come avrebbe potuto: dalla bocca di bin Laden potevano uscire troppe scomode verità in un processo. Così lo hanno eliminato.
- Lei dubita anche dell'operazione che ha portato alla morte di bin Laden?
- Non lo so. Per me bin Laden può essere morto molto prima del 2011, per conto suo, di malattia. Era un dializzato e me lo spiega lei come si fa la dialisi nelle caverne di Tora Bora?
- Veramente incredibile.
- Sulla fine di bin Laden non mi pronuncio. Ho solo una sensazione. Quello che so è che per come è stata condotta l'operazione con gli elicotteri ad Abbottabad, potrebbe trattarsi solo di un bel film. Un bel film lo ha anche fatto la Bigelow, ma potrebbe essere solo fiction: Obama aveva la necessità di essere rieletto e l'amministrazione doveva pur dare conto di bin Laden, magari morto per conto suo. A proposito, lo sa che un paio di dozzine delle teste di cuoio impiegate nell'operazione, guarda caso, sono successivamente morte in un incidente in elicottero?
- Il quadro che lei rappresenta è agghiacciante. Ma come sarebbe possibile? La CIA che coordina una serie di attentati in cui erano gli uomini di Al Qaeda in prima linea?
- Non le so rispondere, bisognerebbe fare quello che non è stato mai fatto, ossia indagare su quelle vicende. Posso però assicurarle che non esiste organizzazione terroristica al mondo che non sia infiltrata dalla CIA. Dunque, quanto meno, sapevano. Quanto meno hanno fatto filtrare ad Al Qaeda tutte le informazioni rilevanti perché il piano funzionasse come desideravano, perché vi fosse un elevato numero di vittime, ma non troppo e perché le tracce lasciate in giro dai dirottatori fossero facili, marchiane, e incontrovertibili, come i sassolini di Pollicino. Al Qaeda forse è una parte della verità, Mr. Vitali, una messa in scena necessaria per imbonire il popolo e convincerlo della necessità impellente di vendetta.
- Faccio fatica a crederle.
- Non è mio compito persuaderla di alcuna teoria. Ma non le interessa conoscere la seconda spiegazione?
- Come no, l'ascolto, - disse Massimo Vitali sistemandosi sulla poltrona.
- Io, partendo dalle indagini su Ramzi Jousef, sono stato il primo a scoprire che esisteva una rete terroristica internazionale, Al Quaeda, da ultimo basata in Afghanistan, la cui vocazione principale era quella di colpire obiettivi americani e occidentali. L'attentato al WTC del 1993, quelli alle ambasciate in Kenia e Tanzania, l'assalto alla USS Cole in Yemen, lo documentano ampiamente. Ho indagato su tutti questi fatti, ho trovato le prove, i nomi dei fiancheggiatori e i collegamenti finanziari con l'Arabia Saudita. Gli attacchi su suolo americano dovevano rappresentare un'escalation credibile di questa serie di attentati, quasi lo sviluppo naturale. Qualcuno molto in alto, verosimilmente lo stesso Presidente, consigliato da Cheney e da Rumsfeld, ha dato l'ordine di orchestrare gli attacchi a New York e a Washington usando dei droni. Quelli di New York dovevano essere camuffati per sembrare aerei di linea. Sapevano perfettamente che non era possibile disporre di almeno quattro piloti di Al Quaeda da schiantare su obiettivi civili, così come sapevano che nessun pilota civile, neppure con una pistola alla tempia avrebbe mai accettato di farlo, quindi i droni. Gli attacchi dovevano riuscire, dovevano essere spettacolari e dovevano causare molti morti senza diventare una carneficina eccessiva. Il WTC doveva essere abbattuto completamente e, per evitare di doverlo pagare, è stata orchestrata la sua vendita, in modo che la nuova proprietà fosse abbondantemente risarcita da compagnie assicurative europee. Nessuno, a parte le agenzie governative, avrebbe avuto la capacità, il potere e tutti i mezzi necessari per orchestrare un piano pressoché perfetto.
- Mi perdoni, ma questa teoria non spiega che fine avrebbero fatto i passeggeri dei voli coinvolti.
