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Erri De Luca. Nato a Napoli nel 1950, ha scritto narrativa, teatro, traduzioni, poesia. Il nome, Erri, è la versione italiana di Harry, il nome dello zio. Il suo primo romanzo, “Non ora, non qui”, è stato pubblicato in Italia nel 1989. I suoi libri sono stati tradotti in oltre 30 lingue. Autodidatta in inglese, francese, swahili, russo, yiddish e ebraico antico, ha tradotto con metodo letterale alcune parti dell’Antico Testamento. Vive nella campagna romana dove ha piantato e continua a piantare alberi. Il suo ultimo libro è "A grandezza naturale", edito da Feltrinelli.
Maurizio de Giovanni (Napoli, 1958) ha raggiunto la fama con i romanzi che hanno come protagonista il commissario Ricciardi, attivo nella Napoli degli anni Trenta. Su questo personaggio si incentrano Il senso del dolore, La condanna del sangue, Il posto di ognuno, Il giorno dei morti, Per mano mia, Vipera (Premio Viareggio, Premio Camaiore), In fondo al tuo cuore, Anime di vetro, Serenata senza nome, Rondini d'inverno, Il purgatorio dell'angelo e Il pianto dell'alba (tutti pubblicati da Einaudi Stile Libero).
Lisa Ginzburg, figlia di Carlo Ginzburg e Anna Rossi-Doria, si è laureata in Filosofia presso la Sapienza di Roma e perfezionata alla Normale di Pisa. Nipote d'arte, tra i suoi lavori come traduttrice emerge L'imperatore Giuliano e l'arte della scrittura di Alexandre Kojève, e Pene d'amor perdute di William Shakespeare. Ha collaborato a giornali e riviste quali "Il Messaggero" e "Domus". Ha curato, con Cesare Garboli È difficile parlare di sé, conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi. Il suo ultimo libro è Cara pace ed è tra i 12 finalisti del Premio Strega 2021.
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Self Publishing. In passato è stato il sogno nascosto di ogni autore che, allo stesso tempo, lo considerava un ripiego. Se da un lato poteva essere finalmente la soluzione ai propri sogni artistici, dall'altro aveva il retrogusto di un accomodamento fatto in casa, un piacere derivante da una sorta di onanismo disperato, atto a certificare la proprie capacità senza la necessità di un partner, identificato nella figura di un Editore.
Scrittori si nasce. Siamo operai della parola, oratori, arringatori di folle, tribuni dalla parlantina sciolta, con impresso nel DNA il dono della chiacchiera e la capacità di assumere le vesti di ignoti raccontastorie, sbucati misteriosamente dalla foresta. Siamo figli della dialettica, fratelli dell'ignoto, noi siamo gli agricoltori delle favole antiche e seminiamo di sogni l'altopiano della fantasia.
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Writer Officina
Autore: Katherine J. Smith
Titolo: I segreti nascosti di Salem
Genere Urban Paranormal Fantasy
Lettori 3367 28 56
I segreti nascosti di Salem
Il passato torna sempre, mi ripeteva spesso mia madre.
Esso si nasconde, si riposa, attende diligentemente, e quando meno te lo aspetti lui si ripresenta senza alcun preavviso, e ti travolge senza darti nemmeno il tempo di reagire. I miti e le leggende che appaiono solo frutto della fantasia di abili scrittori, prendono vita e si trasformano in realtà. E tu, impotente, non puoi che farti coinvolgere dagli eventi, e lottare per giungere a un buon epilogo, persino a costo della vita.

Il ritorno

Julian

Tutto ebbe inizio a settembre dell'anno scorso, quando la mia migliore amica Rachel MacDermott era emozionatissima e preoccupata per il suo primo giorno di università, alla Salem Bale University, Massachusetts.
Quella mattina a Salem faceva molto caldo, e lei indossava in modo grazioso un vestitino leggero di organza con stampe floreali e leggerissimi sandali ai piedi, che la facevano sembrare una vera - figlia dei fiori - . Con il suo bel fisico snello, alta 1 metro e 70 centimetri e i lunghi capelli castani raccolti in una coda di cavallo: era davvero bellissima. I suoi splendidi occhi verdi e vispi, erano attenti a scrutare tutte le nuove reclute del primo anno, nella speranza di trovare qualcuno che lei già conoscesse, per fare amicizia e avere supporto in quella nuova avventura. E mentre le tenevo la mano rassicurandola che tutto sarebbe andato bene, io invece avevo addosso la mia solita maglietta bianca e un paio di jeans.
Quel giorno mi sentivo decisamente fuori luogo tra tante persone vestite in modo elegante, agghindate come se dovessero andare a chissà quale ricevimento! Io e Rachel eravamo amici fin dall'infanzia, perché abitavamo nello stesso quartiere. Lei era cresciuta da sola con la madre Juliet MacDermott, perché suo padre le aveva abbandonate quando aveva appena quattro anni. Durante la sua infanzia, Rachel aveva sofferto tantissimo, ma Juliet che era davvero una donna in gamba, aveva fatto in modo, che a sua figlia non mancasse nulla. Prese in gestione un Bed & Breakfast, e trovò così il modo di mantenere la famiglia. Ciò che accomunava maggiormente a me e Rachel, era che anch'io avevo perso mio padre: quando accadde avevo sei anni. Mio padre morì in un disastro aereo e il suo corpo non fu mai ritrovato. Al momento dell'incidente era insieme ad altre centoquarantacinque persone. La cosa più terribile fu che non potendo rimpatriare la sua salma, non riuscimmo a fargli nemmeno un funerale dignitoso. Questo accadde due anni dopo, che Rachel aveva perso suo padre, e così uniti nella nostra comune afflizione, crescemmo come fratello e sorella. Insieme facevamo di tutto: giocare, studiare, mangiare, e spesso lei restava a dormire a casa mia, quando sua madre era al lavoro. Ci frequentammo fino a quando lei si trasferì a Boston per frequentare il liceo, mentre io rimasi qui a Salem.
Quando terminai gli studi, decisi di andare a lavorare per aiutare mia madre e contribuire alle spese del mutuo. Trovai un impiego in un magazzino come scaricatore di merci. Certamente poco interessante come lavoro, però con mia madre che faceva la cameriera in un piccolo albergo (e prendeva un misero stipendio), avevamo bisogno di più soldi. Così mi rimboccai le maniche e le diedi una mano economicamente. Per motivi di lavoro ero quasi sempre fuori città e quando Rachel tornava a Salem per le vacanze, io non c'ero mai. Ora che però lei era tornata per rimanere definitivamente, le occasioni per vederci non sarebbero mancate, ed io naturalmente ne ero molto felice.
- Julian - , disse Rachel stringendomi forte la mano, con aria fremente ed emozionata come una bambina.
- Guarda lì, c'è Leyland Lawrence, ti ricordi di lei? - , disse Rachel tutta entusiasta.
- Lo sapevo che avrei trovato qualcuno che conoscevo... che sollievo! Così probabilmente non mi sentirò sola all'università... dai andiamo da lei! -
E tutta frettolosa, mi tirò con sé verso Leyland.
Anche Leyland Lawrence viveva a Salem, e come Rachel era al primo anno di università. Entrambe si conoscevano soltanto di vista, e si scambiavano solamente un saluto quando si incontravano, ma fino ad allora non si erano mai conosciute personalmente.
Leyland era molto bella, snella ed era alta 1 metro e 70 centimetri. Spiccava tra le nuove reclute dell'università, perché era un tipo molto esuberante. Aveva i capelli rosso fuoco e gli occhi azzurri come il cielo, marcati fortemente da un'affascinante linea di kajal nero. Vestiva spesso con dei leggings neri lunghi fino al ginocchio, e con sopra mini vestitini a fantasia fiorita. Confesso, che a me Leyland, era sempre piaciuta: la ricordo bellissima sin da bambina, e credo fermamente che fosse il sogno di molti ragazzi della mia età.
Emozionata, Rachel strattonandomi per un braccio, si diresse verso di lei dicendo: - Ciao, io sono Rachel MacDermott, noi non ci conosciamo personalmente, ma soltanto di vista. Se ti va possiamo essere amiche, visto che anche tu sei al primo anno, che ne dici? - .
- Certo, perché no! - , rispose Leyland sorridendo.
Poi rivolgendosi a me disse: - Ciao, tu sei Julian Rice, non è vero? - .
- Sì, molto piacere - , risposi io un po' impacciato.
Per qualche secondo alquanto imbarazzante, la guardai fisso negli occhi, senza sapere più cosa dire.
Poi Leyland frettolosa esclamò strizzando l'occhio: - Ragazzi è stato davvero un piacere conoscervi, ma ora devo scappare. Ci si vede, Rachel - .
Fece cenno verso qualcuno che aveva visto in lontananza, poi andò a raggiungerlo in tutta fretta. Un attimo dopo suonò la campanella ricordando a tutti che era giunto il momento di entrare in aula, e Rachel neanche a dirlo era parecchio nervosa.
Durante la chiacchierata, Rachel aveva cercato di farsi vedere spavalda di fronte a Leyland, ma in realtà, per natura, era molto timida. Quel giorno prese il coraggio di parlarle, solo perché c'ero io con lei, ma se fosse stata da sola non l'avrebbe sicuramente fatto. Feci bene quindi ad essere presente in quel giorno così importante.
Quando Rachel entrò nell'edificio, io rimasi fuori fino a che lei non scomparve nell'androne dell'ingresso, poi restai ancora qualche minuto a fissare il palazzo dal giardino. Non lo avevo mai guardato con attenzione fino ad allora, perché ci passavo davanti sempre con la macchina con la fretta di andare a lavoro, ma quel giorno ebbi tutto il tempo di studiarlo in ogni suo dettaglio.
Era molto grande con mattoni rosa in bella vista, e su alcune facciate c'erano anche delle piante rampicanti, che si innalzavano quasi fino al tetto. L'aspetto della costruzione era molto elegante, in cima vi erano le torrette con i tetti asimmetrici e bicolori. L'entrata che sembrava una nicchia, era coperta da una tettoia di legno con la scalinata che portava all'interno, e questa passava da un'apertura rotonda che sembrava ricordare le case degli Hobbit, come nel film Il signore degli anelli.
L'edificio poi era circondato da un immenso prato ben curato, con l'erba rasata alta almeno 3 centimetri, e tutt'intorno una recinzione di siepi delimitava il passaggio pedonale, che portava all'ingresso dell'università. Sotto le siepi c'erano tanti piccoli e allineati cespugli di fiori, che davano un tocco di colore al prato, e lungo di esse, c'erano delle belle panchine in ferro battuto, su cui sedersi. Al centro del prato invece, vi era una bellissima fontana in marmo bianco. Era sicuramente una delle più belle università dello Stato, oltre ad essere una delle più autorevoli scuole che insegnava medicina. Ero sicuro che Rachel si sarebbe trovata benissimo.

Con gli occhi di Rachel

- Buongiorno, signorina posso esserle d'aiuto? - , mi chiese una signora sulla cinquantina.
- Oh sì, la ringrazio moltissimo, lei è davvero molto gentile. Vede, questo è il mio primo giorno di università e non conosco la scuola. Ho qui una mappa per cercare le aule, ma non ci capisco nulla - . - Quale materia deve seguire adesso? - , mi chiese di nuovo la signora.
- Allora vediamo un attimo... ah sì, anatomia - , le risposi io.
- Ok, allora, vada in fondo a questo corridoio, scenda quei tre gradini, che vede lì di fronte a lei. Poi giri subito a sinistra, ed è la terza porta a destra - .
- La ringrazio davvero tanto, signora, non so come avrei fatto senza il suo aiuto. Ora vado, altrimenti faccio tardi, grazie ancora - .
- Posso chiederle come si chiama, signorina? - , mi chiese molto gentilmente la donna.
- Certamente, il mio nome è Rachel MacDermott, sono la figlia di Juliet MacDermott, forse la conosce. È quella bella signora che gestisce il Bed & Breakfast in fondo alla strada - .
La signora mi sorrise e rispose: - Certo, che la conosco, mia cara. La conosco benissimo! - .
La ringraziai stringendole la mano frettolosamente e corsi velocissima verso l'aula che mi aveva indicato. Quando arrivai, tutti gli studenti si erano già sistemati ai propri banchi ed io ansimante rimasi per un attimo sulla porta per riprendere fiato, mentre qualcuno si era già accorto della mia presenza.
In quel preciso istante mi scivolarono tutti i libri che avevo in mano, facendo non poco rumore, così tutta la classe si girò nella mia direzione. Molti scoppiarono a ridere ed altri invece mi guardarono con aria di sufficienza, snobbandomi e voltandosi dall'altra parte.
In quel momento mi sentii morire e per la vergogna che provai, avrei voluto essere risucchiata nel più profondo dei buchi neri.
L'ultima cosa che avrei voluto fare era quella di dare subito una brutta impressione di me. Divento subito maldestra quando gli altri mi fissano. Il guaio era che non mi sentivo a mio agio, quel giorno. Cercai di farmi coraggio e lentamente mi abbassai per riprenderei i libri, mi risollevai con profondo imbarazzo, chinai la testa e proseguii.
Andando avanti spaesata mi chiesi, oh Dio, e dove devo andare ora? Dov'è un banco libero?
L'aula era grandissima, e i banchi erano sistemati su grandi scalinate disposti in semicerchio: erano molto ampi, tutti di legno, ce n'erano tantissimi ed erano tutti pieni. Presa dal panico mi bloccai in cerca di un posto vuoto, in cui potermi sedere, ma con tutte quelle persone che mi fissavano e con l'imbarazzo causato poco prima, non riuscii assolutamente a trovarlo.
Poi in lontananza si alzò una timida mano, che mi fece un cenno verso il banco dietro al suo. La mano che mi fece segno, era quella di Leyland Lawrence, e me ne resi conto quando le arrivai vicina. Lei, vedendomi in difficoltà, capì subito che avevo bisogno d'aiuto. E se non ci fosse stata lei in quel momento, da quel giorno sarei diventata lo zimbello della scuola, e che Dio mi aiuti quando qualora questo dovesse accadere!
Così molto lentamente salii quelle scale, che parevano non finire mai: tra le braccia tenevo con tutta la mia forza quei maledetti libri, affinché non cadessero di nuovo.
Poi finalmente arrivai alla penultima fila di quel grande semicerchio, e mi sedetti al mio banco. Notai che da vicino non era poi così grande, come mi era sembrato dall'ingresso dell'aula, anzi era piuttosto piccolo, ma abbastanza comodo e c'era tutto lo spazio necessario per non toccarsi l'uno con l'altro.
Dopo essermi seduta e aver sistemato tutta la mia roba, mi chinai in avanti e rivolgendomi a Leyland la ringraziai per il suo aiuto. Qualche minuto dopo nell'aula entrò il professore di anatomia: quando cominciò a parlare, mi accorsi con sorpresa, che non era un uomo, bensì una donna. Guardando meglio il suo viso, mi accorsi che era la signora che qualche minuto prima, mi aveva dato le indicazioni per trovare l'aula che cercavo.