- Ha ragione, da qualche parte devono essere finiti, sempre che siano ancora vivi. Quello che le posso dire è che già dagli anni '60 la CIA aveva sviluppato piani per sostituire aerei in volo con altri aerei, senza che questi avvicendamenti fossero in alcun modo individuabili dai radar. E poi è un dato di fatto che le numerose telefonate dei passeggeri, soprattutto del volo schiantatosi a Shanksville, sono frutto di una macchinazione perché nel 2001 non era possibile usare i cellulari con i velivoli al di sopra dei tremila metri, lanciati a seicento nodi di velocità, come erroneamente affermato dalla commissione 11/9.
- Ma, ammettiamo per un momento che CIA, FBI, NSA e l'intero establishment di Bush siano dietro all'undici settembre. La domanda è: perché?
- Il perché è contenuto, chiaro e tondo, in uno studio realizzato dalla cricca di neo cons di Bush nel 1999: lì sta scritto che il nuovo secolo comincerà pieno di insidie e di incertezze, a meno che non arrivi in America una nuova Pearl Harbor che indichi a tutti la via giusta da seguire. L'America prima dell'undici settembre era molto restia a imbarcarsi in una nuova guerra in Medio Oriente. Stentava a uscire dalla bolla delle dot com, scoppiata l'anno prima, l'economia era debole e minata alle sue fondamenta. Occorreva una forte scossa che rendesse indispensabili sensibili incrementi della spesa federale, che rimettesse in moto le aziende con nuove ingenti commesse, che creasse tensioni sul prezzo del petrolio che era su livelli molto bassi e in fase calante. Sono due le attività umane che maggiormente trascinano tutta l'economia, Mr. Vitali: l'edilizia e la guerra, anzi, la guerra e l'edilizia. E, se bada, l'idea di andare in un paese e distruggerlo, per poi ricostruirlo, per di più usando i suoi soldi, è un piano strategico perfetto. Soprattutto se diversi membri del governo e il Presidente stesso hanno interessi economici diretti in società petrolifere, nelle costruzioni o nell'industria militare. È semplicemente così, Mr. Vitali: tremila morti a Pearl Harbor nel 1942, tremila morti a Ground Zero e tremila soldati americani morti in Iraq, tutti per una buona causa, risollevare il paese e riempire le tasche di qualcuno. Come Roosevelt sapeva in anticipo dell'attacco a Pearl Harbor, così Bush sapeva tutto dell'undici settembre e nessuno dei due ha fatto qualcosa per evitarli. Altrimenti come spiegherebbe la generosità dell'amministrazione che concesse senza fiatare alle famiglie delle vittime un risarcimento medio di 1,8 milioni di dollari per persona, incassabile solo dietro la rinuncia a qualunque azione contro il governo o una delle agenzie federali?
- È per questo che le sole cause civili di cui ho sentito parlare sono nei confronti dell'Arabia Saudita?
- Precisamente: l'amministrazione, che formalmente non aveva alcuna responsabilità negli attentati, ha comprato il silenzio dei familiari delle vittime, perché aveva tanto da nascondere e quella era la categoria di persone che avrebbe avuto il maggior interesse, nonché il diritto, che venisse fatta piena luce sull'accaduto.

Il sole, che da tempo aveva iniziato la sua china discendente, ora piegava dietro Miami, proiettando ombre sempre più lunghe sul terrazzo. Verso ovest l'edificio affacciava sulla grande marina piena di imbarcazioni da diporto, a vela o a motore. Il clima tra i due uomini si era fatto più disteso mentre l'interesse per quell'insolito colloquio di lavoro si manteneva elevato.
- Mr. Lee, questa conversazione è di estremo interesse. Tuttavia si è fatto tardi, le dispiacerebbe riprendere domani mattina, diciamo alle nove?
- Come crede, per me va bene anche continuare, non ho impegni. Ma, se preferisce domani, d'accordo.
- Ho alcune cose urgenti da sbrigare, dunque, se non le spiace...
- Nessun problema Mr. Vitali, ci vediamo domani.


Andrea Mori Checcucci
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