All'inizio la scambiai per un uomo, perché portava i capelli molto corti e indossava pantaloni al posto della solita gonna femminile; fisicamente era esile, ma abbastanza alta, almeno 1 metro e 75 centimetri circa.
Ne fui molto sorpresa all'inizio, perché non mi aspettavo che fosse una donna a fare lezioni di anatomia. Comunque, la mia impressione nei suoi confronti fu positiva, perché mi piacque molto il modo, in cui spiegava l'argomento e sebbene fosse complesso, lei lo rendeva affascinante. Questo mi confortava, perché il mio timore era quello di trovare difficoltoso seguire delle materie così difficili, ma la sua presenza invece le rendeva piacevoli.
Mentre la professoressa spiegava, mi accorsi che accanto a me c'era una ragazza che faceva degli strani disegni su un foglio di carta. La guardavo molto incuriosita per capire cosa stesse realizzando, ma ad un certo punto lei smise. La guardai in faccia come per dirle, perché hai smesso?
Mi accorsi che mi stava fissando in modo strano e lo fece con uno sguardo, che se avesse potuto, mi avrebbe fulminata in quello stesso istante. I suoi occhi erano di un profondissimo blu, le palpebre erano truccate di nero, così marcate che accentuavano ancora di più il colore dei suoi occhi.
I capelli erano neri e cortissimi, un taglio molto maschile, era vestiva tutta di nero e portava anche dei guanti neri, ai quali mancavano le punte delle dita. Mi resi conto che in pochissimi secondi l'avevo squadrata dalla testa ai piedi, così abbassai gli occhi un po' imbarazzata, perché mi ero resa conto di essere stata scortese con lei, fissandola in quel modo.
Con gli occhi ancora abbassati, sentii il suo sguardo fisso ancora su di me, che mi ammoniva per averla disturbata, poi finalmente lo distolse e ricominciò a disegnare.
Mi guardava e disegnava, mi guardava e disegnava freneticamente: cominciai ad impaurirmi, poi finalmente fui salvata dalla campanella. Lei, alzatasi di scatto, andò via senza dimenticarsi di lanciarmi un'ultima occhiata fulminante. E se gli sguardi potessero uccidere, io quel giorno sarei morta almeno una decina di volte! Aspettai che l'aula si svuotasse un po' e raggiunsi Leyland.
- Ciao, volevo ringraziarti per avermi aiutata prima - , le dissi, - sai ero entrata nel panico e non sapevo cosa fare, poi la tua mano in quel momento, è stata l'àncora che mi ha salvata - .
- Se non mi avessi fatto cenno di salire in quella direzione, temo che sarei sicuramente diventata lo zimbello della scuola - , le dissi con tono di riconoscenza.
- Di niente, figurati, la prossima volta non sbaglierai più sicuramente - , rispose lei sorridendo.
- Per quella materia, sicuramente no - , le risposi io con un sorriso distorto. Poi volevo chiederle se conosceva la ragazza che era seduta accanto a me. Così mi disse che non l'aveva vista, essendo seduta dietro di lei, ma io molto dettagliatamente le descrissi il soggetto, e lei capì subito di chi stavo parlando.
Mi propose di fare una passeggiata nel giardino della scuola, visto che la prossima lezione sarebbe stata tra mezz'ora, e camminando mi avrebbe spiegato chi fosse quella ragazza. Io naturalmente accettai.
- Quella è Sendara Colloway, meglio conosciuta come la Morgana nera - , disse Leyland, - devi stare alla larga da lei, perché è un po' matta ed anche un po' strana - .
- Perché la chiamano la Morgana nera? - , le chiesi stupita, - Si dice che lei veneri il diavolo facendo degli strani rituali durante le notti di luna piena e che pratichi incantesimi anche mortali a chi le pesta i piedi. E se la osservi bene capisci, sicuramente, perché le hanno dato quel nomignolo, che secondo me rende bene l'idea - .
Io la guardai sbigottita ed esclamai: - Ma non ha amici? - .
- E chi mai vorrebbe avere un'amica, come lei? - , rispose Leyland.
- Qui a Salem tutti la temono e la evitano, possibile che tu non l'abbia mai vista? - , mi chiese sorpresa.
Leyland era stupita del fatto, che io non la conoscessi. Le dissi che ero stata lontana da Salem per qualche anno, perché avevo deciso di fare il liceo a Boston e che ero tornata solo da qualche settimana. Poi cambiando discorso, le chiesi come andavano le cose in città. Lei mi disse che a volte a Salem accadevano cose strane, ma che a me non dovevano importare: dovevo starne fuori, perché giravano voci, che quei fatti fossero associati proprio alla Morgana nera.
In realtà però mi raccontò che non si erano mai trovate prove lampanti su di lei, ma la gente che non la vedeva di buon occhio, non la pensava così. Le chiesi il perché, e lei mi rispose: - Si dice che la scorsa primavera siano state trovate strane carcasse di animali, a cui mancavano braccia e gambe nella vecchia proprietà del custode del cimitero. L'uomo, ormai è morto da anni, pace all'anima sua, ma pare che anche lui fosse un tipo strano, anzi sarebbe meglio dire pazzo e diabolico. C'è gente che è pronta a giurare di aver visto succedere cose strane durante le notti di luna piena in quel posto, e tutti ovviamente incolpano la Morgana Nera, anche perché altrimenti chi vorresti incolpare? - .
Io ero allibita mentre l'ascoltavo, ho sempre saputo che Salem, in passato è stata perseguitata per la famosa caccia alle streghe, che avvenne nel 1692, periodo in cui molte donne ritenute tali, furono torturate e poi impiccate. Sapevo che ancora oggi a Salem molte persone sulla scia di quelle vicende, si professavano streghe leggendo le carte e facendo delle improbabili magie, ma solo perché dovevano fare scena. Perfino molti negozi vendevano gadget con talismani magici, che rifilavano ai turisti creduloni, i quali venivano in visita nella città stregata per eccellenza, facendo credere loro che questi scacciassero le streghe o i demoni.
In realtà però non erano altro che ciondoli e comuni portachiavi, fatti passare per chissà quale portafortuna o scaccia-spiriti. Ovviamente, si sapeva anche che fosse solo un modo per guadagnare soldi, invece mi stavo rendendo conto che c'erano persone qui a Salem che alla magia ci credevano ancora (e sul serio), visto che avevano preso di mira Sendara Colloway, incolpandola di stregoneria.
La mezz'ora che ci separava dalla prossima lezione passò velocissima, ce lo ricordò la campanella, che puntualmente suonò interrompendo la nostra macabra discussione. Chiesi a Leyland se le facesse piacere chiacchierare ancora con me in futuro. Lei fu molto gentile e rispose di - sì - , anzi le sarebbe piaciuto moltissimo. Ne fui davvero contenta, perché forse avevo trovato una nuova compagna di università, con cui poter parlare, e magari poter diventare amica. Con il tempo mi resi conto che lei per me fu ben più di questo.




3° Capitolo

Nuove vicine

Nel pomeriggio quando le lezioni finirono tornai a casa e trovai mia madre che si stava preparando in camera da letto. Mi appoggiai allo stipite della porta e la osservai molto divertita, ma lei non si accorse di me. In quel momento stava provando un vestito nero di pizzo, molto elegante con le spalline sottili: le stava davvero benissimo: del resto aveva un corpo molto bello.
Era snella e slanciata, poco più alta di me, con i capelli neri corvini e lisci fin sopra la schiena: lei li amava così tanto che non la ricordo di averla vista con un taglio corto.
Aveva una cura maniacale per la sua chioma e la spuntava almeno una volta ogni due mesi, giusto per farla irrobustire di più. Mi diceva sempre che l'aspetto contava moltissimo, poiché era il suo biglietto da visita. Aveva a che fare con nuovi clienti ogni giorno ed era giusto presentarsi bene. Si avvicinò allo specchio per truccare i suoi bellissimi occhi marroni e fu lì che si accorse di me.
- Oh, mio Dio, tesoro mi hai spaventata a morte - , disse sussultando.
Io sorrisi divertita e andai ad abbracciarla.
- Mamma, sei davvero bellissima, ma dove devi andare? - , le chiesi.
- Ho un appuntamento in Comune con il sindaco per la riunione dei commercianti e devo essere lì per le 17 in punto - .
Io guardai l'orologio e le dissi: - Allora sei già in ritardo! - .
Lei cominciò a correre in tutta fretta nella stanza in cerca delle scarpe e poi esclamò: - Oh, no! Lo sapevo, non riesco mai ad essere puntuale... tesoro, io non so quando sarò di ritorno, perciò nel frigo ti ho lasciato la cena e devi solo riscaldarla, ok? Devo scappare ti voglio bene, piccola. Ci vediamo quando torno e ti racconterò tutto. Ciao - .
Molto divertita la guardai uscire dalla stanza, ero davvero fiera della mia fantastica mamma: era una donna straordinaria. Da quando mio padre andò via di casa, lei si era presa cura di entrambe, rimboccandosi le maniche e gestendo sia la vita familiare, sia il Bed & Breakfast, senza farmi mai mancare niente: soprattutto il suo affetto e la sua presenza.
Lei era anche la mia migliore amica, come io lo ero per lei e nei momenti tristi eravamo l'una il sostegno dell'altra. I primi giorni passarono normalmente, con Leyland ci incontravamo la mattina nella piazza principale ed insieme andavamo all'università. Il nostro rapporto diventava sempre più amichevole ed io ne ero molto contenta. A parte lei, non avevo altre amiche, con cui parlare, eccetto il mio adorato amico Julian, con il quale avevo un fantastico rapporto; essendo stata via da Salem per cinque anni non avevo più contatti con nessuno, purtroppo, tranne che con lui. Durante le lezioni di anatomia con la professoressa Elisabeth Dwane, come al solito, la mia vicina di banco era Sendara Calloway, (o la Morgana nera, come la chiamavano da queste parti).
Io cordialmente la salutavo ogni volta che ci incontravamo, ma lei puntualmente non mi rispondeva. Non tralasciava mai di lanciarmi strane occhiate di fuoco, come se le avessi fatto chissà cosa. A volte mi guardava, come se volesse dirmi qualcosa, ma poi si girava dall'altra parte e cominciava a disegnare degli strani schizzi.
Dopo quello che mi aveva detto Leyland di lei, mi ero talmente incuriosita, che decisi di sfidare la morte e di guardare, o meglio sbirciare, i disegni che nascondeva dentro i libri. Una mattina l'occasione si presentò fortuita, Sendara casualmente si era alzata: forse per andare al bagno o per fare altro. A quel punto, ne approfittai per sfogliare i suoi schizzi e ne rimasi sconvolta. Le pagine erano piene di donne impiccate, tutte vestite di nero e con strani simboli accanto e una scritta altrettanto strana stava sopra le loro teste.
Era davvero raccapricciante, ne rimasi scioccata, non avevo mai visto una cosa del genere e pensai che forse quella ragazza avesse dei gravi problemi psichici. Forse da bambina aveva subito qualche trauma e questi erano i risultati. Certamente doveva sentirsi molto sola, pensai.
Leyland mi aveva detto che non aveva amici e che tutti la prendevano in giro e l'allontanavano perché ne avevano paura. Io invece provavo molta pena per lei, secondo me il suo atteggiamento era solo un'arma di difesa verso quelli, che la deridevano.
Ad un certo punto suonò la campanella, che per la seconda volta fu la mia salvezza: perché proprio in quel momento mi accorsi che lei stava arrivando, perciò di corsa le risistemai i libri, come lei li aveva lasciati, e nel frattempo riassettai i miei, dopodiché andai via di corsa.
Quando raggiunsi Leyland le raccontai quello che avevo visto e lei ancora una volta, mi disse che dovevo stare alla larga da Sendara. Lì per lì le diedi ragione, perché ne avevo paura, ma una parte di me voleva saperne di più di quella strana ragazza. La seconda ora mi diressi in un'altra aula, dove c'era lezione di biochimica, mentre Leyland stava frequentando la lezione di biologia.
Era la prima volta che entravo in quella stanza, ma non era tanto diversa dall'altra, salvo che per la disposizione dei banchi. Questi non erano disposti a semicerchio su scale, ma in fila come una comune classe di liceo, e questo mi rasserenò, almeno non avrei combinato qualche altro pastrocchio, come alla lezione di anatomia.
Cominciai ad incamminarmi verso l'interno dell'aula in cerca di un posto in fondo, quasi vicino al muro. Quando lo vidi mi diressi subito in quella direzione, e mentre stavo per sedermi, di colpo sentii spingermi con una tale violenza, tanto da farmi sbattere contro il muro. Mi girai verso l'aggressore per dirgli qualcosa, ma non ebbi nemmeno il tempo di farlo, perché fu lei a parlare.
- Guarda che questo posto è mio - , disse rabbiosa.
- Chiedo scusa non lo sapevo - , le risposi ancora frastornata, dopodiché non riuscii a dirle più niente, tanto ero nel pallone. A quel punto cercai un altro posto e ne vidi uno poco più in là sulla destra, mi spostai e finalmente mi sedetti.
Ero così spaventata che le gambe mi tremavano come una foglia, e tra me pensai, andiamo bene... ho trovato un'altra pazza! Istintivamente mi girai verso di lei e notai che mi stava fissando, poi lei rivolgendosi alla ragazza, che le stava di fianco, si misero a ridacchiare insieme di me.
Nel frattempo entrò il professore di biochimica e quindi smisero di guardarmi, la lezione durò poco più di un'ora ed io non avevo seguito praticamente nulla. Pensavo ancora a quello scontro, che mi aveva rovinato la giornata e alle mie nuove vicine di banco, le quali erano peggio della Morgana nera.
Finita l'ora di biochimica, tutti si alzarono per uscire dalla stanza ed io attesi che tutti andassero via. Arrivata all'uscita della porta mi ritrovai quella ragazza di fronte, che mi sbarrava la strada fissandomi. In quel momento ebbi modo di squadrarla bene, era di statura media, circa 1 metro e 65 centimetri, molto esile fisicamente. I capelli lisci e lunghi di un castano dorato, gli occhi erano di un azzurro così chiaro, che sembravano di ghiaccio, la pelle era diafana e i denti bianchissimi.
Stavo per dirle di farmi passare, ma prima ancora che aprissi bocca, ecco comparire accanto a lei, la ragazza con la quale prima mi aveva deriso.
La prima cosa che notai in lei furono gli occhi: gli stessi occhi di ghiaccio dell'altra ragazza, anche lei era di corporatura esile, ma più alta dell'altra, forse 1 metro e 75 centimetri. I suoi capelli erano lunghi di un colore castano ramato ed anche lei aveva la pelle bianca come la luna e i denti candidi come il latte. Pensai che potesse avere 18 anni, visto che frequentava il primo anno, però rispetto all'altra, sembrava poco più grande, evidentemente se li portava male.
In quel momento arrivò Leyland, che era venuta a cercarmi, perché insieme dovevamo seguire una lezione. A quel punto le due ragazze andarono via, facendomi ancora quel sorriso beffardo, che ancora una volta mi fece tremare le gambe.
- Chi erano quelle due e perché ti guardavano in quel modo? - , mi chiese Leyland.
- Non lo so, non le conosco... dai andiamo via! - , le risposi molto frettolosamente.
La giornata continuò facendo lezioni su lezioni ed io ero tutto, tranne che concentrata a seguirle. Comunque per quel giorno non le vidi più in nessun'altra aula, e così potetti almeno stare più tranquilla. Il mio pensiero era solo uno: cosa avrei fatto quando me le sarei ritrovate davanti?
Io di certo nulla, ma loro sicuramente sì.
Quando tornai a casa, erano ormai le 17, e verso le 19 Leyland mi chiamò dicendomi che c'era una festa in maschera al Beaver Pub, un locale molto conosciuto a Salem. Io non c'ero mai stata e non me la sentivo di andarci, ma lei insistette così tanto che, mio malgrado, alla fine accettai. La festa era una specie di pre-Halloween, specificò lei, visto che di lì a poco ci sarebbe stata davvero la famosa ricorrenza.
E a quanto pare in città ogni scusa era buona per fare festa. Mi disse che sarebbe venuta a casa mia e che lì ci saremmo preparate. Lei avrebbe portato tutto l'occorrente che serviva per il trucco, mentre io dovevo solo lasciarla fare e non dovevo preoccuparmi di niente.
Mia madre fu contenta di sapere che sarei uscita quella sera. Spesso mi rimproverava del fatto che da quando ero tornata stavo sempre in casa, e quella festa era davvero quello che ci voleva per fare qualche conoscenza. Io comunque non ero così entusiasta, come lei, ma per farla contenta, e far felice Leyland, per una sera, potevo anche fare uno sforzo.
Quando Leyland arrivò a casa mia era molto euforica e tirò subito fuori i costumi per la festa. Per lei aveva scelto un bellissimo vestito da strega attillato e lunghissimo, come quello di Morticia Addams, con un cappello a punta ed una parrucca nerissima e lunga, mentre per me ne aveva scelto uno da vampira. Le feci constatare che tutto ciò era ridicolo, ma lei insistette affinché lo indossassi. In realtà non era poi tanto male, tutto sommato era abbastanza carino, in velluto rosso fuoco e lungo fin sotto le caviglie. Unico neo la scollatura, era troppo vertiginosa per me, infatti non volevo indossarlo. Per non sentirmi in imbarazzo, mi convinse che mi avrebbe truccata a dovere e che nessuno mi avrebbe riconosciuta. In verità era così, visto che da tempo non frequentavo più nessuno, chi si sarebbe potuto ricordare di me? Truccata e vestita in quel modo, passavo davvero inosservata. Quando mia madre, ci vide vestite, fece una faccia piuttosto strana, ma subito dopo ci diede la sua benedizione e così uscimmo.
Quando arrivammo al locale c'era già molta gente, Leyland raggiunse subito alcuni amici seduti ad un tavolo e mi trascinò con lei, facendomi gentilmente accomodare e presentandomeli uno ad uno. Io non ero molto entusiasta e non mi interessava fare amicizia con nessuno, tuttavia erano simpatici e cercarono in tutti i modi di coinvolgermi invitandomi a ballare. Io gentilmente rifiutai i loro inviti. Leyland mi disse che dovevo divertirmi e non pensare a niente, ma io non riuscivo a sentirmi a mio agio. Poi lei e i suoi amici decisero di scendere in pista a ballare, mentre io rimasi al tavolo ad aspettarli.
Mezz'ora dopo erano ancora in pista, ed io mi stavo annoiando da morire, così decisi di andare al bar a prendere qualcosa. Mi alzai, non feci nemmeno un metro, ed inciampai nel mio stesso vestito come una stupida. Quando ormai ero convinta di arrivare per terra, come un sacco di patate e a faccia in giù, ecco che due possenti braccia mi presero e mi sollevarono velocemente prima che toccassi terra, facendomi tornare in piedi, e tenendomi ancora a sé.
A quel punto mi ricomposi e mi voltai per ringraziare per l'ennesima volta, qualcuno che mi aveva salvata da una brutta figura che altrimenti sarebbe rimasta nella storia, e guardando in faccia il mio salvatore rimasi in silenzio, come imbambolata.
Avevo di fronte a me il ragazzo più bello che avessi mai visto, mi discostai da lui imbarazzata e cercai di ricompormi. Ero immobile davanti a lui e lo squadrai da capo a piedi. Praticamente lo radiografai. Era altissimo, 1 metro e 85 centimetri (se non di più), con un fisico pazzesco, muscoloso, ma ben definito, e i capelli erano neri e lunghi sulle spalle. Tutto vestito di scuro, senza indossare nessun costume di Halloween. Mi rimase impressa la sua pelle, era bianchissima e gli occhi di un blu profondo.
Ero ancora incantata a guardarlo, quando qualcuno mi spinse tra la confusione, e ci trovammo ad un centimetro l'una dall'altro. Lui mi prese per la vita e per qualche secondo, che a me sembrò un'eternità, rimasi tra le sue braccia senza riuscire a dire nemmeno una parola. Lui allora mi sorrise e mi chiese se andasse tutto bene, io riuscii solo a fare un cenno con la testa, dopodiché mi lasciò andare, raccomandandomi di stare più attenta la prossima volta.
Io feci nuovamente un cenno con la testa e poi lui andò via. Tornai al tavolo e mi sedetti ancora un po' intontita sulla sedia, cominciai a chiedermi se fosse tutto vero, e nel frattempo arrivarono Leyland insieme ai suoi amici, che euforici fecero un gran fracasso.
Io non riuscivo più neanche a sentirli, perché non facevo altro che pensare a quel bellissimo ragazzo. A quei magici secondi, in cui mi aveva tenuta stretta tra le sue braccia. Mi alzai per vedere se fosse ancora lì da qualche parte, ma non riuscii a vederlo, cosi trovai una scusa per allontanarmi dal tavolo.
Mentii dicendo che andavo al bar a prendere qualcosa da bere e invece cominciai a cercarlo tra la folla, purtroppo però non riuscivo a vedere niente, perché il locale era troppo pieno. Così decisi veramente di andare al bar e ordinai una Pepsi aspettando che il cameriere me la preparasse.
Una voce dietro di me interruppe la mia noiosa attesa: - Ti piacciono i vampiri? - .
Io mi voltai verso il mio interlocutore, pensando nel frattempo a un modo per togliermelo dai piedi, perché era evidente che voleva rimorchiare... ma con mia meravigliosa sorpresa scoprii che era lo stesso ragazzo che mi aveva catturata tra le sue braccia, e che stavo cercando disperatamente.
Questa volta però superando il primo imbarazzo del momento, riuscii a spiccicare qualche parola.
- Oh, intendi il mio vestito? No, non mi piacciono i vampiri o altre cose del genere, è solo che volevo fare contenta un'amica e allora mi sono messa questo ridicolo vestito - , dissi arrossendo.
- Ti sta bene comunque - , mi disse con un dolcissimo sorriso, che quasi mi fece svenire.
- Sei sola? - , mi chiese.
- No - , risposi, - Sono qui con amici, ma penso che tra un po' andrò via. Sai domani devo alzarmi presto, ho lezione - .
Poi lui riprese: - Prima ti ho vista sola al tavolo e così ho pensato che... - . - È solo che non amo molto ballare e quindi ero rimasta lì ad aspettarli - , dissi io interrompendolo.
- Vuoi bere qualcosa con me? - , mi domandò, ma io stupida invece di dire di - sì - , gli risposi che dovevo andare. Quando mi alzai per andarmene anche lui fece lo stesso, chiedendomi se volevo che mi accompagnasse al tavolo.
Io prontamente rifiutai perché non volevo che gli altri lo vedessero e che magari poi mi prendessero in giro, cosi con una scusa lo dissuasi e me ne andai. Quando mi voltai indietro vidi che lui rimase lì a fissarmi con uno strano sorriso. Io imbarazzata mi girai di scatto, ma non riuscivo a resistere e seguitavo a girarmi continuamente. Lui non mi tolse gli occhi di dosso e continuò a guardarmi fino a che non arrivai al tavolo, ma quando mi voltai ancora una volta per vedere se mi stava ancora guardando, lui non c'era più.
Ne rimasi molto delusa in quel momento, perché volevo guardarlo un'ultima volta prima di andare via, con il timore che non l'avrei più rivisto. Leyland in quel momento sembrò leggermi nel pensiero, mi chiese se volevo andare a casa ed io era proprio quello che stavo pensando, così le risposi di - sì - . Andammo via subito dal locale dandoci appuntamento il giorno dopo al solito posto, per andare all'università.
Quella notte non feci che pensare a quel ragazzo, di cui non sapevo neanche il nome. Già, sbadatamente nessuno dei due aveva pensato di presentarsi, purtroppo. Di solito quando ci si conosce si fanno le dovute presentazioni, invece noi non l'abbiamo fatto. Così pensai che magari non avrei mai avuto modo di sapere chi fosse.
Erano quasi le cinque del mattino e tra qualche ora mi sarei dovuta alzare, così distolsi la mente da quei pensieri e finalmente mi addormentai. Arrivò il mattino e come al solito, io e Leyland ci vedemmo nella solita piazza per andare all'università. La prima lezione di quel giorno era di nuovo biochimica, ed avevo il terrore di incontrare nuovamente quella ragazza che mi aveva spinta.
Mentre attraversavo il corridoio pensavo risoluta tra me e me, che se mi avesse detto qualcosa, questa volta l'avrei finalmente affrontata. Ma quando arrivai alla porta e la vidi là di fronte a me insieme alla sua amica, tutti i miei buoni propositi svanirono, così a capo chino entrai e mi avviai al banco per sedermi. Dentro di me speravo che non sarebbe accaduto nulla, ma non feci in tempo a pensare questo, che me la ritrovai dietro le spalle.
- Hai una penna da prestarmi? - , mi chiese sottovoce.
Io mi voltai terrorizzata e vidi i suoi gelidi occhi azzurri, che mi fissavano in uno strano modo, mentre le sue labbra si piegavano in uno strano sorriso. Con timore le diedi la penna, e lei la prese sgarbatamente portandola al suo banco. Come due comari in piena discussione, lei insieme alla sua amica, mi guardavano sorridendo beffardamente. In quel momento pensai che quell'ora non sarebbe mai passata, e così chiusi gli occhi, e con le mani mi massaggiai le tempie per cercare di rilassarmi e concentrarmi per seguire la lezione.
Rimasi così qualche secondo, poi li aprii e guardai verso l'ingresso della stanza, e in quell'istante pensai di sognare. Il ragazzo che avevo conosciuto la sera prima era lì di fronte a me appoggiato allo stipite della porta.
Mi stropicciai gli occhi credendo di avere un'allucinazione, ma invece mi accorsi che era tutto vero. Per qualche secondo egli rimase sulla porta guardando per tutta la stanza, come se stesse cercando qualcuno, poi il suo sguardo si fermò su di me e lo vidi cominciare a venire nella mia direzione. Nel frattempo il cuore mi batteva all'impazzata. Lui mi guardava dritto negli occhi e contemporaneamente anche io lo fissavo: era bellissimo come la sera prima, vestito completamente di nero ed era maledettamente affascinante.
Incedeva verso di me molto lentamente, e mentre si avvicinava, notai che la sua carnagione era quasi diafana ed i suoi occhi erano ancora più blu di come li ricordassi.
Quando arrivò quasi di fronte a me, si soffermò per un attimo a guardarmi, e poi improvvisamente deviando alla mia sinistra andò verso le due ragazze, che ridevano di me.
Io mi voltai incuriosita, e lo vidi chinarsi sulla ragazza con i capelli castano ramato, poi la baciò sulle labbra. Nuovamente si girò verso di me fissandomi, dopodiché si sedette sulla sedia accanto a lei, al posto della ragazza con i capelli castano dorato, la quale scalò di un posto per lasciare quello a lui. Io in quel momento mi sentii morire, mille pensieri invasero la mia mente.
Chi era costui, mi chiesi, e come conosceva quelle ragazze? Come mai aveva baciato una di loro? Cos'era lei per lui? Perché era solo ieri sera? Perché guardava me adesso, se era lei, invece che cercava? E se mi aveva riconosciuta, perché non salutarmi?
Ma soprattutto pensai a quanto fossi stata stupida. Come potevo pensare che fosse venuto lì per me?
Tutti questi pensieri mi confusero la mente ancora di più, pensai che doveva essere almeno al terzo anno, perché dimostrava vent'anni o poco più, quindi capii che era chiaro che fosse venuto lì solo per lei. Ero stranita, allibita, scioccata: non riuscii più a concentrarmi e non riuscivo più a rimanere in classe, così mi alzai e scappai via.
Uscii in cortile a prendere un po' d'aria e mi sedetti su una panchina del giardino, rimasi lì per molto tempo e non rientrai più in aula, per non vedere quelle scene che mi avevano cosi turbata. La campanella suonò la fine della lezione, e gli allievi uscirono in giardino nell'attesa dell'inizio del prossimo corso.
Leyland mi raggiunse quasi subito e quando si sedette mi chiese come fosse andata la lezione, io mentii dicendole che era andata bene. Lei però si accorse subito che io ero un po' turbata e mi chiese cosa avessi, le dissi che era tutto ok, e mentre lei parlava vidi uscire dalla facoltà le due ragazze insieme a lui. Con loro c'era un altro ragazzo, il quale sembrava ancora più giovane degli altri. Era biondo e molto alto, con i capelli lisci che gli ricadevano lunghi sulle spalle, proprio come il suo amico.
Tutti insieme si diressero nella direzione in cui eravamo sedute io e Leyland. Impacciata, abbassai in fretta lo sguardo e li lasciai passare senza guardarli. Per un breve istante però sollevai gli occhi per spiarli e il tipo moro che piaceva a me, si voltò nella mia direzione, allora io bruscamente dissi a Leyland di andare via.
Lei si stupì del mio repentino cambiamento e mi chiese un'altra volta cosa avessi, ed io nervosamente le ripetei che non avevo nulla. Fortunatamente suonò la campanella, avvertendoci che la lezione stava per cominciare e quindi rientrammo in facoltà. Inutile dire che per me fu una giornata da dimenticare, ma che comunque nel bene e nel male passò. Poi finalmente una volta finite tutte le lezioni, feci ritorno a casa.
Quando arrivai avvolsi in un abbraccio mia madre, la quale attenta come una volpe, mi chiese cosa c'era che non andava. Io mentendole le dissi che ero solo stanca e che andava tutto bene, ma non era vero niente. Ero ancora molto turbata da quella situazione, che si era creata in facoltà.
Ero soprattutto tanto agitata, perché mai fino ad allora avevo provato qualcosa del genere: avevo tanta confusione dentro di me. Ero gelosa, invidiosa, attratta irresistibilmente, in modo molto strano da quel ragazzo, e non capivo il perché, in fondo non lo conoscevo nemmeno. Lo avevo visto solo una o due volte, visto che era venuto all'università. Eppure provavo per lui tutte quelle sensazioni che mi bruciavano dentro, come un fuoco ardente, ma che al contempo mi facevano sentire viva.
Andai in camera mia saltando anche la cena, feci solo un lungo bagno caldo, che mi aiutò a rilassarmi e a schiarire le idee, poi andai a letto con la speranza che il giorno dopo sarebbe andata meglio, e mi addormentai esausta.

Strani Omicidi

Il mattino seguente andai sola all'università, mandai a Leyland un finto sms, in cui le dicevo che mi ero alzata tardi e quindi di fare pure senza di me. Poverina, mi dispiaceva mentirle, ma non mi andava proprio di parlare con qualcuno: volevo stare da sola e volevo evitare che lei potesse anche solo fare un accenno al mio comportamento del giorno precedente.
Quella mattina seguii la lezione di biologia e grazie a Dio non incontrai nessuno che conoscevo, né la Morgana nera, né Leyland, ma soprattutto nemmeno le due fameliche comari. Un dubbio, però mi attanagliava. Avrei incontrato di nuovo il mio misterioso salvatore? Speravo proprio di no. Fortunatamente fu così, la mattinata trascorse tranquilla tra una lezione e l'altra. Poi casualmente incontrai la professoressa Dwane, la quale mi chiese come mi trovavo all'università, e che se avevo bisogno dei suoi consigli non dovevo fare altro che cercarla e lei sarebbe stata ben felice di aiutarmi. Mi disse pure dove abitava, nel caso avessi avuto bisogno di lezioni private. Le risposi che le ero molto grata per il suo interessamento. Evidentemente le ero simpatica, e questo rallegrò la mia giornata, almeno per un po'. Dopo pranzo il mio carissimo amico Julian venne a trovarmi all'università, perché gli avevo detto che avevo un'ora di buco, così ne approfittammo per andare a mangiare qualcosa al fast food.
Lui mi conosceva meglio delle sue tasche, senza che io aprissi nemmeno bocca e guardandomi dritta negli occhi mi chiese: - Cosa c'è che mi nascondi Rachel? - .
Io non sapevo mentirgli, così cominciai a raccontargli tutte le cose che mi turbavano in quella scuola. Lui mi rimproverò del fatto, che io fino ad allora non gli avessi raccontato assolutamente nulla. Ci rimase un po' male, in realtà, ma io gli spiegai che non volevo farlo preoccupare ed era per quello che non gli avevo detto niente. Lui in nome del bene che mi voleva, mi perdonò all'istante, e prendendomi con le buone cercò di tranquillizzarmi, dicendo che non dovevo badare ad altro. Dovevo focalizzarmi soltanto sullo studio. Aveva ragione e lo abbracciai dicendogli che mi era mancato tantissimo e che gli volevo un bene dell'anima.
Purtroppo l'ora era passata e dovetti tornare in facoltà, perché mi aspettavano ancora due lezioni. Ci salutammo con un abbraccio, promettendogli che da quel momento in poi, non gli avrei nascosto più nulla. Quando tornai in facoltà stavolta mi imbattei in Leyland, la quale preoccupata mi chiese come stavo, visto che era tutto il giorno che non mi vedeva.
La tranquillizzai dicendole che andava tutto bene: almeno questa volta era vero, perché dopo la chiacchierata con Julian, avevo ripreso a stare meglio. Lui aveva sempre questo effetto su di me, mi rasserenava e mi faceva tornare il buonumore. Frequentammo insieme le ultime due lezioni e poi andammo a casa, fortunatamente quel giorno nessun incontro mi aveva rovinato la giornata. Fu così per quasi tutta la settimana, stranamente non si erano viste, né la Morgana nera, né il nuovo duetto di vicine di banco. Sperai che andasse sempre liscia così, e pensai che forse per qualche strana ragione non potevano più venire a scuola, magari era successo loro qualcosa, e di questo fui contenta. Ma... come si sa, niente dura per sempre.
Le settimane passarono veloci e nel frattempo era arrivata la famosa notte di Halloween e tutta Salem era in fermento per la festa, io naturalmente ero di sicuro l'unica, a cui non importava proprio un fico secco, né della festa, né tantomeno di organizzarmi, come faceva invece almeno mezza città.
Leyland mi propose di fare qualcosa insieme quella sera, ma io questa volta fui irremovibile e non uscii perché non volevo più fare strane conoscenze. Mi era bastata la serata pre-Halloween, che già sicuramente avrei dimenticato con difficoltà. Lei fu molto gentile e non volle insistere più di tanto rispettando la mia scelta: io le dissi che sicuramente avremmo avuto altre occasioni per uscire insieme, allora lei si tranquillizzò e mi salutò.
Aspettai in casa, che mia madre tornasse dal Bed & Breakfast, ma poco più tardi mi chiamò dicendomi di andare a dormire, perché sarebbe dovuta rimanere al lavoro, visto che aspettava dei clienti che sarebbero venuti molto tardi.
Eventualmente sarebbe rimasta a dormire lì, se fosse stato necessario. Io ne fui dispiaciuta, ma capivo che per lei il suo lavoro era molto importante e così non insistetti, rimasi a guardare un po' di televisione e poi andai a dormire.
Il mattino seguente quando mi alzai andai in camera di mia madre. Era sabato, non avevo lezioni, e volevo chiederle se le andava di farmi compagnia per un po' di shopping. Bussai alla sua porta, ma non mi rispose, entrai pensando che potesse essere in bagno a fare una doccia, ma lì non c'era. Uscendo, mi accorsi che il suo letto non era stato neanche toccato e così mi preoccupai, la chiamai al cellulare e dopo molti squilli finalmente mi rispose, dicendomi che era rimasta al Bed & Breakfast per tutta la notte. Dei clienti che lei aspettava erano arrivati troppo tardi, e per questo alla fine aveva deciso di passare la notte lì. Ma mi ero dimenticata che la sera precedente mi aveva avvertita.
Io mi tranquillizzai e poi decisi di fare colazione fuori, chiamai Julian e gli chiesi se voleva farmi un po' di compagnia, ma lui mi rispose che era fuori per lavoro. Allora chiamai Leyland, la quale mi disse che mi avrebbe raggiunta tra una mezz'ora.
Nel frattempo decisi di prendere un caffè a casa, così tanto per svegliarmi meglio, nel frattempo accesi la televisione e la sintonizzai sul telegiornale. Mentre stavo per versarmi il caffè nella tazza, il telegiornale fu interrotto da una notizia straordinaria, la quale diceva che durante la notte di Halloween erano accaduti degli omicidi.
Curiosa, alzai il volume per sentire cosa fosse successo. Dissero che George Wallace, il guardiano del porto di Salem era stato trovato morto in strane circostanze, ancora tutte da chiarire. La polizia disse che la porta d'ingresso non era stata forzata, quindi lui conosceva il suo assassino, pertanto si sarebbe indagato sulle sue conoscenze. Il pover'uomo aveva lasciato la moglie e tre figli piccoli. Il telegiornale continuò dando ancora un'altra notizia e stavolta si trattava di una donna sopra la ventina, di identità sconosciuta: era stata trovata morta nelle vicinanze del cimitero, e precisamente nella proprietà del defunto custode del camposanto.
Il suo corpo presentava degli strani tagli sulle gambe e sulle braccia e la gola era stata tagliata, così la donna era morta per dissanguamento. La polizia disse che probabilmente qualche scapestrato e fanatico di streghe, aveva fatto quell'orribile gesto per celebrare la notte di Halloween, e che negli anni precedenti erano già successe cose del genere.
Sobbalzai dalla sedia quando il campanello di casa suonò, era Leyland che era venuta a prendermi per andare insieme a fare colazione e poi un po' di shopping. La informai immediatamente di ciò che era accaduto e lei non ne fu affatto sorpresa, tranne che per la morte del signor Wallace. Io rimasi sbalordita, come poteva non esserlo, dopo quello che era successo? Mi disse che da quelle parti non era strano che accadessero cose del genere, specialmente nella notte di Halloween, non era la prima volta. Io le chiesi come fosse possibile una cosa del genere e soprattutto perché la polizia non faceva niente per evitarlo. Lei mi rispose che la polizia non era in grado di gestire qualcosa che andava ben oltre il suo potere, qui si trattava di magia nera.
Inoltre mi disse che vista la metodica dell'omicidio della ragazza con molta probabilità... si trattava di un sacrificio umano.
- Che vuoi dire? - , le chiesi scioccata.
- La notte di Halloween è l'inizio del nuovo anno nel calendario delle streghe, ed è anche il giorno in cui tutto è possibile. La natura si ridesta e le forze del male ascendono sulla terra, dando poteri sovrannaturali, facendo riti magici e compiendo sacrifici umani, che obbligatoriamente devono essere puri. Compiendoli si può ottenere qualunque cosa - , mi spiegò Leyland.
Io la guardavo con aria atterrita.
- Ma come fai a sapere tutte queste cose? - , le chiesi.
- Le ho studiate - , rispose lei.
- Le hai studiate, ma dove e perché? - , risposi io incredula.
Poi continuai e chiesi: - Vuoi dire che quella ragazza era vergine? - , chiesi io inorridita.
- Certamente... o il rito non si sarebbe potuto compiere - , disse lei convinta.
- Ma chi potrebbe fare una cosa del genere... gente pazza? - , dissi io.
Poi lei continuò con aria cupa: - Le più pericolose sono le persone di cui tu neanche sospetti: quelle che agli occhi di tutti sembrano avere un'esistenza più che integerrima, ma che in realtà nascondono un'anima malvagia ed hanno il potere di decidere della vita e della morte di qualunque essere umano. Questo per loro significa equivalere a Dio stesso, ma tutto questo ha un prezzo come ogni cosa - .
Io non riuscivo a credere a quello che sentivo e le chiesi quale fosse il prezzo.
Lei mi disse: - Esistono vari tipi di magia, quella chiamata bianca, che agisce unicamente sui fenomeni della natura per fare del bene e portare armonia e prosperità, sottomettendosi alle forze del cosmo. La magia nera è l'esatto contrario, ed è la più pericolosa, perché va oltre ogni immaginazione. Chi la pratica, cerca di sottomettere le forze del cosmo al proprio volere, sovvertendone le leggi ed invocando le forze sovrannaturali e paranormali, compreso il Signore delle tenebre in persona. Ma come dicevo tutto questo ha un prezzo... l'anima. Chi pratica queste magie è perduto per sempre - .
- Ma come fai a sapere tutte queste cose? - , le chiesi io.
- Oh... le avrò lette da qualche parte - , mi rispose nuovamente. Dopo essermi ripresa dalle scioccanti parole di Leyland, le chiesi se pensava che potesse essere stato qualcuno che conoscevamo ad aver commesso quei delitti... qualcuno come la Morgana nera, ad esempio. Lei mi sorrise e prendendomi per un braccio mi portò via, dicendomi di non pensare a lei, ma di starle solo alla larga.
Poi aggiunse che dovevamo affrettarci, perché poco più tardi aveva delle cose urgenti da fare. Io, ancora intontita, dopo quello che avevo appena sentito, uscii di casa senza essere capace a tenere le gambe diritte, tanto ero terrorizzata a morte.
Dopo circa un paio d'ore dalla nostra uscita, Leyland mi riaccompagnò a casa, e quando rientrai mia madre era già arrivata, perché vidi la sua borsa sul divano. Andai in camera per chiamarla e mi accorsi che stava dormendo. Mi avvicinai per baciarla, ma lei si svegliò.
- Ciao tesoro, scusami devo essermi addormentata, ho passato una nottataccia. Com'è andato lo shopping, cos'hai comprato di bello? - , mi chiese ancora assonnata.
Senza darle una risposta, le domandai direttamente se aveva sentito le notizie al telegiornale di quelle persone morte. Lei mi disse che era inorridita, ma che a noi non doveva importare nulla di quello che era successo. Io la guardai un po' stranita e notai che mi sembrò un po' infastidita dalle mie domande, ma non le dissi nulla perché pensai che forse era dovuto alla stanchezza, dopo la notte di lavoro trascorsa al Bed & Breakfast.
Andammo insieme in cucina a preparare il pranzo, lei non disse una parola ed io non la disturbai. Appena fu pronto, ci sedemmo a tavola per mangiare. Al telegiornale davano ancora notizie su quelle strane morti, ma con più dettagli. Cominciarono a parlare della ragazza uccisa dicendo, che secondo la polizia, il suo omicidio non era stato casuale, ma voluto. Era stata vittima di qualche balordo, che l'aveva presa di mira per fare un sacrificio umano. Ne erano quasi certi, perché poco distante dal corpo, avevano trovato un cumulo di pietre, che sembrava un altare sacrificale.
Quando sentii quelle parole mi si raggelò il sangue e subito mi ricordai delle parole di Leyland, e guardai mia madre che con espressione attenta, ascoltava le parole del giornalista.
Dopo quella notizia, ce ne fu un'altra alquanto strana: l'ospedale della città aveva denunciato il furto di sacche di sangue umano che era avvenuto durante la notte, e di colpo vidi mia madre saltare dalla sedia e agitarsi inspiegabilmente.
Preoccupata le chiesi cosa stesse succedendo e perché fosse così nervosa, ma lei neanche mi ascoltava, perché andava avanti e indietro per la cucina, quasi come fosse posseduta. Le dissi che mi stava spaventando. In quel momento sembrò tornare alla realtà, fece un profondo respiro e si sedette cercando di calmarsi respirando piano piano.
Impaurita, la pregai di non agitarsi e di dirmi a cosa stava pensando, lei mi rispose che era molto preoccupata per me e che forse avevo sbagliato a tornare a Salem.
Io cercai di tranquillizzarla, dicendole che era stato solo un incidente, ma lei continuava a dirmi che non sarei dovuta tornare, perché era troppo pericoloso.
La abbracciai dicendole di stare calma e che non mi sarebbe successo niente: ci volle parecchio per convincerla, ma alla fine riuscii a farla calmare e mandarla a riposare. Rimasi in cucina a pensare alla sua reazione che mi aveva spaventata tantissimo, e come un tamburo, mi tornarono in mente le parole di Leyland.
Non era possibile che quelle cose potessero ancora accadere, e pensai che certamente qualche fanatico voleva emulare le streghe del Medioevo, per avere qualche minuto di pubblicità. Purtroppo con il tempo scoprii a mie spese, che non era affatto così. Il weekend passò molto lentamente e per la prima volta non vedevo l'ora che arrivasse il lunedì per tornare all'università, anche se non sapevo ancora cosa mi aspettava.
Katherine J. Smith
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